Bergamo: Crescono disabilità e disturbi cognitivi «Le nuove tecnologie possono aiutare»
Ma occhio all'apprendimento: un bimbo che impara a scrivere sul tablet avrà un ritardo di due anni
Gisella Laterza
In poco meno di 10 anni gli alunni certificati Dsa (con disturbo
specifico di apprendimento) sono aumentati del 400%. Sono il 3,99% del
totale (5.369 su 134.377 alunni nel 2017-2018). Sulle cause, si apre il
dibattito.
Da un'indagine dell'Ufficio scolastico territoriale (Ust) di Bergamo,
presentata dalla referente per l'Inclusione Antonella Giannellini,
emerge che dal 2009 al 2017 i Dsa certificati sono il 166% in più nella
scuola primaria, 366% in più nella scuola secondaria di primo grado e
ben 800% in più nella scuola secondaria di secondo grado. In aumento
anche gli studenti disabili, che erano il 2,33% sul totale nel 2009 e
sono ora il 3,17%. Crescono inoltre le certificazioni degli alunni Bes
(bisogni educativi speciali), che dal 2016 al 2018 sono aumentati del
7,12% e rappresentano ben il 17% della popolazione scolastica.
«I numeri ci mettono in grande allarme — commenta la provveditrice
Patrizia Graziani —. Ma la diagnosi clinica è sufficiente, oppure è
necessaria una visione pedagogica?». Tra i motivi dell'aumento, rileva
che «si sono modificati gli stili di apprendimento, ora basati più su
stimoli visivi che uditivi. Questo ha colto la scuola impreparata. Non
è sempre necessario intraprendere dei percorsi di tipo clinico, ma
serve un cambio di paradigma nelle lezioni in aula. Anche utilizzando
gli strumenti delle nuove tecnologie». Per confrontarsi sul tema, il 10
maggio si terrà un convegno all'Istituto Natta, dalle 13.30 alle 18.30.
Tra gli ospiti interverrà Daniele Novara, direttore del Centro
psicopedagogico per l'educazione e la gestione dei conflitti di
Piacenza, autore di «Non è colpa dei bambini» (Rizzoli). «Crescono le
diagnosi — afferma il pedagogista —, ma non sembrano esserci motivi
reali». E accusa: «Al contrario, sembra che alcuni professionisti
stiano sfruttando la situazione di difficoltà educativa delle famiglie
e della scuola per trasformare queste difficoltà in presunti disturbi».
Entrando nel dettaglio, «la neuropsichiatria sta sostituendo
l'educazione e la pedagogia. Non è legittimo che un bambino vivace sia
considerato un bambino malato e un bambino distratto sia considerato
disturbato. Bisogna dare tempo al tempo, lasciare che i bambini
sbaglino e vivano i loro errori anche scolastici come momenti di
formazione e non di condanna». Ma qual è la soluzione? «A scuola, una
didattica fondata sul lavoro di gruppo. La terapia sono i compagni e
non gli insegnanti. Vale anche per gli alunni più grandi». Mentre a
casa, «i genitori dovrebbero chiedersi se dorme abbastanza, assicurarsi
che non dorma ancora nel lettone a 8 anni, che non passi troppo tempo
davanti a smartphone e tablet». La tecnologia, in questo senso, «è
dannosa. Diversi studi dimostrano che un bambino che impara su tablet
ha 2 anni di ritardo nella scrittura rispetto a chi apprende a mano.
Non a caso, tra gli altri, Manfred Spitzer ha parlato di “Demenza
digitale”». Ma soprattutto, «è fondamentale l'educazione. Soprattutto
del bambino. Per l'adolescente siamo già un po' fuori tempo massimo».
Al convegno interverrà anche Eleonora Florio, dell'Università di
Bergamo, che ha raccolto i pareri di 92 maestre di scuole primarie.
Sulla base di questi, ha formulato un questionario sottoposto ad altri
111 insegnanti. Un'altra parte del lavoro, conclusa da pochi giorni,
riguarda un'indagine condotta direttamente su 2.000 bambini
bergamaschi. I dati sar
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Se
è vero che “in poco meno di 10 anni gli alunni certificati Dsa (con
disturbo specifico di apprendimento) sono aumentati del 400%. Sono il
3,99% del totale (5.369 su 134.377 alunni nel 2017-2018). Da
un'indagine dell'Ufficio scolastico territoriale (Ust) di Bergamo
emerge che dal 2009 al 2017 i Dsa certificati sono il 166% in più nella
scuola primaria, 366% in più nella scuola secondaria di primo grado e
ben 800% in più nella scuola secondaria di secondo grado. In aumento
anche gli studenti disabili, che erano il 2,33% sul totale nel 2009 e
sono ora il 3,17%. Crescono inoltre le certificazioni degli alunni Bes
(bisogni educativi speciali), che dal 2016 al 2018 sono aumentati del
7,12% e rappresentano ben il 17% della popolazione scolastica” ci
sono delle riflessioni da fare sia sulla salute dei genitori e delle
famiglie che del funzionamento della scuola (pubblica e non ) italiana.
Prima di tutto o stiamo mettendo al mondo una sfracca di persone fatte
male –e la faccenda è poco verosimile dal momento che la qualità
della salute dei genitori e della maternità e la cura al parto sono
nettamente migliorate anno dopo anno- oppure in qualche parte
dell' “apparato” c'è annidata una fabbrica di certificatori di
manica troppo larga.
La nostra impressione che caviamo dalla lettura di molti bilanci
comunali –sostanzialmente una copia l'uno per l'altro, cifre a parte- è
che sia in atto nella scuola italiana un processo “politicamente
corretto” di “alleggerimento legale o legalizzato” del carico di
allievi agli insegnanti ed alle scuole ed alle famiglie in generale.
Sempre per un processo generalizzato e politicamente corretto, viene
avanti un disegno – in gran parte ormai compiuto_ in base al quale i
figli non stanno più in mano ai genitori dalle sette del mattino alle
17 se non alle 19 di sera. Politicamente corretto perché vengono
portate avanti delle giustificazioni politicamente corrette: la
possibilità delle madri di potere lavorare, la necessità utilità dei
genitori di disporre di spazi temporali propri senza l'ingombro dei
figli, la prolungata condivisioni di esperienze di convivenza –il più
eterogenea possibile- da parte dei bambini ne migliora la crescita.
E chi non sta al passo dell'allevamento intensivo finisce in un altro
girone: “in poco meno di 10 anni gli alunni certificati Dsa (con
disturbo specifico di apprendimento) sono aumentati del 400%. Sono il
3,99% del totale (5.369 su 134.377 alunni nel 2017-2018). Da
un'indagine dell'Ufficio scolastico territoriale (Ust) di Bergamo
emerge che dal 2009 al 2017 i Dsa certificati sono il 166% in più nella
scuola primaria, 366% in più nella scuola secondaria di primo grado e
ben 800% in più nella scuola secondaria di secondo grado. In aumento
anche gli studenti disabili, che erano il 2,33% sul totale nel 2009 e
sono ora il 3,17%. Crescono inoltre le certificazioni degli alunni Bes
(bisogni educativi speciali), che dal 2016 al 2018 sono aumentati del
7,12% e rappresentano ben il 17% della popolazione scolastica”.
Questo girone che accoglie gli scartati in maniera politicamente
corretta –in quanto debitamente certificati da medici scienziati
bambinologi- è del tutto a carico dei comuni e dei genitori
–politicamente addebitati sulla base si un politicamente corretto ISEE-
ed affidato sempre ad associazioni politicamente corrette in forma di
onlus di cooperative ed assimilate.
Normale che i comuni siano convenzionati con scuole (nidi e materne) di
soggetti privati i quali per garantire il servizio in maniera
continuativa e nei lunghi tempi di cui si fanno carico dei
bambini, utlizzino forme di contratto e paghe orarie dei dipendenti che
molto spesso generano polemiche ferocissime tra concorrenti in quanto
alcuni denunciamo come per certi prezzi del servizio proposto ai
comuni, non sarebbe possibile pagare i dipendenti secondo il contrato
vigente.
Questa enorme crescita di bambini scartati in maniera politicamente
corretta va incontro ed accoglie il favore anche dei docenti di ruolo
in quanto alleggerisce gli stessi di impegni responsabilità
professionalità che –sempre in base al principio del politicamente
corretto- sono “giustamente” affidati a professionisti ad hoc.
Ma se il politicamente corretto ha creato dei bisogni in quantità
STUPEFACENTEMENTE massiccia quando il benessere e la salute della
popolazione dovrebbe invece dare frutti e indicazioni del tutto
opposte, questa appare nel lungo periodo come un progetto di
privatizzazione della scuola pubblica attraverso forme vieppiù
esasperate di interventi mirati in maniera ovviamente
politicamente corretta. Il processo fa vedere una sorta di
medicalizzazione e di psicologizzazione della popolazione in modo
che masse vieppiù numerose siano sottratte alla “scuola normale”
ed affidate a persone e/o in classi con qualcosa di speciale. Può
essere banale ma vedere una scuola elementare con una vasca di
idromassaggio mostra in maniera evidente come – in primis proprio da
parte degli insegnanti- un progetto e un disegno di togliersi di dosso
dei problemi relegandoli in mano di terzi.
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Bullismo, i genitori non educano i figli? Colpiamogli nel portafogli
di Conrado de Vita
Da ignorante quale sono e da novello padre, mi affascina ancora da
lontano – in senso negativo, è ovvio – il fenomeno del
bullismoapparentemente crescente a macchia d’olio nelle scuole
superiori italiane. Ne ho sentite e lette molte, in questi giorni: da
chi propone di vietare il cellulare a scuola a chi parla di insulto a
pubblico ufficiale. Ma con il punto in comune di rischiare di cadere in
una retorica vuota e fine a se stessa, alla quale i ragazzi – glielo
dobbiamo, sono più creativi di noi e sarebbe spaventoso il contrario –
non faticheranno a trovare una soluzione onde aggirare la norma.
Ebbene, il bullismo si pone ormai come piaga sociale, alla pari della
guida in stato di ebbrezza o di quello che fu il fumo nei locali
pubblici. Problemi oggi non dico risolti, ma se non altro contenuti con
un metodo molto semplice: colpendo il portafogli.
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I comportamenti scorretti al volante (ebbrezza, cinture slacciate,
limiti di velocità superati) sono forse l’esempio più chiaro del fatto
che la paura di dover pagare è sempre il deterrente migliore. Per
quanto se ne dibatta degli autovelox a tradimento, dei vigili nascosti
o delle multe per “fare cassa”, la realtà è che se non corri, se hai le
cinture, se non esageri coi bicchieri mica ti succede nulla. Altrimenti
paghi. Soldi, patente, libertà personale. Così funziona, così
minimizziamo il problema.
Lo stesso per il fumo e diamo atto a B. della legge del 2003, forse
l’unica legge seria mai proposta da un suo governo. Chi discuterebbe
mai sul fatto che non si fuma nei luoghi pubblici, oggi? Almeno al
chiuso, stiamo sereni. Quando poi riusciremo a farlo rispettare anche
nelle spiagge, sarò più contento.
Torniamo al bullismo. Per quante ne dica Michele Serra – col quale in
fondo concordo parzialmente – vi è sicuramente un problema educativo di
fondo: la scuola-servizio ci ha consegnato non solo più alunni
maleducati, ma la normalità di una famiglia che non deve più educare i
propri figli, delegando il tutto all’istituto. È inutile voler
correggere in corso d’opera questa problematica attraverso la
regolamentazione della vita scolastica, se il problema vero risiede tra
le mura domestiche. Nei famigerati Itis ci sono studenti come quelli di
Lucca e ci sono studenti da 100 e lode, per quante ne dica Serra.
Per cui si prenda il fenomeno del bullismo per le corna. Lo si renda un
problema da risolvere, si responsabilizzino le famiglie come si farebbe
in una società sana. Si definisca per legge che cosa costituisce l’atto
di bullismo e si stabilisca un range di sanzione amministrativa da far
pagare al genitore. Senza margini di ricorso. I cattivi genitori
potranno non capire gli insegnanti, i presidi, i tempi duri che
viviamo: ma capiranno sicuramente se gli tocchi il portafoglio, proprio
come gli autisti spericolati e i fumatori incalliti.
Si diano multe e si revochino gli aiuti di Stato a chi si macchia di
atti di bullismo contro insegnanti, compagni o chicchessia. E per i
casi gravi, si arrivi alle soluzioni in stile “solitaria”, con
l’assunzione di un insegnante di sostegno – sempre a carico
obbligatorio della famiglia in questione – che faccia portare a termine
il ciclo scolastico del piccolo deviato in “isolamento”, nel rispetto
di chi invece a scuola si impegna nello studio e nel rispetto altrui.
Creando anche un po’ di occupazione, finanziata da privati.
Ma ciò non si fa se non si accompagna un piano vero di sostegno alle
famiglie, che sicuramente delegano molto a nonni e insegnanti in quanto
uno Stato sociale a parole e liberista nei fatti li addita chi non fa
figli – il Fertility day di Beatrice Lorenzin resterà negli annali – ma
lascia soli (con le pezze al didietro per dirla col saggio) chi li fa.
Il problema non sono i soldi, ma i soldi risolvono il problema. Sia quando li dai, sia quando li togli.
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