Certo
è che quando si leggono le cifre dell'evasione fiscale in Italia e in
Lombardia ed assieme si leggono le varie proposte per superare la
povertà italiana, uno si frega le mani: basta far pagare le tasse ed
abbiamo risolto tutto, perfino la generosa generosità del
cavaliere. Se poi ci aggiungiamo la recente polemica sul salario minimo
garantito al di fuori dei contratti nazionali (tra i 5 o i 10 euro
l'ora) siamo a cavallo. Dire che siamo un paese dove tutti quelli che
possono appena ci riescono, evadono o eludono, ci sono le cifre e la
ricchezza esibita che lo testimoniano.
Le cifre dicono che non si combatte evasione ed elusione: altro che far
pagare a tutti gli utenti elettrici il canone tv ribassato. Ci
prendiamo in giro visto le cifra in ballo?.
La faccenda è assai complicata perché stabilire il salario della rumena
analfabeta che assiste un italiano altrettanto analfabeta con pensione
al minimo così com'è invece abbastanza facile costruire il salario del
tornitore di una macchina CNC della Brembo. E quanto si deve
pagare all'ora il ragazzotto che gira per la città a consegnare pacchi
(vedi foto...)? E l'impiegata comunale dell'anagrafe che redige le
carte di identità quanto merita all'ora? Non tocchiamo il mondo della
scuola altrimenti ci infiliamo in un alveare di vespe.
Senza contare che quando vai a fare la spesa e comperi tre
barattoli di polpa di pomodori da 1200 gr per 1,2 euro forse devi porti
delle domande. Come bisogna porsi delle domande com'è possibile che ti
arrivi un pacco in 24 ore sia che costi 20 euro che ne costi duecento
senza pagare la spedizione.
Il cittadino è stesso tempo consumatore, lavoratore dipendente quindi
uno che prende un salario ed uno che spende e quindi paga a sua volta
indirettamente dei salari. Adesso è messo di fronte al fatto che mentre
gode di determinati vantaggi come cittadino consumatore non vuole
vedersi ridurre il proprio salario quand'é cittadino-lavoratore.
Si può continuare.
Bisogna costruire un nuovo equilibrio tra le parti della società
altrimenti si ferma tutto. Tutti contro tutti. Pensiamo solo alla
banalità degli scioperi in Ryanair o alla Amazon. Inimmaginabili fino
ieri. Pensiamo ai bachi nei social o quelli nei chip.
Pensiamo a come dev'essere una società dove la vita di un uomo sarà
fatta di tanti lavori (in sequenza: speriamo per lui!) uno diverso
dall'altro così come appaiono venire avanti adesso per almeno due terzi
dei lavoratori. E'-sarà una società dove ci saranno degli uomini e
delle donne libere ed altri uomini ed altre donne che liberi non
saranno.
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Tempo di elezioni: tempo di promesse. Generose.
Silvio Berlusconi ha spiegato a radio 101 che: “c'è una emergenza che
più di ogni altra dovrà essere risolta quando il centrodestra tornerà
al governo e riguarda quei 4 milioni 750 mila italiani che vivono in
condizioni di povertà assoluta, un dato impressionante e
inaccettabile”. Da politico pratico che odia le chiacchiere, Berlusconi
ha già indicato la soluzione al problema: si chiama “reddito di
dignità” ed è una “misura drastica sul modello dell'imposta negativa
sul reddito del premio Nobel Milton Friedman”. L'Istat stima la povertà
assoluta in Italia in funzione del paniere di beni e servizi che una
famiglia dovrebbe consumare “per evitare gravi forme di esclusione
sociale”. Il valore del paniere è differenziato per tipo di famiglia e
area geografica. Il paniere viene confrontato da Istat con la spesa
delle famiglie, e in questo modo si ottengono i numeri citati anche da
Berlusconi: nel 2016, ultimo anno per il quale ci sono stime, 1,62
milioni di famiglie in povertà assoluta (il 6,3 per cento del totale),
dove vivono 4,74 milioni di persone (il 7,8 per cento del
totale).
Quale sarebbe il costo per garantire dignità? Se l'idea di dignità va
applicata agli individui, garantire un reddito di mille euro a tutti
quelli che oggi ne guadagnano meno è un obiettivo molto ambizioso per i
conti pubblici. Nel 2015, infatti, c'erano 15,2 milioni di contribuenti
con reddito complessivo dichiarato inferiore a 12 mila euro. Sulla base
delle dichiarazioni Irpef per l'anno 2015, si può calcolare che
integrare totalmente o parzialmente i loro redditi a 12 mila euro annui
potrebbe costare 98,5 miliardi.
Però per stimare quanto costerebbe un possibile reddito di dignità,
vanno individuati i poveri assoluti in base al loro reddito, non al
loro consumo. Per valutarne il costo per le casse dello stato si
possono usare i dati Eu Silc (Statistics on Income and Living
Conditions) relativi al reddito disponibile (cioè al netto di tasse e
trasferimenti statali) per un campione di circa 20 mila famiglie
nell'anno 2015. Il costo pro capite per ognuno dei 40,8 milioni di
contribuenti ricavati con un calcolo più appropriato sarebbe di 711
euro annui. Circa 28-30 miliardi di euro.
In questa versione, il reddito di dignità berlusconiano assomiglia
molto al reddito di cittadinanza proposto dal M5S (non a caso Luigi Di
Maio ha subito accusato Berlusconi di plagio). La differenza sta nel
fatto che il leader di Forza Italia sceglie come obiettivo la povertà
assoluta, mentre la proposta dei Cinquestelle guarda alla povertà
relativa, cioè considerando chi ha spesa (metodo tradizionale Istat) o
reddito disponibile (metodo comune Eurostat) inferiori a una certa
percentuale del valore medio o mediano nazionale della stessa
variabile. Per questo, la proposta del M5S coinvolgerebbe un numero più
elevato di famiglie. Il reddito di cittadinanza del M5S costerebbe
anch'esso circa 29 miliardi di euro all'anno (la cifra che serve per
colmare il divario tra la soglia di povertà relativa e il reddito dei
poveri relativi, secondo il metodo di calcolo della povertà relativa
usato da Eurostat). Otterrebbero il reddito di cittadinanza molte più
famiglie di quelle a cui si riferisce Berlusconi, circa il 19 per cento
(la quota di famiglie in povertà relativa è di solito maggiore di
quella dei nuclei in povertà assoluta), per un trasferimento mensile
medio di circa 500 euro. Ma circa la metà dei beneficiari riceverebbe
una cifra più alta.
Infine cosa ha fatto e sta facendo il governo. Coi provvedimenti
inclusi nelle ultime due leggi di bilancio, l'assistenza universale
alla povertà parte già da una base, il reddito di inclusione. Entrato
in vigore lo scorso dicembre, raggiungerà entro un anno circa 700 mila
famiglie, le più povere, corrispondenti al 2,7 per cento del totale. La
spesa relativa per il 2018 sarà di circa 2 miliardi (per una media
mensile di circa 240 euro a nucleo).
(NON) ultimo obiettivo la legge Fornero la cui abolizione è chiesta o promessa da forze di destra come di sinistra.
In Italia esistono due vie principali per raggiungere la pensione. Le
pensioni di vecchiaia richiedono in genere un requisito di anzianità
contributiva piuttosto basso (20 anni) e il raggiungimento di elevati
limiti anagrafici. Le pensioni anticipate prevedono invece requisiti
contributivi importanti (circa 42 anni di contribuzione), mentre i
limiti anagrafici passano in secondo piano.
Osservando i dati previsti dalle leggi appare in Italia sono richiesti
66 anni e 7 mesi per gli uomini (e un anno in meno per le donne)
dipendenti del settore privato per ottenere una pensione di vecchiaia;
in Germania sono invece necessari 65 anni e 5 mesi.
Ampliando l'analisi scopriamo che l'Italia si trova al secondo posto
per età pensionabile legale, dopo la Grecia. La Germania è in settima
posizione, a pari merito con la Spagna, mentre in Francia l'età della
pensione si raggiunge già a 62 anni. La media europea invece supera i
64 anni per gli uomini e i 63 per le donne, e rimane dunque al di sotto
dei livelli italiani. Qui è possibile scaricare i dati completi.
Tuttavia, alla prova dei fatti ciò che è realmente interessante non è
tanto l'età pensionabile legale quanto quella effettiva: ciò che
realmente incide è l'età effettiva, effetto di deroghe, flessibilità e
regole in mutamento.
In questo caso la classifica cambia. A fornirla è l'Ocse, relativamente
al 2014: per gli uomini l'Italia è solo 24esima, penultima tra i grandi
paesi europei prima della Francia. La vituperata Germania si posiziona
invece dieci posizioni più in alto, con un'età effettiva di
pensionamento di 62 anni e 8 mesi, contro i 61 anni e 5 mesi italiani.
Gli spagnoli abbandonano il lavoro poco dopo i 62 anni, gli inglesi
vanno in pensione molto tardi, a 64 anni. Per le donne, l'Italia è
nella seconda metà della classifica, dietro Spagna, Germania, Regno
Unito, ma ancora davanti alla Francia. In questo caso, la media europea
si attesta a 62 anni e 11 mesi per gli uomini e a 61 anni e 8 mesi per
le donne.
Nel 2017 la condizione italiana non appare mutata. Secondo il
bollettino dell'Inps relativo al primo semestre dell'anno in corso da
gennaio a giugno sono stati rilasciati 251.708 nuovi assegni
pensionistici. Prendendo in considerazione i soli lavoratori
dipendenti, e tra questi analizzando pensioni di vecchiaia (24.433) e
di anzianità (43.137), si nota che l'età effettiva di pensionamento
delle due sottospecie è di poco superiore ai 62 anni e mezzo (nel 2016
era stata pari a 62 anni e 2 mesi). Non sono frutto della medesima
metodologia applicata dall'Ocse, ma queste cifre possono comunque
mostrare un trend in rialzo che tuttavia è ancora lontano dal
raggiungere i livelli europei più virtuosi.
Alla luce dei dati reali attuali – per cui l'Italia risulta al di sotto
della media europea, dietro Germania, Spagna e Regno Unito – la
dichiarazione di chi denuncia che noi italiani adiamo in pensione più
tardi degli altri è sostanzialmente una balla. Il nostro virtuosismo
per ora rimane solo sulla carta.
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Evasione fiscale legata al lavoro: Lombardia maglia nera con 35,2 miliardi
Secondo la Cgia di Mestre 16,1 miliardi imputabili direttamente alle aziende nell'anno 2015.
Bergamo News / 09 gennaio 2018
È la Lombardia la Regione italiana in cui si registra la più alta
evasione imputabile direttamente alle imprese o alle partite Iva: nel
2015, ultimo dato disponibile, ammonta a 16,1 miliardi su un totale di
93,2.
È quanto emerge da un'indagine dell'Ufficio studi della Cgia di Mestre
che, pur sottolineando una diminuzione di 6 miliardi di euro rispetto
all'anno precedente, conferma la piaga: oltre ai 93,2 miliardi di
sotto-dichiarazione attribuibili alle aziende, al Fisco ne sfuggono
altri 77,4 ascrivibili al lavoro irregolare e 36,9 riconducibili ad
altre attività in nero o illegali come prostituzione, traffico di
stupefacenti e contrabbando di tabacco.
“Tra l'economia sommersa – evidenzia la Cgia – il valore aggiunto
complessivo generato nel 2015 dall'economia non osservata è stato di
207,5 miliardi di euro. Di questi 207,5 miliardi di euro di imponibile
sottratto al fisco, l'Ufficio studi ha stimato un'evasione di imposta
di circa 114 miliardi di euro l'anno. Per ogni 100 euro di gettito
incassato, a causa dell'infedeltà fiscale degli italiani, a livello
nazionale l'erario perde 16,3 euro”.
Complessivamente la Lombardia ha registrato un'evasione complessiva di
35,2 miliardi, davanti ai 21,8 del Lazio, i 18,5 della Campania e i
16,8 del Veneto.
“Per combattere questa piaga sociale ed economica – asserisce il
coordinatore dell'Ufficio studi Paolo Zabeo – la strada da percorrere è
una sola: ridurre il peso del prelievo fiscale e rimuovere i numerosi
ostacoli burocratici che condizionano, di fatto, coloro che ogni giorno
fanno impresa. In altre parole: pagare meno per pagare tutti.
Ovviamente gli evasori seriali vanno perseguiti e messi nelle
condizioni di non farlo più, ma attenzione a non fare di tutta l'erba
un fascio. Purtroppo, esiste anche un'evasione di sopravvivenza,
decisamente aumentata con la crisi, per cui non pagare le imposte ha
consentito in questi ultimi anni la salvaguardia della continuità
aziendale e de
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