Addio
a don Emilio Mayer, il prete del cinema. Era nato a Romano di
Lombardia nel 1922 e aveva studiato in seminario a Roma. Tornato a
Bergamo, è stato ordinato sacerdote il 26 maggio 1945, quindi
coadiutore parrocchiale a Gandino fino al '61, poi in Santa Caterina a
Bergamo fino all'82. Dal 1964 è stato direttore e animatore del
Servizio Assistenza sale (Sas), dall'81 al '99 presidente nazionale
dell'Associazio ne cattolica esercenti cinema (Acec). È stato parroco a
San Pantaleone di Negrone (Scanzoro sciate) fino al '98: in quella
chiesa domani alle 15 saranno celebrati i suoi funerali.
Quando attorno al 1968 un gruppo di giovani di Curno mise in piedi il
«gruppo giovani» uno dei primi obiettivi fu quello di portare a Curno
dei film di buona qualità visto che il duro prevosto Carrara gestiva il
Cine 2000 edificato coi soldi dei curnesi con ottimo successo. La sala
era bella, pulita, comoda, riscaldata col barettino dentro: cosa
pretendere di più? Ligio alle direttive vescovili Carrara ci spedì da
don Majer cui manifestammo il nostro progetto ricevendo immediata
collaborazione. Il cineforum fu un’esperienza che durò quasi 15
anni e dopo la chiusura del cinema in seguito ai tragici eventi del
cinema di Torino, le proiezioni divennero estive presso il CVI1 e non
furono più organizzate con l’ACEC ma dal Comune. Con grande successo
finchè non arrivò la giunta Morelli e l’assessore Serra che affossarono
definitivamente il tutto.
«Adei ‘che i ross!» eccoli qui i comunisti, con questa battuta ci
accoglieva quando andavamo con l’elenco delle pellicole programmabili -
c’era di tutto di più- ma con lui si collaborava benissimo, ci si
prendeva in giro e -paradossale per un sacerdote che aveva fatto il
seminario negli anni della guerra- non intortava con la partecipazione,
la condivisione, i cattolici e i comunisti. Ci rispettava anche se
eravamo giovanissimi e lui ormai prossimo al mezzo secolo.
Poi l’abbiamo perso di vista ed ieri abbiamo appreso la notizia della
scomparsa. Non si arriva a 95 anni se non hai dentro di te mille
risorse e non sai trarle dal mondo attorno. Lo invidiamo non solo per
l’età ma perché era a su
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Luigi
Di Maio ha detto, con piglio quasi eroico, da generale che condivide il
destino con le proprie truppe, che anche lui passerà dalle
parlamentarie, le primarie per selezionare i candidati al prossimo
Parlamento. Non dice però quale conseguenza è sottintesa a questa
scelta: si candiderà solo nel listino bloccato, quello dei cosiddetti
«nominati» che a un partito che viaggia attorno al 30% garantirà un bel
po’ di posti. Si terrà lontano, dunque, dalla sfida troppo insidiosa
dei collegi, che il Rosatellum prevede nel suo mix tra maggioritario e
proporzionale. Almeno fino a ieri sera (02 gennaio) , quando abbiamo
ricevuto conferma dal M5S di questa notizia, era così.
A sondare gli umori dei parlamentari grillini uscenti, le nuove regole
non sarebbero poi così male. E una ragione di questo entusiasmo c’è:
tutti potranno ricandidarsi nel listino blindato del plurinominale. Con
una garanzia di eleggibilità maggiore che se fossero finiti nel
collegio uninominale. Esattamente come Di Maio e gli altri volti noti
del M5S e con buona pace della battaglia sulle preferenze. Certo,
dovranno comunque passare dalle parlamentarie, aperte anche ai
neo-iscritti che formalizzeranno l’appartenenza al M5S entro oggi, data
ultima per chiudere le autocandidature, ma tenersi al riparo dalla
lotteria dell’uninominale, dove la battaglia si fa voto per voto sul
territorio, fa tirare un primo sospiro di sollievo.
La fuga dai collegi era un epilogo abbastanza previsto tra i 5 Stelle,
consapevoli del proprio debole radicamento. In un primo momento si era
pensato di duplicare la candidatura, sia nel collegio sia nel listino
bloccato, usando quest’ultimo come paracadute. Ma poi il ragionamento
ai vertici del M5S è stato questo: «Metti caso che Luigi (Di Maio, ndr)
perde nel suo collegio in Campania ma viene comunque eletto nel
plurinominale, che figura faremmo con un candidato premier che ha perso
la sfida contro il suo avversario diretto?».
Meglio non rischiare, anche perché proprio guardando alla Campania,
dove per il principio della residenza Di Maio sarebbe costretto a
correre, i 5 Stelle sono terrorizzati da quello che definiscono «il
fattore De Luca». L’esempio che circola tra gli strateghi del M5S
chiama in causa l’attuale governatore della Campania, Vincenzo De Luca
e il suo fidatissimo «Mister due fritture», l’ex sindaco di Afragola,
Franco Alfieri: basterebbe mettere nello stesso collegio di Di Maio un
campione di preferenze come De Luca o Alfieri, e il grillino verrebbe
sconfitto. Il traino mediatico nazionale servirebbe a poco. La mossa
dei 5 Stelle a favore del leader, protetto dal listino bloccato,
troverà una giustificazione nel fatto che i collegi saranno lasciati
liberi per quei nomi importanti, tenuti ancora segreti, selezionati in
nome del blasone e della competenza, che saranno svelati in una seconda
fase delle candidature e sui quali, per paradosso, proprio Di Maio, in
qualità di Capo politico, avrà potere di decidere la loro collocazione.
«Saranno delle bombe» giura una fonte del M5S annunciando che qualcuno
potrebbe anche finire nella squadra dei ministri.
In effetti, in caso di vittoria di Di Maio, l’Italia potrebbe trovarsi
un altro presidente del Consiglio nominato da un Parlamento composto
sulla base di una legge che non permette di scegliere direttamente il
parlamentare, e selezionato sulla base di primarie da poche migliaia di
clic. Effetti del Rosatellum ma anche di una precisa strategia interna
del M5S che evita i collegi, preferendo per il proprio leader quei
listini bloccati che per anni aveva definito incostituzionali.
Il 21 dicembre 2017 il Garante per la privacy ha emesso un
provvedimento indirizzato ai gestori del sito del M5S, di Beppe Grillo
e dell’associazione Rousseau dopo gli episodi di violazione dei dati
personali dei cittadini, avvenuti a partire da agosto da parte di
hacker. Il Garante prescrive nei confronti dei titolari dei siti web
riferibili al Movimento 5 Stelle le misure necessarie .
Non solo, il Garante dichiara, «nei confronti dei titolari del
trattamento di tutti i siti riconducibili al Movimento 5 Stelle,
l’illiceità del trattamento dei dati personali degli utenti.
«Nello schema del database -prosegue il Grante- risulta infatti che
ciascun voto espresso sia effettivamente associato a un numero
telefonico corrispondente (come del resto confermato dal dottor
Casaleggio in sede ispettiva, cfr. verbale 5 ottobre 2017) al
rispettivo iscritto-votante. Tale riferimento sarebbe mantenuto nel
database per asserite esigenze di sicurezza, comportando, tuttavia, la
concreta possibilità di associare, in ogni momento successivo alla
votazione, oltre che durante le operazioni di voto, i voti espressi ai
rispettivi votanti», spiega l’Authority. «La possibilità di tracciare a
ritroso il voto espresso dagli interessati - prosegue il Garante - non
risulta neppure bilanciata da un robusto sistema di log degli accessi e
delle operazioni svolte da persone dotate dei privilegi di
amministratore della piattaforma che consenta, almeno, di condurre a
posteriori azioni di auditing sulla liceità dei trattamenti attuat
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Scrive
Bernard Guetta, giornalista che «Donald Trump sostiene il popolo
iraniano. Alle Nazioni Unite, la rappresentante degli Stati Uniti ha
elogiato il coraggio dei manifestanti e ha chiesto una riunione
d'urgenza del Consiglio di sicurezza. Trump, in poche parole, sta
facendo tutto il possibile per incoraggiare le proteste in Iran, nella
speranza che possano portare al crollo della teocrazia. Ma questa
scelta evidenzia una palese ignoranza della posta in gioco in questa
crisi».
Trump invece sta giocando lucidamente e pericolosamente sporco.
Trump sa benissimo che non potrebbe fare una guerra (ne atomica ne
convenzionale ) ne contro la Corea del Nord ne contro l'Iran. Trump
vuole creare in Iran una situazione come quella siriana (degli inizi)
per potere invadere quel paese -come poi è accaduto da parte di 78
paesi “volenterosi” in Siria- e distruggerne il potenziale economico ed
atomico eventualmente ancora presente.
Trump sta replicando quanto già accaduto in molto paesi del MENA
laddove legittime proteste per libertà benessere pace alla fine
sono sfociate in lotte tra mille bande e nella distruzione
di quegli stati sovrani che oggi sono ostaggio diretto o indiretto
delle solite nazioni imperialiste: USA Inghilterra Francia in primis.
Torna insomma sotto nuove e mai smentite spoglie l'idea di portare –di
nuovo!- la democrazia in paesi dove non esistono le condizioni sociali
ed economiche per arrivarci con la debita sicurezza. Non quella
nostrana ma quella che non lascia dietro migliaia di morti in quei
paesi.
A Trump e a due tre paesi europei interessa destabilizzare dall'esterno
l'Iran e farlo precipitare nella situazione della Libia, della
Siria, dell'Irak e per certi versi anche della vasta zona o patria
kurda.
Trump però ha fatto male i suoi conti dal momento che la Russia di
Putin oggi è una super potenza in quella zona mentre gli USA sono solo
dei pericolosi rincalzi nella vittoria sovietica contro ISIS.
Oggi come oggi a Putin interessa che l'Iran magari battagli un po' con
se stesso ma non può permettere che dai problemi attuali (che ci sono e
sono enormi!) escano vincenti gli USA perché il gioco è evidente.
La Siria è piccola nazione importante perchè è una cambretta geografica
tra l'Irak e l'Iran col Mediterraneo, ma in questo momento l'URSS è
perfettamente stabilizzata in Siria e quindi non ha problemi. Prossima
tappa dell'URSS é una base aerea in Egitto ed una in Libia. Se gli USA
riuscissero ad abbattere l'Iran (qualunque ne siano gli attori interni)
vista l'importanza e la grandezza fisica politica economica e
geografica di quel paese, per la Russia si aprirebbero seri problemi
militari di intervento. Basti pensare al solo costo economico nel
momento in cui si aprono le urne per le elezioni russe.
Trumpo “sommuovendo” l'Iran mira anche a destabilizzare la Russia in vista delle prossime elezioni e del futuro.
Chi si aspettava condanne senza appello e piena solidarietà ai
manifestanti iraniani, sulla scia di quanto stanno facendo Trump,
Israele e i Sauditi, è rimasto deluso. Scrive Bonanni su Repubblica. Il
vero timore di fondo che ha convinto gli europei della necessità di non
sbilanciarsi è che i moti popolari nelle piazze iraniane possano fare
il gioco della fazione più radicale in seno al regime degli ayatollah.
Ma è evidente –continua Bonanni- che questo atteggiamento attendista
non potrà durare troppo a lungo. Se la crisi iraniana dovesse
incancrenirsi, se le vittime della repressione dovessero crescere
ancora, e soprattutto se il governo di Teheran dovesse finire sotto
tutela delle forze più integraliste, anche la Ue sarebbe costretta a
prendere la via della condanna e magari a ritrovare quella delle
sanzioni. Ma per l'Europa, che tanto ha fatto per togliere l'Iran
dall'isolamento in cui lo avevano condannato gli ayatollah più
radicali, questa sarebbe una pesante sconfitta.
Non spira una buona prospettiva dall'articolo di Bonanni interventista anzichenò.
Noi europei dobbiamo avere il coraggio di dire a muso duro a Trump di
chiudere il suo twitter e smettere di mestare nel torbido delle fazioni
iraniane, dove peraltro Trump non ha nemmeno idea di come stiano o cosa
siano.
L'Europa e gli USA hanno già fatto moltissimi danni negli ultimi 15
anni nei paesi del nord Africa incoraggiando rivoluzioni che poi sono
terminate in tragedie che hanno coinvolto non solo quei paesi ma sono
arrivate anche da noi.
In questo momento meglio che tutti stiano fermi e parlino il meno possibile.
Davvero oggi ogni parola è
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