Il centrodestra
Scoppia il caso Maroni il governatore lascia “ Voglio cambiare vita”
L'ombra del processo e l'ipotesi di una responsabilità nel governo Il
leghista Fontana sarà candidato in Lombardia. Renzi lancia Gori
Carmelo Lopapa
Nel giorno del lungo vertice al tavolo da pranzo di Arcore tra
Berlusconi, Salvini e Meloni, scoppia nel centrodestra il caso Maroni.
Che apre nuovi scenari, rende contendibile una regione che fino a ieri
sembrava quasi preclusa al Pd e al centrosinistra.
Il governatore della Lombardia a sorpresa annuncia il forfait, non
correrà all'election day del 4 marzo. «Ho deciso di cambiare vita,
voglio fare un altro lavoro - ha raccontato in queste ore a pochi amici
Non mi candiderò nemmeno in Parlamento, mi dedicherò proprio a
tutt'altro. Posso guadagnare di più senza le responsabilità ricoperte
finora». Dunque non sarà in corsa nemmeno per un seggio alla Camera o
al Senato. Anche se, ha fatto presente l'ex ministro dell'Interno,
«resterò a disposizione del partito e della politica » . Cenno che è
stato sufficiente per scatenare una ridda di ipotesi anche
sull'eventualità che - a vittoria acquisita dal centrodestra -
Berlusconi possa comunque chiamare l'amico di sempre a una
responsabilità di governo, almeno da ministro. Scenari che al momento
l'ex capo del Viminale invece non vuole prendere in considerazione. Non
è quella la ragione della sua scelta. Né, a quanto sembra, la spada di
Damocle giudiziaria che incombe: è imputato a Milano al processo che
ruota attorno alle presunte pressioni che avrebbe esercitato per far
ottenere un contratto di lavoro e un viaggio a Tokyo a due sue ex
collaboratrici dell'epoca in cui era ministro. Ma il suo correo è stato
già assolto in secondo grado e il processo, secondo i legali, sarebbe
ora in discesa anche per lui.
Dunque? Motivi personali, è la motivazione ufficiale della rinuncia. Né
problemi di salute, ha chiarito Maroni agli amici, facendo i debiti
scongiuri, né rotture con Matteo Salvini, col quale pure i rapporti
personali in questi anni sono stati piuttosto critici. «Io sono un vero
leninista - ci ha scherzato su il governatore uscente - non ordisco
manovre contro il segretario. Finché c'è un leader, per me resta lui e
basta». A lui, come a Berlusconi, la decisione era stata comunicata
addirittura a novembre, in gran segreto. Con la preghiera di entrambi
di tenerla coperta fino al giorno in cui sarebbe stata fissata la data
delle elezioni. Così è stato: Maroni l'ha confermata ieri mattina al
telefono proprio al suo segretario prima che entrasse al vertice. Una
volta che il governo ha fissato l'election day con le politiche del 4
marzo anche per Lombardia e Lazio, non c'era più motivo per tenerla
riservata. E così è divenuta il “caso” del vertice.
Dietro l'apparente formalità, una ragione di sostanza. Politica.
Proprio grazie alla concomitanza ormai certa del voto nazionale e
regionale, i tre leader di centrodestra possono permettersi di
candidare al Pirellone anche una figura non di primissimo piano e
visibilità. Qual è il leghista Attilio Fontana.
Già, perché l'altra certezza di queste ore è che Matteo Salvini ha
strappato agli alleati la conferma che sarà un altro suo uomo a
contendere la poltrona di Maroni. E la scelta è ricaduta sull'ex
sindaco di Varese. Figura di fiducia del segretario, che avrebbe ben
operato e con una sua riconoscibilità a livello locale. L'altro nome
circolato è stato quello dell'ex ministra di Forza Italia Mariastella
Gelmini, milanese doc, ma è stata la candidatura di bandiera che i
berlusconiani hanno tenuto in piedi poche ore. Già oggi, dopo
l'ufficializzazione della decisione da parte di Maroni, dovrebbe essere
reso noto il nome del candidato leghista alla successione. È una
partita a incastro. Perché la Lega in corsa a Milano apre a un
candidato di Forza Italia nel Lazio contro Nicola Zingaretti. Resta sul
tavolo, come si è detto ieri al vertice, l'ipotesi Maurizio Gasparri.
Se non fosse che il senatore sogna la per sé la poltrona da presidente
di Palazzo Madama.
Matteo Renzi esulta. La notizia della rinuncia di Maroni viene
considerata una svolta. « Forza Giorgio » , twitta rilanciando con
entusiasmo la candidatura di Gori nella Lombardia tornata contendibile,
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Maroni
è tutt’altro che stupido e men che meno poco scaltro. Anzi. Non solo
lui. Vederli alla Fiera di Bergamo la «sera delle scope» a mettere in
scena la sceneggiata del «rinnovamento in continuità» della Lega,
adesso priva del nord, faceva incazzare anche i defunti visto che delle
malefatte della Bossi family ne era stato testimone a meno che non
fosse orbo. Ma ai leghisti ed ai lumbard piace essere presi per i
fondelli e quindi anche quel teatro andava bene. Del resto la salvezza
della Lega è avvenuta per merito dei servizi e del presidente
Napolitano: o Bossi Family si ritirava oppure facevano una retata e
ciao state bene. L’ammuina ha funzionato.
Adesso Maroni, reduce da una tragicomica gestione regionale
durante la quale ne sono successe di ogni colore s’è reso conto che è
meglio saltare un giro. Come il Dibba e qualcuno dentro i LeU.
Speriamo si sia reso conto che ha amministrato un tubo, nel senso
che alla fine era solo un ufficiale pagatore di ospedali
infermieri medici aziende. Se hai un minimo di cervello ti rendi conto
che la regione conta un tubo.
More solito, tipico di chi si ferma un giro, resterà «una risorsa per
il partito»: mai dubitato. Pure il Dibba. Pure Tonino di Pietro che
aspetta un posto in lista.
Il timore è che esista un accordo super-nazareno per cui un bel governo
renziano col cavaliere abbia come controparte (tra le altre) la
cessione della pseudo reggia padana
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La
lettera di risposta del leader di LEU, Grasso, presidente del Senato,
al tesoriere del PD Bonifazi come risposta alla richiesta di 83.250
euro al Pd in ragione della mia elezione al Senato nel 2013 “ è una di
quelle che fanno presagire di che pasta è fatto l'uomo. In tutti i
partiti gli eletti si impegnano a versare una certa quota al partito
dove sono stati eletti. Poi ovviamente ci sono quelli che lo
dimenticano, come accade nella stragrande maggioranza in Forza
Italia.
Grasso risponde a Bonifazi asserendo che la prima richiesta del
contributo “considerato la modalità attraverso la quale ha scelto di
farmi giungere tale comunicazione, ossia i giornali, un colorito quanto
basso espediente da campagna elettorale”.
Cioè l'ha sfanculato.
Grasso elenca quindi le sue motivazioni al rifuto del pagamento e la
più originale è questa: “non sembra opportuno che il presidente del
Senato sostenga con soldi pubblici l'attività di un partito, così come
per prassi centenaria non è chiamato a dare col voto alcun contributo
politico. Ecco perché ero convinto che non aver ricevuto richieste di
contributi dipendesse da una visione condivisa di questo modello”.
Conclude Grasso: “inoltre, come lei sicuramente saprà, nel mio secondo
giorno da presidente del Senato ho scelto di dare un segnale di
sobrietà tagliando, fatte salve le indennità irrinunciabili, varie voci
tra cui quelle previste come “rimborso spese per l'esercizio del
mandato”, esattamente quella dalla quale i parlamentari prelevano la
quota che versano nelle casse del Pd. Oltre ai tagli alle mie indennità
ho dimezzato il costo complessivo lordo del gabinetto del presidente e
del fondo consulenza, con un risparmio annuo di circa 750.000 euro. Al
termine del mio mandato avrò dunque fatto risparmiare alle casse dello
Stato più di quattro milioni di euro. Non ritengo pertanto sussista
alcuna delle ragioni da lei addotte nella sua infamante lettera”.
Non basta la furbizia di Grasso per smentire che la richiesta del
rimborso sia motivato proprio dalla sua uscita dal PD e la
co-fondazione di un partito antagonista a quello che l'aveva eletto.
La risposta complessiva di Grasso mi ricorda quella dei milioni di
burocrati dello stato che elencano minuziosamente i propri meriti e
diritti dimenticando sempre quelli altrui. Grasso è diventato
presidente del Senato in quanto eletto coi soldi del PD ed anche come
presidente del Senato avrebbe dovuto contribuire per la sua
parte, altro che dichiararsi esonerato perché il presidente del senato
non vota le leggi del Parlamento.
No, Grasso, non è una bella partenza.
E' partita ieri dall'Hotel Ergife di Roma la campagna elettorale di
Liberi e Uguali, la formazione nata dalla scissione del Pd che ha come
proprio leader il presidente del Senato Pietro Grasso. Tra le notizie
in merito che danno i quotidiani oggi ce ne sono due
particolarmente interessanti.
Pietro Grasso inizia dalla sfida del codice etico per candidati
«rispettati e rispettabili » ( e perciò non bastano solo le norme della
legge Severino che hanno reso Berlusconi ineleggibile) e i criteri per
i nomi in lista, dove non rientreranno coloro che hanno fatto più di
due mandati parlamentari, tranne alcune deroghe.
Il che significa una vasta moria da quelle parti ed è poco credibile
visto che tutti i leaderini di mandati ne hanno già almeno due, tranne
Grasso.
Chi ne ha di più magari ha alle spalle alcune malefatte “pulite”
che si chiamano Banca del Salento piuttosto che Monte dei Paschi
di Siena: banchette insignificanti rispetto all'Etruria di boschiana
memoria.
Grasso fa anche una bella promessa: l'università gratuita, via le tasse
universitarie. Ma con quali soldi? « Il costo sarebbe di 1 miliardo e
600, pari a un decimo dei 16 miliardi di euro che il nostro paese
spreca ad esempio per sgravi fiscali e sussidi indiretti ad attività
dannose per l'ambiente » . Spiega il leader di Leu. Lo scontro si
accende nel centrosinistra. Il Pd accusa Grasso di volere fare « un
favore ai ricchi e a chi non ha voglia di studiare. È qualunquismo
controproducente, mentre noi stiamo con i poveri e i meritevoli»,
denuncia Francesco Verducci. « Dov'è finito il principio di
progressività, questo non è un favore ai ricchi? » , attaccano i dem. «
Un'assurda demagogia ai limiti dell'incostituzionalità » , twitta il
senatore del Pd Salvatore Margiotta.
In questo blog dovremmo essere contenti che Grasso abbia fatto quella
proposta visto che sul n.489 abbiamo sostenuto che anche il Comune di
Curno comincia a impegnare
almeno 100mila euro ogni anno (la prima volta, poi magari a salire) per
finanziare la frequenza di corsi universitari da parte dei giovani
curnesi presso università di elevato livello (delle prime 5 posizioni e
fuori stato o provincia) e a indirizzi definiti (quelli che trovano
occupazione entro un anno dalla laurea) per alleggerire la spesa dei
libri, delle tasse, degli affitti. Somme ovviamente date in base alla
votazione scolastica ed anche in logica sequenza (vale a dire che se
uno studente viene finanziato per tre anni e il quarto va fuori elenco,
il finanziamento prosegue). Una parte delle somme erogate potrebbero
essere restituite dai laureati entro dieci anni dalla laurea senza
interessi.
La proposta di Grasso è una sorta di mini-reddito di cittadinanza
travestito mentre se finanziamento ha da esistere, questo va collegato
all'esito scolastico ed alla qu
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«Dopo
Moana Pozzi, chiederanno a gran voce “Marina santa subito!” Aiuto! Pur
di apparire fichi, vendere copie e magari essere “progres sisti”,
vorranno darle l'ono re degli altari».
Amen. Così si esprime il custode delLa Latrina di Nusquamia tale
Claudio Piga di origine sardAgnole ma abduano di Trezzo d'Adda con
ascendenze garibaldine in Valcamo nica, uno che ha fatto il classico
dai preti nell'ex liceo di A. Gramsci, inge gnere laureato al Politec
nico di Milano dove ha appreso analisi matema tica dalla Ajroldi
Vasconi a proposito della scomparsa di Marina Ripa di Meana, finemente
definita dal custode delLa latrina di Nusquamia: «la moglie del marito
di Marina Ripa di Meana» che è davvero una finezza verso la defunta.
Di fronte a una donna (o un uomo: sarebbe lo stesso) che ha vissuto per
sedici anni combattendo un cancro, indipendentemente che sia stato una
donna o un uomo di potere NON meriti rispetto, solo un cretino può
pensarlo per sfotterne indirettamente (non ha neppure il coraggio di
esprimersi) dolore e sopportazione.
Poi accusare «gli altri» di quel che lui pensa nella sua crapa tarata
(col baco, appunto) è segno che non c’é più solo un po’ di pietà ma
nemmeno un briciolo di intelligenza. Pur avendo
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