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Il questore di Genova al momento del G8-2001 Francesco Colucci era stato prima (di essere nominato  a Genova) questore a Bergamo. Toccò a lui organizzare in poche ore la vigilanza alla casa di A.di Pietro quando pervenne l'ordine dal  livello nazionale per via della minaccia che la mafia voleva  fargli un attentato. La mattina in cui decine di pattuglie dei CC e della PS occupavano il tratto della via Lungobrembo  per fare un sopralluogo dei grandi capi al posto e decidere l'organizzazio ne venni convocato in quanto sfigatissimo proprietario del terreno esterno alla abitazione del PM, abitazione che non era sua ma di quel bellissimo e poco simpatico peperino che era-è sua moglie Mazzoleni. Spiccava in mezzo al gran galà delle divise dei carabinieri e della polizia, lo svolazzante comandante dei vigili urbani curnesi, mister Vadalà oggi prematuramente defunto, che pareva essere il regista del tutto mentre nessuna delle stelle d'oro  gli dava retta. Chiesi al capitano dei carabinieri se ci fossero il prefetto e il questore ma negarono. Il problema si sostanziava nella istallazione di un box di lamiera che avrebbe ospitato un telefono, un tavolino e due sedie per le guardie. Feci presente ai due grandi capi che era necessario un cesso da cantiere, un tetto per isolare lo scatolotto di lamiera e dei fari per l'illuminazione del perimetro ma compresi subito che della faccenda proprio importava zero.
Dopo qualche settimana ricevetti una telefonata abbastanza  trafficata  e concordai una visita in questura perché il questore Colucci mi voleva conoscere per ringraziarmi in quanto avevo autorizzato l'occupazione di un mio terreno per istallare il box per ospitare le guardie. L'incontro avvenne sulla fine di luglio, ore undici, l'ufficio aveva il solito arredamento squallor degli uffici statali, il clima era condizionato ma  caldo umido e si sudava come in una sauna. Caffè della macchinetta, bustine di zucchero di varia marca. Colucci si presenta come una persona minuta, gentile, quasi come volesse scusarsi del disturbo arrecato. Gli faccio presente che hanno dimenticato il cesso da campo, l'isolamento del box e l'illuminazione della zona. Trascrive le note su un'agenda. La scrittura non mi piace. Rapida stretta di mano e via. Qualche tempo più tardi scoprirò che il box è stato istallato a spese del comune (sindaco Mario Bianchi della Lega); del cesso… nemmeno a parlarne; compare una tettoietta metallica tipo Libia e infine il comune  fa istallare quattro pali con lampioni. I genietti che co-ordinano come-dove mettere i lampioni anziché illuminare l'obiettivo li postano per… illuminare le guardie. Così eventuali delinquenti possono mirarle meglio?. Pure la bolletta elettrica sarà a spese del comune: al tempo costava otto milioni di lire all'anno. Era l'Italietta che arrancava dalla prima alla seconda repubb
Qualcuno che si definisce delle BR aveva già provato a imbrattare il mostruoso monumento mentre era ancora in costruzione. Poche ore dopo la sua inaugurazione ecco che sono tornate a sfregiarlo. Nonostante quel che era già accaduto e che annunciava «che ci avrebbero riprovato» ecco che ci sono riusciti.
E chi doveva  tutelare almeno nelle prime ore quel monumento, di una bruttezza indegna del fatto (la morte di cinque  persone e il rapimento di una sesta) non è stato in grado di tutelarlo. Sperando che sia solo mancanza di personale piuttosto che  fellonia.

Intanto che il comandante della Polizia Gabrielli chiede « rispetto » e lo fa « nel nome di chi ha dato il sangue e la vita, perché noi facciamo i conti con la nostra storia ogni giorno e sappiamo riconoscere i nostri errori» il PM Zucca resta della sua idea, tant'è che al Tg della 7 dichiara: «I morti della polizia e delle istituzioni non si negano. Ma non possiamo non ricordare che il sacrificio anche di vite umane dei giudici ha consentito di combattere con la legalità, con la regola, con processi regolari, il fenomeno del terrorismo, mentre la politica, il ministero dell'Interno, le forze di polizia percorrevano la scorciatoia della tortura».
La ferita del G8 è ancora troppo aperta per Zucca che, come pezza di appoggio, cita la sentenza di Strasburgo contro l'Italia dove si riconosce il reato di tortura e si chiede che i responsabili non occupino più posti di responsabilità. Cosa che, secondo Zucca, invece è avvenuto.

La Corte d’Appello di Genova nel maggio 2010 ha condannato anche i vertici della Polizia di Stato, infliggendo circa 85 anni di reclusione per la tragedia del G8. Dei 28 imputati solo 2 ne sono usciti senza condanna, ma per prescrizione dei reati, non per assoluzione.
Il capo dell’anticrimine Francesco Gratteri è stato condannato a quattro anni, l’ex comandante del primo reparto mobile di Roma Vincenzo Canterini a cinque anni, l’ex vicedirettore dell’Ucigos Giovanni Luperi (poi all’Agenzia per le informazioni e la sicurezza interna) a quattro anni, l’ex dirigente della Digos di Genova Spartaco Mortola (successivamente vicequestore vicario a Torino) a tre anni e otto mesi, l’ex vicecapo dello Sco Gilberto Caldarozzi a tre anni e otto mesi. I due dirigenti della Polizia, Pietro Troiani e Michele Burgio, accusati di aver portato le molotov nella scuola, sono stati condannati a tre anni e nove mesi. Non sono stati dichiarati prescritti i falsi ideologici e alcuni episodi di lesioni gravi. Sono invece stati dichiarati prescritti i reati di lesioni lievi, calunnie e arresti illegali. Per i 13 poliziotti condannati in primo grado le pene sono state inasprite.
Adesso, però, si può leggere quanto scritto dalla Corte d’Appello di Genova: le motivazioni di sentenze che accusano i vertici della Polizia, dirigenti importantissimi la cui carriera, dopo il G8, non si è certo fermata. Tanto che il capo della Polizia nel 2001, Gianni De Gennaro, oggi guida i servizi segreti: condannato a un anno e quattro mesi per aver istigato alla falsa testimonianza, nel processo, l’ex questore di Genova Francesco Colucci. Poi, le 25 condanne per la mattanza della Diaz, con la sentenza d’appello che ribalta il primo grado: 4 anni a Francesco Gratteri e altri 4 a Giovanni Luperi, i due poliziotti più importanti presenti quella notte tra il 21 e il 22 luglio 2001 alla scuola Diaz.

Gianfranco Fini, in quel momento vicepresidente del consiglio è Genova e quella notte  dorme ospite sulla nave MSC Crociere messa a disposizione per i leader e le delegazioni internazionali. Dalla nave si sposta al Forte San Giuliano, comando dei Carabinieri e  si rende conto che col caos della città non potrà più uscirne. Gianfranco Fini nei giorni del G8 era lì, a Genova. Eccome se c’era. Sulla sua presenza, anzi, e sulla sua partecipazione alle decisioni prese in sala operativa, è nata «Una leggenda mal costruita», dice però l’ex presidente della Camera. A chi gli domanda: presidente Fini, lei c’era o non c’era in quella famosa sala operativa? «Non c’ero. E questa è storia, tanto è vero che i magistrati non hanno mai sentito la necessità di interrogarmi. È un dato di fatto che io, che ero vicepresidente del Consiglio, passai a salutare in questura e in prefettura, ma prima dei disordini, addirittura prima della morte di Carlo Giuliani. Poi è vero che rimasi bloccato per sei ore al comando dei carabinieri, al Forte San Giuliano, ma senza alcun ruolo. Genova in quel momento era messa a ferro e fuoco dai Black Bloc. Per motivi di sicurezza anche il sottoscritto rimase bloccato. La scorta voleva farmi andare via con un elicottero, ma io rifiutai. Sarebbe stata una fuga vergognosa non del sottoscritto, ma di un vicepresidente del Consiglio e questo, se permettete, era inaccettabile». Quindi non è vero che lei partecipò alle decisioni dalla sala operativa? «Assolutamente no. Attesi le mie sei ore in caserma e poi andai via