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https://issuu.com/francescoalleva/docs/sagata2016_programma_2__1_























Migranti 2017: i numeri in Italia
Secondo i dati Unhcr, tra il 1 gennaio e il 30 novembre 2017 sono sbarcate in Italia 116.076 persone. Un dato in netta diminuzione rispetto allo stesso periodo del 2016, quando arrivarono 173.015 persone (-33%).

A novembre 2017 sono sbarcati 5.371 migranti, molti meno dei 13.500 di novembre 2016. Da luglio a novembre 2017 sono arrivati 32 mila migranti, contro i 100 mila del 2014, i 73 mila del 2015, i 114 mila del 2016.

I paesi di provenienza più rappresentati nel 2017 sono (dati aggiornati al 31 ottobre): Nigeria (16,6% degli arrivi, circa 17 mila persone), Guinea (9%, 9 mila persone), Bangladesh (8,5%, 8.800 persone) e Costa d’Avorio (8,5%, 8.800 persone). Seguono Mali, Sudan, Senegal, Eritrea, Gambia.

Ad arrivare in Italia sono soprattutto uomini (il 74%), con una considerevole fetta di minori non accompagnati (il 14,5% degli arrivi).

Gli sbarchi avvengono soprattutto in Sicilia (64%, ma fino a pochi mesi fa questa percentuale era del 90%) e Calabria (20%), seguite da Campania (6%), Puglia (5,5%) e Sardegna (4,5%).

Migranti 2017: i numeri in Europa
Se consideriamo gli sbarchi su tutte le coste europee, tra il 1 gennaio e il 30 novembre 2017 sono arrivati via mare in Europa circa 165 mila migranti. Continuano ad esserci sbarchi in Grecia, a ritmi molto più bassi di quelli pre accordo con la Turchia, e si riaffaccia la Spagna come terra di sbarco.

Nei primi undici mesi del 2017 sono arrivati in Grecia circa 27 mila migranti, con circa 3 mila arrivi a ottobre. Circa 21 mila migranti sono poi arrivati in Spagna fino al 31 ottobre 2017. Da giugno 2017 si registra un incremento significativo di ingressi dalla Spagna, sia via mare dal Marocco sia via terra di persone che riescono a scavalcare le barriere che separano il Marocco dalle enclave spagnole di Ceuta e Melilla. Ottobre è stato il mese con il maggior numero di arrivi, circa 4 mila, e il dato, pur rimanendo contenuto, sta allarmando le autorità spagnole.
Questa foto viene da un cittadino (non sappiamo se curnese o non) che l’ha pubblicata sulla sua pagina facebook di cui abbiamo perso il collegamento. Raffigura il cortile dell’oratorio quando questo si trovava in via Marconi. Il campo nudo é quello dell’attuale giardino-minitaliastyle. E’ una foto composta da due immagini accostate in maniera molto intelligente  e mostra il campo con due robusti platani (li correva un fosso e i platani era il normale contorno dei fossati del tempo) lungo la via di fronte alla casa del commerciante e macellaio dei cavalli (quella col portone tondo ribassato). Sulla sinistra quella che sarebbe diventata via  Bellini    (c’era un passaggio a livello per entrare nelle campagne oggi via Mozart), poi c’è il portichetto elegante di Casa Artina senior la cui recinzione termina con un simil corso a berceau del giardino. Verso sinistra spunta da sopra gli alberi la palazzina a tre piani del più importante ortolano indigeno e sulla sinistra spunta anche Casa Preda, che ospitava un Preda  e i suoi autocarri. Questa casa stava praticamente davanti all’asilo sull’Incrocio e verrà demolita per la creazione del collegamento dritto tra il passaggio a livello e la piazza della chiesa nonché della via Buelli dove venne trovata una necropoli romana ben velocemente imboscata da chi era proprietario del terreno.
Tra il pubblico riunito per la festa di carnevale si riconoscono molti cittadini curnesi alcuni dei quali tuttora viventi. ponete l’occhio su quella pertica che era il curato dell’ora torio (con un mano una lunga verga... tanto per capirci quali erano i metodi educativi....) ed il signore davanti a lui coll’impermeabile sotto braccio (l’ex sindaco Richelmi). Va detto che quel curato  fu uno dei due migliori sacerdoti che il paese ebbe prima del 1970 e non solo per la moto «galletto» di cui andava fiero. Le biciclette sui lati; le donne col «cucù», le ragazzine con le gonne plissettate, pochi ragazzini con le braghe lunghe, i maschi  -giovani e non- con giacca e camicia bianca.
Insomma un affresco dell’Italia che di li a pochi anni avrebbe conosciuto il miracolo economico e  le valanghe di voti alla DC.
Prima di leggere date un’occhiata al filmato ed alla pagina di cui diamo i collegamenti in testata.
Nelle nostre frequentazioni di Città Alta facemmo una conoscenza particolare. Una signora piccola e minuta sedette sulla nostra panchina e quella mormorava in continuazione “ copal che le!” che tradotto in italiano significa: “quello li bisogna ammazzarlo!”.  Passati qualche giorno in cui la scena si ripeteva  le abbiamo chiesto se  c'erano dei problemi con qualcuno e il viso della signora si illuminò, probabilmente contenta che qualcuno le rivolgesse parola. Chiacchierando venimmo a sapere che era vedova dell'ultimo comandante le guardie carcerarie di sant'Agata. Come mai mormora sempre quella frase “copàl chel le!” lei rispose che era un modo per ricordare suo marito, che usava quell'intercalare nel suo discorrere quotidiano. Poi la sciura scomparve e  venimmo a sapere che era schiattata d'infarto ormai prossima ai 90 anni. Non c'aveva avvertito!. La signora visse gli ultimi anni in una casa d'affitto comunale ma, chissà perché, possedeva ancora le chiavi d'accesso al carcere e così una volta l'abbiamo visitato in sua compagnia, con un po' di sgaggia dal momento che non riuscivamo a capire come mai lei fosse ancora in possesso delle chiavi.
In questo quadretto l'auto spot  della Serra per le visite all'ex carcere nell'ambito del sequel Molte Fedi (sotto lo stesso cielo) ci pare eccessivo. Sicuramente la sindaca emerita  sa il fatto suo e sa altrettanto bene spendersi professionalmente epperò sul carcere sarebbe meglio stendere un doppio velo di attesa pietosa. Primo perché è rimasto rudere  da trent'anni senza che se ne trovasse una destinazione, nonostante la “fame” di alloggi per studenti faccia guadagnare un sacco di soldi agli affittacamere. E questo spiega come mai ne destre ne sinistre abbiano concretizzato una soluzione. Secondo perché adesso dovrebbe partire una ristrutturazione dagli esiti molto interrogativi visto che si accentua il carattere commerciale mentre non si accentua quello residenziale stabile.  Città Alta ha bisogno di residenti stabili e non di attività commerciali o turistiche comunque camuffate. Assurdo poi che con tutti gli stabili comunali disponibili –a partire da Palazzo dell'Università in Piazza Vecchia ormai inutilizzato- si voglia piazzare il Conservatorio nel chiostro che, separato dall'ex carcere, può funzionare benissimo come centro di socializzazione per la città alta.
Non abbiamo trovato di buon gusto lo spot della Serra e non ci risulta gradita questa ininterrotta mutazione genetica commerciale della città.
Angelica Casile era entrata nella Formazione autonoma del fronte della gioventù attraverso la sua pettinatrice. «Eravamo fuori per le vie di questa città, Ferruccio ed io, per cercare di disarmare alcuni fascisti — raccontava la partigiana Cocca nel 2011 —. Verso le undici, quando stava per suonare il coprifuoco, vediamo una divisa. Seguiamo questo fascista e lo fermiamo, gli diciamo “mani in alto” e Ferruccio lo disarma. Mette la sua pistola in tasca. Nel mentre arriva della gente che usciva da teatro. Noi diciamo a questo, che era un tenente, di stare fermo, che non gli avremmo fatto niente. Invece lui si è buttato in terra, ha gridato aiuto e a noi non è restato che scappare». Davanti c’erano altri due compagni, dietro lei e Ferruccio. «Ci imbattiamo in una divisa — prosegue Cocca —, non si vedeva a un palmo di naso, perché c’era l’oscuramento e non c’era la luna. Ha sparato ma nessuno di noi si era accorto di essere stato colpito. Ferruccio ha corso con me cento metri. Quando siamo arrivati davanti alla porta di un compagno per andare sui tetti ad aspettare, non ha voluto entrare. L’ho preso per le maniche della giacca e lui mi ha scostato e mi ha detto “non mi reggo”. Io credevo che fosse stanco per la corsa, invece era stato colpito a un centimetro dal cuore. Non ha voluto entrare dove ci eravamo riparati forse perché quando hai 17 anni e ti senti morire vuoi andare da tua mamma». La voce si incrina: «Nessuno di noi cercava la bella morte, nessuno voleva fare l’eroe. Noi volevamo solo essere felici».

Ferruccio era stato poi portato dai fascisti alla caserma Colleoni. Non parlò, ma per i compagni da quel momento era diventato troppo pericoloso restare in città. «Così, per poter acquistare il materiale per andare in montagna, fecero un “lavoretto” alla banca Popolare in piazza Pontida». Una rapina, intende Bruno Codenotti, l’uomo che «la Cocca», la chiama così anche lui, aveva sposato in seconde nozze nel 1964. Controcorrente anche lì. Erano inseparabili, sempre in piazza, spesso a mediare tra manifestanti e polizia. Dopo Ferruccio, Angelica aveva trascorso un periodo in Val Seriana con la brigata Camozzi e poi nascosta in un paese nella Bassa. ....