Paura e povertà. L’Italia del dopo-voto
di Mario Pianta
Comune.info-net, 12 marzo 2018. I dati quantitativi e i moventi che
hanno spino al risultato elettorale del 4 marzo. I mostri da
sconfiggere per riprendere il cammino
«La mappa dell’Italia che ha votato ritrae soprattutto due fenomeni:
paura e povertà. Paura e povertà, in questo strano intreccio, sono
diventate le forze che disegnano la politica italiana. La paura che si
afferma come ideologia della Lega; la povertà come condizione del
successo dei Cinque stelle. Al posto di destra e sinistra»
La mappa dell’Italia che ha votato ritrae soprattutto due fenomeni:
paura e povertà. Il centro-nord (Lazio compreso) si è affidato a un
nuovo Centrodestra a egemonia leghista: nel nord della Lombardia e del
Veneto è oltre il 50%, con la Lega che arriva a punte tra il 33 e il
38% nelle sue zone di insediamento tradizionale; nel Piemonte lontano
da Torino il Centrodestra è vicino al 50%, con la Lega meno forte; nel
resto del Nord è quasi ovunque oltre il 40%; in Emilia, Toscana e
Umbria la percentuale è oltre il 35%; nel Lazio che esclude Roma è al
40%.
Il centro-sud (Marche comprese) vede dilagare i Cinque stelle: sfiorano
il 50% in Sicilia e nel nord della Campania, sono oltre il 40% in
Calabria, Basilicata, Puglia, Molise e Sardegna.
Più articolata è solo la fotografia dei collegi uninominali delle
grandi città. Il Centrodestra ha vittorie in collegi a Torino, Milano,
Venezia, Palermo. I Cinque stelle conquistano alcuni collegi a Torino,
Genova, Palermo, Roma e hanno Napoli. Torino, Milano, Bologna, Firenze,
Roma lasciano qualche circoscrizione al Pd.
Il 37-38% (rispettivamente alla Camera e al Senato) ottenuto dal
Centrodestra viene dal successo della Lega, passata dal 4% delle
elezioni politiche del 2013, al 6% delle elezioni europee del 2014, al
18% di oggi, mentre Forza Italia scende dal 22% del 2013 al 17% del
2014 e al 14% attuale. Il 32-33% (rispettivamente al Senato e alla
Camera, con un elettorato più giovane) dei Cinque stelle va misurato
con il 26% delle politiche del 2013 e con il 21% delle europee del
2014. La partecipazione al voto è stata analoga a cinque anni fa,
intorno al 75%, mentre alle europee era scesa molto, al 57%.
Quelli di Centrodestra e Cinque stelle sono successi paralleli,
alimentati da ingredienti comuni: il voto di protesta, la retorica
populista, la critica all’Europa, l’astio contro gli immigrati. Nel
Centrodestra queste spinte coesistono con interessi molto distanti –
quelli del potere economico intorno a Berlusconi – e la definizione dei
rapporti di forza interni alla coalizione sarà complicata, in termini
di egemonia politica prima ancora che nella formazione del governo.
Nei Cinque stelle quegli ingredienti convivono con il tentativo di
passare da movimento di protesta a partito di governo, anche qui con
un’evoluzione dell’identità e dell’agenda politica ancora tutta da
definire.
Spinte analoghe, tuttavia, prendono strade diverse al Nord e al Sud. Il
radicamento leghista al Nord ha interpretato la difesa di un benessere
a rischio, la richiesta di meno tasse, l’egoismo locale e nazionale. Il
Sud ‘lasciato indietro’ dalla politica e dall’economia, abbandonato
dalla nuova emigrazione, segnato dal degrado sociale e dai poteri
criminali, prende la strada di una protesta che reclama un nuovo
potere. L’operazione di Matteo Salvini per costruire un ‘Fronte
nazionale’ alla Le Pen ha trovato in queste divaricazioni regionali il
suo limite principale.
Dietro a tutto questo ci sono i dieci anni di crisi economica e sociale
del paese. Il reddito pro capite in Italia è sceso ai livelli di
vent’anni fa; dietro questa media c’è un vero e proprio crollo – del
30% circa – dei redditi del 25% più povero degli Italiani, quelli che
abitano al Sud o nelle periferie in declino del Centro-Nord. Vent’anni
di ristagno e declino vuol dire una generazione con aspettative di
reddito, di lavoro e di vita sempre peggiori. L’impoverimento è
diventato una realtà per una parte molto ampia degli italiani. Il voto
ai Cinque stelle riflette la povertà del Sud – e si comprende bene il
richiamo della loro richiesta di reddito minimo. Il voto alla Lega
esprime la paura di impoverirsi del Nord. Solo nei centri delle città
maggiori, dove vivono i più ricchi, i più istruiti, e l’economia va
meglio, il voto prende direzioni diverse, verso Forza Italia e il Pd.
La povertà si accoppia alla paura: di stare peggio, di avere accanto
immigrati e altri poveri con cui ci si trova in concorrenza per i
lavori meno qualificati e per servizi pubblici più scarsi. In queste
elezioni la paura più agitata è stata quella degli immigrati – gli
sbarchi a Lampedusa, l’accoglienza impossibile, le tragedie di
Macerata. Salvini ne ha fatto la sua bandiera più pericolosa, i Cinque
stelle esprimono la stessa ostilità – i salvataggi delle Ong viste come
‘taxi del mare’, il rifiuto di riconoscere la cittadinanza alle seconde
generazioni.
Paura e povertà, in questo strano intreccio, sono diventate le forze
che disegnano la politica italiana. La paura che si afferma come
ideologia della Lega; la povertà come condizione del successo dei
Cinque stelle. Al posto di destra e sinistra, la politica della paura
(anche quella di stare peggio) e il lamento degli impoveriti, degli
esclusi dalla ‘casta’.
La tragedia della sinistra è che uguaglianza, sicurezza sociale e
solidarietà sono state per duecento anni le sue insegne. Via via
smarrite nella perdita di identità collettive, in pratiche politiche
sempre meno coinvolgenti, in politiche di governo sempre più in
contrasto con quei valori. In questo degrado politico va sottolineato
che pulsioni pericolose come paura e povertà si siano espresse con gli
strumenti della democrazia: il 75% di votanti e le file ai seggi sono
l’unica buona notizia del 4 marzo 2018.
|
Delle
due l’una: o nella riduzione del comunicato Comune-ATB il giornalista
di L’Eco ha fatto una mezza frittata oppure... è anche peggio.
Scrive L’Eco che la nuova Linea C è lunga 29,5 km ed ogni bus elettrico
ha una autonomia di 180 km. Il che significa che con UNA carica ogni
bus potrà percorre (con una adeguata dose di fortuna... traffico
permettendo) SEI corse. Dopo di che dovrà rientrare e stare
fermo per la carica SETTE ore. Ipotizzando che la velocità media sia di
30km/h questi bus viaggeranno sei ore (fino quasi esaurimento carica)
staranno fermi sette ore (per la ricarica). Se tra le ore 6 e le ore 19
la frequenza delle corse è prevista ogni 15 minuti e i bus
elettrici disponibili sono 12, siccome la metà DEVE stare
fermo per la ricarica almeno SETTE ore ogni SEI di percorrenza è
evidente che o sono sbagliati i conti oppure che arriveranno nuovi
autobus oppure la linea verrà integrata cogli attuali bus. Morale della
favola. O hanno sbagliato nel dare i numeri al giornale oppure l’è una
gran cappellata. Coraggio assessore Zenoni, c’è di peggio: occorrono
altri quattro bus. Poi Gori la licenzia.
|
Linea
C, il lungo rodaggio degli autobus elettrici «Mezzi nuovi, da testare»
In alcune fasce orarie ancora in servizio i pullman a metano
Silvia Seminati /Corriere della Sera
A quasi 40 giorni dal suo avvio, la Linea C dell'Atb non è ancora del
tutto elettrica. Oltre ai 12 nuovi autobus «a batteria», circolano
lungo i percorsi della Linea C anche diversi pullman a metano. Ma
quanti? E in quali momenti della giornata? Per provare a farsi un'idea,
si può restare per qualche ora in piazza della Libertà. Una delle tappe
del percorso a Nord (quello a Sud passa da Porta Nuova). Di qui passano
i bus diretti ai tre capolinea della Linea C, l'ospedale Papa Giovanni
(C1H), il Don Orione (C1A) e la Clementina (C1B). Martedì 13 marzo, tra
le 16.36 e le 17.36, sono transitati da piazza della Libertà otto
pullman dell'Atb: sei a metano, due elettrici. Nello stesso giorno
dalle 18.56 alle 19.26 transitano due mezzi elettrici e soltanto uno a
metano. Una prova il giorno successivo sempre in piazza della
Libertà, dalle 11.52 alle 12.52: in un'ora passano otto pullman, di cui
sei elettrici e due a metano. Poco dopo, tra le 13.47 e le 14.17, ne
passano tre, tutti elettrici. Dalle 15.25 alle 16.25, invece, la
situazione cambia: si vedono sette pullman, di cui sei a metano.
Dopo il conteggio dei mezzi su strada, Atb conferma che è stata fatta
una «scelta prudenziale»: gli autobus elettrici, che hanno un'autonomia
di carica giornaliera pari a circa 180 chilometri, vengono usati
soltanto per 120 chilometri e poi portati in deposito. «Questa è ancora
una fase di test — spiega l'azienda di trasporti —, e si è deciso di
fare questa scelta prudenziale. Bergamo è la prima città in Italia a
inaugurare una linea così innovativa, del tutto elettrica, e questo è
il prezzo da pagare». Così, oltre ai 12 autobus elettrici, ne circolano
altri a metano. Due al mattino, tra le 9.30 e le 11.30. Quattro tra le
15.30 e le 17.30 con un'ulteriore aggiunta di uno o due tra le 16 e le
17.
Atb non è ancora in grado di dire quanto durerà questo periodo di test.
«Dal 26 marzo — fa sapere l'azienda — si passerà a una seconda fase: il
metano andrà a ridursi. Si comincerà a togliere un autobus a metano o
forse due». L'obiettivo, però, resta il «full electric». «Anche lo
stile di guida degli autisti può influire sul consumo dei mezzi —
spiega l'assessore alla Mobilità Stefano Zenoni —. Questa fase di
sperimentazione è necessaria anche per tarare la carica della batteria.
Serve ancora qualche settimana di prove, ma l'obiettivo resta avere una
linea del tutto elettrica. Se poi si scoprirà che dovremo comprare
ancora uno o due pullman elettrici, lo faremo. Saranno i risultati di
questi test a dircelo».
Nelle prossime settimane verranno completati anche i lavori sulle
ultime tre pensiline smart (in totale sono 16) ancora spente, quelle di
via Frizzoni, dell'ospedale e di piazza della Libertà. Si stanno
concludendo i lavori per gli allacciamenti elettrici. Quelle di via
Frizzoni e dell'ospedale dovrebbero essere accese e funzionanti entro
la fine di marzo. Quella di piazza della Libertà — dove sono stati
fatti lavori in più rispetto alle altre pensiline per la posizione
particolare (ci sono parecchi sottoservizi) —
|