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Abbiamo costretto il custode delLa Latrina di Nusquamia, l'ing. Claudio Piga, un sardAgnolo abduano con ascendenze garibaldine dalla Valcamonica che ha fatto il liceo dai preti a Cagliari (felicemente annusando le puzzette lasciate sui banchi da Antonio Gramsci) e il Politecnico di Milano con la mitica Ajroldi Vasconi a insegnargli analisi matematica, a perdere mezzora di sonno  in quanto assiduo “vigilante” del nostro blog per esercitarsi nella sua specialità: combinare falso su falso per costruire la propria verità.
Gli ricordiamo di nuovo:
1 - il custode delLa Latrina di Nusquamia, l'ing. Claudio Piga non ha uno straccio di “cacata carta” che lo autorizzi a fare il maestrino di greco. E' uno dei tanti bulletti autodidatti che circolano in rete.
2 - il custode delLa Latrina di Nusqua- mia, l'ing. Claudio Piga non ha uno straccio di “cacata carta” che lo autorizzi a fare il maestrino di latino. E' uno dei tanti bulletti autodidatti che circolano in rete.
3 - il custode delLa Latrina di Nusquamia, l'ing. Claudio Piga non ha uno straccio di cacata carta in forma di laurea che lo autorizzi a fare l'esperto di composizione tipografica. E' uno dei tanti bulletti autodidatti che circolano in rete. Noi (almeno) qualche corso della Adobe l'abbiamo frequentato.
4 – Il nonno del custode delLa latrina di Nusquamia “abitò fuori Bergamo a Boccaleone” (dove ci si arrivava col passaporto… ) poi per la buona volontà di una nonna salvò capra e cavoli. Adesso ci viene rivelato che il (bis)nonno era pure uno dei tanti burocrati spediti da Roma ladrona a saccheggiarci e prendere lo stipendio a ufa. “Poi mio bisnonno (amministratore di ente pubblico) si ristabilì economicamente e tornò (dall'estero: da Boccaleone) a Bergamo città”. Come da inchiesta mani pulite.
E’ necessario separare i bilanci per pensioni e prestazioni. Le uscite pari al 57,3% delle entrate.
di Enrico Marro

La spesa per le pensioni, dopo tutte le riforme, è sotto controllo e, contrariamente a quanto si creda, è sostanzialmente in linea con la media Ue. Ciò che invece appare fuori controllo è la spesa per l'assistenza sociale, a totale carico della fiscalità generale. Si tratta di circa 33 miliardi di euro nel 2016 tra pensioni d'invalidità, indennità di accompagnamento, pensioni sociali, integrazioni al minimo e altro ancora. Di qui la necessità di separare il bilancio della spesa per le pensioni da quello per l'assistenza. Questo, in sintesi, il messaggio del quinto Rapporto sul sistema previdenziale italiano messo a punto da Itinerari previdenziali e presentato ieri alla Camera. «Abbiamo imbullonato il sistema delle pensioni e si è scaricato tutto sulle prestazioni assistenziali», spiega Alberto Brambilla, presidente di Itinerari previdenziali ed ex capo del Nucleo di valutazione della spesa presso il ministero del Lavoro, che fino al 2012 ha prodotto un rapporto simile. Mentre nel 2003 le prestazioni previdenziali rappresentavano il 62,4% di tutti gli assegni liquidati quell'anno contro il 37,6% di quelle assistenziali nel 2016 il rapporto si è capovolto: le nuove prestazioni assistenziali sono state il 53,2% del totale, quelle previdenziali il 46,8%. Passando allo stock, su 16 milioni di pensioni in pagamento, quelle totalmente o parzialmente assistite sono 8,2 milioni, il 51%.
Quest'anno il volume preparato da un gruppo di studiosi del welfare vuole offrire un punto di vista diverso, che ha suscitato un vivace dibattito già durante la presentazione fra lo stesso Brambilla e il consigliere economico della presidenza del Consiglio, Marco Leonardi. Quest'ultimo, infatti, ha criticato l'impostazione del rapporto, osservando che una eventuale separazione del bilancio della previdenza da quello dell'assistenza non risolverebbe i problemi, tanto più se lo scopo fosse quello di spendere di più per le pensioni, perché a causa dell'invecchiamento della popolazione «non c'è affatto da stare tranquilli» sul futuro. Un punto quest'ultimo condiviso anche dal viceministro dell'Economia, Enrico Morando. Del resto, lo stesso Brambilla ha sottolineato che per tutto il welfare, cioè «sanità, pensioni e assistenza spendiamo il 57,3% delle entrate, più della Svezia». Il presidente di Itinerari previdenziali ha però tenuto il punto, dicendo che la separazione della previdenza dall'assistenza è necessaria sia per non dare informazioni sbagliate alla Commissione europea che poi chiede nuovi tagli alle pensioni sia per «evitare ulteriori travasi» si spesa a svantaggio di chi lavora. Promettere, per esempio, come sta avvenendo in campagna elettorale, di portare le pensioni minime a mille euro significa fare assistenza a favore di chi non ha versato contributi, mentre altri propongono di tagliare le cosiddette pensioni d'oro che però spesso hanno alle spalle molti versamenti. Polemiche a parte, vale la pena di ricordare che di separazione tra previdenza e assistenza si parla da una ventina d'anni e che la legge di Bilancio prevede che se ne occupi una commissione di esperti. Sarà la volta buona?
Per il resto il rapporto è ricco di spunti. C'è per esempio un focus sulle pensioni e vitalizi degli organi costituzionali: Camera, Senato, presidenza della Repubblica, Corte costituzionale. Si va dai 199 mila euro lordi in media per i vitalizi in pagamento a 22 ex giudici della Consulta ai 73 mila euro medi per i vitalizi a 1.464 ex deputati ai 67 mila euro per quelli di 810 ex senatori fino a circa 56 mila euro per il personale di Camera e Senato in pensione (53 mila euro per quelli del Quirinale e della Corte costituzionale) . Infine, i vitalizi in pagamento per gli ex consiglieri regionali sono 2.580 e ammontano in media a 47 mila euro lordi all'anno.

Mezzo milione di nuovi posti ma con più precari
Rosaria Amato

Il saldo è sempre positivo, 488.000 assunzioni in più nel 2017. Ma l'effetto “travaso” tra i rapporti a tempo indeterminato e quelli a tempo determinato è sempre più evidente, soprattutto per i giovani, la fascia di età che più ha beneficiato degli incentivi per le assunzioni. Secondo l'Osservatorio del Precariato dell'Inps, infatti le assunzioni a tempo indeterminato si sono dimezzate tra il 2015 e il 2017: per la fascia fino a 24 anni nel dicembre 2015 si erano attestate a 243.514, due anni dopo si sono fermate a 120.180. Va così anche per la fascia di età successiva, da 25 a 29 anni: si passa da 301.435 a 152.486. Anche per i lavoratori più maturi i contratti a tempo indeterminato si riducono, ma in misura minore. D'altra parte, crescono invece del 27,3% sul 2016 i contratti a tempo determinato.
Calano anche le trasformazioni dei contratti a termine e di apprendistato in contratti a tempo determinato, anche per l'attesa dei nuovi sgravi in vigore dall'1 gennaio 2018, ricorda l'Inps.
Tornano in auge le tipologie di lavoro più precarie, probabilmente anche per sostituire i voucher, in parte aboliti: i contratti di somministrazione crescono del 21,5% in un anno, quelli a chiamata del 120%, passando da 199.000 a 438.000. Ci sono solo due categorie di lavoratori per i quali crescono le assunzioni a tempo indeterminato: si tratta di quadri e dirigenti.
Dati che fanno dire ai sindacati che non basta che l'occupazione aumenti (anche se in effetti sono aumentate anche le domande di disoccupazione, il 3,3% in più sul 2016), bisogna lavorare sulla «buona occupazione», sottolinea il segretario confederale Cisl Gigi Petteni. Mentre per la leader della Cgil Susanna Camusso l'emorragia dei contratti a tempo indeterminato dimostra che non si è nemmeno «scalfita la disoccupazione sociale».



Marco Ruffolo
C'è oggi in Italia una percezione della precarietà che va ben al di là delle statistiche. Le quali ci dicono, come ricorda il sociologo del lavoro Emilio Reyneri, che tra il 2013 e la fine del 2017 i lavoratori a termine sono saliti solo dal 15 al 16% del totale, in linea con l'Europa.
E tuttavia, di fronte a una crisi economica che negli ultimi dieci anni ha decimato produzione e lavoro e che ha raddoppiato i poveri, quelle statistiche acquistano un sapore molto più amaro.
Così come quelle sulla disoccupazione, in calo sì, ma sempre a due cifre. E ovvio, quindi, che buona parte dei programmi elettorali dei partiti, in vista del voto del 4 marzo, sia dedicata al lavoro. Con proposte che vogliamo spiegare non semplicemente elencandole, ma cercando di capire come intendono rispondere ai problemi di quattro figure-tipo di lavoratori, rappresentate qui da altrettante persone reali. In questa prima puntata dell'inchiesta, parleremo di due figure per le quali la precarietà raggiunge forse il suo culmine: il giovane “rider” che consegna pranzi a domicilio, e la neomamma costretta a navigare a vista tra contratti a tempo e disoccupazione.
Che cosa dicono i partiti a Giorgio, fattorino della Sgnam, startup bolognese dei pranzi porta a porta?
Cosa dicono a Claudia, commessa napoletana laureata, lasciata a casa non appena è rimasta incinta?