La
Gabanelli s’è imbattuta in tre moloch che in Italia nessuno ha mai
sconfitto. Il primo è la corporazione dei giornalisti al cui interno
gelosie e invidie sono il lievito vitale dell’insieme: i colleghi in
RAI non avrebbero mai permesso la nascita di un portale web della RAI
non fosse altro perchè li avrebbe selezionati ancora di più (i like!) e
sopratutto ne avrebbe segato l’ombelico col partito di riferimento.
Gabanelli crfeando una RAI come media-company sarebbe stata presa in
una morsa di concorrenza in una struttura aziendale complessiva
del tutto incapace di adeguarsi al web, perché non ne ha compreso la
cultura e rifiuta l'autoriforma necessaria per affrontarla.
Il secondo è il contratto di servizio in corso di definizione e poi da
fare approvare dal Parlamento. Figurarsi se sia possibile
qualcosa del genere col caos politico attuale e da parte di un
Parlamento in scadenza e illegittimo. Come è noto dopo la conclusione
abbastanza positiva del rinnovo della concessione governativa la RAI
deve ora sottoscrivere un contratto nel quale assumere impegni verso il
Paese, in cambio di garanzie sul proprio funzionamento. Un contratto
valido 5 anni, che supera gli impegni di questo Governo, di questo
Consiglio di amministrazione e di questo Amministratore delegato.
Si sperava dunque che il contratto di servizio non fosse una bazzecola
come nel passato, che invece ci si arrivasse con una riflessione
stringente sulle trasformazioni che l'azienda deve affrontare e sul
ruolo sociale e culturale che deve svolgere.
Il terzo moloch sono le elezioni: quelle siciliane prima e quelle
nazionali poi. Impossibile che in RAI e i partiti potessero lasciare in
circolazione una Gabanelli da sola.Per di più col precedente
dell’indicazione alla presidenza della repubblica da parte dei
pentastellati.
Milena Gabanelli: la donna che non si è mai fermata di fronte ai
potenti, che non è mai stata esitante dinanzi a mafia, camorra,
malaffare multinazionale, corruzione, caste; il profilo che più di
tutti corrisponde alle vere esigenze dei cittadini italiani stremati e
stanchi dal chiacchiericcio vespiano, rassegnati dai pollai
precostruiti di talk inutili e prevedibili come i vecchi film
hollywoodiani, sempre a lieto fine, sempre con gli stessi attori
incipriati.
Milena Gabanelli, semplice, umile, forte contro i forti e debole con i
deboli, in un’Italia affollata di protagonisti sempre forti con i
deboli e deboli con i forti, è la raffigurazione dell’Italia che tutti
vorremmo. Esile ma forte, donna vera e non merce, buon senso e non
slogan, reale e non spottificata. Che Italia sarebbe! Il solo
immaginare un suo discorso agli italiani a fine anno a reti unificate,
mi fa accapponare la pelle. Parlerebbe a tutti noi come ha sempre fatto
mettendo al centro solo e soltanto la verità.
Oggi Milena Gabanelli spiega che non può lavorare, da vicedirettore, in
concorrenza con le altre testate. Ma credo proprio che non avrebbe
potuto farlo neanche da direttore. Anche se qualcuno le avesse promesso
questo, chi mai potrebbe impedire oggi a una grande testata, TG1 TG2,
TG3, GR (per non parlare delle altre, non trascurabili: sport,
informazione istituzionale e di servizio…) una autonoma presenza sul
web? Nessuno. Il fatto è che in RAI non ci crede (quasi) nessuno e
nessuno vuole mai rischiare.
Speriamo piuttosto, che nelle prossime settimane, nel rush finale, il
contratto di servizio venga migliorato almeno un poco. Per esempio,
imponendo alla RAI di misurare e rendere pubblici non più solo il
livello degli ascolti, ma anche la loro efficacia nel costruire la
coesione sociale, cosa che oggi si può fare partendo dai vituperati
dati Auditel. Chiunque voglia governare, dovrebbe essere in grado di
capire che è necessario combattere la disgregazione della società e che
la RAI potrebbe ancora farlo.
Anche con Milena Gabanelli, lo spero davvero.
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Garanzia giovani, solo uno stage su quattro diventa un contratto vero
di Fabio Savelli
Annunci poco attinenti. Un'alternativa alle assunzioni
Stage per coprire carenze di organico. Muratori, manovali, commessi,
baristi, addetti alle pulizie domestiche. Le aziende pagano per ogni
tirocinante 150 euro al mese. Il resto lo mette l'Europa, tramite le
regioni che partecipano al rimborso spese. Il programma governativo
Garanzia Giovani — a tre anni e mezzo dal suo avvio — è un cantiere
aperto. Alle prese con una sfida titanica: accompagnare nel mercato del
lavoro quei 2,5 milioni di Neet (giovani che non lavorano, né sono
impegnati in un percorso di studi) fuori dai radar. Il rapporto
trimestrale dell'Anpal, l'agenzia nazionale per le politiche attive
guidata da Maurizio Del Conte, ha appena rilevato che il 70% delle
misure proposte sono tirocini. Una percentuale tre volte superiore alla
media europea. Il 26% degli stage si è convertito in un contratto di
lavoro.
Numeri non troppo lusinghieri, anche se sono aumentate le “prese in
carico” di Garanzia Giovani. Ormai oltre un milione di giovani ha
svolto il colloquio conoscitivo. Si sono accorciati anche i tempi di
risposta per segnalare posizioni aperte delle aziende, che inizialmente
erano sembrate refrattarie e ora sono state coinvolte. Il rischio
principale, segnala l'associazione Adapt guidata dal giuslavorista
Michele Tiraboschi, è che Garanzia Giovani stia assumendo forme
distorte. «Che finiscono persino per incentivare le imprese a non
assumere, perché sono disponibili giovani in stage con i soldi
dell'Unione europea anche per posizioni che prevedono esperienza
pregressa e con una scarsa valenza formativa», dice Francesco Seghezzi,
direttore della fondazione Adapt.
D'altronde sono nulli i filtri e bassi i controlli. Il sistema Garanzia
Giovani funziona così: le imprese inviano le proprie offerte a un
sistema centralizzato — il vecchio Cliclavoro — e poi tutte vengono
caricate sul portale del governo, senza che nessuno verifichi appieno
che i criteri del programma vengano rispettati. Del Conte invita però a
rovesciare la prospettiva: «Siamo partiti da zero — ammette —. Se
pensavamo di risolvere la disoccupazione giovanile siamo fuori strada.
I tempi di risposta sono stati velocizzati. E i giovani coinvolti
stanno via via aumentando. È chiaro che dobbiamo lavorare molto per
migliorare lo strumento aumentando i controlli». Bruxelles ha dato
all'Italia 2,8 miliardi di euro dal 2014 fino al 2020. Mentre gli
ispettorati del lavoro, alle dipendenze del ministero guidato da
Giuliano Poletti, sono in a
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La minoranza
Nella minoranza Andrea Orlando chiede da lunedì una discussione su
tutto, dalle alleanze al candidato premier: «Il giorno dopo la Sicilia
— è la tesi di Orlando — si tratta di costruire una coalizione che deve
decidere modi e tempi per individuare la candidatura a presidente del
Consiglio. La discussione è legittima e il Pd andrà a quel tavolo con
la candidatura di chi ha vinto le primarie». Matteo Orfini arriva
subito al dunque: «Renzi non si tocca». Dopotutto il Pd in Sicilia non
è mai stato forte — sottolineano i renziani — e nel 2012 non andò oltre
il 13 per cento. Lo stesso Andrea Orlando, leader della minoranza dem,
ammette che «l’impressione è che l’obiettivo di Mdp è far perdere il
Pd». Ma Claudio Fava insidia Micari. E se dovesse accadere quello che
per il Pd sarebbe il peggio, il sorpasso del candidato della sinistra
sul rettore, avrebbe certo ripercussioni anche in vista delle alleanze
per le politiche e per la composizione dello schieramento di
centrosinistra, oltre che per la scelta del candidato premier. Sarebbe
la conferma della tesi che senza un’intesa c’è automaticamente la
sconfitta. Dopo le uscite di esponenti di peso dei dem, da Gentiloni a
Minniti, che hanno rilanciato la necessità di costruire una coalizione
ampia intorno al Pd, lo stesso renzi ha aperto a sinistra alla ricerca
di alleanze. Come è ancora da definire, mentre Giuliano Pisapia ha
chiarito che Campo popolare correrà alle politiche cercando il dialogo
con Verdi e Radicali, ed Emma Bonino ha aperto un cantiere con Benede
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Campo
progressista sarà presente con la propria lista alle politiche, e alle
prossime Regionali, per «dare una nuova casa a milioni di elettori di
centrosinistra confinati nell'astensionismo o non soddisfatti dalle
politiche di questi ultimi anni». È la decisione emersa dopo la
riunione di ieri al Centro congressi Cavour di Roma, alla presenza di
Giuliano Pisapia, con i referenti territoriali, i consiglieri regionali
e i parlamentari. Dunque «Campo progressista sarà presente alle
prossime elezioni politiche e regionali, avviando da subito un
confronto con le forze politiche del campo del centrosinistra, per
costruire una nuova forza plurale, europeista e progressista che poggi
le sue fondamenta sulla valorizzazione delle migliori culture politiche
del Paese: dal cattolicesimo democratico, agli ecologisti e ai Verdi,
dalle battaglie e la storia dei radicali al civismo, dalla storia della
sinistra italiana al volontariato e all'associazionismo».
Dinanzi all'avanzata delle destre e dei populismi in tutta Europa e
alla precaria condizione di molti strati sociali del Paese — scrivono
in un comunicato — fotografiamo un'inadeguatezza dell'offerta delle
forze di centrosinistra divise tra un racconto trionfalistico del Pd e
il rischio di un confinamento minoritario delle forze di sinistra».
Pisapia ribadisce il punto: «La nostra linea, a maggior ragione dinanzi
a un quadro che porterebbe il Paese in mano alle larghe intese o al
ritorno di Salvini e Berlusconi, non cambia». Naturalmente la tappa
fondamentale del percorso di emersione elettorale di Campo progressista
sarà domenica 12 novembre, quando a Roma «presenteremo una proposta per
l'Italia che guardi al futuro. Una proposta che delinei un perimetro di
campo e contenuti in cui ritrovarsi: dalla scuola all'ecologia, dalla
sanità al lavoro, dai diritti civili alle questioni di genere». Il
tutto per mettere in piedi «una nuova casa comune e contenuti
attraverso i quali sfidare le forze politiche e sociali del
centrosinistra per costruire una nuova e larga coalizione».
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Il
custode delLa Latrina di Nusquamia, al secolo l'ing.Claudio Piga, un
abduano di Trezzo d'Adda, sardAgnolo di origini con ascendenze
garibaldine in ValCamonica fa finta di non capire come e perché sia
stato il consiglio comunale a somministrargli la fatwa, con una manovra
di perfetto stile democristiano. Altro che le nostre “plocade” castigat
ridendo mores : l'han menato di brutto con le “cacate carte”.
L'incarico di redattore del giornaletto comunale gli venne dato con
delibera di giunta. Se la “mozione della vendetta” promossa dal
Pedretti, sulla quale vi fu la convergenza dei similprogressisti e di
un membro della Quinta colonna” fosse stata approvata dal consiglio
comunale, avrebbe comportato le dimissioni dell'intero consiglio. Come
accaduto al momento (più) opportuno, in consiglio c'era la maggioranza
per approvare la mozione.
La maggioranza di centrodestra leghista ha detto a Gandolfi: noi
respingiamo la mozione perché altrimenti decadrebbe tutto il consiglio
e il Centrodestra e la Lega farebbero autogoal, però tu sbaracchi il
custode delLa Latrina di Nusquamia e il suo giornaletto.
Detto e fatto. E infatti da quel momento Gandolfi comincia il
pellegrinaggio dalle varie Madonne a cercare un futuro politico: da
DiPietro fino ad approdare come ruotina di scorta – nonostante un
messaggio di tripudiante lecchismo entrista- nella lista di Casini
Democristianamente quando il consiglio arrivò ad limina, la maggioranza
che voleva sbaraccare Gandolfi e il custode delLa Latrina di Nusquamia
colse l'occasione per toglierseli dai piedi. Poi lui c'ha costruito
tutto un romanzo facendo diventare epico quel che era-é soltanto…
sangue e merda… .
(P.S.: La nobiltà dell’uomo che di questi tempi pubblica l’immagine: heinrich-lossow-the-sin-c-1
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Il
paese è lercio perché da molti mesi non piove e perchè alcuni cittadini
-vogliamo sperare una minoranza- scambia certi posti come la latrina
degli osti anni trenta. Davanti a questa situazione serissima
-siccità + sporcizia + polveri- uno si attenderebbe che il Comune,
tramite l’assessore alla protezione civile e quello alla cura del
patrimonio comune, si dessero una mossa mettendo in campo la protezione
civile per (a) lavare le strade almeno nei posti più trafficati dalle
persone e dagli scolari (b) irrigare i giardini (c) fare una pulizia
radicale di certe zone del paese che sono letteralmente LERCE.
Prima risposta: non tocca agli assessori e nemmeno alla protezione civile. Tipica risposta all’italiana.
Oltretutto abbiamo un fiume da cui prelevare l’acqua necessaria e
possiamo anche chiedere l’aiuto a qualche coltivatore dotato di
maxibotte per la bisogna, magari rimborsandogli solo il gasolio visto
che la stagione non li vede particolarmente occupati in campagna.
Insomma: voltarsi indietro le maniche e cercare di mettere in circolo
positivamente tutte le risorse UMANE E MATERIALI che abbiamo (e
decantiamo ogni tre per due...).
Invece scopriamo che l’assessore alla protezione civile é occupato
alla formazione della «Commissione Giovani» con tanto di
imprimatur della giunta secondo uno stile sovietico o curiale: a
scelta, oltretutto sbagliando modulo per l’iscrizione. Primo colpo
primo errore.
L’assessore al patrimonio pare preoccupato di piazzare alcuni
mappali ex sedime stradale sperando che qualche allocco li
comperi e rimpingui le casse comunali ma non s’avvede del pessimo stato
in cui è il territorio comunale. Varrebbe la pena di domandargli dove
sia stato finora visto che fa l’assessore al territorio (diretto e
indiretto) da quando è entrato in comune nel 1990. Lui vede solo il
tratto di paese di via Zaccagnini, Marconi, municipio. Il resto non
esiste.
Infine leggiamo l’ltima trovata. Il Comune intende investire per un
anno di prova per mettere in rete un’applicazione utile ai cittadini
per dialogare col comune. Questa dev’essere una scoperta del
consigliere filosofo europeo.
A che serve un’app se poi il comune «fa un cazzo»?. Non sarebbe meglio mandare «a pic e pala, scua e c
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