Lavoro,
la disoccupazione in Ue torna ai livelli 2008. In Italia il tasso resta
più alto di 4 punti e ci sono 750mila precari in più.
Secondo l'Istat a marzo gli italiani con un posto sono saliti a 23,13
milioni grazie a un aumento degli occupati under 34 e over 50. Il tasso
dei senza lavoro è stabile all'11% e quello giovanile è calato al
31,7%. Peggio solo Grecia e Spagna. La media europea è,
rispettivamente, a 7,1 e 15,6%. Rispetto all'inizio della crisi nella
Penisola sono aumentati solo i dipendenti a termine
il Fatto Quotidiano
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Mentre l’Unione europea riporta il tasso di disoccupazione al livello
del settembre 2008, prima che la crisi finanziaria travolgesse anche
l’economia reale, quello italiano resta inchiodato da oltre due anni
nei dintorni dell’11%. Quattro punti più della media dei 28: va peggio
solo in Grecia e in Spagna. E il 6,8% registrato dall’Istat a fine 2008
resta un miraggio. Quanto alla disoccupazione giovanile, nonostante la
discesa dello 0,9% registrata a marzo resta al 31,7%, più del doppio
della media del Vecchio Continente (15,6%) e quasi dieci punti sopra il
livello di dicembre 2008. Per il ministro del Lavoro Giuliano Poletti i
dati di marzo “confermano il consolidamento positivo dell’assetto del
mercato del lavoro italiano, in corso da diversi trimestri”, mentre
l’ex sottosegretaria alla presidenza del Consiglio Maria Elena Boschi
esulta perché “i nostri giovani stanno finalmente beneficiando delle
politiche messe in atto dai governi #Pd”. Basta però un confronto con i
Paesi partner per rendersi conto che quel “consolidamento” non basta
per schiodare il Paese dagli ultimi posti della classifica Ue. Non
solo: un’analisi della tipologia di contratti conferma che negli ultimi
dieci anni il mercato è diventato sempre più precario. Rispetto a fine
2008 ci sono 750mila dipendenti a termine in più e 50mila stabili in
meno.
Tasso di disoccupazione 4,3 punti sopra il livello del 2008… – La
rilevazione diffusa mercoledì dall’Istat mostra che a marzo sono
aumentati gli occupati under 34 e gli over 50, ma sono diminuiti quelli
nella fascia di mezzo – quella compresa tra i 35 e i 49 anni – e le
donne. Nel complesso, gli italiani con un lavoro sono saliti a 23,13
milioni, +62mila rispetto a febbraio e +190mila rispetto al marzo 2017.
Si tratta del valore più alto dall’agosto 2008. Ma nel frattempo sono
calati di oltre 1 milione gli inattivi, cioè quelli che un posto non lo
cercano più perché scoraggiati. Così, il tasso di disoccupazione dal
febbraio 2012 non è mai sceso sotto la doppia cifra. Dal settembre 2015
oscilla intorno all’11,5%. Nell’ultima parte del 2017 è sceso all’11% e
da qualche mese resta inchiodato su quel livello. A fine 2008 era al
6,7%.
…mentre la Ue è tornata ai valori pre-crisi – Nel frattempo il resto
d’Europa, complice l’ombrello della Bce e la stabilità dei mercati
finanziari, ha recuperato terreno tornando ai livelli pre-crisi: a
marzo, ha fatto sapere l’Eurostat, la disoccupazione nella zona euro si
è attestata all’8,5%, il tasso più basso da dicembre 2008, e quella
della Ue a 28 è al 7,1%, il minimo da settembre 2008. Per capirci: in
Germania il tasso è al 3,4%, in Francia all’8,8%, in Svezia al 6,2%, in
Portogallo al 7,4. La disoccupazione più alta, annota l’istituto
statistico europeo, si registra in Grecia (20,6% a gennaio 2018),
Spagna (16,1%) e a seguire Italia.
L’Italia è inoltre l’unico Paese Ue dove a marzo la disoccupazione
femminile è aumentata di 0,5% toccando il 12,5% contro l’8,9% medio
della zona euro. Solo la Lituania ha fatto registrare un altro aumento,
ma di appena lo 0,1%. L’occupazione femminile del resto rimane al 49,1%
contro una media Ue superiore al 72 per cento.
Stabili i dipendenti a tempo indeterminato, aumentano quelli a termine
e gli autonomi – Quanto alla tipologia dei posti di lavoro, la
fotografia del mese di marzo conferma che il mercato è diventato più
precario. Se gli occupati nel complesso sono aumentati, i dipendenti
stabili oggi sono 14,93 milioni contro i 14,98 milioni di fine 2008.
Nel frattempo quelli a termine – platea che comprende gli iper-precari
con contratti da pochi giorni – sono saliti da 2,1 a 2,9 milioni mentre
sono calati da 5,7 a 5,2 milioni gli indipendenti.
La tendenza è confermata dall’andamento registrato dall’Istat negli
ultimi 12 mesi: su base annua gli occupati sono aumentati di 190mila
unità grazie esclusivamente ai lavoratori a termine (+323mila), mentre
anno su anno sono calati i permanenti (-51mila) e gli indipendenti
(-81mila). Crescono soprattutto gli occupati ultracinquantenni
(+391mila) e, in misura minore, i 15-34enni (+46mila) mentre calano i
35-49enni (-246mila). Nell’arco di un anno diminuiscono sia i disoccup
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Il “dramma dei padroni»: lavoratori anziani e conoscenze inadeguate per le imprese 4.0
di Stefano Porcari
I padroni stanno facendo i conti con la madre di tutte le
contraddizioni, quella che potremmo sintetizzare “botte piena e moglie
ubriaca”. Da un lato le controriforme del sistema previdenziale hanno
allungato l’età pensionabile tenendo in attività i lavoratori “fino
all’ultimo battito utile”, dall’altra le innovazioni tecnologiche
richiedono lavoratori più giovani e più preparati a misurarcisi, che
però non trovano spazio nel mercato del lavoro.
Cuore della contraddizione – ma guai a dirlo ai “prenditori” che
altrimenti si offendono – è che questi giovani lavoratori vengono
pagati sempre meno, anche avendo a disposizione conoscenze elevate,
mentre i refrain sul taglio dei costi della spesa pubblica (inclusa
quella pensionistica) si scontrano con il fatto che i lavoratori
anziani vengono tenuti in attività per sempre maggior tempo. I padroni
vorrebbero risolverla facile con due semplici equazioni: tagliare le
pensioni pur mantenendo l’allungamento dell’età pensionabile per
stornare risorse oggi destinate alla spesa pubblica e pagare sempre
meno i nuovi lavoratori che entrano in produzione. A fare gli
imprenditori così saremmo capaci anche noi che non abbiamo certo lo
spirito degli “entrepreneur”. Per questo ci viene istintivo definirli
come “prenditori” piuttosto che come soggetti che rischiano di proprio
sul mercato.
La situazione del mercato del lavoro in Italia, è stata radiografata
oggi dal Sole 24 Ore, e l’immagine che restituisce visualizza bene la
contraddizione in cui si dibattono i “prenditori” nostrani.
Nel 2007 il tasso di occupazione dei giovani tra i 15 e i 24 anni era
del 24,2%, dieci anni dopo è scesa al 17,7%. Una caduta ancora più
accentuata per la fascia 25-34 anni il cui tasso di occupazione è
passato dal 70,4% al 60,8%.
Contestualmente è aumentata l’occupazione degli over 50: se nel 2007 il
tasso di occupazione tra i 50 e i 64 anni era del 46,9%, oggi è salito
al 59,4%. Una contraddizione? No, è una situazione allineata con gli
altri paesi europei, solo in dato sui lavoratori giovani appare ancora
un poco sotto la media europea.
Ma che tipo di lavoro è? Il numero di lavoratori occupati a tempo
determinato è cresciuto dai 2,27 milioni del 2007 ai 2,92 milioni di
oggi (pari al 28,6%, quasi un terzo e con un tasso più elevato della
media europea). Quello dei lavoratori occupati a tempo indeterminato è
cresciuto molto meno da 14,85 milioni a 14,93 milioni, pari allo 0,6%.
Balza agli occhi la bassa occupazione femminile. Anche se, nel corso
degli ultimi 10 anni, complice la crisi che ha visto decine di migliaia
di famiglie perdere la propria unica fonte di reddito, il trend sta
cambiando. Se nel 2007 il tasso di occupazione femminile era del 47,1%
oggi è salita al 49,2%.
L’anomalia che continua a persistere è l’elevato numero di persone che
le statistiche considerano come “inattive”. Con questo termine si
intendono coloro che non hanno una occupazione o che non sono alla
ricerca di lavoro. Un parametro molto controverso che tiene dentro
condizioni assai diverse tra loro (dai pensionati ai lavoratori “in
nero”, dai giovani “Neet” ai cosiddetti “scoraggiati”). Questo blocco
di persone era sempre stato superiore ai 14 milioni di persone, negli
ultimi dieci anni si è assistito ad un calo. Tra il 2007 ed oggi
infatti il tasso di inattività è passato dal 37,1% (14,3 milioni) al
34,7% (13,4 milioni), con un calo di circa un milione di unità.
Sul piano delle qualifiche si segnala che a partire dal 2007 il numero
di operai si è ridotto di oltre 1 milione di unità, e soprattutto si
sono ridotti gli operai in professioni tecniche e qualificate di circa
500mila unità. Nello stesso arco di tempo si è assistito alla crescita
sia di personale non qualificato (480mila occupati) sia di lavoratori
in professioni esecutive nel commercio e nei servizi.
Ma un ulteriore sconquassamento di questo quadro, può venire dalla
crescente automazione della produzione e di molte funzioni lavorative
oggi svolte da persone in carne ed ossa. Secondo una prima previsione
dell’ OCSE circa il 10% dei posti di lavoro sono ormai ad alto rischio
di automazione e il 34% sarebbero soggetti ad un profondo cambiamento
delle mansioni a causa dell’automazione.
L’introduzione di nuove tecnologie e l’automazione, si scontrano con il
basso tasso di ricambio generazionale nel mondo del lavoro. Recenti
dati della Banca Centrale Europea ipotizzano che se nel 2016 le persone
nella fascia d’età tra i 15 e i 64 (quindi in età lavorativa) erano il
64,8%, nel 2030 saranno il 60,4% e nel 2070 il 56% (l’allungamento
dell’età pensionabile crea questo effetto). Ma si scontra anche con la
domanda di lavoratori con maggiori conoscenze da parte delle imprese.
Un rapporto di Unioncamere afferma che circa il 25% delle posizioni
ricercate dalle imprese è di difficile reperimento, mentre
Confindustria lamenta la mancanza di 280mila tecnici per rispondere
agli investimenti tecnologici incentivati dal “Piano Impresa 4.0”.
Ma i “prenditori” associati in Confindustria o Unioncamere non sembrano
porsi la domanda: perchè mai un tecnico, che spesso ne sà più del
padrone, dovrebbe accettare i miseri salari che le i
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- Di Maio poi ipotizza una offensiva mediatica dei Tg Rai contro il
Movimento: «Negli ultimi 50 giorni ci avevano trattato con i guanti
bianchi perché avevano paura che andassimo al governo e sostituissimo i
direttori. Lo faremo molto presto grazie a una legge finalmente
meritocratica».
2 - Iva Zanicchi: ho votato Pd Renzi ora torni ad Arcore. «Alle ultime
elezioni ho votato Pd, ovvio, per chi altro dovevo votare?». Iva
Zanicchi, ex eurodeputata di Forza Italia, lo confessa a Un Giorno da
Pecora, su Rai Radio1: «Li vedevo in difficoltà. Io sono una mamma, una
nonna, e vado sempre coi più deboli». E Berlusconi come l'ha presa?
«Non glielo ho detto, non me ne frega». Ma se il Pd dialoga con i 5
Stelle — «Io non li voto, neanche per idea» — cosa dovrebbe fare l'ex
segretario dem? «Renzi dovrebbe tornare ad Arcore — dice Zanicchi —
parlare con Berlusconi e diventare lui il leader di Forza Italia, così
almeno scappa da quel 10% che ha».
3 - Gli Italiani? Non esistono. «Si tratta solo di un'aggregazione di
tipo geografico. Abbiamo identità genetiche differenti, legate a
storie e provenienze diverse e non solo a quelle» spiega Davide Pette-
ner, antropologo del Dipartimento di Scienze Biologiche, Geologiche e
Ambientali dell'Università di Bologna, che ha creato una banca di
campioni di Dna per tracciare la storia genetica degli Italiani,
insieme a Donata Luiselli del Dipartimento di Beni Culturali di
Ravenna e collaboratori. Lo studio rientra in un progetto mondiale
finanziato dalla National Geographic Society. (...) In Sardegna c'è
una popolazione geneticamente omogenea, che è pochissimo diffusa nel
resto della penisola. La sua origine risale a migrazioni di epoca
neolitica. Nell'Italia del nord e nell'alto Tirreno prevale una
popolazione geneticamente simile a quella di Centro ed Est Europa, le
cui origini sono riconducibili a migrazioni iniziate nell'età del bronzo
Le aree in verde corrispondono a caratteristiche genetiche
riconducibili a migrazioni dal Caucaso e dal Medio Oriente a partire
dal Neolitico. Al Sud, in particolare in Sicilia, c'è un forte
contributo di popolazioni del Nord Africa legate soprattutto alla
conquista araba.
4 - In questo comune (di Curno) sara' meglio che vi mettiate
d'accordo. Infatti mentre una dirigente (ragioneria) sostiene che tutti
gli atti pubblicati all'albo pretorio sono sempre disponibili ai
cittadini senza alcun obbligo di spiegare-motivare la ragione
dell'accesso, un'altra dirigente –peraltro nemmeno titolare ma solo
temporanea- dell'ufficio tecnico NEGA l'accesso allo stesso tipo di
atti (quelli pubblicati all'albo pretorio). Poi naturalmente
parte l'usuale sfida della Maggioni : “avverso il presente
provvedimento è ammesso ricorso avanti il TAR ecc. ecc.” frase di cui
si possono dare perlomeno due interpretazioni. Questo Comune decida una
volta per tutte, come fanno dappertutto: gli atti pubblicati all'albo
pretorio sono accessibili sempre e da chiunque SENZA obbligo di
spiegarne la ragione dell'accesso.
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