Germania
(prima) e Italia (seconda) hanno dichiarato che non parteciperanno ad eventuali
imprese militari con gli USA Francia e Inghilterra in Siria. In Italia poi del
resto, il matrimonio sempre promesso tra Lega e 5 stelle ha un problema
strettamente legato alla crisi siriana. I due partiti esprimono posizioni
opposte sulle alleanze mondiali. Lo pseudo filoatlantismo di Luigi Di Maio si
scontra con l'abbraccio a Putin di Matteo Salvini. C'è di più. Nel
centrodestra, sull'orizzonte filo Russia, sono tutti d'accordo. Almeno su
questo. Tanto che Silvio Berlusconi annuncia un Sì ai bombardamenti sulla Siria
di Assad solo con una risoluzione dell'Onu. Come dire: campa cavallo. Salvini
si limita a riprendere il vecchio mantra dello spirito di Pratica di Mare,
quando Mosca e Washington andavano a braccetto. A quel punto il capo dello
Stato confermerebbe i tempi stabiliti, affidando però un mandato esplorativo
alla Casellati. Che significa tenere vivo Gentiloni durante questa fase
delicata. A cominciare proprio dallo scena internazionale per cui Di Maio e
Salvini dovrebbero portare al Colle una voce univoca sulla crisi siriana e non
solo. Quale? Quella della politica estera seguita per 70 anni dall'Italia, cioè
il legame con gli Stati uniti, Trump o non Trump. Questo ancoraggio oggi è
garantito da Gentiloni. Il quale ieri ha fatto sapere come si colloca l'Italia
in mezzo ai venti di guerra. Noi non parteciperemo ad azioni militari in
sintonia con Angela Merkel che il premier ha sentito al telefono. Le basi
italiane serviranno solo per i droni. « Una soluzione stabile e duratura per la
Siria potrà venire lavorando per la pace e dando spazio alle Nazioni Unite, a
Staffan de Mistura e ai tavoli negoziali perché non si perda la speranza » . È
la posizione di Palazzo Chigi e del suo inquilino uscente. Ed è la preferita
dal Colle.
Abbiamo sempre scritto a proposito
della Siria l’interesse di Putin era ed è quello di avere nella regione delle
basi militari stabili in modo da avere accesso indisturbato al Mediterraneo.
Putin caccerà Assad soltanto quando Europa ed USA patteggeranno col resto del
mondo di essere coinquilino del Mediterraneo visto che l’Occidente sostiene
nazioni troppo addentro alla Russia putiniana.
Basta osservare la carta che mettiamo in fondo a questo numero del blog
per capire come l’Occidente e quindi gli interessi diretti e indiretti degli
USA si siano spinti, a giudizio di Putin “TROPPO” dentro e contro la sua Russia
e quindi lui cerchi in ogni modo do rimpere l’accerchiamento al centro e al
nord via i paesi del Medio Oriente. O del nord Africa dove oltre
che in Egitto mira ad avere tre-quattro basi stabili da Israele fino alla
Tunisia sul Mediterraneo.
A me pare che in questo quadro e nell’attuale situazione internazionale l’Italia
dovrebbe cominciare a pensare di staccarsi da ogni alleanza militare anche perché
–grazie a dio- restano in corso le
guerre di liberazione di vari popoli ma noi non siamo uno tra questi obiettivi.
In questo momento viene drammatizzato lo scontro Trump-Putin per sole ragioni
di cucina politica nostrana mentre in buona sostanza ai contenenti –USA, URSS
Siria e Turchia- interessa zero il ruolo e il destino dell’Italia. Perché nel
contesto mondiale la prima cosa che le nazioni misurano l’una all’altra sono la
popolazione e il PiL e quindi la potenzialità
dello sviluppo dell’interscambio. Il “mondo” apprezza l’Italia come partner
commerciale e meno come partner politico. Anzi.
Abbiamo visto come le sanzioni all’URSS siano stati soprattutto un danno
per noi piuttosto che per Putin (poi ci
si può lamentare o consolare secondo le convenienze) esattamente come con la
Turchia o le nazioni del gruppo di Visegrad, oltre che starnazzare, non
riusciamo a modificarne una virgola delle scelte interne e internazionali.
Adesso in Siria una strana alleanza è riuscita a contenere fino quasi
alla scomparsa l’ISIS temuto per la sua volontà di diventare potenza religiosa internazionale
sottraendo spazi a vari stati petroliferi nel contesto del MO. La situazione
curda appare come isolata dopo le rappresaglie irachene e turche. Putin può
guardare alle nazioni al suo sud concorrenti energetiche come sue alleate versus l’Occidente. Il nord
Africa appare di interesse limitato per la Russia visto che entro pochi anni le
basi verranno concesse.
Ecco perché il quadro politico attuale non può essere letto metà con la
testa post 1945 e metà con la testa della globalizzazione.
Un ruolo dell’Italia neutrale verso gli USA e verso la Russia e sganciata
dalle alleanze militari, per la grandezza della nostra popolazione e del nostro
reddito, è la prassi più conveniente nei prossimi anni. Anzi: decenni.
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SIRIA
Il grottesco
dibattito sull'uso delle armi chimiche in Siria
La crisi delle
armi chimiche scatena i complottisti, convinti che sia un piano per spingere
gli Usa ad attaccare la Siria. Ma nessuno oggi vuole il regime change. E
nessuno ha inventato un casus belli: tutto fa pensare che a Douma sia stato
usato il cloro, devastante, ma tecnicamente legale
Eugenio Dacrema
Un bambino guarda fuori dal finestrino di un autobus
durante l'evaquazione di Douma. REUTERS/Bassam Khabieh
Se non ci fossero di mezzo tutti quei
morti, quei profughi e quella distruzione ci sarebbe una sola parola efficace
per definire ciò a cui assistiamo in queste ore fuori e dentro la Siria:grottesco.
Innanzitutto, è grottesca la ragione
prima che ha portato alla situazione attuale. Quell’uso di armi chimiche che, essendo sanzionato esplicitamente dal diritto
internazionale, rende una certa azione una violazione inaccettabile dei diritti umani, al contrario delle barrelbomb e
delle morti per inedia provocate da mesi di assedio spietato.
Ma le note surreali non finiscono
certo qui. Perché, mentre si aspetta di capire cosa vuole fare davvero Trump,
la battaglia, anche a suon di tweet e articoli di fuoco sembra concentrarsi sulcasus belli, il presunto attacco chimico di Douma, che divide il mondo tra coloro che lo considerano l’ennesimo crimine di
guerra chimica di Assad – dopo Ghouta nel 2013 e Khan Sheikhoun nel 2017 – e coloro che
parlano dell’ennesima false flag ("bandiera
falsa", si dice di una operazione progettata per apparire come perseguita
da altri) per provocare l’attacco americano e rovesciare il regime.
Ebbene, è forse questo dibattito il
lato più grottesco dell’intera vicenda, per due semplici ragioni: innanzi
tutto, la caduta del regime non è nell’interesse più di nessuno, nemmeno dei suoi più acerrimi
nemici.
I turchi, che ormai controllano gran parte dell’opposizione più o meno ancora
operativa, sono da tempo in piena sintonia e collaborazione con Russia e Iran, e hanno spostato il proprio focus
principale sull’eliminazione della presenza del Ypg curdo nel nord. Basta dare
una scorsa a un qualunque quotidiano pro-regime turco per rendersi conto che
sono curdi siriani, americani ed europei oggi i principali bersagli della
retorica di Ankara.
Sauditi e qatarini sono invece usciti dallo scenario siriano da ormai oltre un anno,
impegnati nella loro speciale guerra fredda tra monarchie
petrolifere, o per concentrarsi su altri scenari in cui hanno più leverage e
interessi, come Iraq, Yemen e Libano. La sorte di Jaish al-Islam, gruppo che ha
controllato Douma dal 2013, ne è un esempio lampante. In passato clientprincipale dei sauditi in Siria, nell’ultimo anno il gruppo è stato
sostanzialmente lasciato in balia di regime e russi nello spietato assedio di
Ghouta a cui i sauditi hanno dedicato solo qualche frase di circostanza.
Gli israeliani invece perseguono parallelamente la loro partita contro l’Iran in
Siria ormai da mesi, senza bisogno di false flag e campagne su twitter. Il loro interesse principale è tenere lontano
le milizie filo-iraniane dai loro confini, e sanno benissimo che per farlo la
forza non basta, ma hanno bisogno di un interlocutore interno più o meno
stabile e di sponde terze come la Russia. Assad quindi non sta rischiando
nessun regime-change ma solo un attacco punitivo o, al limite, un
ridimensionamento parziale della sua potenza militare.
Molto più utile, al fine di
comprendere le ragioni degli attuali tamburi di guerra, è guardare a ciò che
accade negli Stati Uniti, dove l’Fbi ha recentemente perquisito a
sorpresa gli uffici di uno degli avvocati di Trump,
perquisizione dalla quale ci si aspettano importanti rivelazioni.
È utile inoltre guardare all’altro
grande evento di questi giorni, ovvero l’audizione al congresso di Mark
Zuckerberg che ha fatto nuovamente esplodere le polemiche sui dati sottratti da
Cambridge Analytica. Ebbene, se non ci fossero minacce internazionali e guerre
all’orizzonte forse media e opinione pubblica parlerebbero molto di più di quei
dati, e di chi ne avrebbe beneficiato per la propria elezione.
La seconda nota surreale di tutta
questa vicenda invece viene direttamente dalla Siria, ed emerge sempre più chiaramente dall’analisi dei materiali a
disposizione sul famigerato attacco: quella di Douma, infatti, non solo non sarebbe stata una false flag, come i complottisti vorrebbero, ma non sarebbe stata probabilmente
nemmeno una flag.
Tutti gli indizi,
infatti, rendono quasi certo che l’agente che ha provocato la morte delle
almeno 34 vittime verificate sia diverso dal
famigerato sarin, gas esplicitamente condannato
dalle convenzioni internazionali e che renderebbe legale un intervento
punitivo. Si tratterebbe invece di cloro.
Questo di fatto farebbe finire la
questione qui, visto che il cloro (per le assurde regole della diplomazia
internazionale) è in zona grigia, ovvero contestato ma tecnicamente
legale. Il suo status è infatti comparabile
a quello del famoso fosforo bianco, utilizzato dagli americani in Iraq e, sembra, anche nell’assedio all’ISIS a
Raqqa.
Quello che ha confuso molto gli
osservatori in un primo momento è che l’attacco ha fatto molte più vittime
rispetto alle decine di attacchi al cloro verificatisi durante il conflitto, e
verificati dalle indagini indipendenti dell’Opcw (l’Organizzazione per la
Proibizione delle Armi Chimiche).
Ebbene, il motivo dell’alto numero di
morti in questa occasione sarebbe da attribuire, secondo gli esperti dell’International Crisis Group,
al fatto che le vittime sarebbero state esposte al gas mentre si trovavano
all’interno dei rifugi sotterranei in cui si erano rintanate a causa dell'intenso bombardamento
convenzionale che andava avanti da ore.
Il cloro in luoghi chiusi sarebbe
infatti letale quanto gas più forti come il sarin. In sostanza il regime
potrebbe aver causato accidentalmente una situazione simile all'uso del sarin
usando un'arma in realtà più convenzionale.
Tutto ciò infatti rientrerebbe quindi
nel modus operandi del regime, impiegato altre decine di volte
durante fasi intense del conflitto senza destare alcun tipo di
reazione internazionale. Testimonianze raccolte da questa testata confermano
che nei giorni precedenti l’ultima offensiva su Douma molti abitanti dei
quartieri controllati dal regime limitrofi all’area avrebbero temporaneamente
lasciato le proprie case in vista di una grossa operazione che stava per essere
scatenata lì vicino, ovvero l’offensiva che è effettivamente partita alla fine
della settimana scorsa e che ha trovato il suo culmine nel weekend con il
famoso attacco.
Le ragioni alla base di questa
offensiva sembrano emergere dalle prime testimonianze dei civili che stanno
venendo rilocati da Douma al nord secondo l'accordo
stretto da Jeish al-Islam, il gruppo ribelle che ha controllato Douma dal 2013, e Damasco con
l'intermediazione russa.
Fino alla fine della settimana scorsa
Jeish al-Islam stava ancora trattando coi russi latrasformazione della propria milizia in una sorta di polizia locale
integrata nel regime e avente autonomia
nelle zone sotto il proprio controllo. La trattativa è andata avanti per intere
settimane, il che potrebbe significare che almeno la controparte russa fosse
incline all'idea. Di sicuro si sa che invece il regime non ha mai visto di buon
occhio qualunque tipo di trattativa che prevedesse la cessione anche solo parte
del controllo del territorio.
L'offensiva di questo weekend
potrebbe aver avuto quindi l'obiettivo di interrompere definitivamente ogni
trattativa e spingere per una resa senza condizioni, obiettivo effettivamente raggiunto nella giornata di domenica con la
rilocazione di oltre 40 mila tra combattenti e civili verso il nord.
Ed è forse proprio questa la nota più
grottesca di tutta questa situazione, tutto questo azzannarsi su false
flag e regime change. Perché con ogni probabilità non c’è
stata nessuna flag, falsa o meno, e non ci sarà
nemmeno alcun regime change.
Eugenio Dacrema
Eugenio
Dacrema is an Associate Research Fellow for the MENA Centre at ISPI. Currently,
he is a PhD student at the University of Trento.
He
completed his bachelors at the University of Pavia and his master degree at the
University of Bologna in International Sciences with a specialisation in
development economics. He studied Arabic for one year at the University of
Damascus, where he also worked for the Italian Institute for International
Trade as analyst and translator. He spent periods as visiting researcher in
several international institutions such as the American University of Beirut,
the George Washington University, and the Ludwig Maximilian University of
Munich.
He
runs a personal blog for the national newspaper “Il Foglio” on Middle Eastern
economies and collaborates with several media outlets such as Corriere della
Sera, Eastwest, Linkiesta, Formiche.
His research applies
game-theory models to social processes, with a focus on social uprisings and
political and religious radicalization.
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LA SINISTRA? GIAMMAI
IL PREGIUDIZIO
DELLE IMPRESE DEL NORD
Caro Serra, sono rimasto strabiliato dall'articolo di Gloria Riva
(sull'Espresso) sul voto degli industriali del Nord: Lombardia, Emilia
e Veneto. In sintesi: giudicano bene quanto fatto per le imprese dal
governo uscente; benissimo il ministro Calenda. Sperano che il JobsAct
e la legge Fornero non siano aboliti. Pensano che sarebbe un disastro
se l'Italia lasciasse l'euro e uscisse dall'Europa. Cosa hanno votato?
Lega! Che vuole abolire il JobsAct e la legge Fornero e farebbe
volentieri a meno dell'euro e dell'Europa. Perché dunque hanno votato
Lega? Perché Lombardia e Veneto hanno fatto il referendum per
l'autonomia. Una nota presa in giro perché la trattativa per
l'autonomia le regioni avrebbero potuto intavolarla fin dal 2001 in
forza della modifica costituzionale approvata dal centrosinistra. Gli
industriali dovrebbero essere persone razionali. Il mio giudizio? Il
sonno della ragione genera mostri.
Ugo Targetti
La storia politica del nostro Paese, numeri alla mano, ogni tanto
provvede a ricordarci che questo è, nel suo profondo, un Paese
cattolicoconservatore. Se si è trascorsa la vita quasi per intero,
come mi è capitato, nel profondo Nord, ci si rende conto che quella
brava e laboriosa gente ha radici forti nella famiglia e nella
tradizione; meno nell'idea che la società possa darsi regole (per
esempio: pagare le tasse, oppure battersi per i diritti delle
minoranze) che rischiano di non collimare con gli interessi della
famiglia e della tradizione, e anzi di urtarli.
La sinistra, per quanto virtuoso e favorevole all'economia possa essere
il suo lavoro politico (pensi, per esempio, alle riforme di Bersani,
rarissimo esempio di sburocratizzazione e liberalizzazione), paga la
diffidenza invincibile che la piccola borghesia produttiva del Nord,
artefice di buona parte del progresso economico del Paese, non di
quello sociale e culturale, nutre per chi vuole ficcare il naso nei
capannoni, nelle villette a schiera, nei conti in banca. Dunque non mi
sorprende affatto che gli imprenditori del Nord abbiano votato Lega.
Furono, anche la brava gente, in larga parte prima fascisti e poi
democristiani, e anche oggi possono essere tutto, ma proprio tutto,
tranne che di sinistra. Si tratta di un loro pregiudizio? Sì, si tratta
di un loro pregiudizio. Ma i pregiudizi, si sa, possono essere
invincibili, e spesso richiedono secoli per essere scalfiti
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