Davvero
noi italiani non ci facciamo mancare niente: adesso c’abbiamo pure un
re. La carogna di un re dentro una cassa depositata in chiesa. Proprio
proprio per non farci mancare nulla e per non renderlo infelice,
c’abbiamo pure sua moglie. Messi uno fianco all’altra. Il ritorno
delle spoglie dei reali in Italia ha avuto bisogno di un tempo lungo:
credo dal 2002 quando fu riformata la Costituzione in merito. Nella
memoria della Repubblica resta il 'sostegno' dato dal re al fascismo e
della sua firma sulle leggi razziali oltre che della 'fuga' dopo l'8
settembre del 1943.
Nel maggio del 1946, dopo aver abdicato in favore del figlio Umberto
II, Vittorio Emanuele e la regina Elena di Montenegro lasciarono
l'Italia e ripararono in Egitto, accolti dall'amico re Faruk che li
accolse con grandi onori. L'ex coppia reale andò a vivere a Villa Jela,
chiamata con il nome montenegrino dell'ex regina. Vittorio Emanuele III
morì di congestione polmonare il 28 dicembre 1947, proprio il giorno
dopo la sottoscrizione della Costituzione della Repubblica Italiana, e
fu sepolto ad Alessandria. La moglie Elena lasciò presto l'Egitto per
andare in Francia. A Montpellier si fece curare da una grave forma di
tumore ma morì durante l'intervento chirurgico e venne sepolta nella
città francese. Da oggi, dopo settant'anni e una trattativa durata sei
anni, la coppia reale si ricongiunge nel santuario di Vicoforte.
Ecco: da quelle parti ci sono ancora dei lupi. Aprite le casse e
lasciatele all’aperto che forse a ripulire l’Italia da quei due ci
pensano loro.
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16 dicembre 2017
Banca Etruria e la valle dell'oro toscano che preoccupava Boschi.
L'istituto aretino era l'asset strategico del primo distretto orafo
d'Italia. Con 9,5 tonnellate di lingotti nei caveau per un valore di
300 milioni. Un'eventuale fusione con BpVi avrebbe favorito il
Veneto. Il giro d'affari.
Gabriella Colarusso /Lettera 43
Il 14 dicembre Giuseppe Vegas, presidente di Consob dal 2010 al 2017,
ha dichiarato alla commissione di inchiesta parlamentare sulle banche
che nel 2014 l'allora ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, parlò
con lui della questione Banca Etruria esprimendo «un quadro di
preoccupazione perché a suo avviso c'era la possibilità che Etruria
venisse incorporata dalla Popolare di Vicenza e questo era un danno per
la principale industria di Arezzo che è l'oro». Di cosa era preoccupato
il ministro? Della tenuta del primo distretto orafo d'Italia, il cui
sviluppo è stato sostenuto e garantito dall'istituto di credito aretino
per più di 50 anni, istituto commissariato nel 2015 e poi acquisito da
Ubi che l'ha trasformato nella Nuova Banca Etruria.
EXPORT ARETINO PER QUASI 2 MILIARDI. Parliamo di un distretto che conta
1.592 imprese, secondo i dati al 2014 dell'osservatorio nazionale
distretti italiani, e impiega poco meno di 8 mila persone. Per dare
un'idea: il secondo polo dell'oro italiano, quello di Vicenza, conta
meno di 1.000 imprese, secondo lo stesso Osservatorio, e dà lavoro a
quasi 5 mila persone. Nel 2016 le aziende dell'oro aretine hanno
esportato beni per 1 miliardo e 800 milioni per la precisione, -1,75%
rispetto al 2015, mentre il competitor veneto ha sfiorato il miliardo e
400 milioni di export, +4,1% rispetto all'anno precedente (fonte:
Direzione Studi e Ricerche di Intesa Sanpaolo).
Banca Etruria è stata da sempre l'asset strategico di questo comparto
produttivo toscano, al punto da essere definita «la banca dell'oro»:
innanzitutto perché è uno dei pochi istituti di credito, insieme con la
Popolare di Vicenza, a essere autorizzato a vendere oro non lavorato;
in secondo luogo perché è il più grande magazzino del prezioso metallo
dopo Bankitalia (seppur a notevole distanza). Nei suoi caveau sono
custodite più di 9 tonnellate e mezzo di lingotti, secondo una
ricostruzione del Corriere della Sera del dicembre 2015, per un valore
di oltre di 300 milioni di euro.
POSSEDUTO AL 100% UN BANCO METALLI. Etruria infatti è anche l'unica
banca italiana che per anni ha posseduto al 100% un banco metalli, la
Oro Italia Trading, che nel 2015 è finito sotto la lente di
ingrandimento dei magistrati aretini per una presunta frode fiscale che
sarebbe stata operata in alleanza con alcune aziende del settore. Tra
gli indagati c'è infatti anche Plinio Pastorelli, che all'epoca dei
fatti su cui indagano i magistrati toscani era consigliere delegato di
Oro Italia Trading, dove era entrato come amministratore il 9 luglio
2007 uscendone quattro giorni dopo la notizia dell'indagine in corso,
il 18 febbraio 2015.
Con l'arrivo di Ubi, nuovo proprietario della banca, Oro Italia Trading
è finita in dismissione, anche se l'ad di Nuova Banca Etruria, Silvano
Manella, ha assicurato che l'istituto continuerà a fare prestiti d'uso
in oro per le imprese del territorio e a mantenere i servizi fino a
oggi offerti dalla banca: «Potenzieremo questa attività specifica dove
la vecchia Bpel era forte, ma non lo faremo attraverso questa società».
L'ESPOSIZIONE DELLA BANCA AUMENTAVA. E in effetti la Nuova Banca
Etruria non ha perso tempo. Come risulta dai dati dalla stessa società,
dall'inizio del 2017 l'istituto ha aumentato di oltre il 7% la sua
esposizione verso le imprese del distretto orafo, concedendo nuovi
prestiti, una tendenza che conferma quella del 2016, quando,
considerando l'incremento del prezzo dell'oro, l'esposizione della
Banca verso il comparto è cresciuta di quasi il 25%. Non solo. La banca
ha visto aumentare anche di circa il 12% nel 2016 la giacenza di oro
depositata nei suoi caveau.
Era opportuno che del caso si facesse carico un ministro delle Riforme,
con nessuna competenza in materia bancaria, per di più legato da
rapporti di parentela con gli ex vertici dell'Etruria?
Questa simbiosi finanziaria tra Etruria e la valle dell'oro toscano era
al centro delle preoccupazioni dell'ex ministro Boschi. Una eventuale
fusione con la disastrata Popolare di Vicenza avrebbe infatti non solo
rischiato di gravare ulteriormente sulle già fragili condizioni
economiche di Etruria, ma anche di penalizzare il distretto aretino
nella concessione del credito favorendo così il competitor veneto.
INTERVENNERO LE IMPRESE ORAFE LOCALI. Quando a metà del 2014 la
Popolare di Vicenza presentò l'Offerta pubblica di acquisto (Opa) sulla
quasi totalità del capitale sociale di Banca Etruria, a esprimersi
pubblicamente contro la fusione furono proprio le imprese orafe della
zona, sostenute da Confindustria, dall'amministrazione locale, dai
sindacati, in sostanza da una città intera. Resta da capire se di
queste preoccupazioni era opportuno, sul piano politico, che si facesse
carico un ministro delle Riforme, dunque con nessuna competenza in
materia finanziaria, bancaria o di sviluppo economico, e per di più
legato da r
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16 dicembre 2017
Ibrahim Abu Thuraya: l'esercito israeliano ha preso prima le sue gambe, poi la sua vita
di Gideon Levy /Haaretz
Il tiratore scelto dell'esercito israeliano non poteva colpire la parte
inferiore del corpo della sua vittima, Ibrahim Abu Thuraya. Il
ventinovenne, che lavorava lavando le macchine e viveva nel campo
profughi di Shati a Gaza City, ha perso entrambe le gambe durante
un attacco aereo israeliano nell' “operazione Cast Lead” del 2008.
Usava una sedia a rotelle per muoversi. Venerdì l'esercito ha
terminato il lavoro: un tiratore scelto ha puntato alla sua testa e
l'ha ucciso.
Le immagini sono orribili: Abu Thuraya sulla sua sedia a rotelle,
spinto da amici, protesta contro la dichiarazione degli Stati Uniti che
riconosce Gerusalemme come capitale di Israele; Abu Thuraya è a terra,
striscia verso la recinzione dietro la quale è imprigionata la Striscia
di Gaza; Abu Thuraya sventola una bandiera palestinese; Abu Thuraya
alza entrambe le braccia in segno di vittoria; Abu Thuraya, portato dai
suoi amici, sanguina a morte; Il corpo di Abu Thuraya è steso su una
barella: The End. Si può presumere che il soldato abbia compreso che
stava sparando a una persona su una sedia a rotelle, a meno che non
stesse sparando indiscriminatamente alla folla dei manifestanti.
Abu Thuraya non rappresentava un pericolo per nessuno: quale
pericolo poteva costituire un doppio amputato su una sedia a rotelle,
imprigionato dietro una recinzione? Quanta malvagità e
insensibilità.
Abu Thuraya non è stato il primo, né sarà l'ultimo palestinese con
disabilità a essere ucciso dai soldati delle Forze di Difesa Israeliane
– i soldati più morali del mondo.
L'uccisione del giovane disabile è passato quasi senza menzione in
Israele. È stato uno dei tre manifestanti uccisi venerdì, solo un altro
giorno banale.
Si può facilmente immaginare cosa succederebbe se i palestinesi avessero ucciso un israeliano su una sedia a rotelle.
Che furore sarebbe scoppiato, inchiostro infinito versato sulla loro
crudeltà e barbaria. Quanti arresti sarebbero risultati, quanto sangue
sarebbe fluito in rappresaglia.
Ma quando i soldati si comportano in modo barbaro, Israele tace e non
mostra alcun interesse. Nessuno shock, nessuna vergogna, nessuna pietà.
Le scuse o l'espressione di rimpianti o rimorsi sono materia di
fantasia. Anche l'idea di ritenere responsabili i militari
di questo omicidio criminale, è considerata delirante.
Abu Thuraya era un uomo morto una volta che ha osato prendere parte
alla protesta del suo popolo e il suo omicidio non interessa a nessuno,
dal momento che era un palestinese.
La striscia di Gaza è stata chiusa ai giornalisti israeliani per 11
anni, quindi si può solo immaginare la vita di Shati prima della sua
morte: come sia guarito dalle ferite in assenza di servizi di
riabilitazione decenti nella Striscia assediata e senza nessuna
possibilità di ottenere protesi. Poteva solo muoversi su una vecchia
sedia a rotelle non elettrica nei vicoli sabbiosi del suo
accampamento; ha continuato a lavare le auto nonostante la sua
disabilità, ha continuato a lottare con i suoi amici nonostante la sua
disabilità.
Nessun israeliano può immaginare la vita in quella gabbia, la più
grande del mondo, chiamata Striscia di Gaza. Fa parte di un
esperimento di massa senza fine sugli esseri umani.
Si dovrebbero vedere i giovani disperati che si sono avvicinati alla
recinzione nella manifestazione di venerdì, armati di pietre che non
potevano arrivare da nessuna parte e che lanciavano attraverso le
fessure nella recinzione dietro la quale sono intrappolati.
Questi giovani non hanno speranza per le loro vite. Abu Thuraya aveva ancora meno speranza.
C'è qualcosa di patetico ma di dignitoso nella foto dove alza la
bandiera palestinese, pure nella sua doppia detenzione: la sedia
a rotelle e il suo paese assediato.
La storia di Abu Thuraya è un riflesso accurato della sua gente. Poco
dopo essere stato fotografato, la sua vita tormentata si è conclusa.
Quando la gente grida ogni settimana: “Netanyahu a Maasiyahu
[prigione]” qualcuno dovrebbe finalmente iniziare a parlare de L'Aia.
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