schermata 1950 pixels










































I giovani scoraggiati a cui l'Italia deve regalare un futuro

In Europa gli under 30 che non studiano né lavorano sono molti meno che nel nostro Paese. Gli altri Stati hanno investito sulla scuola e sul connubio imparare-fare
di Alessandro Rosina

L'Italia ha grande necessità di crescere, di trovare un proprio solido percorso di sviluppo in questo secolo. Siamo finora riusciti a farlo meno delle altre economie avanzate, dovremmo invece crescere di più per non sprofondare sotto il peso combinato dell'enorme debito pubblico e dell'accentuato invecchiamento demografico. Per uno sviluppo competitivo abbiamo bisogno soprattutto di nuove generazioni ben preparate, efficacemente presentate all'interno del mercato del lavoro, al meglio inserite ad ogni livello del sistema produttivo, in particolare nei settori più dinamici e innovativi. Detto in altro modo, le condizioni del Paese rendono ancora più vitale e strategico investire sulle opportunità per i giovani. Lo stiamo facendo? A parole forse, ma molto meno con i fatti.

Nel corso della recessione è cresciuto enormemente il tasso di disoccupazione giovanile. Abbiamo assistito anche ad una penosa rincorsa a minimizzarne la portata affermando che in fondo si trattava solo di under 25 che non riuscivano a trovare lavoro in un'età in cui dovrebbero solo studiare. Non ci siamo accorti che i Paesi che crescevano più di noi investivano fortemente proprio sugli under 25, potenziando sia formazione generale, sia percorsi tecnici, sia l'orientamento scolastico e professionale, favorendo soprattutto una commistione fertile tra imparare e fare. Non è allora un caso che presentino minori tassi di abbandono precoce degli studi e più alta occupazione, non solo per gli under 25 ma, per estensione, in tutta la fascia giovane-adulta.

I dati recentemente presentati alla seconda edizione del Convegno internazionale "Neeting" organizzato da Fondazione Cariplo, Istituto Toniolo e Università Cattolica, sono impietosi nel mostrare quanto siamo rimasti indietro rispetto alle condizioni per produrre crescita con le nuove generazioni.

Per effetto della denatalità passata, abbiamo meno under 35 rispetto al resto d'Europa, ma anziché compensare tale contrazione aumentando l'occupabilità delle nuove generazioni, ci troviamo a sprecare maggiormente il loro potenziale. L'indicatore principale che l'Unione europea utilizza come misura di tale spreco è quello dei Neet, acronimo inglese che indica chi è in stallo tra non studio e non lavoro (Neither on education, employment or training). L'Italia già prima della crisi presentava un'incidenza di tale fenomeno maggiore rispetto al resto d'Europa (18,8% contro 13,2% in età 15-29). Nel complesso dell'Unione la percentuale di Neet è oggi sostanzialmente tornata su quei livelli. Il dato italiano, dopo ha raggiunto nel 2014 un picco pari al 26%, è sceso al 24% nel 2016. L'andamento positivo sembra continuare nel corso del 2017, ma in modo meno deciso e più incerto rispetto agli altri paesi. Tanto che, se prima della crisi le regioni del Nord Italia si trovavano sotto l'incidenza media europea, ora anch'esse (salvo la provincia autonoma di Bolzano) si trovano tutte tristemente sopra.

L'uscita dalla fase più acuta della crisi e l'azione del programma "Garanzia giovani" appaiono quindi aver finora prodotto risultati limitati. Il motivo va cercato nella debolezza di tutto il processo di transizione scuola-lavoro in Italia. A valle c'è un sistema produttivo che offre basse opportunità e valorizza poco il capitale umano dei giovani, spingendo i più qualificati ed ambiziosi ad andare all'estero. Va aggiunta poi la carenza delle politiche attive nel nostro paese, che non aiuta ad alzare al punto più alto domanda e offerta di lavoro. Secondo i dati più recenti del "Rapporto giovani" dell'Istituto Toniolo, meno del 10 percento di chi ha una occupazione tra i 20 e i 35 anni dichiara di averla trovata attraverso il canale formale dei servizi per l'impiego. A monte, poi, ci sono tutte le fragilità del sistema formativo. I giovani italiani si trovano alla fine del percorso di istruzione con meno competenze spendibili e più vaghe conoscenze di come funziona il mercato del lavoro rispetto ai coetanei europei. Sempre secondo i dati del "Rapporto giovani" solo un intervistato su tre pensa che la scuola sia utile a capire com'è e come evolve il mondo del lavoro. La stessa alternanza scuola-lavoro va considerata una misura teoricamente utile, ma è stata avviata senza un serio programma di valutazione di quanto (in che misura, per chi, a quali condizioni) tale esperienza sta davvero potenziando le competenze trasversali degli studenti.

In sintesi, più degli altri paesi stiamo mandando in ordine sparso una generazione a scontrarsi con i rischi del lavoro che manca, invece di attrezzarla per cogliere al meglio le opportunità del lavoro che cambia. Con l'elevato debito pubblico e l'accentuato invecchiamento della popolazione, sprecare il talento e le energie delle nuove generazioni è più di una colpa, è un errore fata
Abbiamo ascoltato nella sua intierezza il discorso di Pietro Grasso alla prima assemblea nazionale di Mdp, Si e Possibile all’Atlantico Live a Roma,  e al di la delle note litanie di buona volontà che stiamo ascoltando da mezzo secolo, non abbiano sentito niente di più. Un discorso tipico della casta di sinistra per la quale vale in primo la conservazione del posto e poi, semmai venga qualcosa, meglio che no.
Grasso ci pare fermo al primo maggio 2004.
I problemi che si pongono oggi non si risolvono tornando a quelle origini. Il paese non si sta spaccando soltanto  tra chi ha un lavoro stabile e chi non ce l’ha e chi ce l’ha a tempo determinato . La politica e la cultura debbono dire al paese come sarà il suo futuro. Cosa prospettano. Prospettano per l’Italia un futuro come la Polonia (il salario operaio a 453.48 €/mese nel 2017), l’Ungheria (715 €/mese) o la vicina Slovenia (lo stipendio minimo lordo in Slovenia e' di 789,15 € per un assunzione a tempo pieno) oppure immaginano qualcosa d’altro e che cosa in specie?
Avremmo voluto sentire qualcosa sull’evasione fiscale e come ridurla a zero.
Avremmo voluto sentire qualcosa su come ridurre stabilmente il debito pubblico. Avremmo voluto sentire qualcosa sulla patrimoniale. Avremmo voluto ascoltare qualcosa sul perché le opere pubbliche in Italia costano moltissimo di più che altrove nell’UE e non si finiscono che in tempi biblici. Avremmo voluto sentire di più sul diritto alla salute. Avremmo voluto sapere di più sul perché da noi l’energia costa 0,36€/kwh in bolletta e 0,06€/kw la sola energia. Idem per il metano. Avremmo voluto sapere come mai tutte le famiglie italiane sono sottoposte a spese di ignota motivazione come quella sul collaudo della vettura, della caldaia del riscaldamento ed altre ancora che costituiscono un «diritto di lobby» per certe categorie. Vorremmo sapere come mai nella scuola italiana ci può stare una maestra elementare che IMPONE ai ragazzini di prima elementare do dotarsi di CINQUE quaderni e come mai ci sono insegnanti che  pur essendo titolari del posto non si vedono mai mentre si ricevono certificati su certificati di malattia.
Vorremmo sapere come mai i comuni debbono farsi carico indistintamente di spese per anziani senza poter chiedere che il destinattario pensi a farvi contro anche coi propri beni.
Vorremmo sapere come mai si continua questo balletto sulle pensioni ed invece non si vira del tutto verso il contributivo, vecchi e nuovi pensionati che siano fissando le minime  ad un ammontare congruo. E lasciando ciascuno libero di andarsene in pensione quando vuole anche prima dei 65 anni.
Lo so. Il programma verrà.

La questione è che  il Paese non può reggere cinque sei sette mesi di campagna elettorale e nel frattempo il DiMaio : “La classe media stava con lui nel ’94 quando gli prometteva la rivoluzione liberale, solo che l’ha tradita. La classe media ora sta con noi, basta vedere i numeri abbiamo il 30% è statistica”, ha proseguito. “Quelle persone stanno con noi, diteglielo a Berlusconi che oggi si è svegliato dopo 20 anni di sogno. Dite a Berlusconi che non è più il ’94”. D’Alema “Noi oggi abbiamo tre populismi: Berlusconi, Grillo e Renzi  – afferma Massimo D’Alema – oggi è un punto di svolta per la sinistra”. D’Alema poi risponde agli appelli arrivati in queste ore all’unità del centrosinistra, giunti dal Pd: “Appelli tardivi. Renzi aveva detto che noi eravamo elettoralmente irrilevanti, quindi questi appelli sono una chiara contraddizione”. Noi dividiamo il popolo della sinistra? “Il Pd si è diviso dal suo popolo diversi anni fa” risponde D’Alema.  “Stupidaggini” risponde Pier luigi Bersani alla domanda se oggi con questo nuovo soggetto, a godere sono Grillo e Berlusconi. E Civati: “Grillo e Berlusconi stanno esultando da tempo perché Renzi è il candidato del Pd. Dopo tre anni di governo del Pd, il Paese sia attraversato da rigurgiti neofascisti. Il Pd non è stato un argine a questi rigurgiti” conclude D’Alema”.  E Grasso:“Il nostro progetto è più grande di come lo hanno raccontato e se accorgeranno presto. L’unico voto utile è quello che costruisce la rappresentanza democratica, le idee, i valori, i programmi e le speranze portando in parlamento i bisogno e le richieste di quella metà di Italia che non vota. Quello è il voto utile”.

Un bel di vedremo: a maggio 2018.

La sindaca emerita Serra è tornata di recente con una delle sue affermazioni categoriche in lode dei centri commerciali. Nei ragionamenti dei politici nostrani non trovi MAI un riferimento a un testo, una lettura, una posizione politica che hai letto su una rivista appropriata del settore. Al massimo ci trovi degli slogan mutuati brevi manu da vecchi testi di scuola superiore fermi a prima del 1989.
Chissà se la sindaca emerita abbia letto quanto scrive questa settimana L’Espresso in lode dell’Orio center e contorno. Glielo proponiamo noi.
“Non è uno shopping center, è un polo multifunzionale di aggregazione”, si inorgoglisce Giancarlo Bassi, presidente del Consorzio operatori Oriocenter, buttando lì “come un grande oratorio di paese”, lui che di anni ne ha 67 e all'oratorio c'è cresciuto, e difendendo la scelta dell'apertura festiva, come potrebbe mai il grande oratorio chiudere il dì di festa. Il perfetto non-luogo, secondo la formula coniata un quarto di secolo or sono da Marc Augé? Certo. Ma invece di usarla come grimaldello, è il caso di ragionarci un po' su. Non-luogo è la traduzione letterale di utopia. E siccome le parole mentono meno di chi le usa, per scandalosa che suoni, la verità è che questa dove siamo è l'utopia realizzata. Il falansterio  disegnato da Charles Fourier, dove ognuno ha accesso ai beni secondo i suoi desideri e passioni.
Proprietà a parte, s'intende, che è dei tedeschi di Commerz Real, ramo di Commerzbank, dell'Iper per il suo parallelepipedo, di Nh per il nuovo hotel e di Percassi, al momento, per cinema e food court. Per il resto, come il Nuovo mondo amoroso del francese, Oriocenter è rigidamente strutturato e irreggimentato: “La direzione dà le regole e tutti le rispettano. Il commerciante è come un animale selvatico, tu crea l'ambiente e i servizi e lui arriva, abbiamo un centinaio di richieste per affittare gli spazi», vanta Bassi il presidente, lui stesso operatore con quattro esercizi; se a Santo Stefano uno shop tenesse chiuso «pagherebbe una pesante penale e rischierebbe per contratto di essere estromesso”.
Come lo spazio dell'utopia, Oriocenter è massificato e universalista: anche nel più grande e bello shopping center entri sempre in un déjà vu. Ma anche maniacalmente differenziato e individualizzato per gusti e predilezioni di consumo: ti piacciono i wafer? Ce n'è un negozio intero. I ciucci di gomma? Settecento contenitori impilati su dieci metri d'altezza, fin dove arrivi compri, sopra è déco.
Autoreferenziato e avviluppato su se stesso come un falansterio, “che può essere percorso tutto in una lunga galleria coperta», anche qui, lamentano le commesse, “non vediamo mai il sole”.
Come ogni utopia, Oriocenter è totalizzante e onnivoro, in due anni s'è divorato in provincia un migliaio di piccoli esercizi. Ha un'irrefrenabile propensione a ingrandirsi, nonostante gli esercenti delle prime due ali lamentino che la nuova aperta a giugno abbia cannibalizzato e spalmato i clienti e danneggiato gli affari. E ha una pulsione a riprodursi altrove, uguale, anzi più grande, secondo un nuovo progetto di Percassi da realizzare fuori Milano.
Come ogni utopia, da ultimo, anche questa ha la sua sottesa distopia: i lavoratori nelle viscere della gigantesca macchina della felicità dedita a orientare e soddisfare i desideri dei consumatori. Stranieri quasi solo nella sorveglianza e nelle pulizie, italiani quasi tutti gli addetti agli shop. Quelle commesse che da questo mondo ideale, utopia realizzata, paradiso delle signore, dei signori, dei bambini e persino dei cani che qui lasciano entrare senza problemi, almeno a Natale e a Santo Stefano vorrebbero inopinatamente evadere.
--------------------------------------
“ma qui siamo a Curno che, fatte le debite proporzioni, è peggio dell'Africa”… “Curno è il paese delle denunce anonime usate come mannaia per far fuori l'avversario, Curno è il paese dove il gatto padano lancia la fatwa con discriminante etnica: «Noi i maestrini sardAgnoli li prendiamo a plocade»”…”Se dicessi che sono disgustato non direi il vero. Infatti alla cattiveria curnense sono ormai mitridatizzato. Non ha effetto”.
Così  parla e giudica Curno e i Curnesi  quello che è il custode delLa Latrina di Nusquamia, tale ing. Claudio Piga di origine sardAgnole ma abduano di Trezzo d'Adda con ascendenze garibaldine in Valcamonica, uno che ha fatto il classico dai preti nell'ex liceo di A. Gramsci, ingegnere laureato al Politecnico di Milano.
Ordunque se é così schifato di una data realtà, perché la frequenta? Perché sta continuamente sul pezzo? Grasso ci cola? Mah. Il problema è che probabilmente lo hanno cacciato via dappertutto dove si sia poggiato e questo è uno dei porti attuali cui sta ormeggiato camminando  radendo i muri. Lui non frequenta solo Curno che gli fa schifo ma ha anche l'abitudine di frequentare le aule dei tribunali dove si discutono separazioni e divorzi degli avversari politici per poi pitturare La Latrina di Nusquamia con le sue smerdate. In effetti ultimamente il processo in cui dovrà rispondere nei prossimi mesi (di cui lui ha BEN TACIUTO…) pare l'abbia distratto un poco dal pronunciare la solita sequenza di smerdate che gratifica ai Curnesi. A tre quarti di secolo bisogna accontentarsi di pubblicare  quadretti dove i fratoni sodomizzano le suorine e di sbavare la ministra Madia. Mica è un Weinstein e nemmeno un Brizzi.