“Mobike nei paesi dell'hinterland è possibile”, sindaci interessati
L'assessore Zenoni (Bergamo): "Nei Comuni contigui al capoluogo non è
una prospettiva irrealizzabile, ma la spinta deve venire dai cittadini"
di Fabio Viganò - 07 dicembre 2017
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In parte c'è chi lo ha già messo in pratica, portando le bici rosse
oltre i confini del capoluogo; ma come sarebbe estendere il bike
sharing a flusso libero anche ai Comuni dell'hinterland?
Per ora si tratta di un'idea e nulla più, va specificato. Un'idea che
sembra però attrarre i cittadini, promotori di una petizione
sulla piattaforma onlinechange.org (le firme raccolte in circa 48 ore
sono oltre 200) e pure i sindaci ai quali è stato chiesto di valutare
la possibilità di munirsi del servizio, attivo a Bergamo soltanto da
una settimana.
Come funziona? Si prende la bici, si viaggia fino a destinazione e la
si parcheggia in qualsiasi posto, purché sia pubblico e non ostacoli il
traffico, in attesa di un altro utente.
La sfida è quella di integrare in modo capillare la rete del trasporto pubblico.
Specialmente con i paesi della prima cintura attorno a Bergamo dovrebbe
o potrebbe allargarsi il servizio, dove lo stesso assessore vede
“margini di ragionamento più ampi”. Come, per esempio, Torre Boldone,
confinante con il quartiere di Redona e già attraversato dalla Teb, il
primo cittadino di Seriate, Cristian Vezzoli (Lega Nord) . Idealmente
favorevoli anche i sindaci di Curno e Mozzo (centrosinistra): “Forse
aiuterebbe a snellire un po' il traffico – commenta Luisa Gamba -. Se
poi, come abbiamo chiesto, riuscissimo ad ottenere anche la fermata del
treno all'altezza del passaggio a livello di Curno, il servizio si
integrerebbe ancora meglio”. “Ovviamente vanno approfonditi tutta una
serie di aspetti, in primis quello economico – prosegue Paolo
Pelliccioli -. A Mozzo stiamo puntando sempre più sull'utilizzo delle
piste di ciclabili e un servizio del ge
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Il
servizio Mobike anche a Curno e paesi della periferia di Bergamo?
utile e possibile sia pure in forma più limitata data la scarsa densità
della popolazione e dei servizi generali.
Freddina freddina la reazione della sindaca Gamba magari presa alla
sprovvista dalla telefonata:“Forse aiuterebbe a snellire un po' il
traffico – commenta-. Se poi, come abbiamo chiesto, riuscissimo ad
ottenere anche la fermata del treno all'altezza del passaggio a livello
di Curno, il servizio si integrerebbe ancora meglio”.
Abbiamo qualche dubbio che alla giunta Gamba interessi questo servizio
perché l’abilità di Vivere Curno consiste sempre nel costruire
relazioni privilegiate con onlus cooperative terzo settore in modo da
disporre un domani di tutta una serie di relazioni provinciali in vista
di qualche beneficio politico successivo.
Ma in tema -biciSI-biciNO- dovrà mettere il sigillo la sindaca emerita
Serra, ciclista della prima ora. Intanto la sindaca Gamba spaccia la
«speranza» che le ferrovie si degnino di creare una fermata in
centro al paese, a cavallo del passaggio a livello.
Come sia possibile creare una fermata sulla Piazza del Comune a Curno è
da immaginare per tutta una serie di motivi che non stiamo a illustrare
altrimenti dovremmo scrivere una bibbia.
L’idea di paese che hanno questi di Vivere Curno è quella dello
«stallo» arroccato attorno la campanile all’ombra del gonnellone
dell’Assunta. Alla giunta Gamba interessa invece un bel
progetto per la ciclabile da Curno all’ospedale Papa Giovanni, in mezzo
ai capannoni, ai campi, alla circonvallazione Leuceriano. E’ talmente
balzano questo progetto -come quello della stazione senza parcheggi-
che l’unica ragione appare quella di spendere parecchi soldi per
la parcella del professionista (di Curno?) e dell’impresa. Poi sarà
vandalizzata come tutte le o
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Fino
a qualche anno or sono era abbastanza comune leggere sui quotidiani
come fosse possibile trovare lavoro nelle grandi città e si metteva
Londra oppure le grandi americane come modelli. C’era scritto che
praticamente ti potevi licenziare da un posto di lavoro alle cinque
della sera con la certezza che l’indomani ne avresti trovato un altro.
E’ la bellezza del capitalismo concionavano!. Selvatico oltre che
selvaggio.
Se leggiamo le ultime statistiche dell’ISTAT-INPS ci rendiamo conto che
l’Italia si sta probabilmente avviando a due tipi di mercati del
lavoro. Uno destinato alle alte qualifiche e professionalità a tempo
INDETERMINATO di difficoltosissima recuperabuilità per via di una
cronica carenza degli ITS e delle Università che in genere va nelle
grandi aziende e tutto il resto fatto di grande mobilità (le assunzioni
a termine sono volate del 27,3% rispetto al 2016, quelle stabili scese
del 3,5%). L'Istat aggiunge che nel terzo trimestre del 2017 il tasso
dei posti vacanti cresce di 0,1 punti percentuali nei servizi,
raggiungendo l'1,1% (anche questo dato è un record dal 2010), mentre
rimane stabile allo 0,8% nell'industria rispetto al trimestre
precedente.
La realtà, ne siamo abbastanza convinti, é che questa mini carenza di
personale occupabile per certi tipi di occupazione derivi soprattutto
da due fattori. Laddove si cercano qualifiche elevate e non ci sono sul
mercato perché scuola non le ha sfornate e quelle destinate a
settori dove la qualifica è peggiore e i salari sono nettamente
inferiori. In questi giorni p.e. abbiamo verificato presso alcuni
degenti in un ospizio di Almenno come questi paghino in nero
perfino meno di 5 euro l’ora I o LE badanti che vanno da loro.
C’è da sperare che i maxi investimenti in corso sull’industria 4
trovino via via il personale qualificato per essere addetto stabilmente
mentre appare evidente come paghe e stipendi troppo bassi siano alla
base di una crisi che non si riesce a superare. Non credo che chi non
vuole pagare più di 5 euro all’ora la badante (in nero...) lo faccia
per intima convinzione ma perché pensioni e gli stipendi-salari dei
figli dei «badati» sono tali da non concedere pagamenti migliori.
Non siamo nemmeno convinti che le enormi regalie fatte dal fiorentino
alle imprese per stimolare le assunzioni a tempo indeterminato
siano state la molla principale, piuttosto pensiamo che sia stata
industria 4 a fare allungare il passo, sia pure mostrando ancora
l’incertezza rispetto alla politica e dalla prossima fine del QE.
La sconfitta refendaria del 4 dicembre 2016 ha tolto al Paese dai
12 ai 15 mesi di accelerazione nella crescita dell’occupazione e del
PIL perché le imprese si sono trovate davanti al vuoto che poteva
sfociare nell’arrivo della troika.
Indubbiamente è in atto una lenta svolta socio culturale nelle
popolazioni attive per maturare l’idea che il «posto fisso a vita» NON
sarà PIU’ il modello normale ma siamo ancora in quella terra di mezzo
per cui i lavoratori hanno maggiori certezze di restare disoccupati che
di trovare «abbastanza» facilmente un lavoro qualora perdessero
l’attuale.
Il fatto è che da una parte c’è una consistente classe operaia anziana
che si rafforza anche per via della riforma Fornero e dall’altra parte
l’offerta di forza lavoro collima poco come capacità e specializzazione
coi modelli rischiesti.
Sta finendo -ed anche questa è una rivoluzione socio culturale- anche
l’idea del genitore che lascia in eredità la casa ai figli assieme a un
consistente gruzzolo di BOT. Il Paese può andare avanti se nel prossimo
decennio metà della ricchezza finanziaria delle famiglie e buona
parte della ricchezza immobiliare ma costituiranno più
«l’eredità» per i figli ma serviranno per la salute e la cur
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L'Istat
registra il record storico di lavoratori precari: due milioni e 784
mila nel terzo trimestre dell'anno, mai così tanti dal 1992, inizio
della rilevazione statistica. Eppure il governo si ferma ad un passo
dall'introdurre un correttivo al decreto Poletti del 2014 che ancor più
della riforma Fornero ha liberalizzato i contratti a termine.
Allungandone la durata, a tre anni. I rinnovi possibili, a cinque. E
togliendo per sempre pure la causale, lo scopo dell'assunzione, per
limitare i contenziosi di lavoro.
Un emendamento in realtà risulta depositato in commissione Bilancio
della Camera, dov'è in discussione la manovra finanziaria per il 2018.
La prima firmataria è Chiara Gribaudo, responsabile lavoro del Pd. E il
testo propone di accorciare da 36 a 24 mesi la durata di un contratto a
tempo determinato. Soluzione condivisa da tutti, nel partito di
maggioranza e nell'esecutivo Gentiloni, fino a qualche giorno fa. Ora
tornata in bilico, dopo la rinuncia dell'ex sindaco di Milano Giuliano
Pisapia a scendere in campo, a fianco del Pd di Renzi. Il ritocco al
decreto Poletti era nella “lista” delle cose di sinistra da fare per
riportare a bordo anche l'Mdp di Bersani. In realtà gli scissionisti
del Pd chiedevano addirittura di ripristinare l'articolo 18, dunque di
smontare il Jobs Act. Ma certo porre un freno al proliferare dei
contratti precari era un segnale.
Segnale che dopo la discesa in campo di Grasso come guida di Mdp e lo
scioglimento di Campo Progressista di Pisapia viene ritenuto inutile.
Addirittura controproducente. «Puntiamo su una fine ordinata della
legislatura, poche cose fatte ma buone, come pensioni e assunzioni dei
giovani », dice una fonte di Palazzo Chigi.
Ma la decisione non è ancora presa. I dati Istat fanno pensare. Non
solo perché gli occupati precari salgono del 13,4% in un anno. Mentre
quelli stabili solo dello 0,4%. Ma perché anche l'offerta delle aziende
si muove verso orizzonti di flessibilità a volte estrema. La stessa
Istat racconta di offerte d'impiego in somministrazione salite del 23%
rispetto a un anno fa. Il ministero del Lavoro riferisce che sempre nel
terzo trimestre il 31% dei contratti dura meno di 30 giorni, il 14%
fino a tre giorni. E che su 2,8 milioni di contratti attivati, quasi 2
milioni sono a termine, 90 mila co. co. co, 76 mila di apprendistato,
220 mila tra intermittenti, di formazione, di inserimento. Poco meno di
mezzo milione i posti stabili, il 17% del totale.
L'Inps, che al pari del ministero conta i contratti non le teste e
dunque le persone occupate, ci racconta poi che nei primi nove mesi del
2017 le assunzioni a termine sono volate del 27,3% rispetto al 2016,
quelle stabili scese del 3,5%. Se si sottraggono le cessazioni di
contratto, il 2017 si avvia a diventare il primo anno dal Jobs Act di
Renzi a chiudere con segno meno sul lavoro a tempo indeterminato. La
differenza tra contratti attivati e cessati è appunto negativa: un
effetto netto di 10 mila posti distrutti, contro i 22 mila creati nel
2016 e addirittura 487 mila nel 2015, quando gli sgravi erano totali.
Vola dunque la precarietà.
Un controsenso per una riforma del lavoro, come quella renziana, che
doveva affermare il contratto a tutele crescenti - il nuovo tempo
indeterminato - come forma principale di ingresso. E invece ripartono i
lavoretti. Ci sono ancora quasi 3 milioni di disoccupati, l' 11,2%. E
il tasso di occupazione al 58% è tra i più bassi d'Europa, dove il
tasso medio è al 71,1%. E alimentato da mesi ormai quasi esclusivamente
da occupazioni precarie. Come i 79 mila posti creati tra luglio e
settembre sul trimestre precedente: il risultato, dice ancora l'Istat,
di 101 mila a tempo, indeterminati stazionari e autonomi in c
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