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Lasciando il gruppo dem di Palazzo Madama, Pietro Grasso ha strappato il sipario delle ipocrisie e rivelato che il re è nudo. Una decisione che costringe l'intero gruppo dirigente del Pd a fare i conti con le scelte di Renzi, rivoluzionando i processi di aggregazione a sinistra.
Dell'ipotesi che la seconda carica dello Stato possa assumere, con i tempi dovuti, la leadership di una forza che sfidi il Pd alle elezioni, si parla ormai apertamente al vertice di Mdp. E non solo. Il dato nuovo è l'evidente accelerazione innescata dalla decisione di Grasso. Come nel gioco del domino, quei leader che aspettavano l'annunciata sconfitta di Renzi in Sicilia sono venuti allo scoperto, mostrando di comprendere le ragioni dell'addio. In poche ore sembra essersi saldato un asse trasversale, da Veltroni a Prodi, che unisce quanti non si riconoscono più nelle mosse del segretario e lavorano a una coalizione modello Ulivo. Per Michele Emiliano «la storia di Grasso è il Pd e se qualcuno mette delle condizioni tali per le quali un uomo così deve andare via», la deriva sarà inevitabile. Andrea Orlando spera «che si riuniscano le strade all'interno di un'alleanza di centrosinistra». Colpisce la sintonia con le parole di un «dispiaciuto» Walter Veltroni: «Il Pd è stato ideato e costruito per persone come lui, speriamo di ritrovarci uniti». Deluso da Renzi per la campagna contro Visco, il fondatore disegna idealmente un centrosinistra unito in grado di includere l'ex magistrato che lottò contro la mafia al fianco di Falcone e Borsellino. Altro segnale che non potrà sfuggire ai fautori dell'unità è la forza con cui il prodiano Franco Monaco, vicino a Giuliano Pisapia, plaude a Grasso e rimprovera a Renzi di «destabilizzare le istituzioni».
Non è un mistero che i vertici di Mdp coltivano la suggestione di affidare a Grasso la leadership. L'idea è quella di una lista più larga del movimento dei fuoriusciti, che includa (almeno) SI e Possibile e apra le porte alla sinistra del Pd e a quanti, come Grasso, pensano che «la misura è colma». Lui ne sarebbe presidente con un ruolo di garanzia, affiancato da un coordinamento politico con dentro Speranza, Civati, Fratoianni e gli altri leader delle forze «federate».
La linea di Mdp, per dirla con Roberto Speranza, è «apprezzamento solenne» senza tirare la giacca alla seconda carica, ma certo il gradimento nei suoi confronti è alto e mette d'accordo sia Bersani che D'Alema. Eppure nell'entourage di Grasso si insiste nel dire che «nulla è scontato» e che il presidente continuerà a svolgere «in modo imparziale» il suo incarico istituzionale, fino al termine della legislatura. Ieri quando l'inviato di Agorà gli ha chiesto se c'è un futuro per lui a sinistra, il presidente ha risposto «domani sono al Senato, questo è il mio futuro». Il che però non vuol dire che l'ex magistrato non sia tentato dalla discesa in campo.
La linea è un passo alla volta, stando attento a non sbagliare i tempi. L'idea di dimettersi da Palazzo Madama non lo ha mai sfiorato e, per «rispetto verso le istituzioni», non lo farà neanche una volta approvata la legge di Stabilità. Ma quel passaggio è l'ultimo argine, dopo il quale la legislatura sarà di fatto finita e il presidente sentirà di avere le mani libere. «Non possiamo aspettare lo scioglimento delle Camere — corre Pippo Civati — Grasso deciderà prima che la legislatura finisca».
Dunque anche Grasso ha lasciato il PD e s’è messo nel gruppo misto: in questo Parlamento su 960 eletti al 19 ottobre ci sono stati 529 cambi di casacca da inizio legislatura. Solo a Montecitorio sono stati 298. Adesso si ne aggiunge un altro ed è un carico da 90.
La prospettiva di Grasso è evidente: porsi fuori dal PD prima delle elezioni siciliane per vederne i risultati da esterno accompagnato dalla giusta patina  eroica: dopo di che c’ha tutto il tempo di giocarsi un adeguato futuro.
Il 25 ottobre il senatore del Movimento 5 stelle Vito Crimi aveva invitato Grasso a dimettersi per protestare contro la decisione del governo di mettere la fiducia sul Rosatellum bis. La risposta era stata secca: «A volte è più difficile restare che andarsene. Io che ho senso delle istituzioni resto al mio posto. Quando si difendono le istituzioni non sempre si possono seguire i propri sentimenti». Lo stesso Crimi, il 26 ottobre, ha commentato: «Se si fosse dimesso ieri, come gli avevamo chiesto, il suo nome non comparirebbe ora tra i responsabili del Rosatellum».
Penso che la manovra di Grasso, nonostante sia formalmente ineccepibile sia ancora in continuità con formule parlamentari 800tesche.  Grasso  s’è arrabbiato perchè la scelta del governo di porre la fiducia sulla legge elettorale al Senato senza consentire un minimo di discussione  era offensiva per l’istituzione. Formalmente vero.
Grasso fa finta di non sapere e non avere compreso che il disegno trasversale della maggioranza dei parlamentari è quello di arrivare alle elezioni senza una legge.
Buona o cattiva che sia questa legge gli Italiani dovranno subire i danni delle loro scelte elettorali tattiche e ottuse e inciuciste che hanno creato questo Parlamento a fine 2017.
E dopo le prossime lezioni dovranno fare i conto non col problema di costruire «una maggioranza» ma col Paese che gli si rivolterà contro e con lo spread che svetterà in alto.
Brutalmente restiamo convinti che fosse meglio quel gran caos che fu la riforma bocciata  a dicembre 2016.
A meno che per un colpo di genio degli Italiani stavolta decidano di premiare qualche raggruppamento col 40% dei consensi.

a pretesa che i ragazzini delle medie debbano essere consegnati ai genitori o comunque a un adulto da questi delegato e non possano tornare a casa da soli è un insulto al buon senso, prima che un ulteriore vincolo posto all'organizzazio ne quotidiana delle famiglie, in primis delle madri. Potrebbe sembrare una pretesa da buon tempo antico, se non fosse che una volta i bambini erano lasciati molto più autonomi e più precocemente, nell'andare e tornare da scuola, ma anche nell'andare ai giardini o a trovare i nonni nelle vicinanze, o a comperare il pane o il latte. Ed i più grandicelli potevano, e dovevano, accompagnare i fratelli più piccoli, senza aspettare di essere maggiorenni, come invece succede oggi.
Di antico, in questa pretesa, c'è l'ovvia aspettativa che nelle famiglie ci sia sempre un adulto — per lo più la mamma — che non ha impegni di lavoro, ma anche di cura di altri familiari, che gli impediscano di trovarsi fuori scuola a metà giornata e di accompagnare i figli non ancora quattordicenni dovunque. Il tutto in un contesto in cui le scuole a tempo pieno sono in via di riduzione anche alle elementari e pressoché inesistenti alle medie. Se si dovesse dunque seguire l'interpretazione che dà la Corte di Cassazione alla norma sull'incapaci tà degli studenti fino ai quattordici anni, non solo i ragazzini con lo zaino in spalla e lo smart phone in mano ma anche i bambini che cominciano i primi anni di studio non potrebbero più andare a prendere il latte da soli. Perché, se malauguratamente succedesse un incidente, scattarebbe una denuncia per abbandono di minore.

A differenza di quanto ha dichiarato la ministra Valeria Fedeli, i ragazzi non potrebbero imparare a diventare autonomi neppure nel pomeriggio. L'eccesso di protezione, la difficoltà ad accettare i rischi dell'au tonomia (ovviamente avendo educato alla stessa), unita alla tendenza allo scarico di responsabilità quando qualche cosa va storta, sono fenomeni ahimè tutti contemporanei e molto accentuati nel nostro Paese.
Le città europee sono piene di ragazzini che vanno a scuola da soli, prendono il tram, vanno in palestra senza essere accompagnati. I loro genitori, i loro insegnanti, le loro collettività non sono più irresponsabili della nostra, solo più fiduciosi nella propria capacità di insegnare a diventare responsabili. Forse sono anche meno disponibili allo scaricabarile. Perché, se un genitore pretende che la scuola riconosca l'auto nomia dei ragazzi e l'impossibilità dei genitori stessi di essere continuamente presenti quando i figli si muovono, ma poi è pronto a denunciare l'istituto se qualche cosa succede nel tragitto verso casa, è inevitabile che la scuola si protegga. E imponga, appunto, la presenza della madre o del padre, o comunque di un adulto.
La norma che definisce i ragazzi sotto i quattordici anni legalmente incapaci è stata probabilmente pensata dal punto di vista della loro — cioè dei ragazzini — responsabilità penale, non per tenerli costantemente sotto una campana di vetro. Se invece l'interpretazione giusta è quest'ultima, come sembra di capire dalla sentenza della Corte di Cassazione, la norma va cambiata, come da tempo è chiesto dai presidi, ma non solo. E gli adulti dovranno prendersi la responsabilità, ciascuno nel proprio campo e ruolo, di insegnare ai ragazzi ad essere responsabili, a gestire appropriatamente l'autonomia conquistata.

Chiara Saraceno
I ragazzini della frazione «la Fornass» da dove proviene la sindaca Gamba andavano a scuola elementare alla Roncola di Treviolo. Qualcuno andava dalla suore Orsoline della Merena percorrendo una mulattiera che nei pressi della passerella sul Brembo -al tempo li passava il fiume Brembo e non solo il torrente Quisa-  correva a strapiom bo sul fiume. Un’operaia della Gabulera ci cascò dentro e ne morì una mattina d’inverno con la neve. Molti ragazzini delle cascine disperse sul territorio non andavano nemmeno a scuola perché non c’era la strada. Pochi anni prima del 1960 vennero terminate le strade che dal Sere andavano a Curno e alla Merena. Nel frattempo era stata istituita una scuola pluriclasse -dalla prima alla quinta!- in una casa a metà via Lungobrembo bassa. Ci insegnò anche una maestra che divenne moglie di un giudice ucciso dal terrorismo a Roma.
Le scuole medie arrivarono a Curno circa dieci anni dopo l’istituzionaole nazionale. A quei tempi -prima del 1960- era rarissimo  incontrare un genitore che conducesse a scuola suo figlio. Se accadeva  voleva dire che c’erano stati problemi di salute.
Oggi sarebbe utile che i percorsi a piedi o in bici dei ragazzi dai vari quartieri o zone del paese verso le scuole fossero meglio segnalati. Che i marciapiedi avessero una ampiezza congrua anziché bastare a malapena per il passaggio di una carrozzina con la Barbie.
Sostanzialmente nella città NON si rilevano alla prima occhiata quelli che dovrebbero essere i percorsi protetti specie per  i bambini (e gli anziani) diretti a scuola. La città, marcipaiedi e piste pedonali e ciclabili sono disegnati per l’AUTO e non per i pedoni. Purtroppo.
Certe letture ti fanno pensare che siamo arrivati in fondo al tunnel: ieri è stato pubblicato sul sito del comune il volantino che annuncia che «dal 27 ottobre all' 8 novembre sono aperti i termini per la presentazione delle candidature alla COMMISSIONE GIOVA NI, i cui obiettivi sono:
· Collaborare con l'Assessore di riferimento per analizzare le esigenze ed i desideri dei giovani del territorio
· Individuare iniziative ed eventi per potenziare la vita sociale e culturale dei giovani del paese
· Valutare la possibilità di costituire un gruppo o un'associazione giovanile
La commissione avrà funzioni consultive, organizzative e di supporto all'assessorato, secondo quanto previsto dal regolamento approvato dal Consiglio comunale. Le candidature pervenute saranno valutate dalla Giunta in base ai seguenti criteri:Volontà di mettersi in gioco, Pluralità di punti di vista e di esperienze (avere un gruppo eterogeneo per età, aspirazioni, competenze, desideri ecc..). Avere un'età compresa tra i 16 ed i 29 anni. Disponibilità e motivazione.
La commissione è costituita ai sensi del “Regolamento delle commissioni facoltative e consultive” del Comune di Curno approvato dal Consiglio Comunale in data 26 ottobre 2017".

Insomma tutto a «norma di cacata carta» scriverebbe il custode delLa Latrina di Nusquamia. La cacata carta è una minaccia: chi non sta nel canale ordinato dalla sindaca Gamba, fuori!. C'è solo da sperare che la giunta Gamba non abbia inteso ordinare che a Curno sia vietato auto-organizzarsi.
Peccato che alla pagina successiva il «modulo» di presentazione della rispettosa «domanda» non sia per la futura «commissione giovani» ma per una fantomatica «commissione lavoro». Tanto per iniziare in confusione.

Siccome di questi tempi cominciano le celebrazioni del 1968 di fronte a questo avviso abbiamo avuto un sussulto pensando ai gggiovani del 1968, di cui facevamo parte. Pure a Curno ci furono i gggiovani del 1968 e stavano assieme gggiovani comunisti ed anche gggiovani cattolici. Senza morderci.
Non erano stati messi  assieme in una commissione o in un gruppo sotto il governo di un assessore democristiano per i problemi dei giovani ma si erano cercati trovati e organizzati da soli senza chiedere il permesso ne ai partiti ne al comune e nemmeno alla parrocchia sebbene questa fosse l'unica che disponesse di una sala di riunione (il municipio era inagibile in quanto in ristrutturazione).

Nel 1968 i gggiovani c'erano davvero: occhio croce penso fossimo numericamente il doppio dei giovani di adesso e sicuramente eravamo privi di cellulare, computer, fessbuc, uotsapp.
Adesso i gggiovani hanno l'ombelico elettronico ma sono  ormai diventati una minoranza da proteggere come le aquile o le marmotte.
C'erano solo due canali TV (RAI 3 sarebbe comparsa nel '79) e non c'era nessuna rete tv privata. In compenso trovavamo facilmente da lavorare, ci accontentavamo del primo lavoro che trovavamo (senza aspettare i consigli della Fornero) , non  avevamo fatto tutti le medie obbligatorie e il primo obiettivo a 18 anni era la patente e la macchina e una ragazza. Pure le ragazze ci facevano già una bella concorrenza in merito.

Detto questo il nostro  essere ventenni nel 1968 in questo paese si concretizzò in tre pratiche. Racconto le più importanti.
La prima fu la creazione del «collettivo biblioteca» che ottenne dal comune la formazione della prima biblioteca comunale ospitata temporaneamente nelle fredde aule della scuola elementare di Largo Vittoria (la scuola s'era trasferita già in via DeAmicis). Noi si fece per lungo tempo da «bibliotecari volontari» in alternativo a uno incaricato (e pagato) .
La seconda fu la creazione del «Cineforum» presso il cinema parrocchiale. Iniziativa che durò fintanto che il locale non venne chiuso per questioni di sicurezza dopo l'incendio del cinema a Torino.
La terza fu la «scuola popolare» vale a dire i corsi (gratuiti e tenuti da volontari) che si tennero per cinque anni per fare conseguire a molti nostri coetanei (e non) la licenza di terza media, utile per molti ai fini  professionali.
Poi avevamo a disposizione due società sportive però poco reattive in positivo rispetto al '68 e un ottimo oratorio col mitico Don Biagio.
C'era il '68 nelle fabbriche e nelle scuole.
Nel gruppo c'erano già due giovanotti che erano stati licenziati perché avevano chiesto e lottato per avere i diritti sindacali sul posto di lavoro tra cui quelle che allora  si chiamavano «commissioni interne».

Insomma ci voltammo indietro le maniche e senza chiedere il permesso ne ai genitori ne ai professori ne al sindaco ne al parroco ci prendemmo gli spazi che c'erano (cioè quasi nulla se si esclude il cinema e la sede delle ACLI: non esistevano sale publiche comunali) e facemmo la nostra associazione di giovani (senza tessere…) e le attività che ci sentivamo di fare. Chi c'era c'era. Chi ci stava buon per tutti.

Adesso leggiamo che un assessore di ventidue anni pubblica questo volantino con tutto il contorno di limiti e promesse. L'idea stessa, nel 1968, che per partecipare al nostro gruppo ci «potesse essere» una valutazione della giunta comunale nemmeno era immaginabile. Li avremmo picchiati.
Oggi i gggiovani, che ormai sono una minoranza, chinano il capo davanti ad un sindaco ed a una giunta e non hanno nemmeno il coraggio di ribellarsi vista la pessima condizione e il pessimo futuro cui sono votati.

Nemmeno s'accorgono che questo incasellarsi tutti dentro un regolamento significa segarsdi le radici. Semmai ne abbiano. Del resto basta leggere il curriculi dei gggiovani consiglieri ed assessori per vedere come siano cascati tutti dentro quel che c'era e non abbiano creato nulla di nuovo.

L'austera professoressa Fornero, che di giovani ne vede migliaia, in un intervento all'assemblea di Assolombarda a Milano invitava le nuove generazioni a non essere troppo esigenti nella ricerca di un impiego: “Non sono nelle condizioni di essere schizzinosi”, diceva. E su twitter fu subito bufera.
Sicuramente la giunta Gamba e l'assessore Curto hanno un'idea diversa dei gggiovani.
Debbono essere in primis grati e graditi al potere.
Poi se faranno i bravi riceveranno la santa Lucia.