Il
custode delLa Latrina di Nusquamia, l'ing. Claudio Piga, abduano di
origini sardAgnole con ascendenze garibaldine dalla ValCamonica, uno
che ha fatto il classico dai preti annusando le puzzette che aveva
disseminato in aula l'Antonio Gramsci oltre all'avere appreso analisi
matematica uno e due dalla mitica Ajroldi Vasconi ha un coraggio
leonino. Già gli stava maledettamente sulle balle la presidentessa
della Camera Laura Boldrini che appellava graziosamente “la boldrina”
la quale naturalmente combinava delle “boldrinate”. Adesso tocca
alla Casellati, forzista primigenia di strettissima fede berlusconiana.
Da Dagospia:da reginetta di bellezza allo scranno di presidente del
senato, passando per Ruby rubacazzi ''nipote di Mubarak'':
l'irresistibile ascesa della signora Elisabetta Casellati. il sindaco
di Palizzi (RC) ricorda quando nel 1971 indossò la fascia di più bella.
Nella carriera politica la Casellati annovera –tra le molte cazzate
votate e dette- vanta come l'11 marzo del 2013, a Milano, era
piazzata sulla mega scalinata davanti al palazzo di giustizia, lei ben
visibile, con un paio di inconfondibili orecchini sfoggiati in tv in
molte trasmissioni sulla giustizia, nell'ultima fila di un
assembramento di deputati e senatori di Forza Italia, arrivati li da
tutta Italia per difendere Berlusconi da quello che definivano
«l'attacco sistematico dei giudici». Con l'obiettivo, alla fine
fallito, di entrare nell'aula dove si stava celebrando il processo Ruby.
Al termine del suo pruriginoso e misogino argomentare il custode delLa
Latrina di Nusquamia, l'ing. ClaudioPiga sbrodola (ovviamente) in
modalità “politicamente scorretta e, ai livelli più bassi”, conclude la
sua noterella “ricordando un criterio d'idoneità che, secondo la
fantasia degli antipapisti inglesi, veniva applicato al pontefice
designato, prima della consacrazione definitiva”. E piazza un
filmato saccheggiato su youtube in cui un chierico davanti a tutti i
vescovoni chiamati a nominare il nuovo papa lo tasta in mezzo gambe e
annuncia: “'ha due palle e bene pendenti!”. Ergo “habemus papam”
tripudiano i vescovoni e il custode delLa Latrina di Nusquamia
conclude: “mi domando se qualcosa di analogo, ancorché in senso
lato e metaforico, non si possa pensare per la validazione del
Presidente del Consiglio chiamato a governare l'Italia”. Conoscendo il
suo modo subdolo di pensare ed essendo del tutto privo di coraggio
nello scrivere in chiaro quel che intende, non c'è bisogno di Recalcati
per capire il senso del suggerimento. Non c’è da fare: lui non contesta
scelte o azioni politiche degli avversari: lui va
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Prima
c'è stata la speranza: «Prego che colpirà duro, signor presidente, che
farà spuntare un sorriso sulla faccia delle madri che hanno perso i
loro figli», chiedeva poche ore prima dell'attacco rivolgendosi
direttamente a Donald Trump Abdelaziz al Hamza, uno dei più noti
attivisti siriani, fondatore del pluripremiato sito Raqqa has been
slaughtered silently. Poi, quando la portata dell'azione congiunta di
americani, francesi e britannici è diventata chiara, è arrivata la
delusione: «Ancora una volta il mondo ha scelto di non opporsi al
massacro dei siriani. Ma solo all'uso di certi metodi per portare
avanti il massacro», scriveva su Twitter Alia Malek, attivista e
scrittrice siro-americana. Non era un giudizio isolato, il suo.
Più passavano le ore ieri, più la delusione dei siriani che si
oppongono al governo per le modalità e gli obiettivi dell'azione
militare contro Bashar al Assad cresceva. Forte, fortissima, alimentata
dal rimpianto di aver di nuovo creduto nella possibilità di un aiuto
reale da parte degli Stati Uniti: ad appena dodici mesi di distanza dal
primo attacco di Trump contro Assad, a cui non era seguita nessuna
azione per modificare gli equilibri del potere in Siria.
«L'hanno chiamata una vendetta per il massacro di Douma, a me sembra
piuttosto come colpire un pugile alle gambe e alle mani, ma scegliere
di non buttarlo giù», dice dal confine siro-turco Firas Abdallah,
fotografo e attivista di Douma che per mesi ha documentato l'assedio
della sua città, abbandonandola solo due settimane fa, quando il regime
l'ha definitivamente stretta.
«Abbiamo vissuto la fame, la mancanza di medicine, abbiamo perso tutto.
Ci hanno colpito in ogni modo: con l'artiglieria, con i barili bomba.
Abbiamo chiesto aiuto in ogni maniera possibile: e questo è quello che
otteniamo? Che il criminale che ci ha massacrato resti al suo posto con
qualche danno alle sue infrastrutture militari?
Forse il mondo è diventato sordo».
Nel 2013 Mohammed Abdullah fu uno dei fotografi che raccontò la prima strage con agenti chimici a Douma.
Morirono 1.400 persone: vittime di gas sarin, spiegarono gli esperti
dell'Onu. Gli scatti di quel giorno, i corpi dei bambini avvolti nei
sudari bianchi, lo perseguitano anche oggi che ha iniziato una nuova
vita in Belgio. A quella strage non seguì nessuna azione militare per
scelta dell'allora presidente Barack Obama, che pure aveva fissato la
'linea rossa' dell'America proprio sull'uso di armi chimiche da parte
del regime. «Sto malissimo – racconta al telefono – appena sono
arrivate le prime immagini delle ultime vittime ho avuto un attacco di
panico: non riuscivo a guardarle, troppe cose mi sono tornate in mente.
Quando finalmente mi sono costretto a farlo ho visto le stesse scene:
la saliva bianca nella bocca dei bambini, le donne abbracciate ai corpi
dei figli, i medici impotenti. Sto male per questo e perché ho creduto
che l'Occidente non avrebbe permesso che accadesse di nuovo. Oggi so di
aver sbagliato.
Il messaggio che Trump e Macron hanno mandato ad Assad è chiaro:
continua pure ad ammazzare la tua gente, solo non usare armi chimiche».
È un fiume in piena la rabbia dei siriani anti-regime e di chi li
sostiene. È fatto della feroce ironia del vignettista Hani Abbas, che
ieri su Facebook pubblicava il necrologio del “prestigioso centro di
ricerca scientifica” colpito a Damasco. E della crudezza delle parole
di Loubna Mrie, attivista alawita che fra i primi, nel 2012, raccontò
al mondo il prezzo – l'assassinio della madre – che pagava chi,
originario dell'etnia del presidente, si univa alla rivoluzione: «Gli
Usa non sono nostri alleati tanto quanto non lo sono i russi».
Nessuna gioia, nessun elogio a 'Abu Ivanka', come un anno fa
nell'euforia per quel primo attacco gli attivisti avevano ribattezzato
Trump. Ieri, ancora una volta, migliaia di siriani si sono sentiti
abbandonati.
Francesca Cafferri
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Lo
stop ai due format di Rete 4 condotti da Del Debbio e Belpietro è il
tentativo del leader di Forza Italia di togliere acqua al consenso
della Lega che gode da anni di una straordinaria esposizione mediatica
del leader Salvini
di Dino Amenduni
La mossa politica più importante della settimana potrebbe essere stata
di Silvio Berlusconi. No, non è un riferimento al soporifero primo giro
di consultazioni al Quirinale, ma a una scelta compiuta dall’editore
Berlusconi. Mediaset ha infatti annunciato l’interruzione di due format
che da anni avevano fortemente connotato l’informazione di Rete4:
Quinta Colonna e Dalla Vostra Parte. Le motivazioni ufficiali appaiono
puramente ancorate a logiche commerciali: ascolti insoddisfacenti (in
effetti Lilli Gruber alle 20.30 su La7 batte Belpietro ogni giorno,
oramai da anni, utilizzando un tono profondamente differente), budget
da tagliare.
La tempistica di questa scelta però autorizza qualche retropensiero.
Quando la destra doveva condurre campagne elettorali partendo
dall’opposizione, Mediaset faceva aumentare la presenza di contenuti
informativi relativi a immigrazione e sicurezza con l’approssimarsi
alla data del voto. Dopo le elezioni, quasi sempre vinte da Berlusconi
anche grazie a questo lungo e costante lavoro di pressione
sull’opinione pubblica, i contenuti ansiogeni scomparivano dai tg e dai
talk show di Cologno Monzese. Anche dopo il 4 marzo, le cose sono
andate più o meno così.
L’ultima consultazione popolare ha però certificato un cambiamento
radicale rispetto al passato: Forza Italia non è (più) il partito più
suffragato della coalizione di centrodestra, Salvini ha vinto.
L’editore Berlusconi si è forse reso conto di aver fatto un danno al
politico Berlusconi, cavalcando la bestia dell’esasperazione di
tendenze xenofobe attraverso la ripetizione di format che utilizzavano
sempre lo stesso trucco cognitivo: si isola un fatto di attualità,
anche minore, lo si analizza nei minimi dettagli trasformandolo in
notizia del giorno, si costruisce una piazza urlante o un gruppo di
cittadini “esasperati”, e da lì si produce la cornice interpretativa
generale, sempre la stessa: ci sono troppi stranieri, ci sono troppi
reati.
Questo genere di trasmissioni è a tesi precostituita: non c’è la
possibilità di sfuggire da un finale già scritto sin dall’inizio dagli
autori. Fino al 2018 l’equilibrio garantito dall’editore Berlusconi era
stato perfetto: la Lega cresceva quel poco che serviva per permettere
al centrodestra di vincere le elezioni, ma non abbastanza per
modificare gli equilibri interni alla coalizione. Questa volta, però,
il giocattolo è decisamente sfuggito di mano: sicurezza e immigrazione
sono diventati temi egemoni in campagna elettorale, soprattutto
(incredibile ma vero) dopo l’atto terroristico di Macerata; la Lega,
tecnicamente un single-issue party (un partito che presidia in modo
quasi totale un solo tema, e il cui consenso dipende in larga parte
dalla centralità di quel tema nel dibattito pubblico) è semplicemente
passata all’incasso.
La chiusura dei due format di Rete 4 è il tentativo di Berlusconi,
forse tardivo, di togliere acqua al consenso della Lega che, pur
utilizzando con perizia (e senza scrupoli) i social media, gode da anni
di una straordinaria esposizione mediatica del leader Salvini. Basterà
silenziare le parole-chiave della Lega per far recuperare voti a Forza
Italia? Questa è la scommessa dell’editore Berlusconi, il quale spera
di farsi perdonare dal politico Berlusconi. Postilla: questi programmi
hanno quasi sempre ospitato politici, giornalisti, intellettuali di
centrosinistra i quali, non si sa bene quanto consapevolmente, hanno
accettato il ruolo di comparsa all’interno di impianti narrativi che,
come detto, non prevedevano un finale diverso da quello già costruito
dagli autori all’inizio.
Così facendo hanno legittimato quei format, offrendo una parvenza di
democrazia e dibattito. Lo hanno fatto forse per l’horror vacui, per la
paura di sparire dalla tv. O forse perché ci si è convinti che bisogna
occupare ogni spazio televisivo per non perdere voti (correlazione mai
dimostrata scientificamente). O ancora, tesi romantica quanto ingenua,
perché ci si convinceva di poter modificare l’impostazione del
programma facendo “l’opposizione dall’interno”. Il fatto che sia stato
Berlusconi a chiudere questi format prima che il centrosinistra
smettesse di prestarsi al gioco della costruzione di cornici
interpretative xenofobe la dice lunga sulla subalternità culturale
della sinistra nei confronti della destra negli ultimi 10, 15 anni.
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Michele Serra
Pare che a Mediaset si siano accorti che i talk show “gentisti” (quelli
nei quali basta urlare “è colpa della casta” o “gli immigrati ci rubano
le mogli” per essere portati in trionfo) hanno fatto la fortuna della
Lega e penalizzato Forza Italia.
E pare che in conseguenza di questo esito abbiano deciso di chiuderli
per passare a format più congegnali alla nuova veste di “capo dei
moderati” che Berlusconi, vero inventore del gentismo, ha scelto come
habitus più adatto alla propria senilità.
Incanaglire ad arte l'opinione pubblica più vulnerabile è dunque
un'attività esecrabile non in sé — per le tracce che lascia nella
società, per il sale che sparge sulle ferite sociali — ma a seconda dei
suoi effetti sugli interessi di un partito. Essendo quel partito
indistinguibile dall'azienda che lo ha partorito ormai ventiquattro
anni fa si può anche capire che esista una stretta connessione tra i
due destini. Peccato che il prezzo di quella secca regressione del
discorso pubblico lo paghi non un partito o un editore, ma la società
nel suo complesso. Compresi quei “politici, giornalisti e intellettuali
di centrosinistra” che, come ha scritto ieri su Rep: il massmediologo
Dino Amenduni, pur di partecipare a quei programmi, “hanno accettato il
ruolo di comparsa” di un copione già scritto, confermando “la
subalternità culturale della sinistra negli ultimi dieci-quindici anni”.
Berlusconi ha immediata mente licenziato quelli che ritiene i coautori
della sua sconfitta elettorale. Accusati di sottintesi col nemico
pentastellato e leghista. L’idea non è ovviamente tutta farina del suo
sacco mala sua reazione era attesa. Adesso stiamo aspettando quella in
RAI che probabilmente tarderà fino alla formazione del nuovo governo. I
segnali sono dei «migliori»: sappiamo bene con che gentilezza trattano
i 5S i giornalisti «non amici loro».E abbiamo visto anche
-l’immediata sparizione dei due disegni sui muri di Roma- come siano
già in azione le bande di punizione. Sarà interessante vedere come
verranno trattati (in RAI) i vari Fazio Berlinguer Giannini (ormai di
mestiere fa l’ospite fisso alla RAI e alla 7) oppure un Augias
per non dire certi programmi come quello della DiGregorio oppure
dell’erde della Gabanelli.
Non scopriamo l’acqua calda ne pensiamo di raccontare una fake news
dicendo che il fiorentino è stato massacrato massicciamen te dalle
televisioni, fatte in buona parte da persone ignoranti di quel
che dovevano trattare. E dire che il Renzi veniva accusato pure
di avere «renziz- zato» la TV magari riuscendo a far pagare il canone a
quel 75% che non l’aveva mai pagato. Adesso in RAI arrivano i new
epurator. Contenti loro.
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