Sale il gradimento di Gori divario con Maroni ridotto e i 5 Stelle restano lontani
Andrea Montanari
Sondaggio Ipsos: aumenta anche la notorietà del candidato dei
democratici Per Liberi e Uguali niente primarie, liste da depositare
entro il 22 gennaio
Cresce il gradimento degli elettori lombardi verso Giorgio Gori,
candidato dal Pd a sfidare Roberto Maroni e Dario Violi del Movimento
Cinque stelle alle prossime elezioni regionali. Un sondaggio Ipsos
commissionato dal Pd sulle intenzioni di voto e finora tenuto riservato
rileva che, se si votasse oggi in Lombardia, il 37 per cento degli
elettori sceglierebbe il sindaco di Bergamo. Il 43 per cento
confermerebbe Maroni come governatore, mentre il 20 per cento voterebbe
per Dario Violi, candidato dal Movimento Cinque stelle. I sei punti di
distacco tra Maroni e Gori sono considerati dal Pd lombardo un ottimo
punto di partenza, visto che nel 2013 l’allora candidato del
centrosinistra, Umberto Ambrosoli, partì da una differenza di dodici
punti. Maroni poi vinse con il 42,8 per cento dei voti, battendo
Ambrosoli che alla fine raccolse il 38,2 per cento dei consensi.
Dal sondaggio emerge con chiarezza che la notorietà di Gori è
costantemente in ascesa. Nel 2016, era pari al 63 per cento. Nel giugno
di quest’anno era salita al 64 per cento. A novembre, ha toccato il 75
per cento, prima che iniziasse la campagna di affissioni per promuovere
la sua candidatura alla presidenza della Regione. Una tendenza che fa
ritenere agli esperti dello staff del sindaco di Bergamo che Gori abbia
ancora un 37 per cento di persone che devono orientarsi rispetto al
gradimento verso la sua candidatura. Gori infatti sembra incontrare più
consensi rispetto alla coalizione che lo appoggia. Mentre solo il 6 per
cento degli elettori non si esprime o non conosce Maroni.
Lo stesso sondaggio Ipsos, però, se si votasse per le Regionali con le
Politiche il 4 marzo, sembra descrivere uno scenario meno roseo per i l
centrosinistra. Ad oggi, il Pd lombardo è stimato intorno al 23,5 per
cento, quindi sotto la media nazionale. La Lega e Maroni farebbero un
balzo fino a circa il 27 per cento. Forza Italia si attesterebbe
intorno al 15 percento e i Cinque stelle oltre il 20. Senza contare i
voti dei centristi lombardi che si schierano per la conferma del
governatore leghista e quelli di Fratelli d’Italia. Numeri che
farebbero salire il distacco tra Maroni e Gori a oltre dieci punti.
Anche se la candidatura del sindaco di Bergamo potrà contare
sull’appoggio, oltre che del Pd, di due liste civiche, più quella dei
progressisti di Pisapia/Psi/Verdi.
Una partita per il candidato del centrosinistra tutta in salita. Anche
perché è ormai quasi scontato che anche la Sinistra presenterà un suo
candidato.
L'assemblea regionale di Liberi e Uguali si è riunita ieri sera a Sesto
San Giovanni per dire “no” a Giorgio Gori, il candidato scelto dal Pd
per sfidare il leghista Roberto Maroni alle amministrative in Lombardia.
In sala, circa duecento tra militanti e iscritti. C'erano i
rappresentanti di Mdp, Sinistra italiana e Possibile. Parlamentari e
consiglieri regionali. Il leader storico della Cgil, Antonio Pizzinato,
Onorio Rosati, ma anche il capogruppo alla Camera di Mdp, Francesco
Laforgia, che sul futuro della Lombardia dice: « La destra ha vinto
quando la sinistra non ha saputo marcare discontinuità rispetto alle
politiche sulla sanità, sulle quali questa regione in questi anni ha
fatto cattiva scuola. Ricostruire la sinistra vuol dire denunciare
queste storture».
Si capisce che pesano ancora le parole di Gori sugli anni di governo di
Roberto Formigoni, criticati rispetto alle scelte di Maroni. Alla fine,
anche se non è stato votato un documento, e se la decisione è
riconvocare l'assemblea nella prima settimana di gennaio, la «corsa
solitaria» sembra cosa fatta. Gli interventi sono inequivocabili. Gori
e l'alleanza con il Pd non piacciono, sono accusati anche di « non aver
voluto aspettare due settimane per fare le primarie » . Chi ha chiesto
di « riflettere » è stato salutato da qualche fischio. Molti volevano
decidere già ieri sera, al grido di: « Non perdiamo altro tempo e
acceleriamo » . Anche perché, così sostiene Pizzinato, « Milano e la
Lombardia sono sempre state all'avanguardia, mentre Gori non ha
avanzato risposte alle esigenze dei lavoratori e delle nuove
generazioni».
La parola passa a Pietro Grasso: da Sesto si vuole che l'ex magistrato
sciolga anche il nodo della candidatura della sinistra alle elezioni
regionali in Lazio e che a Liberi e Ugu
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Per
come si mettono le cose adesso, ci pare del tutto inutile andare a
votare per le regionali lombarde. Sarebbe un inutile voto di
testimonianza visto che al 100% le regionali si accompagneranno con le
politiche e allora c’hai voglia di sperare nel luminoso futuro di chi
promette di fare meglio. Non ci basta il fare meglio di Maroni. Il
fatto è che NON vogliamo proprio più sentire parlare di «regioni» il
cui bilancio si spartisce tra la sanità all’80% e il personale e
per il resto è del tutto inutile. Come si può fare meglio con un ente
inutile per di più con alle spalle enormi investimenti assurdi e
improduttivi: dagli ospedali alla Brebemi fino alla Pedemontana. Con le
nostre vallate tagliate fuori e la frequenza alle scuole superiori
ormai una lotteria per tutti. La città metropolitana boh? Le strade e-o
i treni per le valli? boh. Le metropolitane nelle principali
città lombarde? Boh?.
Vediamo Bergamo: invece di essere la Regione che governa la sanità sono
i privati che si muovono, comperano e vendono ospedali vuoti per un
terzo o un quarto mentre il Papa Giovanni potrebbe avere 400 letti
utilizzati in più ed è senza personale soldi entrate . Vediamo la
ferrovia Brescia Bergamo Seregno Malpensa che andrebbe rifatta da cima
a fondo per diventare un asse fondamentale e invece boh?!.
Adesso arrivano Liberi e Uguali, con Pizzinato -un giovanotto di 85
anni- che promettono di accelerare e non perdere altro tempo. A
85 anni hai ancora pochi mesi e fai bene ad accelerare. Ma ‘ndo vai!?
Liberi e Uguali promette di stanare quei democratici che non vanno più
a votare per demerito del fiorentino e di riportarli al seggio. Mi sa
che in Lombardia come altrove questa cosa rossa non faccia tornare
all’ovile nessuno, anzi ne allontanerà di più ed ancora più incazzati.
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Libia: il corridoio umanitario è una buona notizia, ma bisogna fare di più
Damiano Rizzi
Psicologo, Presidente Fondazione Soleterre
Sono circa 700.000 le persone (“i migranti”) bloccati in Libia secondo
i dati delle Nazioni Unite (fonte CNN). Persone intrappolate e in balia
delle autorità locali, delle milizie, dei gruppi armati e dei
trafficanti. Circa 20.000 (secondo Amnesty International) sono le
Persone (“i rifugiati e i migranti”) intercettate in mare dalla Guardia
costiera libica e trasferite nei Centri di Detenzione. Persone
imprigionate a tempo indeterminato e regolarmente sottoposte a gravi
violazioni dei diritti umani, compresa la tortura.
Si trovano all’interno dei Centri di Detenzione perché per tutto il
2017 l’Unione Europea e l’Italia hanno condotto una politica
determinata a interrompere la rotta migratoria illegale, attraverso la
Libia, verso il Mediterraneo. Conseguenza di un piano di azione attuato
in accordo con vari attori libici. A partire da questa premessa, è
sicuramente una notizia positiva che 162 persone siano state tolte da
uno stato di inumana detenzione da Italia, governo libico, Onu e Cei e
portate in Italia grazie al primo corridoio umanitario “legale”.
Occorre però intervenire immediatamente per tutte le altre persone che
si trovano detenute in condizioni di grave emergenza umanitaria, in
centri sovraffollati, senza luce naturale e ventilazione (0,41 metri
quadrati a persona) senza la possibilità a sdraiarsi la notte. Dormono
in piedi. Un recente rapporto della ONG Médecins Sans Frontières ha
denunciato diffusi problemi di infezioni del tratto respiratorio,
diarrea acquosa acuta, malattie della pelle e infezioni del tratto
urinario. Problemi dovuti alle condizioni di detenzione all’interno dei
centri dove manca il cibo e si vive con meno di 1 litro di acqua al
giorno. Senza adeguato accesso a bagni e docce, con pidocchi, scabbia e
pulci.
162 persone sono meno dell’1% delle persone detenute in questo momento.
Occorre creare un corridoio umanitario che permetta un pronto
intervento delle Agenzie internazionali e delle ONG all’interno dei
Centri in Libia per cercare di evitare una tragedia umanitaria già
oltre ogni umana sopportazione. Rivedere le ragioni di una politica
disumana che ha rinchiuso quelle persone nei Centri di detenzione
sembra, mi rendo conto, un altrove che lascia purtroppo il posto al
diniego di una politica imperialista che prosegue imperturbata a creare
poveri costretti alla fuga
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Alla
vigilia di Natale, Paolo Gentiloni ha annunciato di voler trasferire in
Niger parte del contingente italiano presente in Iraq. Ed ha dato tre
motivazioni per questa scelta: consolidare il paese, sconfiggere il
traffico di esseri umani, combattere il terrorismo. Tre situazioni che
hanno bisogno di essere analizzate in dettaglio per capire se si tratta
di vere motivazioni o di retorica.
Stabilità: . tutti riconoscono che in Niger, come negli altri paesi del
Sahel, c’è un’assenza crescente di stato. O meglio lo stato c’è, ma non
al servizio della popolazione, bensì di un’élite. Dal 1960, anno di
indipendenza, il Niger ha conosciuto almeno sette regimi civili e
quattro colpi di stato militari. Il potere è conteso fra esercito,
politici di carriera, grandi commercianti, capi religiosi. Lo stesso
Mahadou Issoufou, attuale capo di governo, è oggetto di molte critiche
e se la missione italiana si prefiggesse di dare stabilità all’attuale
classe politica si renderebbe complice di quella che Jean-François
Bayart studioso dell’Africa sub-sahariana, chiama privatizzazione dello
stato.
In un articolo del 16 agosto 2017, le Monde denuncia che in Mali, Niger
e Mauritania, “il sistema politico è detenuto da un’élite predatrice
che ha dato il colpo finale a ciò che rimaneva dello stato” E i
risultati si vedono: Secondo il rapporto della Banca Mondiale “Le
visage humain d’une crise regionale” metà della popolazione del Niger
vive al di sotto della soglia della povertà. Il 44% dei bambini sotto i
cinque anni soffre di un ritardo di crescita, mentre il livello medio
di scolarizzazione è di un anno e mezzo. Le cliniche private per
l’élite, si moltiplicano nella capitale, ma gli ospedali pubblici per
la gente comune, sono piuttosto luoghi di morte che di cura.
E ciò nonostante il Niger dispone di una decina di campi profughi in
cui ospita 166 000 rifugiati. Non persone che vogliono mettersi in
viaggio per raggiungere l’Europa, ma persone che aspettano che torni la
pace nei propri villaggi per tornarsene a casa in Mali o in Nigeria. Ad
essi si aggiungono le decine di migliaia di migranti che mettono piede
sul suolo nigerino non per restarvi, ma per transitare. Il loro punto
di ritrovo è Agadez, porta del deserto, dove il linguaggio utilizzato è
diverso dal nostro. Consci dei rischi che si apprestano ad affrontare,
i migranti si autodefiniscono “avventurieri”, mentre i proprietari di
camion che li porteranno alla frontiera libica sono chiamati passeurs,
trasportatori, non trafficanti d’uomini. In Niger se di qualcosa i
migranti si lamentano è per i prezzi esosi, non per la tratta. Per il
costo del viaggio, per il costo dei viveri e dell’acqua, per le
bustarelle da dare ai poliziotti affinché li lascino passare nonostante
la mancanza di documenti appropriati. Molti arrivano all’ultima oasi
nigerina che non hanno più soldi e allora si fermano per mesi sperando
di trovare un lavoro che permetta di raggranellare i soldi necessari a
pagare il passaggio che li porti in Libia. Poliziotti, proprietari di
camion, gestori di negozi, tutti cercano di strizzare i migranti di
passaggio, ma non vanno nei villaggi della Nigeria, del Mali o del
Senegal a prelevare giovani da deportare con la forza in Libia. Ed
allora cosa significa combattere i trafficanti d’uomini? Arrestare
un’intera regione e sequestrare un’intera economia? Non ci sarebbe
piuttosto da combattere le cause della disoccupazione che spingono
centinaia di migliaia di giovani ad affrontare financo la morte pur di
cercare un futuro migliore in un continente ostile come l’Europa?
Combattere il terrorismo è la terza motivazione portata da Gentiloni.
Il terrorismo esiste, ma troppo spesso è usato come alibi per avventure
militari di ben altro genere. Considerato che in Niger ci sono già
contingenti francesi, statunitensi e tedeschi, con l’arrivo degli
italiani, gli eserciti stranieri presenti nel paese saranno quattro. I
francesi ci sono addirittura dal 1961. Non era ancora trascorso un anno
dall’indipendenza, che il nuovo governo del Niger aveva già firmato un
accordo che garantiva alla Francia “la libera disposizione delle
installazioni militari necessarie ai bisogni della difesa”.
Ufficialmente il colonialismo era finito, ma in zona rimanevano da
proteggere gli interessi delle compagnie francesi che qualche anno più
tardi si sarebbero arricchite dello sfruttamento di uranio.
E’ arrivato il tempo di riconoscere che terrorismo è espressione di
malcontento e disperazione. E come ci ha ammonito Hiroute Guebre
Sellassie, incaricata delle Nazioni Unite per il Sahel, “se non si fa
nulla per migliorare l’istruzione, per creare occupazione e opportunità
per i giovani, il Sahel sarà non solo un incubatore di migrazione di
massa, ma anche di reclutamento terroristico”. Allora non sono i
soldati che dobbiamo mandare in Niger, ma medici, infermieri e
insegnanti. Non mitraglie, ma pompe d’acqua, perché mai come oggi le
parole di Pertini risultano vere: “Si svuotino gli arsenali di guerra,
sorgente di morte, si colmino i granai, sorgenti di vita per milioni di
vite umane che lottano contro la fame”.
Francesco Gesualdi / PRESSENZA
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