Nei
giorni in cui ricominciano i viaggi in mare dei migranti, le morti e le
accuse di Ong internazionali alle autorità libiche, le nostre Ong si
ritrovano a Tunisi per parlare dei 2 milioni di euro di stanziamenti da
parte del governo italiano per lavorare nei centri di detenzione per
migranti in Libia. É un patto con il diavolo o un una missione
caritatevole? Sicuramente rafforzerà l'impegno dell'Italia in Libia in
particolare per la gestione e il trattenimento dei migranti in un Paese
che però non ha mai firmato la convenzione di Ginevra del 1951, quella
che regola il diritto d'asilo.
Nella sede dell'Ambasciata italiana a Tunisi l'Aics (Agenzia Italiana
per la Cooperazione e lo Sviluppo/Ministero degli Esteri) ha incontrato
ieri le organizzazioni non governative che già operano in Libia e che
potrebbero essere disponibili a lavorare nei centri di detenzione.
Negli scorsi mesi il vice ministro Mario Giro e lo stesso ministro
Alfano avevano annunciato uno stanziamento di 6 milioni di euro da
destinare alla Libia. La prima tranche di 2 milioni servirà ad
implementare progetti in tre campi: Tarek al Sika, Tarek al Matar e
Tajoura.
“È un bando per le nostre Ong che potranno recarsi ad operare nei
centri anche nella prospettiva di chiuderli, di superarli – racconta il
vice ministro Mario Giro – I tre centri sono stati scelti dopo una
negoziazione con i libici e sono anche quelli più sicuri. Il nostro
ragionamento è: in attesa che Iom (Organizzazione Internazionale per le
Migrazioni) e Unhcr arrivino ad un accordo con le autorità libiche per
mettere in campo una operazione sotto la loro egida, noi iniziamo ad
operare nei centri esistenti in modo da non abbandonare a loro stessi i
migranti che, sappiamo bene, si trovano in condizioni molto difficili”.
In Libia, secondo l'Iom (International Organization for Migration) si
trovano almeno 300.000 immigrati, ma è una stima minima ed incerto è il
numero di quelli detenuti. Solo un mese fa, il 9 ottobre, è stato
scoperto un hub di traffico di esseri umani a Sabratha, città costiera
da dove partono tradizionalmente i migranti per l'Italia. Si parla di
una cifra che varia dalle 14 mila alle 20 mila persone trattenute in
campi informali ma anche in abitazioni private. Alcune centinaia di
questi sarebbero fuggiti a piedi verso Zuwara, città sempre sulla costa
ad ovest. Sabratha era infatti devasta da un mese di conflitti interni
tra milizie che cercavano di prenderne il controllo.
Qual è dunque il margine di azione per la società civile in questa
situazione? “Si può fare più di quello che si immagina dall'esterno –
risponde Mario Giro - Quando si arriva nei centri ci si rende conto di
come anche chi lo gestisce sia in pratica abbandonato a se stesso.
Hanno bisogno di tutto e noi cominceremo dalle basi: cibo, medicine,
materassi. Ma cercheremo anche di separare donne e uomini e cercheremo
di valutare chi è in possesso di documentazione valida per poter essere
rimpatriato volontariamente o avere accesso alla protezione umanitaria”.
Questa proposta del governo italiano ha aperto un dibattito acceso
all'interno del mondo della cooperazione internazionale italiana.
Secondo Nino Sergi presidente emerito di Intersos, assistere persone in
centri con condizioni notoriamente disumane, anche se meritorio per
l'immediato, “può significare al contempo riconoscere e prolungare
questo sistema criminale”. Francesco Petrelli portavoce di Concord
Italia (rete di Ong) in un'intervista a Vita spiega che l'unica
possibilità è lo smantellamento dei centri per mano dell'Onu, per
questo non parteciperanno alla call del governo.
Altre Ong stanno ancora valutando. “Abbiamo partecipato alle riunioni
per la nascita di questo intervento e abbiamo messo in campo tutte le
nostre perplessità – dice Attilio Ascani direttore di Focsiv, rete di
Ong cattoliche – noi pensiamo che l'Italia debba usare la stessa
influenza politica che ha portato al blocco delle partenze dei
migranti, che tra l'altro non condividiamo, per creare dei campi che
siano sotto l'egida dell'Onu. Non diciamo che sia sbagliato andare nei
centri e salvare vite umane, alleviare le sofferenze ma, secondo noi, è
una pezza che non reggerà a lungo e il beneficio effettivo per i
migranti è poco quantificabile”. “Due milioni per un potenziale di 500
mila migranti non è niente”, conclude Focsiv.
In Libia non sono comunque in molti ad operare anche per le condizioni
di sicurezza, secondo informazioni del Ministero sono 7 le
organizzazioni italiane presenti sul campo: Cir, Gvg, Cefa, Cospe, Ccs
e Terre des Hommes Italia. “Noi pensiamo che i centri vadano superati
però bisogna andarci con l'obbiettivo di superarli - afferma
Roberto Zaccaria presidente del Cir (Consiglio Italiano per i
Rifugiati) – non c'è una contrarietà pregiudiziale, ci sono molte
riserve sul modo in cui le persone vivono in questi campi ma, se lo
scopo è migliorare le condizioni di vita all'interno dei centri, noi ci
siamo. Con l'obbiettivo politico di superarli”.
Allo stesso modo la pensa il vice ministro. “Si gioca tutto sul
terreno – dice – l'importante è esserci. Penso che ci sia la
possibilità progressivamente di allargare la nostra presenza e in
qualche modo anche di favorire l'arrivo dell' Unhcr”. Cos'è che blocca
l'azione di Unhcr e Iom? “La Libia non ha firmato la Convenzione di
Ginevra del '51, quindi non riconosce l'esistenza di profughi, il
concetto stesso di rifugiato non c'è nella legislazione locale. Tutti
gli stranieri che arrivano illegalmente sono clandestini e possono
essere messi in prigione per questo. Le Nazioni Unite vorrebbero invece
aprire campi per richiedenti asilo e questo non viene accettato dalla
Libia. Grazie alla mediazione dell'Italia, si sarebbero attestati
sull'idea di costituire un campo di transito dell'Unhcr in cui
andrebbero le persone più vulnerabili provenienti dai centri di
detenzione e, assieme all'Iom, effettuare rimpatri volontari ed
eventualmente l'Unhcr valuterà richieste di asilo”.
Ma quindi l'Italia ha firmato un accordo per rimandare potenziali
richiedenti asilo in un Paese che non ha firmato la convenzione di
Ginevra? “Certo, questo è il cuore della polemica in atto – risponde
Giro - L'Italia ha firmato un accordo con la Libia per cercare di
trattenere i migranti e per favorire che l'Unhcr vada ad operare in
Libia e l'Iom segua i rimpatri volontari assistiti. Nel mentre, noi
abbiamo deciso di lavorare nei centri di detenzione attraverso la
nostra società civile per convincere i libici concretamente che i
centri si possono gestire in un altro modo”.
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Tra Banca d’Italia e Consob perde la trasparenza
Angelo Baglioni
Trasparenza sempre in secondo piano, prima vengono riservatezza e
rispetto formalistico delle regole: è il quadro che emerge dalle
audizioni della Commissione sul sistema bancario. Sarebbe ora di
passare a una protezione sostanziale del risparmiatore.
Quadro desolante
La conclusione del presidente della Commissione parlamentare di
inchiesta sulle banche, Pier Ferdinando Casini, al termine della seduta
del 9 novembre, è stupefacente: “possono considerarsi superate le
contraddizioni emerse dalle precedenti due audizioni”. Come dire:
abbiamo chiarito, nessun problema. È vero esattamente il contrario. I
problemi ci sono eccome. Il quadro emerso dalle audizioni è desolante.
È composto di autorità che non si parlano, che si trincerano dietro ai
cavilli procedurali per difendere il proprio operato e scaricare
sull’altra autorità la responsabilità di quanto accaduto. E chi ci va
di mezzo è il risparmiatore.
Falle nel sistema dei controlli
Ma proprio per questo la Commissione potrebbe rivelarsi utile, se
servirà da stimolo per superare le attuali falle del sistema dei
controlli.
Queste falle non riguardano tutto il sistema: non bisogna fare di tutta
un’erba un fascio e pensare che sia tutto da rifare. Nessuno nega, ad
esempio, che la Banca d’Italia abbia fatto le dovute ispezioni e abbia
rilevato i problemi di cattiva gestione delle due banche venete, come
di altre. Il problema è che la tutela della stabilità ha sempre
prevalso sulla tutela della trasparenza. Il mantra della riservatezza
ha impedito all’informazione di circolare. Importanti informazioni sono
state tenute nascoste agli investitori, e non sono passate da
un’autorità all’altra. E di questo sono responsabili entrambe le
autorità, nonché il sistema di regole formalistico che dovrebbe
proteggere i risparmiatori, ma non lo fa.
La Banca d’Italia ha inviato alla Consob una lettera in cui la metteva
in guardia sul valore troppo alto delle azioni di Veneto Banca in
vendita alla clientela, ma solo molto tempo dopo ha inviato il verbale
della ispezione. E sulla Popolare di Vicenza? Silenzio. Eppure le
azioni della Popolare Vicenza sono crollate da oltre 60 euro a 10
centesimi. D’altra parte, la Consob si è limitata a usare
l’informazione che le è stata trasmessa per inserire qualche riga nel
prospetto informativo. Ma tutti sanno che i prospetti informativi non
li legge nessuno: sono lunghi decine (o centinaia) di pagine e molto
tecnici. Servono solo a tutelare gli emittenti da possibili azioni
legali, non certo a dare informazioni chiare ai risparmiatori.
La Banca d’Italia si trincera dietro il segreto d’ufficio, che protegge
i risultati delle sue ispezioni. Ma ci dovrebbe spiegare come mai i
problemi delle banche venete siano venuti alla luce solo quando la
Banca centrale europea ha assunto la vigilanza diretta su quegli
istituti: improvvisamente il segreto d’ufficio non è stato più un
problema?
La Consob dice che avrà il potere di proibire la vendita di prodotti
finanziari complessi solo dal 2018, con l’entrata in vigore della Midif
2. Ma ci dovrebbe spiegare come mai, nella sua Comunicazione del 2014,
in cui sconsigliava la vendita di prodotti complessi ai risparmiatori
al dettaglio, non ha incluso tra di essi le obbligazioni subordinate,
che tanti danni hanno prodotto.
Ci troviamo in un sistema dove la trasparenza è sempre messa in secondo
piano. Prima vengono la riservatezza e il rispetto formalistico delle
regole. Sarebbe ora di superare questo approccio, passando a uno che
punti di più alla protezione sostanziale del risparmiatore. Questa
richiederebbe un maggiore spirito di collaborazione tra le diverse
autorità, una trasmissione tempestiva e chiara ai risparmiatori delle
informazioni rilevanti, nonché severe limitazioni ai prodotti
finanziari da collocare al dettagli
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Alla
fine il faccia a faccia tra la Consob e la Banca d'Italia è saltato. Lo
scontro tra le due principali autorità di controllo sulle banche in
Italia si è consumato ancora una volta con due audizioni separate,
senza poi arrivare al confronto incrociato perché alla fine non è
emersa nessuna vera «discordanza» tra la versione del direttore
generale della Consob Angelo Apponi e quella del capo della Vigilanza
di Bankitalia Carmelo Barbagallo, solo «valutazioni divergenti».
Divergenze non di poco conto, a parere del presidente Casini: uomo
navigato sensibile intelligente.
In realtà non c’è alcuna contraddizione tra quanto dice la Consob e
quanto sostiene Banca d’Italia: tutte e due le istituzioni giocano in
perfetta armonia allo scaricabarile sulla pelle dei risparmiatori
truffati e su quella dei contribuenti incolpevoli, chiamati a coprire i
buchi delle banche con miliardi di euro.
L’impressione che si trae da questo scontro indiretto tra Apponi e Barbagallo è facilmente intuibile.
Banca d’Italia e Consob avevano compreso e sapevano benissimo come
stessero malmesse le banche controllate (lo hanno ammessi entrambi) ma
hanno guardato altrove badando a non disturbare la politica di
riferimento. Assieme alla furbizia o alla disonestà dei banchieri
bisogna metterci il carico da 90 della politica e l’appartenenza
politica o i referenti politici dei banchieri. Nel centrodestra, nella
lega ed anche nel centrosinistra. Perché i delitti dei banchieri vanno
letti in parallelo ai fatti della politica: chi governava quando.
Citando a caso. The family Bossi che ciulava 49 milioni di
finanziamenti illeciti. L’Italia che va benissismo perché ristoranti
sono pieni e non si trova un posto sui voli aerei e intanto FI fallisce
con 100 milioni di debiti . MPS (Monte dei Paschi di Siena) alias
D’Alema&Bersani . Zonin e la Lega veneta e Forza Italia. ecc. ecc.
Impossibile credere che dai due organi di controllo- Banca d’Italia e
Consob- non fosse fuggita alcuna notizia alla politica. In quel
pollaio che È Roma poi...
Non si troverà ovviamente la «pistola fumante»: una telefonata e
neppure una lettera, un semplice post-it col dettaglio sconveniente.
Emerge l’atteggiamento tipico della burocrazia italiana grande e
piccola: avere e mettere tutte le carte a posto ma niente è mai in
ordine. Problema primo è pararsi il didietro. La carica e lo stipendio.
La burocrazia sa benissimo che le regole sono fatte per garantire gli
interessi della politica senza attribuire responsabilità alla
burocrazia. Se semplice o normale «burocrazia» possono essere definiti
dirigenti del livello di Apponi e Barbagallo.
Ecco perché vanno semplicemente rimossi ed allontanati. E i banchieri messi in galera tanti anni quanto hanno regnato.
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