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il rapporto CENSIS
le radici del rancore
di Dario Di Vico
Rancore e blocco della mobilità sociale. Nel giorno in cui l'Istat ha rivisto al ribasso di un decimale le stime del Pil per il terzo trimestre (+0,4% sul secondo e +1,7% su base annua) arriva dal Rapporto annuale del Censis, presentato per la prima volta da Giorgio De Rita, un potente segnale d'allarme.
C'è uno stretto nesso causale tra l'ascensore sociale che ha smesso di andare verso l'alto e il profondo sentimento di deprivazione che anima la nostra società, dice il Censis. E aggiunge: «Il blocco non è solo un dato oggettivo ma è anche un'atmosfera percepita, crea rabbia repressa che non riesce più a sfogare nemmeno lungo le linee del conflitto sociale tradizionale». L'ascensore fermo è anche una componente costitutiva «della psicologia dei millennials», permeata dalla convinzione che le opportunità di crescere socialmente sono poche. Sia sui padri che sui figli incombe il rischio della retromarcia sociale e così il rancore ha potuto/saputo mettere radici nella composizione sociale del Paese e nella sua psicologia collettiva tanto da diventare «un sottofondo emotivo continuamente sollecitato da imprenditorie politiche dedicate». Stando così le cose «non bastano gli appelli a parole per sciogliere i grumi rancorosi», deve entrare in gioco il fluidificante sociale per eccellenza. Ovvero la possibilità di migliorare effettivamente la propria condizione socio-economica, di realizzare i propri progetti di vita.
Non è certo la prima volta che si leggono analisi di questo tenore e solo per fare un esempio Aldo Bonomi ha parlato sovente delle «comunità del rancore», colpisce però che il Censis operi una sorta di riduzione della complessità e «scommetta» sull'ambo secco rancore-mobilità. Accettiamola come ipotesi di lavoro e proviamo a trarne le conseguenze sia di breve che di lungo periodo. Nell'immediato non ci si può non interrogare sul riflesso che questo risentimento può avere sugli esiti della competizione elettorale. Mi è capitato di chiedere di recente a una sondaggista attenta come Alessandra Ghisleri quale potesse essere secondo lei la issue decisiva (capace cioè di spostare voti) della prossima campagna elettorale e la risposta che ho avuto si può sintetizzare in una parola-chiave, «periferie». Intese sia come luoghi fisici sia come auto-percezione della propria condizione sociale. Ma se questo è il mood prevalente del Paese è assai difficile che possa cambiare nel giro di 90 giorni e che nello stesso periodo possano dispiegarsi convincenti iniziative di «fluidificazione sociale». La partita quindi finirebbe per giocarsi solo sui messaggi capaci di intercettare, o se preferite intermediare, la rabbia. Non è una prospettiva incoraggiante.
Spostiamoci adesso sul medio periodo. Come si possono ricercare le condizioni di un ciclo di mobilità sociale? La chiave in questo caso non si trova esclusivamente nei cassetti della politica, anzi. Occorre una ricognizione sui mutamenti della struttura economica e sulla loro interazione con i modelli di riorganizzazione delle imprese. Stiamo assistendo purtroppo a una configurazione di un terziario italiano low cost nel quale molte attività professionali vengono trattate come delle prestazioni indifferenziate e questo avviene persino a Milano. Un quarto dei professionisti ha commesse certe e margini interessanti mentre gli altri tre quarti trovano spazi di mercato ristretti e con i loro redditi faticano persino a finanziare le spese per aggiornare le competenze.
E' chiaro che in queste condizioni più che un ascensore all'orizzonte intravediamo un montacarichi. Vanno nella stessa direzione le discontinuità operate dalle multinazionali e dalle imprese medio-grandi che ristrutturandosi sono diventate più snelle e piatte ma nel contempo hanno tagliato diversi «piani alti», hanno abolito alcune fermate dell'ascensore. So bene che nel campo dell'economia moderna esistono anche i cento fiori e le filiere ad elevato valore aggiunto promettono impieghi ad alta professionalità, dobbiamo solo interrogarci sulla quantità di occasioni che saranno in grado di produrre.
Non possiamo permetterci di riposizionare in alto e con successo il sistema delle imprese ma di restringere drasticamente gli accessi. Riflessioni di questo tipo riguardano mutatis mutandis anche le pubbliche amministrazioni e la loro capacità nel medio periodo di saper/poter attrarre i migliori talenti. Alla luce però dell'allarme suonato dal Censis la domanda finale è doverosamente tranchant: il rancore ci concederà il tempo necessario per organizzare questi per
Sul n.561 abbiamo pubblicati un articolo di Stefano Marchi che illustra i risulatti sullo stato degli italiani come appare da una ricerca finanziata dalla Findomestic che è ramo che cura i finanziamenti alle famiglie da parte della BNP-Paribas Findomestic: “Il 73% degli italiani «è soddisfatto del proprio lavoro», nonostante i grandi cambiamenti provocati in quell’ambito negli ultimi anni dalla crisi economica e dall’innovazione tecnologica.  Questo studio è stato realizzato su un campione di mille consumatori facenti parte della popolazione attiva italiana e di cento aziende con almeno 10 dipendenti. La stessa indagine denota, però, che il 62% degli intervistati considerano il lavoro attuale «più precario» rispetto a dieci anni fa. Il 66% di loro ritiene, inoltre, che l’attività lavorativa oggi si svolga con «ritmi più incalzanti», il 63% la reputa «più stressante», e il 56% vi percepisce una maggiore competizione.
Tra i fattori che hanno determinato l’evoluzione del lavoro negli ultimi dieci anni, il 62% dei consumatori interrogati citano «la crisi economica», e soltanto il 46% indicano «l’innovazione tecnologica».
A una lettura attenta sia della ricerca Findomestic che  di quella del CENSIS non paiono distanti o contraddittorie sebbene la prima sia ovviamente indirizzata a fini ben precisi.
Penso che il risultato illustrato dal CENSIS non ci dica una verità che gli italiani tacciono sempre.
Finora a prima dell’introduzione del QE (quantitive easing)  gran parte degli italiani aveva campato benissimo sfruttando gli alti interessi pagati dal debito pubblico o da altre operazioni più o meno lecite.
Nel 2016 é aumentata la ricchezza finanziaria delle famiglie e arriva a quota 3.239,8 miliardi, in aumento di 41,1 miliardi rispetto all'anno precedente (+1,3%). Il totale delle attività ammonta a 4.168 miliardi (+1,2% rispetto all'anno precedente), a cui vanno sottratte le passività che ammontano a 928,2 (+1,1%). I dati sono contenuti nell'ultima relazione annuale della Banca d'Italia pubblicata il 25 giugno 2017.
La crisi dal 2008 ha impoverito  chi deteneva azioni ed obbligazioni fino a renderli poveri se non strapelati e il QE ha ulteriormente ridotto i redditi extra che  la ricchezza finanziaria famigliare contribuiva in un qualche modo sia ad un maggiore benessere che al welfare.
Gli italiani si sono resi conto che adesso sono «soli» coi loro soldi (se ne hanno) e senza lavoro (se non hanno riserve) e tutti assieme con 2400 miliardi di debito pubblico accompagnato da una evasione record (che non è certo quella del lavoro in nero dei piccoli).
Questo rancore nero e nemmeno tanto sotterraneo che per vent’anni é stato alimentato dalla narrazione di «Roma ladrona» e successivamente (coi 49 milioni che la Lega deve restituire allo Stato per le sue ruberie e coi 100 milioni di debito di Forza Italia) dall’»invasione degli immigrati» adesso gli Italiani iniziano a percepire e convincersi che lo stellone non c’é più a reggere il bordone.
Gli italiani facevano finta di possedere un ascensore sociale dove non si pagava ne la corrente ne la manutenzione: bastava fare debito pubblico. Finisce l’era degli italiani che se ne fregano persino delle vaccinazioni come dell’andare a scuola «per il lavoro» piuttosto che starsene acquattati a fare i NEET o sognare una lira (quella da suonare, non il soldino) tanto c’è una pensione o un aiuto comunale da qualche parte. Adesso tifano per il reddito di cittadinanza come per il REI o i mille bonus del fiorentino ma ben presto quando terminerà il QE pure questa illusione crollerà.
Qualunque sia la prossima maggioranza di governo gli italiani dovranno convincersi che bisogna cominciare a salire le scale a piedi. Peccato che nessuno, proprio nessuno tranne gli insignificanti, dicano la loro sull’evasione fiscale e sulla patrimoniale. Non importa se nel 2016 nelle 28 nazioni dell’UE le persone tra i 30-34 anni laureati fossero il 34,4% i maschi e il 45% le femmine mentre in Italia stavamo al 19,9% (maschi) e 32,5% le femmine: al 27 posto su 28. Ale!
La fermata del treno all'Ospedale Papa Giovanni
Corriere della Sera
Fabio Paravisi

Bisognerà ricordarsi il minuto 21: ritardi permettendo, sarà quello in cui a ogni ora, dalla stazione di Bergamo partirà un treno per l’ospedale. Iniziando dal convoglio 10753 delle 6,21 di domenica 10 dicembre, saranno 34 ogni giorno quelli che si arresteranno davanti alla nuova fermata in corso di realizzazione davanti al Papa Giovanni.
I lavori sono in dirittura d’arrivo: il marciapiede lungo 250 metri è stato completato la settimana scorsa, negli ultimi giorni è stata realizzata la struttura della pensilina lunga 70 metri e ieri è stata issata la copertura. Gli operai stanno procedendo a tappe forzate, visto che fin dall’inizio dei lavori, il 4 ottobre, era stato stabilito che la fermata sarebbe stata operativa con l’entrata in vigore dell’orario ferroviario invernale, cosa che avverrà domenica 10 dicembre. Mentre il 12 si svolgerà l’inaugurazione ufficiale alla presenza del presidente della Regione Roberto Maroni, dell’assessore regionale alle Infrastrutture Alessandro Sorte, del presidente della Provincia Matteo Rossi e del direttore generale del Papa Giovanni Carlo Nicora. Cerimonia che sarà doppia, visto che sarà accompagnata dall’inaugurazio ne dei parcheggi per i dipendenti.
La fermata è stata pensata come servizio per coloro che vanno in ospedale e vogliono evitare il traffico e soprattutto i costi dei parcheggi attorno al Papa Giovanni. E che potrebbero andare dalla città alla Trucca con un biglietto da 1,40 euro, poco più del prezzo di un’ora di parcheggio all’ospedale. L’idea a lungo termine è quella di creare un servizio «metropolitano» che faccia fermare a cento metri dall’ingresso dell’ospedale un treno ogni quarto d’ora per un totale di circa 130 al giorno. Ma per arrivarci bisognerà prima completare il raddoppio della linea ferroviaria fra Montello e Ponte San Pietro, e per quello serviranno ancora quattro anni: è appena terminato lo studio preliminare e in gennaio inizieranno i rilievi aerei del tracciato. Nel frattempo, si era riusciti a inserire negli orari solo nove fermate al giorno. Questo fino a qualche giorno fa: quando la Regione ha ottenuto da Trenord la moltiplicazione dei treni. Che saranno quindi 17 per ogni direzione. Quelli da Bergamo in direzione Milano Porta Garibaldi via Carnate partiranno appunto ogni ora, dalle 6 alle 22 al minuto 21. Sono tutti treni che sarebbero dovuti uscire dalla stazione di Bergamo al minuto 23, ma sono stati anticipati di quei due minuti, che saranno dedicati alla sosta davanti all’ospedale, dove si arriverà dopo quattro minuti di tragitto.
Lo stesso vale per i convogli al ritorno, che prevedono la partenza da Porta Garibaldi al minuto 31 di ogni ora dalle 6 alle 22, con fermata in ospedale dopo un’ora e 5 minuti di viaggio. E che arriveranno a Bergamo due minuti dopo rispetto a oggi. «I treni creeranno un servizio anche ai paesi dell’Isola e della parte ovest della provincia, visto che si fermeranno anche a Ponte San Pietro, Terno d’Isola e Calusco d’Adda — commenta l’assessore Sorte —. Non siamo ancora al servizio metropolitano che è il nostro obiettivo ma è comunque
SOLUZIONI ALLA BERGA- MASCA
Dunque quei cittadini che vorranno utilizzare il treno per arrivare all’ospedale oltre ai 140 centesimi che dovranno sborsare (se troveranno una biglietteria automatica che funzioni...) sbarcheranno in mezzo alla selva: sterpaglie a nord  e il vuoto di strade e parcheggi a sud verso l’ospedale. Immaginavamo che avessero finalmente fatto sparire tutta quella serie di costruzioni e orti abusivi e invece hanno tolto lo stretto necessario. Questi ortolani part time sono davvero una lobby potente. Sotto una stitica pensilina (ma coll’isolante sopra...) che espone  gli incauti viaggiatori agli straventi dovunque provengano, scenderanno una scalinata d’onore di due piani, attraverseranno a loro rischio e pericolo la circonvallazione nord dell’ospedale (il semaforo per l’attraversamento pedonale  dopo che ci sarà il primo morto?) e risaliranno la lunga china per entrare nel nosocomio. Pare che ( e marchiamo quel «pare che» sia previsto uno scivolo per chi viaggia in carrozzina e speriamo che la nostra speranza sia davvero esaudita. C’è un solo termine per qualificare la soluzione: «squallor». Il minimo minimo indispensabile (semmai ci sarà lo scivolo per  portatori di handicap). E’ una soluzione tipicamente aderente allo spirito dei bergamaschi: pugno chiuso con le unghie ficcate nel palmo. Esattamente aderente allo squallor degli esterni dell’ospedale. Ah! ma adesso chi arriverà all’ospedale in treno non pagherà il parcheggio.Manderemo il panettone a Sorte e Rossi per la genialata. Noi ci siamo illusi pensando a una passerella che scavalcasse via Brambilla e scendesse dolcemente verso l’ingresso del nosocomio ed invece ecco ancora la solita banale soluzione «alla bergamasca». Nei prossimi quattro anni (tanto il tempo previsto per il raddoppio ferroviario) vedremo quanti utenti del nosocomio useranno la ferrovia (magari un biglietto unico a 2 euro ATB-FFSS per i residenti nei comuni dove ferma la ferrovia...). Temiamo che sarà un flop.
Con somma buona volontà ci siamo presen tati sabato mattino due dicembre per assis tere a questa seduta consigliare in attesa che attivino finalmente lo streaming (sperando a costo zero: semmai ci riescano o lo vogliano) delle riunioni e pochi minuti dopo lo scocca- re delle ore otto e trenta da parte dell’o- rologio del campanile abbiamo trovato tutte le porte del comune chiuse. In effetti leggen do con attenzione l’av- viso comparso sul sito web del ci era apparso «abbastanza» strano che non fosse composto dalle solite due paginet te e mancasse la firma della sindaca ma que- sta l’abbiamo letta come una «innovazione condivisa» e quindi amen.
Trovate le porte chiuse ci siamo accontentati del bidoncino.
Due domande:
-Mai possibile che il due dicembre arrivino in approvazione i verba li del sette settembre? (Quasi) due mesi per scriverli?
- il Consiglio Comunale del 02.12.2017c’era e c’è stato e come mai le porte alle otto e mezza erano ancora chiuse e le luci del comune spente? O l’avviso era un’hacherata di qual- che  maledetto?