A Berlino e Parigi si ridisegna l'euro (e l'Italia lo ignora)
Federico Fubini
Sembra che non corrano le Alpi, ma oceani e decenni di separazione fra
l'Italia attuale da una parte e, dall'altra, il discorso sull'Europa
che stanno sviluppando Francia e Germania. In Italia quasi tutti i
partiti in campagna elettorale si occupano di promesse surreali di
spesa o taglio delle tasse, senza neanche pretendere di essere creduti
alla lettera: a loro basta richiamare l'attenzione di un elettorato
sempre più cinico. Nel frattempo fra Francia e Germania va avanti da
tempo — ma ora è a un punto di svolta — il lavoro per ridisegnare le
regole di bilancio e nel rapporto fra banche e debito pubblico nei
Paesi dell'area euro. In Italia non se ne parla. Fra francesi e
tedeschi invece dell'Italia si parla moltissimo e a lei si pensa ancora
di più. Sembrano in effetti concepite avendo in testa soprattutto (non
solo) con l'incognita del debito italiano, molte delle proposte che
ieri hanno pubblicato in comune quattordici economisti francesi e
tedeschi. E appartengono a un altro mondo rispetto alle promesse della
campagna elettorale italiana.
Al posto dei limiti di deficit nati a Maastricht, poi rafforzati — e
complicati — con il Fiscal Compact, dovrebbe nascere una regola
semplice e stringente: tetti alla spesa nominale (calcolata cioè nel
suo ammontare in euro) fissati su misura per ogni Paese, con
l'obiettivo di far scendere rapidamente il debito. Niente più limite
del 3% nel rapporto fra deficit e prodotto lordo. Sparisce anche
l'obiettivo del pareggio di bilancio, calcolato in modi sempre più
astrusi. Però nelle proposte degli economisti francesi e tedeschi il
costo della violazione delle regole diventa immediato e automatico:
qualunque spesa pubblica oltre le soglie indicate andrebbe finanziata
emettendo titoli di Stato «subordinati». Oggi questo tipo di bond
esiste solo per banche e imprese: sono i primi titoli a trovarsi
esposti a default in caso di crisi, e sarebbero soggetti a un rinvio
dei rimborsi per tre anni se il Paese richiede l'intervento del fondo
salvataggi Esm. In quest'ultimo caso, inoltre, lo stesso fondo
salvataggi imporrebbe la ristrutturazione del debito di un Paese — una
sorta di default pilotato — se giudica che la situazione finanziaria
non sia comunque sostenibile. Così l'approccio complessivo già
applicato alle banche si trasferisce in buona parte alla vigilanza
sulla finanza pubblica dei Paesi dell'euro. In contropartita, per la
prima volta in Germania si apre uno spiraglio a un fondo comune
dell'area euro per finanziare e stabilizzare — dietro precise
condizioni — i Paesi colpiti da choc economici.
Quanto alle banche, anche qui le concessioni arrivano a caro prezzo. In
Germania per la prima volta si accetta di procedere verso
un'assicurazione europea sui depositi. Ma a due condizioni, per
l'Italia, draconiane: le banche dovrebbero far uscire dai propri
bilanci buona parte dei titoli sovrani del proprio Paese e dovrebbero
svalutare a zero anche i crediti deteriorati esistenti, anche quelli
coperti da garanzie. Per le banche italiane si aprirebbe un buco
immediato di capitale da decine di miliardi di euro. Nessuno dei
quattordici economisti franco-tedeschi si esprime a nome del proprio
governo, ma molti rivestono ruoli attuali o del passato recente di
consiglieri del presidente Emmanuel Macron a Parigi o del governo a
Berlino. Uno dei firmatari, Philippe Martin, con un'emblematica scelta
di tempo è stato nominato ieri presidente del Consiglio di analisi
economica del governo francese. Quello di quei quattordici non è dunque
un accordo ufficiale fra Parigi e Berlino. È semplicemente un bel
passo, attentamente studiato, in quella direzione.
|
E se De Benedetti si riprendesse Repubblica?
La rottura con Scalfari è difficilmente sanabile. E anzi può essere il
preludio di clamorosi colpi di scena, come il tentativo dell'Ingegnere
di rimettere le mani sul quotidiano. Il ruolo di Elkann e i possibili
incroci con Murdoch.
Giovanna Predoni
Interviste, comunicati, prese di distanza, rotture clamorose come
quella che si è consumata tra Carlo De Benedetti ed Eugenio Scalfari, a
colpi di «ingrato, l’ho riempito di miliardi» e il «me ne fotto»
scagliato dal fondatore di Repubblica all’indirizzo dell’Ingegnere.
Strascichi inevitabili all’interno di una famiglia dove idee e passioni
verso il rutilante mondo dei giornali non collimano. Da un lato i tre
figli, cui il padre ha regalato le aziende e sembrava essersi chiamato
fuori, che ora però non gradiscono interferenze e soprattutto la fronda
del padre contro l'asset editoriale del gruppo. Dall’altro l’Ingegnere,
che reagisce come un animale ferito di fronte alla linea di Repubblica
da lui accusata di aver perso la sua constituency, il primato di
quotidiano politico abituato a dettare lui l’agenda della politica.
Vicenda appassionante, non foss’altro che Repubblica è un pezzo di
storia di questo Paese, ed è crocevia di mondi che toccano tutto
l’establishment, poteri comunque forti, anche se oggi frastagliati e
orfani di una visione che superi il corto raggio. Ma dopo la tempesta
di questi giorni le acque si calmeranno, magari con i vari protagonisti
che per il bene del giornale (da tutti almeno a parole ritenuto da
tutelare) decideranno di gettare acqua sul fuoco? Nemmeno per sogno.
IL PATTO DI FAMIGLIA. Il polverone sollevato, lungi dal diradarsi,
sembra il preludio di possibili clamorosi colpi di scena. Il primo
parla addirittura di un tentativo di Carlo di riprendersi il giornale.
Ma non aveva ceduto le aziende ai figli? Sbirciamo tra carte e segreti.
La maggioranza di Cofide è controllata da Cdb&Figli Sapa che fa
capo ai tre figli Rodolfo, Marco ed Edoardo. Il passaggio generazionale
era stato perfezionato nella primavera del 2013 quando la quota di
controllo della finanziaria era finita in una società che si chiama
Segreto Fiduciaria Spa. La cessione era avvenuta usando un particolare
istituto giuridico, il patto di famiglia. L'obiettivo dell'Ingegnere
era evitare eventuali liti ereditarie anticipando la successione e
garantendo la compattezza e la continuità gestionale del gruppo.
Nello statuto, infatti, si legge che la società ha lo scopo di
mantenere la partecipazione di controllo nella società Cofide-Gruppo De
Benedetti Spa e di assicurarne la compattezza e continuità della
gestione nel tempo. L’assetto dell’accomandita, se il quadro non è
cambiato, non è però totalmente trasparente. Non si conosce, per
esempio, la ripartizione delle quote tra i figli. Inoltre, l'Ingegnere
potrebbe ancora avere l'usufrutto con diritto di voto su qualche quota.
In attesa della prossima riunione di famiglia, potrebbe addirittura
covare una clamorosa sorpresa.
GLI INTERESSI DEGLI AGNELLI.
Carlo è così arrabbiato, lo descrivono gli amici più intimi, che
potrebbe cercare di ribaltare il tavolo e riprendersi la gestione del
gruppo. Magari cercando nuovi alleati internazionali (leggi Axel
Springer). Ma in Gedi, la neonata casa editrice che raggruppa
Espresso-Repubblica e La Stampa, la famiglia De Benedetti non è l’unica
azionista, pur detenendo saldamente la quota di maggioranza. C’è anche
la famiglia Agnelli, ed è nota la propensione di John Elkann per la
carta stampata. Infatti, l’accordo che ha creato il mega polo
editoriale nasce più dalla volontà di Torino e del ceo di Cir, Monica
Mondardini, che dalla testa di Carlo. È poi risaputo nelle segrete
stanze che Rodolfo, Marco e Edoardo, di fronte a una allettante
offerta, cederebbero volentieri le partecipazioni nell’editoria, un
business che non hanno mai particolarmente amato e che in passato fu
fonte di discussioni proprio con il padre. Insomma, si sta prefigurando
il terreno ideale per un blitz. Al quartiere generale di Exor negano
qualsiasi interesse, ma gli operatori fanno giustamente notare che la
holding della famiglia Agnelli ha già una partecipazione superiore al
40% nel gruppo The Economist e sottolineano le grandi sinergie che si
potrebbero creare con Gedi. Magari invitando al tavolo Rupert Murdoch,
sempre più attento all’editoria dopo l’operazione con cui ha ceduto Fox
alla Disney.
|
Repubblica vendeva 196mila copie a novembre 2016 e sono crollate a 165mila a novembre 2017.
Guardando alla sua foliazione giornaliera rispetto a quella del concorrente milanese c’è da restare basiti.
Tutti i problemi di Repubblica stanno in quelle 35mila copie perdute.
L’uscita di Scalfari, Mauro e Giannini e l’arrivo di Calabresi e della
Montardini assieme alla fusione-nascita di Gedi non sono stati graditi
da una larga fetta di lettori. Pure il fallimento televisivo di
Giannini ha fatto comprendere i suoi limiti.
Lo schieramento antirenzista della maggior parte della squadra ha fatto il resto.
Pure la nuova grafica è stata presa dai lettori come un ulteriore passo
per «alleggerire» il giornale dei suoi contenuti. La creazione di R due
punti rossi che si può leggere solo a pagamento ha ulteriormente
danneggiato come un danno è l’impossibi lità di scaricare l’inserto del
lunedi o quello del venerdi.
Repubblica resta un buon quotidiano ma mi pare che sia complessivamente
prevedibile e invecchiato. Difficilissimo oggi trovare un buon
quotidiano nazionale. La nuova grafica lascia indifferenti. La
creazione di GEDI ha sostanzialmente spento Repubblica e
Calabresi ha dato il colpo di grazia. Sono invece interessanti le varie
fasi della battaglia tra Scalfari e DeBenedetti perché sono una sorta
di amarcord. Scalfari con la sua storia romana é un classico della
capitale e solo a Roma poteva nascere Repubblica dal momento che quella
E’ la fucina o la mangiatoia dove è nato il 90% della stampa italiana.
Quasi tutta fallita quando il grande sistema delle aziende pubbliche è
saltato.
Ovvio che Scalfari dia più agio al cavaliere: sono due editori che in
settori differenti hanno fondato se non due imperi due grandissimi
media. Gli unici nell’Italia repubblicana. Ovvio che un torinese
come DeBenedetti che aveva come modelli un Agnelli-Stampa o un
Crespi-Corriere abbia visto di buon occhio e quindi finanziato quel
romano che voleva fare un giornale nuovo:«Un giornale non è solo latte
e miele; è carne, è sangue. Può avere curve; ma deve avere anche
spigoli».
Adesso sono entrambi vecchi. Vecchissimi: Eugenio Scalfari ha 93 anni,
Carlo De Benedetti ha 83 anni. Queste sberle scambiate tra i due
padri fondatori non fanno bene al giornale. Che pensino a farlo fare
meglio.
|
Paladina-Villa
campa cavallo
Avete letto bene: l’artico lo del Corriere parla del tratto della
«SS470dir» da Paladina a Villa d’Almè. In questi mesi stanno
ristrutturando il tratto dal quadrifoglio con l’asse interurbano e ...
la piana di Paladina. In teoria questo tratto di strada doveva essere
già ristrutturato venti anni or sono. Forse di più.
non ci vuole molto ad immaginare cosa debbono attendersi sia i pendolari che i residenti.
Sarà un massacro.
In Valle Brembana occorrebbe investire non meno di 150 milioni per
concludere la strada e per rimettere in piedi la ferrovia fino a Piazza
Brembana: due arterie che farebbero rinascere questa valle. Facendo
finta di non vedere o sapere che da Sombreno (dove la vecchia ferrovia
della ValBrembana passa di fianco della Ss470dir) si potrebbe
tracciare una ferrovia-metropolitana lungo la Ss470dir che intercetta
alla Dorotina di Mozzo la ferrovia Bergamo Milano (via Carnate) e a
Dalmine la bretella ferroviaria proveniente da Verdello, sulla linea
FFSS da Bergamo a Milano via Treviglio.
Insomma: il sistema dei trasporti e della viabilità a ovest della città
va avanti a piccolissimi e assai tardivi passettini mentre occorrerebbe
fissarsi in dieci anni i tempi per concluderli.
Ghè mia i solcc!!!. Infatti: con 100 miliardi di evasione fiscale
nazionale i soldi non ci saranno mai. Probabilmente basterebbe
recuperare quella da Verdello alla testata della ValBrembana per
trovare quei 150 milioni necessari.
|
Paladina-Villa: c'è l'accordo, con lite sugli annunci
Verrà firmata alle 14.30 di lunedì 22.01.’18, in via Tasso, la
convenzione che sancirà l'accordo con Anas per il progetto di
riqualificazione della Paladina-Villà d'Almè. Si parla di 2 milioni e
950 mila euro che Anas anticiperà alla Provincia. «Sono molto
soddisfatto perché nel giro di tre settimane siamo riusciti a risolvere
ciò che non si è riuscito a risolvere in tre anni — afferma Roberto
Anelli, consigliere regionale leghista —. Finalmente la progettazione
definitiva potrà essere portata a compimento, grazie a una sinergia di
forze. Non voglio polemizzare con nessuno, ma se la Provincia si fosse
recata in Regione prima, avremmo risolto quest'annoso problema in tempi
più veloci». Lo scorso 19 dicembre, a Palazzo Pirelli, si era svolta
una conferenza tecnica, fra Anas e i rappresentanti di Provincia e
Regione, per affrontare il problema del secondo lotto della
tangenziale-Sud. Un incontro che si era concluso con un verbale firmato
e un po' di speranza, ma niente di più. Ieri, all'improvviso, la
notizia. «La richiesta esplicita di Anas era quella di non diffondere
la notizia prima di lunedì — afferma Matteo Rossi, presidente della
Provincia —, evidentemente qualcuno ha fatto finta di non sentire. Ma
questo è il risultato di chi, in questi anni, ha lavorato in silenzio e
non di chi vuole fare polemica». (f.r.)
|