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La lotta alla povertà:le proposte
Prestito al lavoro la sfida leghista al reddito grillino. L'assegno di avviamento, 750 euro al mese, costerà 54 miliardi in tre anni.

Valentina Conte

Il Reddito di avviamento al lavoro, la risposta della Lega al Reddito di cittadinanza del Movimento Cinque Stelle, può davvero essere il punto di caduta della trattativa per il governo tra Di Maio e Salvini? Potrebbe. Il Ral leghista è una sorta di prestito d'onore da 750 euro al mese per tre anni che lo Stato fa, con l'apporto delle banche, al disoccupato povero.
Chiamato poi a restituirlo in rate al massimo di vent'anni, non appena trova un'occupazione.
L'Rci dei pentastellati è invece un reddito minimo ad integrazione di quello personale fino a 780 euro al mese, la soglia di povertà relativa, pagato dallo Stato senza scadenze a tutti i poveri, anche in pensione, a patto che chi lo riceve e sia in grado di lavorare non rifiuti più di tre offerte congrue: non distanti troppo da casa e in linea con le capacità e il titolo di studio. In beneficio medio per ogni famiglia sarebbe di 12.175 euro all'anno.
In entrambi i casi, si tratta di misure costose per le casse pubbliche. Il Ral della Lega peserebbe per 18 miliardi all'anno, 54 miliardi nel triennio: 14 versati direttamente dallo Stato, 40 anticipati dalle banche e a loro restituiti dal quarto anno in poi dall'Erario, al ritmo di 2 miliardi l'anno per vent'anni più gli interessi. L'Rci, il reddito dei Cinque Stelle, costa invece molto di più: 15,5 miliardi all'anno, più 2 miliardi per riformare i Centri per l'impiego.
Nel caso leghista si tratta di un'operazione finanziaria a tasso zero per il cittadino che però deve restituire alla fine del triennio o prima, non appena avrà un contratto di lavoro di qualsiasi tipo anche precario, 27 mila euro in vent'anni (se il contratto si interrompe, così le rate). Lui ripaga lo Stato, lo Stato rifonde le banche. L'erario dunque - sempre se il beneficiario non scappa alle Seychelles - va in pari, con l'eccezione non trascurabile degli interessi da pagare al sistema bancario. Nel caso grillino, si tratta di soldi pubblici a fondo perduto. «Un investimento che si ripaga da solo», scrive il M5S nella proposta di legge depositata nel 2013: il beneficiario si rimette in gioco, trova un'occupazione ed esce dal circuito della povertà.
La differenza nei costi delle due proposte dipende anche dal numero di persone coinvolte.
Due milioni di disoccupati, ma abili al lavoro, con reddito Isee inferiore ai 9.360 euro per la Lega, esclusi gli stranieri. Nove milioni e 600 mila italiani (inclusi gli stranieri da Paesi che hanno stipulato accordi di reciprocità con l'Italia sulla sicurezza sociale) per i Cinque Stelle, con reddito inferiore ai 9.360 euro annuali: in pratica tutti i poveri relativi. Come si vede, la soglia è identica: 9.360 euro. Nel Ral leghista però si tratta di reddito Isee, quindi tiene conto anche del patrimonio (immobili, investimenti, ecc). L'Rci pentastellato no: il reddito è quello personale, quindi se il povero ha una o più case non conta ai fini dell'assegno di cittadinanza.
«I costi che indichiamo - 54 miliardi nel triennio - sono un livello teorico massimo, qualora tutti i due milioni di italiani al momento inattivi e con reddito Isee basso si iscrivano ai Centri per l'impiego», spiega Armando Siri, neo senatore leghista, autore della proposta di Flat tax al 15%. «Difficile che si esaurisca il plafond tutto insieme. Anche perché in molti casi si tratterà di integrazione al reddito fino ad arrivare ai 750 euro al mese. È chiaro poi che anche nel nostro caso se il beneficiario rifiuta la proposta di lavoro, non riceve più un centesimo. Lo Stato si impegna a farla almeno una volta nei tre anni, tenuto conto delle attitudini del singolo.
Difficile che chi ha ricevuto il Ral scappi via col malloppo. Lo Stato ha tutti i mezzi per rivalersi».
Si vedrà. Come pure si capirà se l'M5S accetterà di limitare il suo reddito di cittadinanza a un quinto dei cittadini a cui l'ha promesso. E nella f
Reddito di inclusione, solo nel primo trimestre ne hanno usufruito in 900 mila, sette su dieci risiedono al Sud

Nicola Lillo

Le persone che hanno beneficiato del Rei, il Reddito di inclusione, sono nel primo trimestre dell'anno 900 mila e sette su dieci risiedono al Sud. In soli tre mesi sono stati raggiunti 250 mila nuclei familiari, la metà dell'obiettivo del governo, cioè 500 mila famiglie entro luglio, corrispondenti a 1,8 milioni di persone. E' quanto rivela lo studio dell'Osservatorio statistico sul reddito di inclusione presentato dall'Inps alla presenza del presidente del consiglio Paolo Gentiloni, che invita le forze politiche «a non buttare a mare il lavoro che è stato fatto. Abbiamo uno strumento di tutela universale che può essere potenziato e rafforzato. Non possiamo permetterci una fiera delle velleità che ci porterebbe fuori strada».
 
Il tema del contrasto alla povertà è stato infatti al centro della campagna elettorale, mentre in questi giorni è uno dei punti di discussione per la formazione del nuovo governo. Il Movimento 5 Stelle propone il «reddito di cittadinanza» (che in realtà è un reddito minimo) più ampio di quello attuale, mentre la Lega si dice contraria all'assistenzialismo e per questo ha proposto il Ral (il Reddito di avviamento al lavoro), in sostanza un prestito garantito dallo Stato senza interessi garantito per 20 anni.
 
L'appello di Gentiloni e Boeri: «Non smantellare il sistema, ma trovare altre risorse» 
Per il premier però «il Rei funziona, è una buona notizia, una tappa importante. Dobbiamo quindi proseguire, rafforzandolo con nuove risorse, gradualmente. Ma non buttando a mare il lavoro che è stato fatto. Abbiamo uno strumento di tutela universale che può essere potenziato e rafforzato». Stesso concetto espresso da Tito Boeri, presidente dell'Inps, secondo cui è necessario continuare sul percorso intrapreso. «E' un fatto positivo che in Italia si parli di misure a contrasto ella povertà. Il paese si è dotato di questo strumento con 70 anni di ritardo. Ma oggi finalmente c'è: è un reddito minimo, ai primi passi e ancora sotto finanziato». Di conseguenza per Boeri è importante trovare altre risorse e non inventarsi nuovi meccanismi: «Dando più risorse al Rei potremmo raggiungere platee più vaste. Spero non si voglia mettere in discussione questo strumento e impedire che il processo vada avanti». Un invito chiaro alle forze politiche perché trovino ulteriori risorse per il Reddito di inclusione, senza smantellare il sistema. In Italia le persone in difficoltà sono 4,7 milioni (1,6 milioni di famiglie): da luglio il Rei dovrebbe raggiungere 2,5 milioni di cittadini, 700 mila famiglie. Nello specifico ad oggi il reddito di inclusione ha raggiunto 316 mila persone (110 mila famiglie) mentre altre 48 mila (119 mila famiglie) sono state interessate dal Sia, il sostegno all'inclusione.
 
Aiuto medio da 297 euro 
Il Rei funziona su tutto il territorio nazionale e garantisce un aiuto alle persone in difficoltà; in alcune regioni - Puglia, Emilia-Romagna e Friuli Venezia Giulia - ci sono misure collegate e di rafforzamento, che integrano dunque l'aiuto. La gran parte dei richiedenti è comunque al sud, in particolare in Campania, Sicilia e Calabria. «D'altronde cinque poveri su dieci - spiega Boeri - sono residenti in queste regioni. Il Rei è legato allo stato della disoccupazione. Siccome la disoccupazione è intrecciata con lo stato di povertà, c'è una relazione tra il numero dei disoccupati e quello dei beneficiari».
A beneficiare del Rei sono soprattutto le famiglie con un solo componente, in genere disoccupato con più di 55 anni. Un quinto dei beneficiari inoltre ha un disabile in famiglia, mentre la metà dei nuclei ha minori a carico. L'importo medio è di 297 euro al mese, mentre il massimo dell'aiuto è di circa 550 euro. «Il messaggio - dice Boeri - è che senza il Rei queste famiglie riceverebbero pochissimo. E' fondamentale
Più o meno le hanno provate tutte per far ripartire l'economia e fare crescere l'occupazione ma alla fine il risultato è magrissimo. Dappertutto. Anche le soluzioni proposte dalla lega e dai penta stellati non faranno  di meglio perché non c'è un nodo da sciogliere ma ci sono  molti nodi a loro volta annodati tra di loro. E' impossibile che l'Italia riduca la disoccupazione al 5% e  la stabilità  dell'occupazione al 90% perché per mantenere occupata la popolazione così disponibile andremmo in sovraproduzione comunque non assorbibile ne in ambito europeo ne internazionale. Altro che il surplus tedesco: probabilmente dovremmo arrivare al 15%. Il resto del mondo ci sparerebbe alzo zero.
Il fatto è che per arrivare ad avere un sistema economico che sia in grado di dare piena occupazione non avremmo nemmeno il personale capace  di tale prestazione.
L'hanno compreso benissimo quegli operai del nord centro e sud che vedono nell'immigrazione clandestina uno strumento per togliergli il lavoro dal momento che la gran parte del nostro sistema produttivo –laddove occorre molta manodopera- non solo non ha alcun interesse di essere 4.0 ma nemmeno di arrivarci.
Al massimo va a comperare i carciofi in Egitto e le fragole in Algarve raccolte dai marocchini clandestini piuttosto che produrli in Italia. Così come fanno i jeans e la tipo in Turchia oppure l'abbigliamento in Bangladesch.
Pertanto chi vota lega al sud come al nord sa benissimo che i padroni – al sud come al nord- sono disposti a pagare al massimo 5 euro all'ora senza alcun contributo extra e quindi o possono farlo in Italia senza alcun rapporto con inps inail ats (e quindi in perfetta evasione fiscale) oppure vanno nei paesi di provenienza dei migranti  -aiutiamoli a casa loro!- e da li importano le merci prodotte da quegli schiavi ai prezzi che vogliono.
Tranne poche cose di utilizzo abbastanza raro  come p.e. gli aerei o i medicinali o le attrezzature ospedaliere, o l'ultima generazione di chips, tutto il resto può essere prodotto laddove costa di meno e si può vendere per sviluppare i consumi  sul posto. Una pompa di calore la puoi produrre in India come in Cina come a Treviso Amburgo Londra. Idem un'auto elettrica oppure quei mostri inutili che sono le vetture ibride. Meno del 5% dei laureati in lingue a Bergamo negli ultimi tre anni parlano o russo o cinese o indiano o arabo. Tutti parlano una lingua non italiana dell'occidente. Più o meno  lauree inutili se non diletto personale.
Divertentissima la proposta del Ral leghista: una sorta di prestito d'onore da 750 euro al mese per tre anni che lo Stato fa, con l'apporto delle banche, al disoccupato povero. Chiamato poi a restituirlo in rate al massimo di vent'anni, non appena trova un'occupazione. Che è una cappellata megalattica per vari motivi. Prima di tutto ha un senso se il Paese cresce bene e dappertutto: mentre è evidente il contrario. Nei prossimi anni si crescerà poco perché ciascun paese sostanzialmente  basterà a se stesso. Ma è una cappellata anche perché se un paese cresce –come avveniva negli anni '50 dappertutto in Europa-  automaticamente non esiste disoccupazione e quindi non c'è bisogno del Ral.
Immaginiamo la proposta leghista applicata ad uno sfortunato  lavoratore che in un anno accumula 3-4-6 posti ma in totale non fa che 3-4-6- mesi di lavoro metà in nero e metà a cinque euro l'ora. Il tipo è condannato alla povertà permanente perché non si prende nemme-no il Ral e non potrà mai nemmeno pagarne le eventuali rateizzazioni.
Poi le due proposte leghista penta stellata cozzano contro un altro aspetto: le pensioni. Se tu dai un reddito tot per campare devi anche livellare