LASCIATECI
STARE
Tra un mese l'Italia dovrà approvare il DeF documento di economia e
finanza e bisogna che in Parlamento ci sia una qualche maggioranza che
lo costruisce e lo approva Così Salvini (Oggi. Domani chissà…?)«Stiamo
lavorando, entro aprile qualunque sia il governo c'è una manovra
economica da preparare. Leggo che Bruxelles vuole nuove tasse, noi
presenteremo una manovra alternativa fondata sul contrario: meno
tasse». E DiMaio: "sul Def, che arriva in Aula subito, entro il 10
aprile, già inseriremo le nostre prime proposte". Intanto non ci sono e
le stanno preparando. Ai primi di ottobre 2017 le Aule del Senato e
della Camera avevani approvato lo scostamento sui conti pubblici
previsto dal Def, che fissava l'aggiustamento strutturale per il 2018
allo 0,3%.
Chissà se entro fine marzo riusciranno a rimettere in piedi il
nuovo Parlamento e nominare i due presidenti. Nei primi tempi le acque
saranno sostanzialmente tranquille perché i neo arrivati hanno bisogno
di ambientarsi e capire l'aria che tira a destra al centro ed alla
sinistra anche perché adesso ci sono i debiti della campagna elettorale
da onorare e quindi chi sta a Roma ladrona dovrà passare per la banca a
concordare il rientro. Quindi altro che "elezioni anticipate"
visto che ci sono cinque anni di lauti stipendi da incamerare.
Adesso vediamo cosa combinano le aquile piddine visto che la partita è
altissima e durissima: mettere davanti alle proprie responsabilità non
solo le forze politiche prime e seconde ma anche il presidente
della repubblica e la corte costituzionale che ha demolito le varie
riforme. Oltre che un mondo esterno, con al primo posto la stampa, che
ha fatto la grancassa per l'esito del referendum.
Oggi come oggi ne il centrodestra ne i pentastellati sono capaci
di proporre un DeF che sia "votabile" da entrambi e neppure dal
PD e quindi qualcuno dei due dovrà cominciare a smentire le sue
promesse elettorali.
Intanto la stampa si schierata e ha dato il la: il PD deve allearsi coi
cinque stelle per il bene della patria. Hai voglia. Ovviamente
dall'altra parte c'è chi predica che il PD deve allearsi con Salvini
per il bene della patria. Hai voglia.
E stateci lontani. Non rompete troppo. Avete vinto e adesso tocca a voi sbrogliare la matassa.
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L'Italia oltre i conti: un Paese senza nati e migranti è sostenibile?
L'Ue ci mette in guardia sui nodi di lungo periodo: poche nascite, fuga
di cervelli e un'immigrazione che non colma il vuoto. Il debito? Frutto
di un sistema squilibrato. Che il nuovo governo dovrà provare a
sistemare.
Giovanna Faggionato
Il nostro debito, secondo la Commissione europea, «non ha ancora
imboccato un percorso di ferma discesa». E il Paese è uno dei tre Stati
su 28, con Cipro e Croazia, a presentare squilibri eccessivi. Ma il
giudizio finale sui conti, come ha spiegato Lettera43.it, è rimandato:
servono i dati definitivi di Eurostat che deve capire se timbrare le
stime dell’Istat sul debito che permetterebbero all’Italia di evitare
una procedura di infrazione (come anticipato già a novembre uno dei
motivi del contendere è la stima della spesa per la risoluzione delle
due banche venete). Ma serve soprattutto capire come si comporterà il
governo: se presenterà aggiustamenti al programma di stabilità o se
come tanti altri Paesi in situazioni politiche incerte o in attesa di
un nuovo esecutivo manterrà i conti invariati.
UN PROBLEMA PER IL NUOVO GOVERNO. Per ora la seconda ipotesi sembra la
più accreditata. E a questo punto, a inizio maggio, la Commissione
deciderà se chiedere un aggiustamento dei conti oppure rimandare
ancora. Ma il rapporto sul nostro Paese pubblicato dall’esecutivo
europeo il 7 marzo va ben oltre: se dice infatti che la sostenibilità
del nostro debito non pone problemi nel breve periodo, il ragionamento
è differente sul medio e sul lungo. Spiega a qualunque leader o tecnico
andrà al governo quali sono i veri fattori di rischio che minano il
sistema: la spesa per le pensioni che qualcuno vorrebbe aumentare,
mentre il mondo delle imprese non è abbastanza produttivo e la
demografia è una somma di vuoti, nuovi nati che mancano o i giovani che
se ne vanno o i migranti che non sono abbastanza per colmare il gap.
Il rapporto tra crescita e interessi da pagare sul debito, è scritto
nel report, è sceso dai livelli pre crisi dell’1,2 all 0,9 nel 2017 e
arriverà allo 0,3% nel 2018. Quindi al momento l’Italia non sembra
affrontare rischi una sfida di sostenibilità nel breve termine. Ma nel
medio invece quegli stessi rischi diventano “marcati”. La Commissione,
in ottemperanza alle regole del Fiscal compact, cita l’avanzo primario,
passato dal 3,3 del 2015 all’1,6 del 2018. Ma aggiunge anche che una
analisi della sostenibilità del debito conferma alti rischi se la
politica monetaria accomodante della Bce finirà. Il nostro debito
rimarrà attorno al 130% del Pil anche tra undici anni se la spesa per
gli interessi crescerà in linea con la fine del Quantative easing e il
Paese manterrà costante un avanzo primario dell’1,1% nel 2019. Solo con
un avanzo primario del 4% entro il 2024 riusciremo a ridurre il debito
al 107% nel 2029.
QUESTIONE DI PENSIONI E DEMOGRAFIA. Cosa succederebbe invece se per
esempio il nuovo governo andasse a ritoccare il sistema pensionistico?
Entro il 2029 il debito sarebbe già cresciuto al 136%. Come è noto il
dibattito sul rispetto delle regole del deficit e del debito in Italia
è aperto. La Commissione europea ovviamente è tenuta a difendere le
regole che si sono dati i leader Ue a Maastricht e poi con il Fiscal
Compact. Ma nella sua analisi mette in fila alcuni elementi di cui
chiunque chiamato a governare l'Italia, con qualunque ricetta
possibile, dovrà tenere conto: le pensioni appunto, la situazione
demografica, la profonda mancanza di competitività.
Nel 2015 il numero di laureati e lavoratori altamente qualificati in
uscita dal Paese è aumentato del 13% rispetto all'anno precedente.
Oltre alle politiche della Bce che hanno agito nel medio termine, sul
lungo periodo è stata la riforma pensionistica - la legge Fornero, ma
anche gli interventi che l'hanno preceduta - ad assicurare la
sostenibilità delle finanze pubbliche italiane, tutte sbilanciate a
livello di welfare e spesa pubblica sugli assegni pensionistici. Il
problema è il Pil è diminuito e quindi la spesa per le pensioni è in
proporzione aumentata e non di poco: circa due punti percentuali. Ma
intanto l'Italia aveva la riforma considerata più sostenibile in Europa
e anche quella più "equa" nei confronti dei giovani, cioè di chi deve
pagare gli assegni di chi ha già lasciato il lavoro. Ora, secondo
l'esecutivo Ue, i ritocchi del 2017 e del 2018 al sistema pensionistico
hanno fatto tornare l'Italia a un livello di rischio medio. E adesso,
sempre secondo i calcoli della Commissione, per mantenere pensioni e
debito allo stesso livello dovremmo mettere da parte ogni anno un
avanzo primario pari al 2,2% del Pil. E qui arriva l'avvertimento tra
le righe a chiunque vada al governo, tra invecchiamento della
popolazione e maggiore spesa sanitaria - entro il 2025 gli ultra 65enni
saranno il 24,9% degli italiani - , eventuali altre modifiche al
sistema pensionistico possono mettere a rischio la sostenibilità del
sistema, destinata a diventare via via più complessa.
Dal 2015 gli arrivi di migranti non sono stati sufficienti e la popolazione ha iniziato a diminuire ufficialmente.
Si potrebbe replicare che la risposta a queste sfide è la crescita. E
giustamente. Però la produttività italiana è ancora molto bassa
rispetto alla media Ue e, mentre la spesa per le pensioni è attorno al
15% e quella per la sanità al 7, la spesa per istruzione «ha continuato
il suo percorso decrescente iniziato nei primi Anni 2000 quando era
dell'11,2%: oggi è all'8,6». Vista da Bruxelles l'Italia ha anche un
problema di sistema produttivo non da poco. «Le imprese italiane», si
legge nel rapporto sul nostro Paese, tendono a usare relativamente poca
tecnologia rispetto alle imprese degli altri Stati Ue, soprattutto a
causa di prassi di management meno efficienti. Questo è parzialmente
legato all'orientamento chiuso alla famiglia di molte imprese
famigliari, specialmente piccole e medie imprese che limita
drasticamente il bacino dal quale vengono reclutati i manager futuri.
Tutto questo in aggiunta a bassi investimenti in ricerca e sviluppo e
una distribuzione inefficiente di risorse tra settori.
RECORD DI PARTENZE DAL 1990. Il risultato di tali fattori combinati è
un aggravamento del brain drain: la grande fuga. «A gennaio 2017 circa
5 milioni di italiani», ricorda il rapporto, «sono stati ufficialmente
registrati all'estero (circa l'8,2% della popolazione totale), ma il
numero totale di emigranti è probabilmente più alto. Nel 2015 il numero
di laureati e lavoratori altamente qualificati in uscita dal Paese è
aumentato del 13% rispetto all'anno precedente. Inoltre, il 40% degli
emigranti sono giovani (18-34 anni). È interessante notare che
l'emigrazione di persone altamente qualificate è particolarmente forte
nelle regioni meridionali, dove dal 2014 il saldo migratorio netto è
diventato negativo». Secondo la fondazione Migrantes, il numero di
emigranti è aumentato del 60% dal 2006. A questo punto come si fa a
crescere? Servirebbero molti nuovi nati per mantenere in piedi le
finanze pubbliche.
LA VERA PARTITA PER IL PAESE. Finora, mentre gli italiani non facevano
figli, il saldo è stato mantenuto positivo dall'arrivo dei vituperati
migranti. Ma dal 2015 gli arrivi non sono stati sufficienti e la
popolazione ha iniziato a diminuire ufficialmente, il 2014 e il 2015
sono stati gli anni in cui si è registrato il minor numero di arrivi di
migranti dal 2002. E questo mentre si parlava di continua emergenza. E
contemporaneamente il maggior numero di partenze dal 1990. Bisognerebbe
certamente sostenere le famiglie, e soprattutto cercare di inserire più
donne al lavoro: da anni ormai in ogni studio il basso tasso di
occupazione femminile è citato come uno dei principali freni alla
crescita in Italia. Ma le politiche sociali sono inadeguate su questo
fronte. E ora chiunque governerà dovrà fare i conti con questo puzzle
in cui i pezzi rischiano di non incastrarsi. O almeno gli elettori
dovrebbero chiedergliene conto, perché è qui che si gioca la vera
partita per il Paese.
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