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Don Milani è morto da qualche mese, quando - in un palazzo torinese occupato - gli studenti contestatari scelgono Lettera a una professoressa come simbolo della protesta. È il novembre del 1967. Esattamente mezzo secolo fa, un libro uscito dii un piccolo editore locale - sulla copertina c'era scritto solo il titolo e sopra, al posto del nome dell'autore, “Scuola di Barbiana" - diventa rapidamente un bestseller.
Entra nelle università, nelle scuole, entra nelle fabbriche. Viene letto in segno di provocazione davanti alle chiese. «La questione è di sapere a chi e a che cosa serve un libro così», ragiona Franco Fortini in una recensione politica del testo: quel che «ci fa tenere il fiato» - spiega - è il passaggio da un tema particolare al tema della «rivoluzione salvezza». Le «cose che nessuno ha saputo dire» sull'abisso della disuguaglianza sociale e culturale, sulla presa della parola da parte degli ultimi, degli emarginati, sul classismo nella scuola dell'obbligo. danno vita a un dibattito incandescente che dura da 50 anni. La Lettera si trasforma in un simbolo, o in un bersaglio; è il "libretto rosso" della generazione sessantottina; è la base, spesso fraintesa, di una rifondazione pedagogica, è l'innesco di un'opposizione (anche questa spesso fuori fuoco) alla bocciatura.
Da don Milani a De Mauro, il potere delle parole (Laterza), elabora una inedita storia culturale del libro del prete di Barbiana. Ne recupera e ricostruisce le fonti, la ricezione immediata e quella sul lungo periodo; prova a scrostare dai pregiudizi il testo, analizzando le critiche rivolte nel corso dei decenni all'imputato assente don Lorenzo. Né Roghi avalla alcun santino, tutt'altro: “imbarazzante" è un aggettivo che toma spesso, perché la provocazione di Milani inizia dal linguaggio. Semplice ma non facile, rude, spesso iperbolico: «Io uso ogni parola come se fosse usata per la prima volta nella storia». Sempre una gettata di lava incandescente, come lui stesso definiva le pagine di Esperienze pastorali, il lavoro di inchiesta sociale del '57 su cui la lettera “sovversiva” di dieci anni dopo è basata. D'altra parte, però, molte letture a senso unico hanno occultato lo spirito costruttivo della Lettera. l'«infinita fiducia nella possibilità, nella capacità degli insegnanti di andare oltre l'esperienza, delle cose viste nelle strade, nelle case, nei boschi, trasformandola in conoscenza». La rivoluzione del libro di Milani è più sottile e più impegnativa di molti slogan da barricata.
Nel *92, rispondendo a Sebastiano Vassalli che, su questo giornale, aveva criticato l'uso della Lettera fatto dai sessantottini, Tullio De Mauro scriveva: «L'avessero letta, avrebbero scoperto che anche loro stavano nel mazzetto esiguo dei “disgraziati privilegiati”. La lotta alla selezione di classe nella scuola non andava combattuta in Italia nelle università, ma dove venivano e vengono falciati ragazzi e ragazze degli strati, più poveri, anche culturalmente, del paese». L'unico vero slogan sensato è forse quel «Tutte le parole a tutti» coniato da un lettore speciale di Milani, Gianni Rodari. È solo una fra le molte figure a cui l'autrice dà spazio - dallo stesso De Mauro a Mario Lodi, da Pasolini a Alexander Langer - incrociando piste di lettura utili a farsi le domande più impegnative e meno usurate sulla “lettera sovversiva”, sulla sua sincerità tanto brutale quanto generosa.

La lettera sovversiva di Vanessa
Il custode delLa Latrina di Nusquamia, tale ing. Claudio Piga di origine sardAgnole ma abduano di Trezzo d'Adda con ascendenze garibaldine in Valcamonica, uno che ha fatto il classico dai preti nell'ex liceo di A. Gramsci, ingegnere laureato al Politecnico di Milano, conferma sulLa Latrina che ci sarà l'udienza penale con lui imputato per via di una denuncia a suo tempo presentata dallo scomaparso (non morto: n.d.r) Pedretti. Detto questo a noi ogni tanto arrivano lettere anonime che laciamo maturare in cantina come si fa coi salami. Qualche volta ne esce qualcuno di buono, altre volte escono camole e si buttano. Quindi anche stavolta, pur potendo combinare le  chiacchiere del bar cinese con un pacchetto di fotocopie, non abbiamo speso tempo e voglia di fare i debiti riscontri.
Come  i nostri quattro lettori possono verificare, il custode delLa Latrina di Nusquamia:
1 – non ha reso noto di essere stato denunciato e non ha reso nota l'imputazione per cui verrà mandato a processo. Cioè spiffera degli altri (anche dei fatti privati) ma tace di se stesso.
2 – il custode delLa Latrina di Nusquamia che era stato assai sollecito ad assistere alle udienze di separazione di Pedretti e la sua compagna, non ha detto le date dell'udienza del suo processo. Cioè: lui va a spiare i fatti privati altrui (cosa c'è di più privato di un separazione?) mentre NON vuole che la gggente vada a sentire l'udienza in cui lui è imputato per un fatto “politico”.
3 –  mette in pratica il maldestro tentativo di imbrogliare le carte:” non sapendo di giure, nutrivo dubbi sull'opportunità di farlo; per essere precisi, (…) visto che non sarò così sprovveduto da scrivere quale sarà la mia linea difensiva”. Beata innocenza!. Il che è una balla: pubblicare la comunicazione giudiziaria non significa indicare una eventuale “linea difensiva”. Magari tutto si risolve prima dell'udienza.
4 – tenta di sbolognare all'ignaro lettore che siccome la prima volta il round giudiziario Piga-Pedretti s'è risolto zero a zero e le spese a carico del Pedretti (ma non s'è visto in giro col cappello in mano a cercare la carità per pagarle…) da per scontato che anche stavolta vincerà la causa. Dimentica che anche i craponi dopo la prima cornata possono imparare a difendersi.
5 – Una curiosità. Non abbiamo capito come mai riproduce la schermata della pagina del nostro blog anziché un banale copia incolla del testo.

Non  diciamo granchè ne sull'intervento dell'Algido (sulla sconfitta di Locatelli) ne dei commenti del custode delLa Latrina di Nusquamia perché sebbene la masturbazione sia un lecito modo di fare del sesso, a una certa età –gli oltre 75 anni e passa del custode delLa Latrina di Nusquamia- se ne sconsiglia la pratica per evidenti … ragioni idrauliche. Oltretutto in tema ne hanno fatta già troppa.
“La nostra città è la quarta in Italia nella quale si sperimenta questo tipo di servizio – spiega il Sindaco Giorgio Gori – e siamo convinti che possa essere una piccola rivoluzione culturale per i bergamaschi. Siamo felici che la nostra città sia tra le prime in Italia per questo servizio: è il riconoscimento del fatto che siamo città attenta all’innovazione anche nell’ambito della mobilità. Nel mondo sono ora 7 milioni le biciclette di MoBike e Bergamo è la seconda città, delle 200 in cui Mobike è presente, sotto i 500mila abitanti ad usufruire di questo servizio”.
A partire da martedì 28 novembre arriveranno a Bergamo ben 500 biciclette: nella giornata di martedì ne saranno posizionate ben 180. MoBike ha presentato gli abbonamenti e la tariffa promozionale di euro 0.30 ogni mezz’ora di utilizzo al servizio e si impegna per pubblicizzare l’iniziativa e spiegare come funziona il servizio, semplice e intuitivo grazie a una applicazione gratuita universale scaricabile su qualunque smartphone. Sulla app si possono reperire su una mappa tutte le biciclette disponibili, si possono prenotare e una volta raggiunte basta inquadrare il codice QR che si trova sulla bicicletta. Sia che si scelgano pass mensili o annuali sia che si utilizzi la tariffa promozionale di 30 cent (la tariffa a regime sarà di 50 cent) ogni mezz’ora.
“Dopo anni di funzionamento e sviluppo davvero importante del Bike Sharing gestito dal Comune e ATB, – spiega l’Assessore alla mobilità Stefano Zenoni – oggi si aggiunge un servizio assolutamente innovativo nella sua concezione in grado di coprire tutta la città. Crediamo che l’insieme di questi due sistemi in questa fase possa davvero spingere molte persone ad utilizzare la bicicletta per gli spostamenti dentro l’ambito urbano, contribuendo in modo consistente allo sviluppo della mobilità sostenibile. In parallelo a questi servizi continua l’azione del Comune per realizzare percorsi ciclabili sicuri, e da oggi anche spazi dedicati alle biciclette del Bike Sharing nei luoghi strategici della città. Bergamo cambia progressivamente faccia”.

Sono state individuate le seguenti postazioni, che saranno indicate da segnaletica orizzontale, dove si troveranno le biciclette da utilizzare: nei pressi della stazione ferroviaria; in piazza Dante; in piazza Matteotti, di fronte al monumento ai Fratelli Calvi; davanti alla sede universitaria di Sant’Agostino; in via Tasso nei pressi del Liceo Artistico; in via Zambonate; nei pressi della funicolare di Bergamo, nei pressi di via Locatelli. “Detto questo, le persone possono lasciare le biciclette dove vogliono” spiega Zenoni.
(Riduzione da Bergamo News)

COMMENTO. Perché in Città Alta non ci sono rastrelliere per parcheggiare le bici  visto quanti visitatori vanno e vengono? Non ci sono in Colle Aperto, in Cittadella e Piazza Mascheroni. Non si vedono in Piazza Vecchia e tanto meno davanti alle università oppure in Piazza Mercato delle Scarpe. Non parliamo delle altre piazze  «blindate» dalle quattro ruote. Lo abbiamo chiesto ai Vigili ci hanno risposto che: «le rastrelliere non le vogliono perché creano difficoltà alle macchine pulitrici». Sarà anche vero ma ... Vero che in città alta mancano cose più importanti come negozi «dai prezzi umani», qualche giardino (come fai a mandare un turista in un «parco delle rimenbranze»?), una bella fioritura nelle principali piazze, un maggiore controllo degli accessi abusivi, un «piano colore» alle facciate dei palazzi, i somari che scagazzano in Colle Aperto....... ma...