SCUOLA/ Troppo benessere ricevuto, la zavorra che affonda il desiderio dei giovani italiani
Dal "Rapporto giovani 2018" dell'Istituto Toniolo emerge uno spaccato
preciso dei desideri, delle aspettative, delle zavorre che condizionano
la vita dei nostri giovani.
Alessandro Rosina
Una società cresce e prospera se funziona bene il rapporto e il
passaggio tra generazioni. Perché ciò avvenga nel modo migliore, ovvero
consenta di produrre benessere a vantaggio di tutti, la premessa è che
le generazioni più mature sappiano trasmettere valore alle generazioni
successive, ma anche che queste ultime siano in grado di riconoscere il
valore di quanto ricevuto. Ma non basta: le nuove generazioni devono
poter andare oltre quello che hanno ricevuto ed essere riconosciute
come soggetti in grado di generare nuovo valore.
Più che in altri Paesi i giovani italiani sono invece dipendenti dal
benessere passato, quello costruito da nonni e genitori, ma meno messi
nella condizione di produrre essi stessi nuovo benessere nella società
e nell'economia. Viene ad essi attribuito un valore privato molto
elevato da parte di madri e padri, ma ottengono molta meno attenzione e
investimento pubblico. Il rischio è, quindi, quello di essere protetti
e schiacciati in difesa, anziché incoraggiati e attrezzati a sfidare il
mondo che cambia e a realizzare in pieno i propri progetti di vita.
Dal Rapporto giovani 2018 dell'Istituto Toniolo (edito da Il Mulino, da
qualche giorno in libreria) emerge soprattutto il desiderio delle nuove
generazioni italiane di essere riconosciute non per quello che manca e
che il passato non può più assicurare, ma attraverso quello che esse
possono essere e dare nel contribuire concretamente a costruire un
futuro migliore.
I giovani italiani vorrebbero lasciare alle spalle una crisi economica
che ha frenato aspirazioni ed espressione delle proprie potenzialità,
per essere messi finalmente nelle condizioni di diventare parte attiva
di un processo di cambiamento e di sviluppo del Paese.
Più in concreto, vorrebbero una scuola che consenta maggiormente di
rafforzare competenze utili alla vita e al lavoro. Vorrebbero dipendere
di meno dalla famiglia di origine. Vorrebbero avere strumenti più
avanzati per costruire il proprio percorso professionale. Rispetto agli
altri Paesi, troppi under 35 sono nella condizione di Neet (i giovani
che non studiano e non lavorano), se trovano lavoro è grazie a canali
informali e all'aiuto dei genitori, più alto è inoltre il rischio di
scarso allineamento tra livello di formazione e lavoro svolto. Non a
caso la percentuale di chi afferma di avere un'aspirazione
professionale, ma non sa se riuscirà a realizzarla, risulta dalla
ricerca pari al 40,7%, rispetto al 35,3 dei coetanei spagnoli, al 33,6%
dei francesi e a valori sotto il 30% di inglesi e tedeschi.
Altro aspetto rilevante che mette in luce la ricerca è la voglia di non
rassegnarsi e di contare di più, sia nella possibilità di operare
scelte che riguardano la propria vita (autonomia, lavoro, formazione di
una famiglia), sia nelle decisioni collettive sul cambiamento del Paese.
Le difficoltà del presente fanno aumentare la sfiducia verso le
istituzioni, ma non hanno fatto ancora scadere i più nella
rassegnazione. Il 73,8% degli intervistati ritiene, infatti, che sia
ancora possibile impegnarsi in prima persona per cercare di far
funzionare meglio le cose in Italia. Ma questa disponibilità positiva
può trasformarsi in vero ingaggio solo in un Paese che crede davvero
nel proprio futuro e in grado di dare un valore al ruolo delle nuove
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LA SCUOLA?
Ripartiamo dai falegnami
di Francesco Dell'Oro
Hegel aveva una certezza: «La Nottola di Minerva inizia il suo volo sul
far del crepuscolo... Essa appare per la prima volta nel tempo, dopo
che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell'e
fatta».
Non me ne voglia il grande Hegel ma, con riferimento alla scuola,
dobbiamo sollecitare la nostra Nottola, la civetta che rappresenta il
simbolo della filosofia, a uscire prima del crepuscolo, anticipando il
suo volo. Non si chiede una trasgressione alle certezze hegeliane, ma
un simpatico tentativo a esprimere una visione profetica. Con idee
nuove. Ne abbiamo urgente bisogno.
In questi ultimi decenni siamo stati travolti da una serie di riforme
scolastiche, probabilmente espresse con le migliori intenzioni, ma
prive di un segnale forte di cambiamento.
Ogni volta che le ragazze e i ragazzi delle nuove generazioni entrano
in qualche scuola, primaria, secondaria di primo o di secondo grado,
noi adulti abbiamo la netta sensazione che si ritrovino nelle stesse
situazioni che hanno caratterizzato le esperienze scolastiche della
nostra adolescenza.
Mi riferisco anche a un setting (cattedra e banchi), da decenni
immutabile, che conferma una scuola che si alimenta con la lezione
frontale.
Una modalità di insegnamento che critichiamo ferocemente nei convegni e
che riproponiamo sistematicamente nella realtà quotidiana per
trasmettere un sapere che raggiunge solo alcune anime elette. Un sapere
che viene riversato a pioggia su una classe di una trentina di
studenti, con la pretesa che venga ingurgitato dai presenti, con storie
e vissuti diversi, in modo perfetto. In caso contrario, eccoci subito
pronti a far scattare un sistema di valutazione assurdo.
Deve esistere, evidentemente, anche un problema che investe
l'insegnante, in difficoltà a elaborare il lutto, la perdita del suo
ruolo di attore e manovratore principale. Un ruolo che, invece,
potrebbe essere qualificato e valorizzato se trovasse nel gruppo classe
un indispensabile mediatore di informazioni, una formidabile
opportunità per innescare opinioni, dubbi, perplessità, curiosità e
tutte quelle domande che, quando rimangono inespresse, non consentono
di avviare e sostenere un vero luogo di formazione.
Siamo in grave ritardo nel comprendere il ruolo fondamentale di una
comunità scolastica. Uno straordinario laboratorio di ricerca che aiuti
le nuove generazioni a riflettere su sé stesse, cercando di evidenziare
attitudini, passioni, punti di forza e di debolezza. Con livelli di
consapevolezza e un costante riferimento ai valori indispensabili per
immaginare e progettare un futuro nel quale dovranno diventare i
cittadini di una società sempre più globalizzata e multietnica.
Mi permetto di esprimere un desiderio e una «simpatica» provocazione: a
ogni cambio di governo ci ritroviamo sempre con un nuovo ministro della
Pubblica istruzione che si preoccupa di sfornare una riforma della
scuola.
No, vi prego, questa volta no! Chiamate dei bravi falegnami. Ascoltate
e raccogliete, in forma anonima, il pensiero degli studenti. Come
vorrebbero i loro insegnanti. La scuola. Recuperate (recuperiamo) il
valore di una comunità scolastica. Avviate una selezione seria degli
insegnanti e dei loro dirigenti.
Sono certo che gli insegnanti, quelli bravi, i baciati dalle stelle,
comprenderanno e condivideranno il problema. Proviamoci! Con la
speranza che, magari solo per una volta, Hegel suggerisca alla Nottola
di Minerva di anticipare il percorso del suo naviga
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C’è
una differenza abissale tra la quantità di informazioni che possedevano
i nostri insegnanti e noi loro allievi 30-40-50 anni or sono rispetto
alla quantità posseduta dagli insegnanti e dagli alunni attuali. “Ai
nostri tempi” tutto doveva essere mandato a memoria. Bisognava
studiarlo memorizzarlo e poi esporlo oppure usarlo. Il sapere dei
nostri insegnanti e in successione il nostro sapere aveva una
dimensione modesta rispetto a quello possibile per gli insegnanti
e gli alunni di adesso. Quel poco o tanto che imparavamo lo
apprendevamo esclusivamente da pochi e costosi testi che la scuola ci
imponeva. La televisione era di scarsa utilità anche perché non
possedeva l’attuale sterminata collezione di programmi. Cinema
pochissimo anche quello con uno sterminio di nefandezze. Nella nostra
condizione il ruolo degli insegnanti e dei genitori era fondamentale
sia per la trasmissione delle informazioni che per la nostra formazione
e crescita sociale.
Oggi è cambiato tutto. S’è rovesciato tutto.
E’ sicuro che la quantità di informazioni e modelli di comportamento
che i ragazzi apprendono al di fuori della scuola sia nettamente
maggiore rispetto ai nostri tempi. Oggi praticamente tutto il sapere
–buono, meno buono e peggiore- è disponibile ed accessibile a costo
zero ai ragazzi. Ragazzi genitori e insegnanti sono perennemente
immersi in un frastuono che toglie il tempo per una cernita. Una
selezione. Proprio per l’enorme quantità di informazioni rovesciate
addosso non c’è stato nemmeno il tempo, per gli insegnanti come per i
genitori, di darsi un codice di lettura e interpretazione ragion per
cui… così fan tutti.
E il ragazzino indossa il casco in classe (che cacchio di scuola è
quella che consente agli allievi di portare un casco in classe?) e da
una testata al professore cagasotto per farsi dare un sei e poi gli
intima di inginocchiarsi: chi comanda qui?. Domanda strafottente il
ragazzo armato (col casco) all’insegnante.
I problemi quindi non stanno solo in classe e negli studenti ma stanno
a monte: nelle famiglie e negli insegnanti che debbono svolgere un
ruolo per cui nessuno li ha preparati e che spesso nemmeno immaginano
necessario. Insegnanti genitori ed anche il mondo della cultura non si
rendono conto dell’impatto che hanno le loro scelte o i loro silenzi.
Penso a certi film e fiction che hanno avuto successi sterminati al
cinema e in televisione e -gettati in faccia e testa a
persone senza carattere e informazione- mi domando che effetto
abbiano creato . O insegnato.
Torno alla quantità ed alla qualità delle informazioni che vengono
continuamente gettate addosso ai ragazzi. Non solo a quelli: basta
ascoltare gli anziani ragionare in un circolo per capire che
sterminio hanno creato le TV in quei cervelli.
Siccome di caso in testa non ne accumulano già per conto proprio –
genitori insegnanti ed allievi- ecco che ogni cambio di governo casca
una riforma della scuola. I ministri della pubblica istruzione sono
come i cagnetti: debbono pisciare la propria riforma per tracciare i
confini del proprio potere.
La questione è che se non sai fare il genitore non sai fare nemmeno
l’insegnante. La questione è che p.e. la Fiat per “salvare” Pomigliano
ha dovuto “scartare” otto dipendenti su dieci ed assumerne metà di
nuovi e “crearli” ex novo. Nella scuola invece non puoi licenziare
nessuno, non ci sono soldi e professionalità per aggiornare un corpo
insegnante elefantiaco la cui assunzione garantisce a vita un discreto
reddito di cittadinanza. Il quale reddito, se sai gestire per bene la
giungla delle regole, ti permette di averne un secondo parallelo anche
migliore del primo. E se stai in comuni abbastanza ricchi ti puoi
infilare nella pletora di coop onlus e via elencando che sanno imporre
il problema e sanno anche proporre la soluzione. Basta domandarsi la
ragione per cui nella scuola dell’obbligo italiana negli ultimi dieci
anni la popolazione affetta da problemi di apprendimento è crescita dal
10 al 25%. I genitori stanno mettendo al mondo una massa di
handicappati? No. La scuola in questo modo si libera di un sostanzioso
numero di aventi diritto e li dirotta ”per il loro bene” in mani
private: cooperative onlus singoli professionisti. In questo modo si
riduce l’impegno degli insegnanti e sostanzialmente si privatizza la
scuola dandone in mano circa un quarto dei propri iscritti a dei
privati scelti col solo criterio della carta (personale tutto assunto
senza concorso come accade per gli insegnanti ed al minor costo
possibile).
Il tutto mascherato col “politicamente corretto” che in questo modo si
risponderebbe meglio alla crescita di ciascun allievo. Infatti poi
inforcano il casco e minacciano l’insegnante: inginocchiati!.
Basta esaminarla “scuola di Curno” per capire che non è (quasi) più una scuola pubblica.
In nome del diritto della donna di lavorare (sotto padrone) se si va a
vedere che “servizi” offrono certi comuni ai genitori per tenere a
scuola o in qualcosa di simile i figli dalle sette del mattino
fino alle diciannove in modo da consentire l’occupazione
femminile, si verifica come esista una “scuola di stato ufficiale” e
poi un’altra “scuola non officiale” di natura privata ma gestita e
pagata in buona parte dai comuni ragion per cui il ruolo dei
genitori è ridotto negli weekend.
Quindi siamo di fronte ad una scuola dove la professionalità degli
insegnanti è assai dubbia. A una famiglia che non cura i propri figli
per lavorare. A un “sistema scuola” dove il diritto costituzionale vale
in massima parte solo per il pagamento delle tasse mentre almeno due
terzi delle spese vanno a finire in tasca al privato.
Leggiamo che il consiglio d'Istituto dell'Itc "Carrara", chiamato a
esprimersi sulla proposta del consiglio di classe, ha deciso di
far ripetere l'anno a cinque dei sei studenti indagati per gli insulti
e le minacce nei confronti del proprio docente d'italiano e storia ha
comminato tre bocciature e due sospensioni dalle lezioni fino al 19
maggio ma non perderanno gli esami. Magari se la legge e la
magistratura “aggiungessero” qualche mese di galera per i genitori …
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