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Così la Russia ha vinto la guerra
Il contributo militare degli Usa è stato decisivo, ma i dividendi della
vittoria li sta incassando Mosca. Cresce anche l'influenza di Teheran.
Non pervenuta l'Europa.
Tommaso Canetta
Non è stata l'inizio e non sarà la fine del conflitto in Siria e del
caos in Medio Oriente, ma la guerra contro lo Stato Islamico è stata
uno dei momenti fondamentali della storia recente. Si è conclusa con la
sconfitta del Califfato, la creatura nata dalla mente di ex ufficiali
dei servizi segreti di Saddam Hussein che avevano capito come sfruttare
le debolezze congiunte dell'Iraq post-dittatura baathista e della Siria
investita dal vento delle Primavere arabe a inizio di questo decennio.
Il mix di abilità tattiche e militari degli ex ufficiali baathisti e di
presa del fanatismo islamico su parte delle comunità sunnite –
soprattutto in Siria, sconvolta dalla guerra civile, e in Iraq, dove
era sopravvissuto il brodo di cultura dell'Al Qaeda in Iraq del
famigerato Al Zarkawi, ma non solo – aveva portato lo Stato Islamico a
occupare, tra il 2014 e il 2015, un territorio a cavallo tra Iraq e
Siria pari a quello del Regno Unito. Le sigle del terrorismo jihadista
locale – dalle Filippine alla Nigeria – si affrettavano allora a
giurare fedeltà al Califfo, decine di migliaia di foreign fighters
accorrevano da Asia, Europa e Africa sotto le bandiere nere dell'Isis,
le immagini raccapriccianti delle esecuzioni “spettacolari”
sconvolgevano l'Occidente e galvanizzavano i jihadisti e i loro
simpatizzanti, uno stillicidio di attentati (spesso compiuti da persone
disturbate, “lupi solitari”, e solo raramente da cellule organizzate)
insanguinava il mondo e diffondeva la paura.
Ora, circa tre anni dopo, pare tutto finito. Il rischio di attentati in
Europa e non solo rimane, ovviamente, ma il mito dello Stato Islamico e
la sua presenza territoriale sono stati spazzati via. Poche sacche di
deserto sono quel che resta del Califfato che un tempo controllava
città di centinaia di migliaia di abitanti come Mosul, Raqqa, Ramadi e
Kirkuk, che costruiva scuole islamiche per indottrinare i bambini,
imponeva codici di condotta e abbigliamento, terrorizzava e massacrava
le minoranze, distruggeva le meraviglie archeologiche degli “infedeli”,
riscuoteva le tasse, vendeva petrolio e ci pagava (meglio di tutte le
altre milizie) i suoi combattenti. Le bombe della coalizione a guida
Usa, la riscossa dell'esercito siriano aiutato dall'Iran e dalla
Russia, quella dei Peshmerga curdi-iracheni, dell'esercito iracheno
aiutato dagli Usa e dalle milizie sciite filo-iraniane, l'eroica
resistenza prima e controffensiva poi dei curdi siriani sono tutti
tasselli della sconfitta finale dello Stato Islamico. Ma chi ha vinto e
chi ha perso, a parte il Califfato medesimo, questa battaglia?
I due principali vincitori sono la Russia e l'Iran. Non tanto perché
abbiano contribuito più degli altri a sconfiggere lo Stato Islamico, ma
perché sono i due attori che hanno tratto maggiore vantaggio dalla
battaglia prima e dalla vittoria poi. Mosca era intervenuta in Siria
nel settembre 2015 per evitare che cadesse il regime di Assad, alleato
del Cremlino che ospita l'unica base navale russa nel Mediterraneo. La
presenza dello Stato Islamico ha in primo luogo fornito a Putin un
ottimo pretesto per intervenire, ma non solo. Ha anche reso zoppa la
condotta del rivale statunitense. Gli Usa non hanno voluto abbattere
Assad proprio per evitare di lasciare campo libero all'Isis e alle
altre sigle jihadiste, e quindi non hanno attaccato Damasco nel 2013
dopo l'uso di armi chimiche e sono stati molto prudenti nell'armare le
milizie ribelli sunnite. Allo stesso tempo non hanno voluto attaccare
direttamente via terra l'Isis, non avendo una strategia per il dopo.
Anche il rafforzamento dei nemici dell'Isis ha creato diversi problemi
agli Usa. Alcuni erano impossibili da aiutare direttamente: il regime
di Assad e le milizie sciite alleate dell'Iran (tra cui la libanese
Hezbollah) sono nemici di Washington, oltre che dei suoi alleati
sauditi e israeliani (già furiosi per il “nuclear deal” con Teheran).
Gli insorti siriani “moderati” si sono rivelati inaffidabili. Inoltre
anche l'aiuto Usa ai curdi siriani del Ypg, la forza di terra più
efficace contro l'Isis nel corso della guerra, è stato centellinato per
evitare di indispettire troppo la Turchia, che nel Ypg vede
un'organizzazione terroristica legata al Pkk.
Così, anche se l'America ha dato un contributo maggiore rispetto alla
Russia alla sconfitta dello Stato Islamico, in particolare nelle due
battaglie principali di Mosul e Raqqa, i dividendi di questa vittoria
sono stati incassati più da Mosca che da Washington. La Russia è vista
da tutti gli attori mediorientali come la potenza che sta guadagnando
terreno nella regione, mentre gli Usa come quella che ne sta perdendo.
La Turchia, inizialmente ostile con Mosca, si è sempre più spostata
(per necessità, per salvare il salvabile del proprio interesse
strategico in Siria) su una linea filo-russa. L'Arabia Saudita, altra
sconfitta della guerra in Siria, riconosce apertamente l'importanza
delle relazioni col Cremlino. Il Qatar ha seguito la Turchia nel
processo di allontanamento da Riad e avvicinamento a Mosca e Teheran.
Lo stesso Iran, che pure sta tra i principali vincitori, ha dovuto
constatare che senza l'intervento della Russia le sorti della guerra in
Siria sarebbero state diverse. Ora il Cremlino ha potuto disseminare il
territorio siriano di basi militari che gli danno una profondità
strategica senza precedenti nel Mediterraneo Orientale e in Medio
Oriente. Ha portato in loco sistemi avanzati anti-missile (S-400) che
gli danno il predominio sui cieli della regione. Ha coltivato i
rapporti con tutte le parti (asse sunnita, asse sciita, Israele e non
solo) e si è in generale posta al centro del Grande Gioco che si è
rimesso in moto in Medio Oriente nell'ultimo decennio.
Allo stesso modo l'Iran si può considerare uno dei vincitori. Come la
Russia, è riuscito a sfruttare la presenza dello Stato Islamico prima
per salvare Assad, e poi per espandere la propria influenza nella
regione. L'Iraq è infatti ora più vicino all'Iran di quanto non sia mai
stato in passato – cosa che aumenta le preoccupazioni di Riad e Tel
Aviv – e le milizie sciite (Hezbollah in primis) sono più armate,
addestrate e diffuse che mai nell'area. Lo stesso Qatar, prima alleato
di Riad, dopo la crisi diplomatica con i Saud si è spostato verso
Teheran. La Repubblica Islamica inoltre ha visto la propria reputazione
internazionale, già migliorata grazie all'accordo sul nucleare e alla
presidenza “moderata” di Rouhani, guadagnare grandemente dalla
battaglia contro lo Stato Islamico. I Paesi europei, che con Teheran
vogliono fare affari dopo il “nuclear deal”, sono più forti
nell'osteggiare la linea dura di Trump contro l'Iran grazie al
miglioramento dell'immagine internazionale della potenza sciita, anche
nel confronto con la monarchia wahabita saudita (che non a caso di
recente sta provando a dare al mondo un'immagine di sé più moderna e
meno legata a una visione conservatrice e fanatica dell'Islam).
Un terzo vincitore ma parziale, della battaglia contro il Califfato
sono i curdi-siriani del Ypg. Sono riusciti infatti a liberare i propri
territori (il Rojava) dall'Isis e ad amministrarli autonomamente,
liberandosi così anche dalla dittatura di Assad, con cui hanno poi
avviato relazioni diplomatiche talvolta tese ma talvolta produttive.
Hanno ricevuto armi e materiale dagli Stati Uniti, che in Siria hanno
così assicurato una propria presenza (pare circa duemila uomini e
alcune basi). Dovrebbero, ma il condizionale è d'obbligo, ottenere un
qualche riconoscimento della propria forza e del proprio ruolo nella
Siria del domani. Ma la loro vittoria contro lo Stato Islamico e i
buoni rapporti con gli Usa (e in parte anche con la Russia) hanno
scatenato una violenta reazione da parte della Turchia che, potendo
offrire molto di più in termini di peso strategico sia alla Casa Bianca
che al Cremlino, sta ottenendo pian piano di erodere il territorio
curdo-siriano per occuparlo con le proprie forze. Dopo molte scaramucce
minori, a gennaio 2018 Ankara ha attaccato in forze il cantone di
Afrin, e non è al momento chiaro che sviluppi potranno esserci in
futuro.
Gli sconfitti della battaglia contro il Califfato sono speculari ai
vincitori. Nonostante il suo contributo determinante alla caduta dello
Stato Islamico, Washington ha più perso che guadagnato da questa
partita, a tutto vantaggio della Russia. L'Arabia Saudita ha perso lo
scontro con l'Iran in Siria e si è indebolita a livello regionale. La
Turchia ha logorato la sponda con l'Occidente, è stata costretta a
rinunciare ad abbattere Assad e alle sue ambizioni di potenza regionale
e si è dovuta sottomettere alla Russia, e ora vede il pericolo di
un'entità autonoma curda al proprio confine meridionale crescere
enormemente. Gli attori locali – il regime così come i ribelli – sono
nei fatti entrambi sconfitti, in quanto praticamente del tutto privati
di ogni autonomia decisionale.
Completa la lista degli sconfitti l'Europa, che alla battaglia contro
lo Stato Islamico praticamente non ha partecipato. Pur essendo il
bersaglio occidentale più colpito dal terrorismo dell'Isis, il suo
contributo si è limitato al supporto della coalizione a guida Usa, ma
quella che sarebbe potuta essere un'occasione storica per aggregare
l'interesse strategico europeo contro un nemico “perfetto” e cercare di
guadagnare influenza in uno scenario che – per la prevenzione del
terrorismo, per la gestione dei fenomeni migratori e delle risorse
naturali – è strategico per il vecchio continente, è andata in gran
parte sprecata.
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MISCELLANEA
Quello che dobbiamo cominciare a chiederci – se non è troppo tardi –
non è come Cambridge Analityca abbia cambiato l'esito delle elezioni,
ma come siano cambiati gli elettori e perché su di loro messaggi
semplicistici e spaventosi abbiano sempre più presa. Personalmente sono
propenso a puntare un dito verso la stampa – anche quella tradizionale
– che ha come unico interessa quello di raccogliere click e lettori,
senza chiedersi che conseguenze possano avere sul formarsi di
un'opinione pubblica consapevole e matura le notizie presentate in modo
scandalistico. In sostanza quello che sta accadendo è che i media
formano un pubblico sempre indignato e i politici accarezzano
l'indignazione per prendere voti. Nel mezzo c'è stata CA che non ha
fatto altro che mettere in contatto i politici con il loro pubblico di
riferimento. L'unico modo per combattere questa situazione è formare le
persone, cambiare il modo di raccontare il mondo, far capire loro che
forse non è il caso di essere sempre arrabbiati, allora e solo allora,
con un elettorato più maturo, il problema sarà risolvibile. Fino a che
la maggioranza dell'elettorato è indignata, disinformata e
manipolabile, il populista troverà sempre un modo per raggiungerla.
Bergamo, forte crescita: più di 5mila studenti con disturbi
dell'apprendimento Come sul piano nazionale anche nelle scuole
bergamasche negli ultimi anni c'è stato un decisivo aumento: da 0.88% a
3.99%. “DSA”. Ormai è una sigla sempre più conosciuta e diffusa nel
mondo della scuola: insegnanti, genitori, psicologi e compagni di
classe si sono abituati a una terminologia fino a qualche tempo fa
sconosciuta. È infatti solo nel 2010, con la Legge numero 170, che la
dislessia, la disgrafia, la disortografia e la discalculia vengono
riconosciuti quali disturbi specifici di apprendimento, denominati,
appunto, “DSA”.
di Lucia Cappelluzzo
Si terrà l'otto maggio p.v. la gara per l'assegnazione del rifacimento
manutenzione e fornitura energia per l'impianto di illuminazione
pubblica comunale. Non raccontiamo tutto l'iter e il casino che è
successo perché occorrerebbe una barbosa colonna di testo. Dall'esame
delle deliberazioni appare un eccessivo disfacimento nelle relazioni
tra il comune (di Curno) e la provincia (Brescia: che funziona da
stazione appaltante). Magari fare meno viaggi (Curno-BS-Curno) e
sentirsi un po' di più via telefono?. Ci risulta che alla gara abbiano
mandato offerte SOLO DUE aziende. Fossi nel Comune (di Curno)
annullerei la gara perché una gara da tre milioni e mezzo (o 165mila
euro all'anno) con DUE SOLE aziende concorrenti a noi farebbe venire i
brividi.
Molise. Una regione del tutto inutile visto che con 315mila abitanti è
la quarta parte della provincia di Bergamo (1, 150 milioni). Con seri
problemi di rappresentanza democratica visto che nelle passate elezioni
aveva votato il 61,63% con 204.859 elettori mentre stavolta
l'affluenza totale che è stata del 52,16% e i votanti sono stati
172.804. Ma tanto vale: per gli stipendi distribuiti e la sanità da
gestire. E' sceso in campagna elettorale il caimano e FI è tornata ad
essere il primo partito (9,4%) della coalizione di centrodestra (Lega:
8,3%). In calo i consensi per il Movimento 5 Stelle che alle politiche
aveva avuto il 44,8% dei voti, mentre come voti di lista raccoglie meno
del candidato presidente (31,3%). Nel centrosinistra ancora in calo il
Pd che con l'8,7% perde quasi metà dei consensi rispetto al 15,2% delle
politiche. Si prevede un futuro luminoso per l'inutile Molise, in
attesa dei prossimi arresti. Alla faccia delle condanne nella sentenza
sulla trattativa stato-mafia di Palermo.
https://www.ilblogdellestelle.it/Immagini/Relazione%202.pdf
Qui potete scaricare il programma di gover no che i 5S propongono
ambivalenti al centro destra senza Berlusconi (hai voglia…) e al
centrosinistra senza Renzi (hai voglia per la seconda volta). L'ha
sintetizzato il prof. Giacinto della Cananea, Ordinario di
diritto amministrativo alla Facoltà di Giurisprudenza, Università di
Roma "Tor Vergata" per mani di un comitato scientifico composto di
esperti indipendenti e di elevata professionalità: i professori Elena
Granaglia (Università di Roma Tre), Fabio Giulio Grandis (Università di
Roma Tre), Leonardo Moriino (Università LUISS), Gustavo Piga
(Università di Roma “Tor Vergata"), Andrea Riggio (Università di
Cassino) e della dottoressa Angela Ferrari Zumbini (Università di
Napoli “Federico II”. Insomma un altro governo di tecnici: intendete
bene la sintesi. Senza lettura e a prima vista diciamo che è
impaginato molto bene e con un carattere molto elegante: lo usiamo
anche noi qualche volta. Certo è che se l'università italiana è in mano
(anche) a dei professori che pensano che il PD sia intercambiabile con
Fi-Lega-FdI i nostri universitari non stanno proprio in buone
mani. Magari sperano di diventare rettori (quei prof. universitari)
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