C'è
una cosa che spaventa più del fascismo (che pure è spaventoso un bel
po'). Questa cosa è spiegata molto bene in un bel libro del quale si
parla tanto, La conoscenza e i suoi nemici di Tom Nichols, che è un
professore di Harvard molto preoccupato. Non lo preoccupa l'ignoranza —
che è un vecchio problema — ma il fatto che l'ignoranza sia diventata,
per molti americani, “una vera e propria virtù”: e questo è un problema
decisamente nuovo. Così nuovo da essere inedito: una menomazione della
quale liberarsi è diventata, forse per la prima volta a memoria d'uomo,
una condizione da rivendicare come antidoto alle competenze, che sono
(si sa) solo la foglia di fico dell'establishment e della “casta”. In
termini di cronaca, questo è (in buona parte) il grillismo. In termini
storici, forse il fenomeno precede, e di parecchio, il grillismo; e
anche internet nei suoi aspetti nefasti. Dopo avere letto il libro di
Nichols ho pensato che forse il problema è il consumismo: se quello che
conta è ciò che si ha, ciò che si sa passa in second'ordine. Anzi,
sapere potrebbe ostacolare il consumare. Ipotesi di lavoro: il
consumatore perfetto è l'ignorante, e l'ignorante perfetto è il
consumatore. Si dovrebbe rileggere Marcuse, L'uomo a una dimensione.
Ricordo vagamente, mezzo secolo dopo, il discorso sui “falsi bisogni”.
La cultura è un bisogno vero, dev'essere per questo che è così
impopolare.
Michele Serra
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Il
problema è che cosa significa vincere con una legge elettorale
destinata probabilmente a proclamare più o meno tutti vincitori; e
tutti, quindi, parzialmente sconfitti. Il giochino ormai è perfino
stucchevole. Il M5S dice che vincerà il primo partito in termini di
voti: perché non è alleato con nessuno e dunque fa valere questo
aspetto, confidando nei sondaggi. Il Pd si vede primo come partito e
gruppo parlamentare, sperando nei voti della sua mini-coalizione. E il
centrodestra assegna la palma della vittoria alla coalizione, perché,
per quanto diviso, è quello che sembra interpretare meglio le dinamiche
di una riforma circondata da molte perplessità.
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Il
candidato premier del M5s, Luigi Di Maio, ha scelto la squadra di
governo: "Sarà di 18 componenti". Prima indicazione di tutte: Sergio
Costa, Generale di Brigata dell’Arma dei Carabinieri e comandante della
Regione Campania dei Carabinieri forestali. Il quale ha pensato bene di
filarsela per qualche giorno in licenza mentre i suoi colleghi
acquisiti (cioè i «carabinieri veri» e non quelli ex corpo
forestale pare non abbiamo gradito affatto la sua scelta mentre era
ancora in servizio.
Per gli altri adesso sappiamo di Pasquale Tridico, economista,
dell'università di Roma tre, al Lavoro; Alessandra Pesce, ex dirigente
del ministero, all'Agricoltura; Giuseppe Conte, professore di diritto
privato, alla "P.a., deburocratizzazione e meritocrazia"; Lorenzo
Fioramonti, docente di Politica economica a Pretoria, allo Sviluppo
economico e l'olimpionico Domenico Fioravanti allo Sport.
Di Maio: "Esperti con testa e cuore" - "Noi veniamo da un'epoca di
tecnici che portavano avanti dottrine ma non si erano mai sporcati le
mani. Lo spirito con cui li abbiamo presentati è quello di mettere le
persone giuste al posto giusto, con le loro competenze e la loro storia
personale. Se i cittadini ci daranno il consenso avranno una squadra di
persone che conoscono il settore che dirigono e la sofferenza delle
persone".
Scroscianti commenti ironici della casta sia per la trovata
pubblicitaria di chiedere udienza al Quirinale per presentare la lista
dei ministri, sia per il suo invio via mail (e la PEC?) sia perché
esattamente bravi ed esattamene coglioni come i predecessori (anche se
un Alfano o un Brunetta o un Salvini saranno sempre imbattibili).
Eppure la gggente c’è cascata o ci cascherà davanti alla sceneggiata pentastellata: visto che bravi!?
A noi ha fatto impressione la foto che pubblichiamo. C’era su tutte le
gazzette a stampa e digitali. Tutti agghindati (i maschi) col
medesimo abito. Tuti identici dalla testa alle scarpe. Due solo
differenze: il gilet lanoso di Giuseppe Conte e la cintura di Lorenzo
Fieramonti. Buttateli fuori subito questi due!.
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Lanciano
le gazzette che il Jurassic Park ha un nuovo indirizzo: Museo Caffi,
piazza Cittadella. Cinquantadue dinosauri di ogni dimensione scalpitano
nell'allestimento della mostra «Noi abbiamo 100 anni, loro molti di più
- Dinosauri al museo» che celebrerà il secolo di vita del Museo di
scienze naturali di Città Alta. E come nel film, c'è già qualche
dinosauro a spasso per la città. Fresco del nuovo ingresso per
piazzarvi la biglietteria -. bellissimo l’interno, cazzoso
l’esterno- decolla la celebrazione del centenario di un museo
ormai diventato inutile. Come tutti gli altri due della Cittadella.
Sostanzialmente non svolgono ricerca e funzionano solo come supporto
per le scuole. Cioè sono uno dei tanti passatempi «intelligenti»
che la scuola e in generale molta parte del pubblico impiego nazionale
ha messo in piedi per guadagnarsi la pagnotta in vita e la
pensione in attesa della morte. Una sorta di reddito di cittadinanza
ante litteram. Oppure quello dei forestali calabresi.
Adesso celebrano il centenario ed hanno disseminato la città di bestie.
Come se la città fosse priva di bestie. Bipedi. Quadrupedi. Quadrumani.
Lasciamo perdere città bassa disseminata di animali di plastica. Ma che
pure in Cittadella ne montassero uno proprio non ce lo spettavamo.
Sentiamo la mancanza di uno in Piazza Vecchia.
Il tutto costerà 300mila euro che calcolano di ripagarselo coi
biglietti d’ingresso. Dubitiamo. Come vorremmo sapere se quegli
«animali» siano stati acquistati o noleggiati dal museo o dal comune
perché non vorremmo trovarceli in pianta stabile nelle piazze
della città.
Ci sarebbe da vergognarsi solo dell’idea di piazzare «Diplodoco di
plastica alto nove metri» in Cittadellla (solo per la durata della
mostra?) visto che le auto parcheggiate fanno ribrezzo mentre la piazza
vuota che pare il cortile di una caserma (in effetti era una caserma)
col fondo pieno di merda come s’è visto quando hanno rifatto il
marciapiedi. Già le bestie sono state attentamente esaminate dagli
alunni delle scuole di Colle Aperto che si sono interrogati sul come
perché quanto il diplodoco non abbia gli attributi. Cento anni or sono
un museo in città aveva un senso visto che il 999/1000 di persone non
visitava altri comuni se non quelli confinanti col proprio. Non
sapevano neppure se ci fosse una qualche rara università ma sapevano
che c’erano i seminari (dovrebbero esser nati dopo il 1563 Concilio di
Trento). Figli di nessuno, senza una università alle spalle, con pochi
o zero soldi, pubblicazioni poche o nessuna tanto vale siano consegnati
al ministero della P.I. che li mantenga e li integri nei programmi e
progetti scolastici liberando del costo il Comune. idem per l’Orto
Botanico. Qualche spiritoso diceva che «con la cultura non si mangia».
Coi tre musei di Piazza Cittadella ci mangiano i pochi dipendenti e i
pizzaioli di città alta. In compagnia di un diplodoco. Per dare ragione
al primo.
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