Soltanto dopo l'estate la prima vasca contro gli allagamenti
di Fabio Paravisi
Sarà senza cemento, a cielo aperto e circondata da piante
Nemmeno quest'estate Astino e Longuelo potranno avere le vasche anti
allagamento. Su tre impianti per ora se ne sta progettando uno, i cui
lavori inizieranno però quando la stagione dei temporali sarà già
iniziata se non addirittura terminata. Il Consorzio di bonifica, che ha
l'incarico della progettazione e che sborserà la metà dei nove milioni,
aveva avvisato che i tempi sarebbero stati lunghi, tanto che ora si sta
realizzando il progetto esecutivo del primo lotto.
I dettagli dell'opera vengono elencati nella delibera di giunta sugli
«interventi di mitigazione delle problematiche idrauliche nella Valle
di Astino». Una volta asciugati gli scantinati allagati nell'estate
2016, si era capito che per evitare che succedesse di nuovo servivano
due tipi di interventi. A partire dalla pulitura di alcune rogge come
la Curna, le cui portate negli anni, tra vegetazione cresciuta, detriti
accumulati e sponde franate, erano diventate insufficienti. Interventi
già eseguiti, tanto da avere mostrato i loro effetti la scorsa estate.
Ma per risolvere il problema servono le vasche di laminazione, che
raccolgono l'acqua in eccesso per rilasciarla un po' alla volta. Dopo
molte discussioni su numero, misure, collocazione e tipologia (a cielo
aperto o interrate) sono emerse le scelte definitive. Si tratterà di
tre vasche a cielo aperto senza cemento: in condizioni normali avranno
l'aspetto di avvallamenti profondi in media un metro e mezzo, coperti
di erba e circondati da alberi. Le sponde saranno come rampe non ripide
e rinforzate da pietre, terra e pali di legno.
La prima vasca sarà rettangolare, lunga un centinaio di metri e con una
capienza di 20 mila metri cubi. Sarà realizzata su un terreno venduto
dalla Val d'Astino (per 1 milione e 125 mila euro) a sinistra della
strada da Longuelo al monastero. In questo momento c'è solo uno studio
di fattibilità ma Sergio Papiri dell'Università di Pavia sta preparando
il progetto esecutivo che sarà pronto entro fine aprile. Ai primi di
maggio sarà analizzato in una conferenza dei servizi. Solo a questo
punto, dalle eventuali modifiche da apportare, si capirà quando i
lavori potranno partire. Il tutto costerà 3 milioni e 320 mila euro.
Il costo dell'intervento complessivo è invece di 9 milioni e 170 mila
euro, e comprende altre due vasche. La prima è da 25 mila metri cubi su
terreni in corso di acquisizione da privati ai bordi di via del Celtro,
la seconda di 10 mila metri cubi in un'area ancora non identificata che
potrebbe anche essere all'interno del Golf Club. Rientrano nei progetti
anche lavori al tratto finale del Rio Lavanderio con rifacimento
dell'attraversamento di via Astino, e interventi alla Curna e altre
rogge. In tutto questo si riuscirà anche a salvare la rana di Lataste:
i canneti in cui vive l'anfibio potrebbero essere risparmiati o al
massimo tolti e ripiantati.
|
Se
tutto va bene Longuelo non sarà più il piede della Valle di Astino ma
sarà l’ingresso all’acquitrino della Valle. Merito di tutti gli
interventi di manomissione «intelligente e conservativa» realizzati
negli ultimi anni dentro il compendio immobiliare della valle nonchè
gli scarichi delle acque delle fogne stradali delle vie
Marieni-Lavanderio e Torni.
Saranno contentissimi i cittadini di Longuelo convivere d’estate con
tre bei laghetti da 20mila, 25mila e 10mila metri cubi di acqua
stagnante che funzionerà benissimo come allevamento di zanzare ed altri
antipatici animaletti.
Contentissimi anche i curiosi che vanno a visitare il monastero
meglio noto come «muntù de polver» e l’orticello della nonna alias
Valle della Biodiversità grandissimo (altrimenti detto mei ch negot»)
che si doteranno di spray antizanzara distribuito in apposite colonnine
istallate ad hoc con tanto di parere della Soprintendenza. Perché nel
Parco dei Colli comandano sia il parco ma anche la Soprintendenza
Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Bergamo e
Brescia. I quali due vigilano sulle colonnine di cui ma non vedono i
pannelli solari messi nei prati sopra il monastero appunto per
abbellire il paesaggio.
Soprattutto c’è la soddisfazione per la dozzina di maledetti platani
che hanno avuto la sfigata idea di crescere... e nel crescere di
restringere l’alveo della Roggia e così il sindaco Gori ha potuto
finalmente ordinarne il rasgamento. Come potete leggere la spesa per le
vasche, l’acquisto dei terreni (non tutti: ne mancano due) comporterà
un profittevole aumento del PiL comunale
regionale e nazionale ma soprattutto l’incasso della società (pubblica)
per la cessione dei terreni per fare le vasche determinerà a cascata
tutta un’altra serie di progetti e investimenti. Insomma tutto grasso
che cola a amministrare in mano ai piddini della giunta Gori e ai
leghisti nel Consorzio di Bonifica. Ai cittadini resteranno in
groppa le cartelle esattoriale per pagare un po’ le opere e per sempre
il mantenimento e funzionamento visto che il consorzio redistribuirà
quei costi sul bacino di utenza.
Un mistero invece cosà ne sia della Roggia Curna sotto il golf adesso
in mano a Percassi col ristorante di Amaddeo- capogruppo consigliare
della lista Gori.
Abbiamo sempre ritenuto TUTTI gli interventi applicati nella Valle di
Astino come un grave errore perché alteravano in maniera
eccessiva un equilibrio naturale che -bene o male- s’era formato. Le
alluvioni di Longuelo non derivano da un Giove pluvio infamone ma
perchè in quel territorio è stata gettata una quantità abnorme di
energia che viene restituita in parte coi danni delle alluvioni. Le
modifiche che questa energia ha comportato al territorio non consentono
più al medesimo di assorbire gli eventi atmosferici. Ecco perché per
mantenere Astino e Longuelo non occorrono tre vasche ma tornare ai
pochi abitanti del tempo e alle coltivazioni leggere che questi erano
in grado di praticare. Altro che i mille cavalli dei trattori e
|
Di
fronte al ripetersi quasi quotidiano di femminicidi tutte le parole
sembrano inutili, non solo perché già dette e ripetute, ma perché
paiono non produrre alcun cambiamento. Certo, possiamo continuare a
consigliare alle donne che si trovano in rapporti violenti di andarsene
e denunciare.
Ma, come testimoniano almeno due dei femminicidi più recenti, andarsene
e denunciare non sempre basta. Chi ha deciso di uccidere per
“vendicarsi” dell'affronto dell'abbandono trova sempre il modo di
farlo. Lo trova anche se gli è stato fatto divieto di avvicinarsi.
Lo trova anche se è stato condannato a una pena detentiva per le
violenze commesse. Non sostengo che le denunce e le pene non servano.
Così come sono convinta che occorra dare più risorse ai centri
anti-violenza, perché offrano consulenza competente e rifugio
temporaneo a chi non sa dove andare o ha bisogno di nascondersi dal
persecutore.
Tuttavia, proprio la trasversalità — per età, istruzione, ceto,
professione, territorio — del fenomeno induce a pensare che occorre
anche intervenire alla radice.
Occorre contrastare in modo sistematico e capillare, in tutti gli
ambiti, modelli di genere maschile e femminile fondati su
sopraffazione, disprezzo, possesso e negazione della libertà. Ma
occorre anche promuovere una educazione sentimentale che renda capaci
di resistere ad aspettative di tipo fusionale, in cui si è tutto l'uno
per l'altra e viceversa, capaci di considerare normali le prese di
distanza, la ricerca di spazi per sé, e di sopportare il cambiamento,
le eventuali delusioni, la sofferenza della incomprensione e
l'abbandono, la fine di un rapporto. L'amore non è la ricerca della
propria metà. E l'obiettivo di fare, con l'amore, il sacrificio o la
violenza, uno da due è non solo destinato a fallire, ma sbagliato, per
sé e per l'altra/o. Per amare occorre essere capaci di autonomia e di
riconoscersi come reciprocamente altri.
È un equilibrio che si impara lentamente e deve essere continuamente
re-imparato, ma i cui rudimenti devono essere appresi fin da piccoli,
nei rapporti genitori-figli, in quelli amicali e di coppia.
Vale per gli uomini come per le donne, naturalmente. Ma sono
statisticamente più numerosi gli uomini che la mancanza di una
educazione sentimentale lascia senza controllo sulle proprie emozioni e
aggressività, fino all'omicidio.
Non tutti gli uomini che uccidono le donne con cui stanno o vorrebbero
stare sono uguali nelle motivazioni di questo gesto estremo. Ma in
tutti mi sembra ci sia una incapacità di stare al mondo senza avere uno
specchio in cui riflettersi — come prepotenti che si realizzano solo
nel potere che esercitano sulla donna che ha avuto la sfortuna di
incontrarli o, all'opposto, come così incerti sulla propria identità da
non riuscire a sopportare che questa possa essere messa in crisi dalla
rottura del rapporto cui avevano affidato il compito di rappresentarla
e darle continuità.
Questi ultimi sono quelli che, spesso, dopo avere ucciso si uccidono,
credo non per paura di andare in prigione e neppure perché non reggono
l'enormità di quello che hanno fatto, ma perché non sono (forse non
sono mai stati veramente) capaci di vivere al di fuori di quella
relazione-specchio. Incapaci di amare veramente. Al punto da non
curarsi neppure del destino dei figli che abbandonano (quando non
uccidono) non solo alla perdita di uno o entrambi i genitori, ma al
tragico compito di doverne elaborare e sopportare il modo.
Chiara Saraceno, sociologa, si occupa di famiglia, disuguaglianze,
povertà e welfare Tra i suoi ultimi libri “Mamme e papà” (il Mulino,
2016) e “L'equivoco
|
Il
magistrato Enrico Zucca che è stato tra i giudici del processo per i
fatti accaduti alla scuola Diaz durante il G8 di Genova nel luglio
2001, durante il dibattito sulla morte di Giulio Regeni a Genova aveva
sostenuto che "i nostri torturatori sono al vertice della polizia".
Secondo Zucca "l'11 settembre 2001 e il G8 hanno segnato una rottura
nella tutela dei diritti internazionali. Lo sforzo che chiediamo a un
paese dittatoriale è uno sforzo che abbiamo dimostrato di non saper far
per vicende meno drammatiche. I nostri torturatori, o meglio chi ha
coperto i torturatori, come dicono le sentenze della Corte di
Strasburgo, sono ai vertici della polizia, come possiamo chiedere
all'Egitto di consegnarci i loro torturatori?". Il riferimento polemico
di Zucca riguardava, tra gli altri, anche il ruolo assegnato a
Gilberto Caldarozzi, uno dei principali condannati del processo Diaz e
oggi vice direttore della Dia.
"La frase riportata è imprecisa, estrapolata da un contesto più ampio.
Parlo con la parola dei giudici, di più non so cosa fare" ha precisato
oggi Zucca. "La rimozione del funzionario condannato è un obbligo
convenzionale, non una scelta politica e queste cose le ho dette e
scritte anche in passato". Il messaggio di ieri, ha sottolineato il
magistrato, è che "se non abbiamo gli strumenti adeguati, l'effetto
deterrente non si ha e, quindi, si aprono le porte ad altri episodi. Il
governo deve spiegare perché ha tenuto ai vertici operativi dei
condannati. Fa parte dell'esecuzione di una sentenza. Noi violiamo le
convenzioni - ha concluso Zucca - è difficile farle rispettare ai Paesi
non democratici".
Sono "oltraggiose le parole di chi ha detto che ai vertici della
polizia ci sono dei torturatori", ha detto il capo della polizia,
Franco Gabrielli, intervenuto ad Agrigento ad una cerimonia in ricordo
di Beppe Montana e delle altre vittime della mafia. "Noi -ha osservato
Gabrielli - facciamo i conti con la nostra storia ogni giorno. Noi
sappiamo riconoscere i nostri errori, noi, al contrario di altri,
sappiamo pesare i comportamenti. Ma, al contrario di altri, ogni giorno
i nostri uomini e le nostre donne su tutto il territorio nazionale
garantiscono la serenità, la sicurezza e la tranquillità. E in nome di
chi ha dato il sangue, di chi ha dato la vita, chiediamo rispetto. Gli
arditi parallelismi e le infamanti accuse - ha aggiunto il capo della
polizia - qualificano soltanto chi li proferisce".
La Repubblica
|