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Il M5S, con circa il doppio dei voti rispetto al 2012, si conferma primo partito in Sicilia. Nell'isola, poi, Forza Italia (che 5 anni fa viaggiava senza Gianfranco Micciché) vola al 16,4%. Mentre gli ex dc dell'Udc, tornati nel centro destra, calano dal 10,8% al 7% ma, insieme agli autonomisti di Raffaele Lombardo e Saverio Romano (al 7,1%), rimangono determinanti per la maggioranza all'Ars. Nel centro sinistra il Pd galleggia intorno al 13%, Ap di Alfano finisce sotto la soglia di sbarramento (4,1%) mentre gli ex dc di Totò Cardinale («Sicilia Futura»), che invece lo sbarramento lo superano, offrirebbero il loro 6% a Musumeci per governare a Palazzo d'Orleans. Gli ex del «non voto» premiano Musumeci e Cancelleri. Non Micari.

I 500 mila di Grillo
Nel 2012 i voti per il M5S erano 285.202 (14%,9%) , nel 2017 sono diventati quasi 505 mila (26,6%). Ottimo il risultato nella Sicilia rurale: Enna (32,7%), Trapani (29,8%) e Agrigento (27,3 %). Ma in termini assoluti contano Catania e Palermo dove la lista di Grillo è sotto o non supera la media regionale.

La salita azzurra
Dopo la cura Berlusconi (due comizi, interviste a raffica, la cena dell'arancino con Meloni, Salvini e Cesa, un bagno di folla a Palermo), Forza Italia supera i 300 mila voti (16,4%). Nel 2012 il Pdl (FI+An) non andò oltre il 12,9% ma allora Micciché, oggi plenipotenziario del Cavaliere, remò contro Musumeci con il «partito dei siciliani» (15,40% in coalizione) e finì per favorire Crocetta. Oltre agli autonomisti di Micciché e Saverio Romano, nel 2012 mancarono anche i 200 mila voti dell'Udc di Lorenzo Cesa (indirizzati su Crocetta) che ora in misura ridotta (il 7,1%) vanno al centrodestra.

Buona, poi, l'affer mazione delle liste ispirate a Musumeci: Diventerà bellissima ottiene oltre 115 mila voti. Ma c'è anche Fratelli d'Italia-Noi con Salvini, con il nome di Musumeci ben in vista sul simbolo, che, grazie alla campagna di Salvini e all'apporto della Meloni, ha superato la soglia di sbarramento del 5%: quasi 110 mila voti (5,50%).

I dem al 13 per cento
Il Partito democratico resta al palo. Nel 2012 aveva ottenuto 257.274 voti (13,40%) e oggi si attesta con un po' di sofferenza intorno ai 250 mila voti (13%) con punte nella provincia rossa di Ragusa (16.30%) e cadute a Palermo (9,10%).

Alfano e la soglia
Ap, dopo le defezioni di Salvatore Torrisi e di altri tornati in area FI, si ferma al 4,1% (poco più di 77 mila voti) e non basta l'8% di Agrigento per superare lo sbarramento. «Il risultato siciliano è negativo», è la sintesi del ministro degli Esteri che già pensa alla rivincita: «Rileviamo che la percentuale siciliana è superiore alla soglia di sbarramento nazionale del 3%, a differenza di quella regionale che è del 5%».
Voto personale
«Emerge la fluidità dell'elettorato siciliano che fa perno sull'importanza del voto personale ancorato alla preferenza più che all'appartenenza a un'area politica». L'analisi dell'istituto Cattaneo mette a fuoco l'atteggiamento diffuso in Sicilia, grazie al voto disgiunto, di scegliere un candidato nelle liste e allo stesso tempo optare per un candidato governatore di un altro schieramento. Micari ha avuto 7 punti in meno rispetto ai voti dei partiti che lo appoggiavano: ha preso 385 mila voti mentre, cinque anni fa, Rosario Crocetta fu eletto con 617.073 voti.
Musumeci, rispetto alle liste, ci ha rimesso l'1,5% dei voti che, dicono nel suo staff, sono andati altrove (a Cancelleri) causa della battaglia interna contro gli «impresentabili». Nel 2012 Musumeci aveva avuto 521.022 voti ora ne porta a casa oltre 820 mila.
Cancelleri ha avuto più voti di quanti non ne abbia raccolti il M5S. La differenza è di circa 200 mila voti ed è dovuta, secondo Rinaldo Vignati del Cattaneo, «alla grande visibilità del simbolo del M5S, con il suo candidato governatore, rispetto alla fragilità dei candidati consiglieri della lista». Cancelleri, in 5 anni, ha raddoppiato i voti personali: da 368.006 a 711 mila.

Il flusso del «non voto»
L'analisi dell'istituto Cattaneo registra un flusso dal «non voto» a Musumeci (23% del suo bottino elettorale) e a Cancelleri (17%). Invece, l'apporto per Micari di chi non votava è stato pari a zero.

Non è la prima volta: anche stavolta la Sicilia sarà governata da una assemblea eletta da meno del 50% dei suoi elettori: il 46,76% e stavolta sono leggermente aumentati  (0,24 in più).
Sarebbe interessante sapere quanti degli ultra 70enni e di quelli al di sotto dei 30anni vanno a votare. Gli ultra 70enni che non vanno a votare potrebbero diventare un «target» per una onlus che li porta a votare in auto col contributo dell’en te locale. Perché no?
La tabellina a strisce colorate qui di fianco indica come si sono discostate le percentuali tra i voti ricevuti dalla «persona presidente» rispetto a quella della somma delle varie liste che lo sostenevano.
Stefano Folli su Repubblica scrive che» votando per Musumeci, (oppure per Cancelleri), quegli elettori di sinistra hanno dimostrato di essere ormai rassegnati alla subordinazione rispetto a uno scenario dominato, almeno in Sicilia, dal duello fra il centrodestra e i Cinque Stelle. Hanno individuato quello che a loro avviso era il male minore».Non condivido questa analisi.
Stimo che molto elettorato di sinistra sia talmente nauseato del caos  dentro le mille liste che pretendono di rappresentarla che hanno scelto l’asten sione oppure hanno scelto i pentastellati.
Mica pochi: quel 6,5% perso da Micari è pari a un quarto del suo potenziale elettorato. Qualcosa di più.
Asserire brutalmente che gli elettori piddini sono diventati culturalmente o politicamente  SUCCUBI del centrodestra o dei 5S mi pare piuttosto offensivo. 
Peggio ancora asserire  che sarebbero voti dati «al male minore»: leggermente razzista.
Questo NOTEVOLE travaso di voti dal PD al candidato 5S (SOLO al candidato, non alla lista)  mi pare si possa leggere come una indicazione delle future alleanze che l’elettore PD ha voluto dare al fiorentino visto che il ragazzotto ha la pessima abitudine di pattinare troppo -da qui a la- senza scoprire le carte.
In buona sostanza da molti mesi si discute(va) sulle future alleanze che il fiorentino avrebbe voluto o dovuto assumere dopo le prossime politiche.

La risposta chiara ed evidente è  venuta.
Queste elezioni dimostrano come l’affermazione dei vari Speranza D’Alema Bersani  secondo i quali «milioni di italiani» avrebbero potuto trovare finalmente ospitalità elettorale nell’MdP e associati è campata in aria.
Fava ne esce con le ossa rotte esattamente inutile come sempre la c.d. sinistra estrema.
Anche i 5S escono bastonati dal momento che sono ormai sei mesi che i maggiorenti del partito battono l’isola in campagna elettorale e sebbene siano il primo partito adesso dovranno fare per cinque anni i grilli parlanti in consiglio regionale.
Gli daranno la presidenza dell’assem blea per meriti di guerra.
Il presidente vincitore non è messo proprio bene: i 36 seggi guadagnati (comprensivi dei 7 seggi presi in più come presidente) lo mettono in mano agli assenti visto che i consiglieri sono 70 (tra i quali un divertentissimo un seggio riservato al candidato non eletto più votato). Ogni mattina una preghiera perché qualcuno dei suoi non s’ammali.

'ironia e i fatti prima dei commenti: la lezione di Enzo Biagi

Era il 6 novembre 2007 quando morì Enzo Biagi: aveva 87 anni e una lunga vita di giornalismo alle spalle, una carriera invidiabile, uno stile inconfondibile nel raccontare uomini e cose.
A dieci anni dalla sua scomparsa, «Biagi Racconta» di Vincenzo Mollica per Speciale Tg1 (domenica, a mezzanotte), ci ha offerto un mosaico di interviste recuperate negli archivi Rai e dalla festa per i suoi 80 anni che Rcs organizzò al Teatro Strehler di Milano (condotta dallo stesso Mollica). Una frase di Biagi ci restituisce il «sapore» del programma: «I ricordi sono la bellezza del mondo. Chi non ha ricordi vuol dire che non ha avuto neanche vita». Biagi non ha mai nascosto il suo punto di vista, ma si è sempre sforzato di proporre un giornalismo popolare, fatto di sobrietà ed essenzialità.
In un'intervista dice: «Buttar giù un parere, in fondo, sarebbe più facile; alla mia età me lo perdonerebbero in molti. Ma credo che la gente da me si aspetti altro: prima dei commenti, le certezze. E le sole certezze che può dare un giornalista sono i fatti. Niente è più dimostrato di ciò che è accaduto».
Il rovesciamento proposto da Mollica — Biagi da intervistatore a intervistato — ha messo in luce quei tratti di ironia, di sagacia, di mascherata bonomia che non tutti hanno conosciuto. Pur avendo incontrato i potenti della terra, Biagi era un giornalista generosamente provvisto di humour. Nei vari programmi che in questi giorni ricordano il suo lavoro (sono visibili su RaiPlay), si capisce come Biagi sia riuscito a creare in tv una sorta di bottega rinascimentale, guidata per lungo tempo da un infaticabile e generoso Franco Iseppi.
Per anni la «bottega Biagi» si è gettata sui fatti con determinazione e dispiego di energie (viaggi, filmati, interviste, incontri, commenti) per offrire alla sensibilità del maestro il tocco finale, il sortilegio della credibilità.