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Raqqa liberata













































L’Italia politicante trascorrerà questa settimana in spasmodica attesa del risultato elettorale siciliano. Che non arriverà alle prime ore del 06 novembre ma saranno necessari alcuni giorni perché gli scrutatori siciliani sono molto precisi e quindi «scruteranno» per almeno  lunedì martedì mercoledì e perché no? pure giovedì.  In Sicilia gli scrutatori sono pagati a giornata e quindi c’è disoccupazione da recuperare. Nel frattempo le televisioni avranno macinato qualche centinaio di talk show dove ricompariranno personaggi scomparsi ed acciaccati dalla giovine età. La Sicilia è l’immagoine dell’Italia esatta ed opposta. Assieme alla Valle d’Aosta è tra le più sprecone di ogni risorsa che  trattenga o le venga assegnato. Nord e Sud unite nello spreco ed anche con robuste infiltrazioni malavitose. Per usare un aggettivo elegante. 

Per adesso abbiamo delle buone notizie dal fronte dei potenziali vincitori. Anzi: si può ben dire di chi farà il cappotto. La notizia più recente sono le dimissioni del «capo del gabinetto» Paolo Giordana della sindaca Appendino a Torino. Il bravo pretino  aveva trescato per far togliere una multa ad un amico beccato a viaggiare senza biglietto su uno di quei bus che costituiscono la vergogna dei trasporti municipali torinesi. Il Giordana -non sorridete- è prete ortodosso,  «sacerdote della chiesa autonoma del Patriarcato Autocefalo di Parigi». Giordana (detto «Rasputin», ma lui astutamente: «Sono solo un portalettere») era diventato un uomo chiave del grillismo torinese: la sindaca lo considerava così fondamentale da averlo introdotto sia a Davide Casaleggio, sia a Grillo, creando una consuetudine. Quando quest’estate Giordana ha festeggiato il suo compleanno in un locale del centro a Torino, chi vi fu a festeggiarlo? Beppe Grillo in persona. Fu sapientemente fatta uscire una foto di Grillo e Giordana abbracciati, con Chiara in mezzo. Il capo di gabinetto aveva subìto uno scossone dopo il disastro di piazza san Carlo - la finale di Champions tramutata in una tremenda serata di piazza- con un morto e 1562 feriti. A Giordana era toccato coordinare l’organizzazione: che non c’era stata. E da allora i suoi nemici l’avevano se non azzoppato, indebolito, con la sindaca che finirà anche per la prima volta indagata dopo tante denunce di torinesi per lesioni.
Giordana era transitato da amministrazioni di ogni colore. Era stato staffista di Ferdinando Ventriglia (An) e di Paolo Peveraro, liberale e assessore chiave con Castellani e Chiamparino, oggi presidente di Iren.
Giordana sapeva abbastanza cose da suggerire, raccontano i maligni, i testi degli applauditi discorsi di Appendino da consigliera d’opposizione.
Invece. Invece il destino di Gtt, la società che gestisce bus, tram e metrò a Torino è a rischio collasso. Al 31 dicembre 2016 aveva debiti per 542 milioni a fronte di un fatturato di 440. Di questi oltre cento sono mancati pagamenti ai fornitori, un macigno che mette a rischio la possibilità per i mezzi di circolare. Fatica pure con i propri dipendenti: tra giugno e dicembre quest’anno  le saranno necessari 123 milioni.
In questo quadretto  leggermente drammatico nientemeno che il capo di gabinetto del sindaco tenta di evitare una multa di 19 euro subita da un amico (che non è un poveraccio) propriamente perché senza biglietto. Neanche il più malvagio degli sceneggiatori poteva organizzare una rappresentazione del genere e meraviglia che un’Appendino non si sia accorta di essersi messo di fianco (perlomeno) un cretino. Il che fa pensare alla scarsa qualità di una amministrazione che i 5S vorrebbero fosse il loro fiore all’occhiello. Nel far evadere il biglietti ai viaggiatori di un’impresa in fallimento.

A Roma la sindaca Raggi aveva fatto venire da Livorno l’ultimo dei mille assessori che aveva nel frattempo cambiato: l’assessore al bilancio Gianni Lemmetti già assessore nella giunta Nogarin di Livorno. L’assessore al Bilan­cio é indagato nella sua Livorno per una presunta turbativa d’asta assieme al sindaco, Fi­lippo Nogarin. Lo ha scritto sulla propria pagina facebook di aver appre­so in via informale che l’in­chiesta riguarderebbe una ga­ra indetta dalla Spil, la società che gestisce il porto industria­le della città labronica, parte­cipata dal Comune.  Non è la prima volta che l’assessore dalla chioma e tempra vikinghe (il suo co­gnome avrebbe origini scandi­nave) si ritrovi indagato assie­me a Nogarin: era già accaduto per l’inchiesta sulla società dei rifiuti Aamps, per la quale si era aperta la procedura di con­cordato preventivo.
Mentre il Movimento roma­no è impegnato nella sfida elettorale nel «municipio» di Ostia, si cerca di attutire il col­po. Il mantra ufficiale che risuona a tutte le latitudini pentastellate è: «no comment: Lemmetti è preparato e sta facendo bene». E intanto hanno rimosso tutti i commenti negativi (degli estranei ed anche degli iscritti) dalla pagina facebook. Tutti sottintesi: «speriamo che la vicenda si sgonfi e non ci siano conseguenze».

Pietro Grasso non diventi per Mdp come Bonucci per il Milan
Il presidente del senato stia attento. Troppi si sono spesi, all'indomani della sua uscita dal gruppo parlamentare del senato del Pd, nominandolo sul campo. Il processo deve essere democratico e limpido in ogni suo passaggio.

Peppino Caldarola

Tutto lascia pensare che Pietro Grasso sarà indicato nelle prossime settimane come il leader della lista elettorale unitaria di sinistra. Ci sono i “pro” e i “contro”. I “pro” stanno quasi tutti nella persona di Pietro Grasso, magistrato eccellente, ora presidente del Senato, sobrio rappresentante delle istituzioni, «ragazzo di sinistra» secondo la sua autobiografia, autore di una rottura col Pd sul Rosatellum di grande coraggio.

Ancora un magistrato come pivot politico. I “contro” sono nel fatto che per l'ennesima volta la politica sceglie un magistrato come pivot. Nella sua inesperienza nella gestione di questo mondo complicato che è la sinistra e, soprattutto, la nuova sinistra, c'è il rischio che la sua indicazione al vertice assoluto appaia una fuga in avanti. Personalmente, per quel che conta, penso bene di Pietro Grasso. Non sono convinto che fosse rimasto solo lui come la carta della disperazione per una sinistra non ancora unita e priva di leadership autoctone.

Manca un rappresentate della storia della sinistra.
Ho sempre pensato che nella discussione sul leader, che va fatta “assieme” e/o “dopo” ma “mai” prima di quella sul programma, si sceglie come “capo” colui o colei che meglio rappresentano una linea politica, un modo di sentire, il nascere di una connessione sentimentale con il popolo che si vuole salvarsi dal disastro di Renzi. Ci sono e c'erano altri nomi di possibili leader, per esempio Anna Falcone, battagliera “capa” del No referendario. Ci potrebbe essere, se lo si convincesse, Maurizio Landini, l'unico, a mio modesto parere, a parlare il linguaggio del nostro popolo, con una storia che è sempre stata a sinistra anche quando molti di noi compulsavano eccitati Anthony Giddens.
Chi si farà carico di candidare Grasso e deciderà di sostenerlo non lo deve però tenere prigioniero. Un nuovo leader ha un proprio profilo, un proprio modo di rapportarsi con la gente, ha diritto a fare le sue cazzate
Ora però parliamo di Grasso e immaginiamo che sarà lui il pivot. La prima cosa seria da farsi è non indicarlo come il candidato degli stati maggiori. Troppi si sono spesi, all'indomani della sua uscita dal gruppo parlamentare del senato del Pd, nominandolo sul campo. È già successo a Bonucci col Milan. Il processo deve essere democratico e limpido in ogni suo passaggio. Questa nomina deve aiutare l'unione in una unica lista elettorale ma non può essere il vinavil, cioè una colla incolore che tiene assieme forzosamente ciò che non si tiene insieme da solo.

Grasso dica qualcosa di più su di sé. Servirà anche che lui, a un certo punto, dica qualcosa di più di se stesso. Apprezzo molto i leader americani che chiedono di diventare capi di qualcosa esprimendo idee pensieri sentimenti e non presentandosi come fa in generale la classe dirigente italiana, dalla sinistra a Grillo fino alla destra, come gente che si sacrifica per noi. Non vi sacrificate più, state nelle vostre case. Chi ambisce a dirigere deve volerlo fare perché ha una ambizione grande di avere successo personale nel servire il proprio Paese che non deve a lui gratitudine semmai il contrario.
Il probabile leader non deve farsi imprigionare da formule del passato. Non voglio riproporre la mia idiosincrasia per il centro-sinistra, quello recente, ma voglio dire che ci si presenta davanti al proprio popolo e davanti agi elettori con una prospettiva nuova. Renzi non è stato un incidente di percorso che ha interrotto un cammino luminoso. Si è arrivati a Renzi proprio perché il cammino non era luminoso. Quindi si deve voltare pagina.

Attenti alle sindromi di Prodi e Pisapia.
Chi si farà carico di candidare Grasso e deciderà di sostenerlo non lo deve però tenere prigioniero. Un nuovo leader ha un proprio profilo, un proprio modo di rapportarsi con la gente, ha diritto a fare le sue cazzate. Se risulta prigioniero politico di uno stato maggiore, meglio lasciarlo a casa sua. Né bisogna accettare le due sindromi negative che io vedo nella storia recente, cioè la “sindrome Prodi”, quella del leader che subito dopo aver ricevuto l'investitura decise di sciogliere chi lo aveva nominato, né la “sindrome Pisapia”, il leader tal
 luglio di quest’anno  i quotidiani titolano all’unisono :»nuova condanna per Umberto Bossi: due anni e mezzo per truffa allo Stato. Confiscati 48 milioni di euro al Carroccio. L'ex tesoriere Belsito condannato a quattro anni e dieci mesi. Tutti imputati per la truffa da 56 milioni di euro ai danni dello Stato. Per l’accusa, nel periodo tra il 2008 e il 2010 sarebbero stati presentati rendiconti irregolari al Parlamento per ottenere indebitamente fondi pubblici. Denaro poi utilizzato in gran parte per le spese personali della famiglia del senatur. La Lega ha truffato lo Stato: lo dice una sentenza di primo grado. La sentenza però non dice né può dire se la Lega, al momento della sentenza definitiva, avrà o meno i soldi. Quindi Salvini, di fatto, deve pagare la truffa ai danni dello Stato adesso. E poco importa se non ci saranno più soldi per fare campagna elettorale o altra attività politica. C’è una sentenza da rispettare. Forse. In previsione della sentenza, scontata nella risoluzione meno scontata nell’entità della somma da restituire, grazie a un' idea avuta un paio di anni fa e che è diventata un fatto compiuto proprio durante il 2016 i flussi finanziari della Lega non sono più centralizzati, ma sono diventati federali e posseduti dalle strutture regionali o parzialmente regionali che hanno propria autonomia giuridica (alcune nate anche solo recentemente) e finanziaria e che quindi assai difficilmente potrebbero essere coinvolte nei sequestri.
Sono ormai 12 le federazioni autonome e dotate di patrimonio e liquidità propria: Emilia, Friuli, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte, Romagna, Toscana, Trentino, Umbria, Valle d' Aosta e Veneto. Tutte e 12 sono diventate economicamente importanti proprio a partire dal 2016, riducendo i flussi finanziari della Lega Nord nazionale. La sola federazione lombarda ha denaro in cassa per più di 3 milioni di euro e un patrimonio netto di quasi 3 milioni. In tutto dunque tiene da parte più di 6 milioni di euro, e vale più del partito nazionale.
Il procuratore capo di Genova Francesco Cozzi all'indomani del sequestro cautelativo dei fondi della Lega deciso dal Tribunale di Genova ha voluto precisare che "Camera e Senato  si sono costituiti parte civile nel processo per avere risarcito un danno derivante dalla erogazione di contribuiti che non dovevano essere dati perché fondati su bilanci non corretti". "Noi abbiamo agito a tutela del Parlamento. E - ha aggiunto Cozzi - i processi che questo ufficio manda avanti dimostrano che non si guarda in faccia a nessuno e, tantomeno, a nessun colore politico".
I giudici del tribunale genovese  hanno scritto: "È pacifico che la Lega Nord abbia percepito il profitto dei reati commessi dai suoi rappresentanti Bossi e Belsito, con il concorso di Aldovisi Turci e Sanavio (ex revisori contabili del Carroccio)" e che tale profitto, costituito da somme erogate come rimborso elettorale, "sia costituito da bene fungibile e aggredibile indipendentemente dalla prova del nesso pertinenziale diretto con il reato".
Il problema è Maroni e Salvini e Zaia , per citare i tre attuali leader della Lega sono stati eletti usando soldi dei rimborsi elettorali che non vanno a distinguere se l’inizitiva A è regionale piuttosto che nazionale.
Che la faccenda si stia mettendo male lo si comprende da un altro evento. Nella giornata di ieri prende un valore simbolico anche per un’altra decisione approvata all’unanimità nella riunione del federale: Roberto Calderoli, uno degli esponenti storici e più noti del movimento, lascerà il gruppo leghista al Senato per approdare al gruppo misto. Il fatto va infatti messo in relazione con il blocco dei conti stabilito dal tribunale di Genova nel processo nel quale sono stati già condannati Bossi e l’ex tesoriere Belsito.
Ormai nella Lega è a salvare il portafoglio e se leggiamo la notizia sui giornali ci accorgiamo come sia sostanzialmente una velina leghista Perché sono tutte uguali, usano tutte le medesime parole...
Certo è che 56 milioni di euro non sono noccioline ne per chi se li è intascati ne per gli Italiani che li hanno pagati.