AVVISO
AI CITTADINI IN CASO DI NEVICATE. Si rammenta che l'art. 85 del
Regolamento Comunale di Polizia Urbana prevede che:” I proprietari e
gli inquilini di case, gli amministratori di condominio, gli esercenti
dei negozi, laboratori e pubblici servizi hanno l'obbligo, per tutta la
lunghezza dei loro stabili, di provvedere allo sgombero della neve e
del ghiaccio per la parte di marciapiede di accesso dalla strada alle
abitazioni, ai negozi, laboratori, pubblici esercizi ed agli altri
edifici, o dalla sede stradale fino agli accessi predetti”. Si invita,
pertanto, all'effettuazione di quanto prescritto avvisando che, in caso
di inottemperanza, è prevista una sanzione amministrativa di Euro
50,00, mentre la responsabilità civile e/o penale per eventuali lesioni
riportate da persone cadute sul marciapiede a causa della neve o del
ghiaccio, sarà riconducibile ai soggetti che hanno l'obbligo di
procedere alla pulizia.
Questo norma è del tipo: quando piove non c’è sole che equivale a dire
che quando c’è il sole non piove. Il che non è esattamente sempre vero
dal momento che molte volte siamo illuminati dal sole mentre ci piove
addosso. Il Comune con questa norma intende ordinare (gentilmente per
non perdere voti: l’ha scritta un cattocomunista) che
se casa tua ha 30 mt di confine col marciapiedi, tu devi pulire
la neve da quei trenta metri di marciapiedi. La maggioranza dei
cittadini la interpreta letteralmente e comodosamente: pulisce solo la
striscia davanti ai cancelli e a bene vedere ha ragione al 99%.
Non sarebbe il caso di ri-scriverla in maniera «perfettamente
comprensibile e interpretabile»?. Il cittadino spalatore si trova
davanti ad DUE problemi: deve spalare la neve ma non c’è «dove»
deve metterla con la spalatura. La neve è un «rifiuto» magari
«speciale» e quindi come e dove si può smaltire?
Ecco, all’alba del 2018, sarebbe il caso che (1) qualcuno nella giunta
Gamba prendesse in mano il problema, (2) lo affidasse ai gggiovani, (3)
creassero una apposita app (4) facessero una assemblea pubblica di
condivisione e (5) ci dicessero come e dove pulire e buttare ‘sta
benedetta neve.
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Nel 1957 il primo negozio, oggi un gruppo di 22mila dipendenti: la storia tutta milanese lasciata da Caprotti
Le 60 candeline del super dei milanesi
di Sara Benneivitz
Era una grigia giornata del novembre del 1957, quando in viale Regina
Giovanna, a due passi da Porta Venezia, apriva il primo supermercato
all'americana: voluto e realizzato, questo dice la storia, per conto di
Nelson Rockefeller. Il nome, Esselunga, gliel'hanno dato però i
milanesi.
Marx Huber aveva disegnato la “s” di supermercato che si allungava per
tutta l'insegna, il messaggio “prezzi corti” ce l'hanno aggiunto
Bernardo Caprotti e i manager. Era un gruppo di lavoro, che per mezzo
secolo studiava che cosa fare a Limito di Pioltello per rendere grande
un'azienda: diventata, da Milano, un caso di scuola mondiale nella
grande distribuzione.
Chi l'ha conosciuto bene dice che Bernardo Caprotti era bravissimo a
copiare e fare suo il meglio di quello che trovava in giro per il
mondo. Alcuni dipendenti ancora si ricordano quando il “dottore” li
mandò a girare la Spagna per imparare come si faceva la paella per
riprodurla in modo fedele tra i piatti pronti del supermercato. Stesso
discorso per il sushi, uno dei piatti forti del gruppo: Esselunga se
lo produce in casa alla periferia di Milano, dove si coltiva anche il
riso che ha importato da Tokyo, che viene controllato attraverso dei
droni dagli esperti basati in Giappone, per capire quando è arrivato
il momento di trasformarlo in rotolini. La mania della precisione
Bernardo l'ha trasmessa a tutti i suoi 22mila dipendenti: guai se il
cavolo si macchia quando è tagliato, o se gli scaffali non sono
ordinati in modo militare. E attenti ai trucchi, il banco della frutta
e della verdura alterna sempre forme e colori per dare al consumatore
quell'idea di scelta e qualità per cui l'azienda è tanto famosa in
Lombardia. Così come negli scaffali, all'altezza degli occhi, vengono
disposti i prodotti a marchio Esselunga, un successo realizzato in
collaborazione con i migliori produttori italiani, con prezzi in media
inferiori del 20 percento a quelli delle marche note. C'è chi dice che
la selezione del personale, più che negli uffici di Limito di
Pioltello, il “dottore” la facesse nelle celle frigorifere e ai
mercati generali meneghini, dove i manager venivano portati in visita
all'alba perché tutti, anche i colletti bianchi, devono sapere da
quale parte della mucca si ricava il filetto e come si riconosce se un
arancia è di quelle succose.
Tra pregi e difetti, chiunque sia passato da Esselunga la ricorda come
un sistema militare fatto di disciplina, ma anche di grande
cameratismo, con un forte senso di appartenenza per dare vita a
un'azienda padronale ma che ha sempre fatto sentire tutti parte di
una grande famiglia. In tanti negli anni sono venuti a visitare
l'Esselimga per copiarla, vale per gli odiati emissari della Coop, come
per gli amati concorrenti americani di Walmart, per i belgi di
Delhaize, per gli spagnoli di Mercadona.
Chi è esperto della grande distribuzione sostiene che la principale
ragione per cui Esselunga è diventata grande è perché è nata a Milano
(due terzi del fatturato sono generati in Lombardia) e da lì si è
diffusa con pochi e mirati punti vendita nelle zone più ricche del
Paese. L'azienda poi è sempre stata saldamente in mano a una famiglia
che l'ha gestita con la ricetta del luogo. Bernardo, invece, con falsa
modestia attribuiva tutto il merito del successo agli italiani «Qui si
mangia bene - diceva il fondatore scomparso un anno fa - e si sta
attenti alla qualità di quello che si mette sul piatto». Dopo i primi
60 anni, celebrati con una mostra da domani nella sede di piazza Gae
Aulenti, Esselunga prepara un futuro fatto di e.commerce e nuovi
piatti per raggiunge
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Oggi
i grandi quotidiani nazionali e locali celebrano l’apertura del primo
supermercato (oggi) Esselunga. Una celebrazione obbligata con
pagine e pagine dal momento che la Esselunga risulta essere uno dei
maggiori inserzionisti ed uno dei maggiori «intasatori» delle cassette
postali di noi comuni cittadini con pacchi di volantini.
Ieri chi andava alla Esselenga era considerato più ricco di chi andava
al Centro Commerciale ex Rinascente ma ancora oggi ci sono clienti Lidl
che ci vanno con la borsa gialla esselunga: per far vedere quando
rientrano nel condominio che... ecc. ecc.
Il centro commerciale di via Fermi che aveva aperto con un’offerta di
merci a prezzi più economici delle Esselunga sulla Briantea «dovette»
ben presto cambiare gran parte dell’offerta perché potenziali clienti
si «vergognavano» di mostrarsi mentre uscivano spingendo il carrello
del centro piuttosto che della Esselunga.
Oggi a nostro modesto avviso al banco salumeria della Esselunga
possiamo dare un 10 ed a quello dell’IperCoop possiamo darci un 8,5-9.
Nelle carni fresche -bovino suino pollame- il confronto si ribalta con
1,5-due punti di vantaggio all’IperCoop. Nel comparto verdura c’è
sempre una differenza stabile di due punti a vantaggio dell’IperCoop
che sale a tre punti nel comparto frutta. Decisamente in Esselunga non
sanno acquistare la frutta che si presenta esteticamente bellissima ma
di scarso o nullo sapore. Mele ed arance sono le vittime sacrificali.
Quanto ai prezzi, come è noto la «fedeltà paga» nel senso che imparando
l’onda di presentazione delle offerte delle due concorrenti alla fine
dell’anno una famiglia spende la medesima cifra.
Panetteria al medesimo livello e dolci nettamente due punti in
vantaggio alla Esselunga. Vini in parità e almeno un punto di vantaggio
della Esselunga per i prodotti di igiene a marchio domestico.
Da ultimo la presentazione del personale: dove per presentazione
intendiamo l’abbigliamento e modo di porgersi. I capetti alla
Esseleunga fanno tenerezza (insegnategli a vestirsi!) , alle cassiere
diamo un sette mentre all’IperCoop di capetti non se ne vedono in giro
mentre le commesse-cassiere si presentano con un punto di vantaggio
rispetto alle colleghe della Esselunga.
Detto questo siamo uno di quelli che hanno vin
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Sessant'anni fa la prima apertura di Esselunga
Da Rockefeller a Brunori Sas, così ha accompagnato
stili di vita e consumi in Italia
L'onda lunga del super
di Maria Luisa Agnese
Zuppa di canguro, nidi di rondine, pinne di pescecane, e frutti esotici
(quasi) proibiti nell'Italia di allora come l'ananas: questi ed altri
prodotti comparvero, come scriveva il Corriere , una mattina a Milano
in viale Regina Giovanna, sotto un'insegna con una S lunghissima sopra
la parola supermarket, inventata dal designer svizzero Max Huber.
Era il 27 novembre 1957 e il primo supermercato di cibi all'americana
irrompeva in un'Italia che già conosceva il frigorifero (ce ne erano
400 mila), ma aspettava ancora di entrare nella grande avventura dei
consumi. Leggenda vuole che anziane signore di nero vestite, più
avvezze a drogherie e piccoli negozi tuttofare, rimasero impietrite
davanti a una tale scintillante concentrazione di cibi.
L'Esselunga è entrata così nell'immaginario italico e ci è rimasta
finora, accompagnando con le sue innovazioni e le sua campagne
pubblicitarie l'evoluzione del Paese e condizionando mode e modi. E
deve aver nutrito parecchio anche le fantasie dei neo rapper nostrani,
allevati anche loro dalle mamme a baguette, crostatine e focaccine,
visto che tutti senza eccezioni le celebrano nei loro testi. « Amami
come quella volta all'Esselunga/Quando in preda alla fame rubammo una
baguette », canta Brunori Sas e Fedez nel suo video di Faccio brutto
arriva in Rolls graffitata davanti alla sede del supermercato di corso
Milano a Verona. Mentre le focaccine dell'Esselunga («Che sono buone,
anzi oso dire superbuone, unte il giusto, che ti facciano sentire il
gusto») sono addirittura protagoniste in quello che è riuscito a
diventare il tormentone estivo, attribuito a Leo, figlio di Claudio
Cecchetto, ma non si sa.
Con onda lunga anzi lunghissima il supermarket per eccellenza riesce a
essere luogo di fascinazione anche per i giovani. E questa Esselunga
che ha accompagnato i cambiamenti degli stili di vita degli italiani,
si regala per l'anniversario una mostra «immersiva» a The Mall a
Milano, dove si raccontano sessant'anni di Italia in uno scenario
multimediale che crea interazioni con il pubblico. E dove sfila anche
la storia del supermercato, partita da un bouquet di soci iniziali, i
fratelli Caprotti, Nelson Rockefeller, Marco Brunelli, la contessa
Letizia Boncompagni Pecci Blunt, i Crespi, per rimanere poi nelle mani
di Bernardo che l'ha saldamente condotta sul crinale di un'innovazione
continua, dal marketing alla pubblicità, dall'introduzione del codice a
barre e della gestione informatizzata dei magazzini all'apertura
domenicale, celebrata da quelli di Zoo di 105 con un video-parodia: «È
diventato di moda far la spesa la domenica all'Esselunga» cantano oggi,
dopo che per anni per i loro genitori incontrarsi al supermercato di
Viale Papiniano o a quello di viale Piave a Milano era meglio di un
appuntamento al buio.
«Ha sempre saputo seguire l'evoluzione del Paese, cogliendo in anticipo
i segnali anche deboli di cambiamento. E ha saputo dare a tutti
un'ottima opzione, offrendo a milioni di italiani il miglior
compromesso fra varietà, tempo a disposizione, convenienza. E difatti
non ha mai scelto l'ipermercato, a favore dei superstore» dice Roberto
Ravazzoni, professore ordinario di Marketing distributivo presso
Unimore. Il tema della qualità è stato pallino fisso di Bernardo
Caprotti, che amava incrociare quel mantra con la comunicazione e lo si
vede fin dalle prime campagne, «Mille lire lunghe», o «Esselunga,
prezzi corti», e dalla collaborazione con Armando Testa: «Due
personalità forti che hanno prodotto un mix esplosivo» sintetizza
Ravazzoni.
La svolta avvenne nel 1995, quando nella campagna dell'anno gli ortaggi
diventano figure viventi, compagni di strada ironicamente ispirati a
figure leggendarie, da John Lemon (limone con gli occhialini) a Buffala
Bill, mozzarella con copricapo da cowboy, fino a quel Melanzana Jones
con cappello sulle ventitré che sembra un omaggio al grande Armando da
poco scomparso e che portava un cappellaccio simile. Rientrato in
azienda a 80 anni dopo aver affidato temporaneamente il timone ai
figli, Caprotti, protagonista di una battaglia contro lo strapotere
delle Coop nelle zone rosse, andava a controllare a campione la qualità
nelle sue varie sedi comparendo a sorpresa con un piccolo stuolo di
dirigenti fedeli, oppure potevi sorprenderlo la mattina della domenica
mentre accompagnato dalla moglie Giuliana andava in incognito a fare
sopralluoghi dalla concorrenza. Non una liturgia, secondo Ravazzo
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