Forse non era mai successo prima che il Mezzogiorno riuscisse a contare tanto nel governo del nostro Paese.
Possono infatti restare dubbi su come esso verrà formato, ma non sul
fatto che in qualunque maggioranza il Movimento 5 Stelle sarà
determinante perché ha quasi il doppio dei voti del secondo e del terzo
partito. Se quello oggi è il primo gruppo in Parlamento, deve
ringraziare il territorio sotto Roma che da solo formerebbe il quinto
Stato più grande dell'area euro.
Senza il Mezzogiorno, le elezioni avrebbero deluso M5S. Rispetto alle
legislative del 2013 il Movimento ha perso voti in Piemonte, Veneto e
Liguria, ed è crollato in Friuli-Venezia Giulia. Al Nord nel complesso
ha fatto fatica ed è riuscito a prevalere solo grazie a un balzo dal
26% al 47% nel Mezzogiorno. Il gruppo sociale nel quale si è imposto
più nettamente non sono i disoccupati, ma quello meno esposto ai rigori
della globalizzazione: gli statali fra i quali, stima Ipsos, il 40% ha
preferito la forza di Luigi Di Maio.
Per radicarsi e consolidare il proprio ruolo come cardine del sistema
politico, M5S ora dovrà dunque rispondere alle speranze di milioni di
elettori in Campania, Sicilia, Calabria, Puglia o Sardegna. La ricetta
è nota: il reddito di cittadinanza, in qualunque forma dovesse
realizzarsi. Ma per capire se un'idea del genere abbia una possibilità
di fare la differenza, è il caso di ricordare quale sia la situazione
nell'area di venti milioni di abitanti che oggi chiede un governo nel
proprio interesse.
Il Mezzogiorno sta vivendo una ripresa, un po' più lenta rispetto al
resto del Paese, dove a sua volta è più lenta rispetto al resto
d'Europa. Vanta alcuni distretti competitivi, segnala Intesa Sanpaolo,
come la meccatronica e l'agroalimentare in Puglia o la mozzarella di
bufala campana. Ma niente di tutto questo cambia il quadro di fondo:
gli anni dell'euro al Sud hanno coinciso con una catastrofe economica
con pochi paragoni nella storia europea. Dall'inizio del secolo il
Meridione è rimasto indietro rapidamente: in termini di reddito lordo,
ha perso un terzo sulla media dell'Unione europea, il 30% sulla
Germania, il 27% sull'area euro e circa il 40% sulla Spagna;
l'arretramento sul centro-nord dell'Italia è stato di oltre dieci
punti, persino sulla Grecia di cinque (i dati sono basati su stime
della Svimez).
In tutta Europa solamente in Campania, Calabria e Sicilia metà della
popolazione o oltre viene considerata da Eurostat a rischio di povertà
e di esclusione sociale. La stessa agenzia europea mostra che, stimando
il reddito per abitante in proporzione al costo della vita, il
Mezzogiorno ormai viaggia al livello della Lettonia, più indietro della
Lituania e dell'Ungheria, quando vent'anni fa era molto più avanti. Nel
2015 circa quattro abitanti del Sud su dieci non avevano mai usato
Internet, sempre secondo Eurostat, valori registrati solo in una
singola regione greca e in parti della Romania.
Criticare e ancor meno deridere non avrebbe senso. Per motivi che hanno
poco a che fare con Bruxelles o Francoforte, l'esperienza del
Mezzogiorno nell'euro finora è stata un drammatico fallimento ma adesso
il tempo stringe: dall'inizio del secolo quest'area ha visto emigrare
un decimo dei suoi abitanti, i più dinamici e istruiti. E provateci voi
a vendere una casa, quando tanta gente vuole andarsene. Al Sud milioni
di famiglie hanno profuso i loro risparmi in immobili che oggi hanno un
valore di mercato residuale.
Di Maio probabilmente si rende conto che nessun tipo di reddito di
cittadinanza basta a correggere un quadro del genere e a preservare la
fiducia riposta in lui dagli elettori. Se non vuole che la speranza si
trasformi presto in delusione e la forza dei 5 Stelle si riveli
effimera, deve pensare a qualcos'altro. Per esempio può guardare ai
contratti di lavoro, che in Italia sono ancora definiti a livello
nazionale in circa l'80% dei casi. In teoria questa centralizzazione
nata con il fascismo servirebbe a garantire una presunta uguaglianza
fra lavoratori, anche se finisce soprattutto per scoraggiare
l'investimento laddove l'efficienza è minore ma i costi del lavoro no.
È anche possibile che i sindacati abbiano sempre rifiutato l'idea di
allineare i salari alla minore produttività e ai costi della vita
ridotti del Sud per evitare delocalizzazioni dal Nord. Ma oggi che dal
Veneto o dal Piemonte si può comunque spostare un impianto in
Slovacchia o in Romania, è ora che questo tabù nazionale ai danni del
Mezzogiorno cada.
Si presenta poi un altro modello per il Sud: il Portogallo, che esenta
dalle imposte sui redditi tutti i pensionati europei purché passino lì
almeno sei mesi l'anno. Quella misura sta attirando decine di migliaia
di persone verso Lisbona, rianimandone il mercato immobiliare, il
lavoro nelle costruzioni, i servizi. È una concorrenza fiscale giocata
sulle persone, così come l'Irlanda la pratica sulle imprese. Ma per
l'Italia e il Mezzogiorno non è più tempo di andare per il sottile.
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Anche
se ti chiami Federico Fubini e sei uno dei migliori autori di economia
del Corriere, anche tu qualche volta scrivi non condivisibile. Diciamo
che buona parte dell'articolo è sicuramente condivisibile ma le
soluzioni prospettate proprio ci lasciano perplessi e non siamo
concordi.
1 - Il problema del Sud è che guarda al... Nord. Nel senso che mentre
il Nord guarda a Meridione, NordAfrica, Mediterraneo, Francia, Svizzera
Germania pezzi dell'ex Jugoslavia il Sud vede solo il Nord. Se il
nord avesse poggiato le sue speranze solo sulla Germania sarebbe
neanche a metà di dove sta adesso. Il c.d. «nord-est» è diventata una
regione economica leader e trainante rispetto all'Austria e Germania ma
ha inglobato nel suo sistema anche la Slovenia e la Croazia e c'è
riuscito dopo la crisi iniziata dieci anni or sono meglio che Lombardia
Piemonte verso la Savoia e la Svizzera. Forse perché c'erano già
rapporti ed somiglianze già consolidate rispetto a quel che di nuovo
sarebbe comparso negli ultimi dieci anni in Slovenia e Croazia.
Il Sud deve guardare al di la del Mediterraneo fino al confine
meridionale fin dove crescono gli olivi. I paesi del MENA debbono
essere i suoi interlocutori privilegiati e il Sud verso il Nord deve
chiedere una politica estera dell'Italia verso quei paesi (MENA)
assolutamente non aggressiva. Il caos del nord Africa è una delle
concause della povertà del sud.
Poi il Sud deve fare pulizia al suo interno: i cappotti elettorali che
si ripetono indicano una precisa volontà non di abbandonare mafia
ndrangheta camorra e quant'altro ma di navigarci dentro e assieme. La
tremenda battuta di Maroni su Ficarra è una pura e semplice
constatazione.
2 - L'abolizione delle zone o gabbie salariali fu una delle maggiori
battaglie del sindacato operaio per lo sviluppo del Sud. Le
gabbie salariali nacquero con un accordo firmato il 6 dicembre del 1945
tra industriali e organizzazioni dei lavoratori, per la parametrazione
dei salari sulla base del costo della vita nei diversi luoghi. Entrate
in vigore nel 1946, all'inizio furono previste solo al nord, e solo in
seguito estese a tutto il paese. In origine, la divisione era in
quattro zone, ciascuna con un diverso calcolo dei salari. Nel 1954 il
paese intero viene diviso in 14 zone nelle quali si applicano salari
diversi a seconda del costo della vita. Tra la zona in cui il salario
era maggiore e quella in cui il salario era minore la distanza poteva
essere anche del 29%. Nel 1961 il numero di zone fu dimezzato, si passò
da 14 a 7, e la forbice tra i salari passò dal 29% al 20%. Il sistema
delle gabbie salariali incontrò una progressiva e sempre più forte
opposizione di sindacati e lavoratori, che le consideravano
discriminatorie e poco eque. Il sistema fu abolito nel 1969 sulla
spinta di forti mobilitazioni operaie. L'abolizione fu graduale e fu
completata nel 1972. Wikipedia dixit.
Scrive Fubini che «é anche possibile che i sindacati abbiano sempre
rifiutato l'idea di allineare i salari alla minore produttività e ai
costi della vita ridotti del Sud per evitare delocalizzazioni dal Nord.
Ma oggi che dal Veneto o dal Piemonte si può comunque spostare un
impianto in Slovacchia o in Romania, è ora che questo tabù nazionale ai
danni del Mezzogiorno cada.». Una autentica genialata!. Anziché mirare
ad una Europa dove le condizioni del lavoro siano il più possibili
identiche proprio per evitare di alimentare tutti i populismi, il
Fubini ne propone addirittura la messa a sistema.
3 - Vien da ridere o piagnere leggere che Intesa Sanpaolo avrebbe
individuato «alcuni distretti competitivi come la meccatronica e
l'agroalimentare in Puglia o la mozzarella di bufala campana». Per la
mozzarella rimandiamo alle mappe di Google e chiudiamo. Per il (poco)
del resto facciamo notare che tra Milano e Bari ci sono sempre 900Km,
non esiste una linea ferroviaria ad alta capacità e l'autostrada ha
mezzo secolo. Senza contare che la meccatronica vede ormai la
maggioranza delle scuole del nord convertite in istituti d'istruzione
secondaria superiore di stato che consentono l'occupazione dei loro
diplomati entro meno di un anno dal diploma. Insomma c'è parecchia
concorrenza visto che al sud questo accade per meno di un quarto delle
scuole.
4 - Detto questo a monte resta sempre il problema che vale per il Nord
come per il Sud: che cosa produrre e a chi vendere. E chi ha davvero i
soldi (e non il debito pubblico) per comprare. Come andiamo ripetendo
da parecchio siamo in una situazione di sovra produzione ed anche
nei comparti più avanzati non ci sono ne ci potranno essere ampliamenti
di consumi sia perché l'offerta è eccessiva sia perché salari e
stipendi sono troppo bassi rispetto al costo dell'energia, dei servizi
pubblici e della vita in generale. Cioè i bilanci famigliari sono già
saccheggiati prima di essere disponibili. Non c'è l'inefficienza del
pubblico ma esiste una vastissima area di inefficienza e parassitismo
nel privato -dalle banche al tecnico che viene a controllare la
caldaia- che vanno rimossi. Al Nord come al Sud dove pesano ancora di
più salvo poi scoprire «inorriditi» che un terzo dei veicoli non hanno
la regolare revisione e un decimo viaggia senza polizza assicurativa e
le caldaie si manutenzionano... mai.
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