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NUMERO 205 - PERCHE' I MIGRANTI CI SALVERANNO
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Nei
prossimi anni il nostro Paese, compresa gran parte d'Europa, si troverà
con sempre più persone ritirate dal lavoro che assorbiranno risorse per
pensioni e spesa sanitaria, da un lato, e sempre meno persone in età da
lavoro, dall'altro. Un quadro che rischia di diventare insostenibile,
impoverendo la capacità di produrre crescita e dare solidità al sistema
sociale. È possibile rispondere a questi cambiamenti in modo positivo?
Sì, a tre condizioni. La prima è favorire una ripresa delle nascite. La
seconda è mobilitare nel sistema produttivo le risorse finora
sottoutilizzate, in particolare giovani e donne. Il terzo è rinvigorire
la popolazione con l'immigrazione, rafforzando le carenze di manodopera
in vari settori e rendendo più sostenibile il rapporto tra lavoratori e
inattivi.
Chi dice di non volere l'immigrazione dà quindi per scontato il declino
dell'Italia. Chi è accogliente accetta invece una sfida delicata e
complessa, rispetto alla quale nessun paese ha saputo sinora proporre
una soluzione convincente. Se lo scenario di chiusura è impossibile (a
meno di togliere l'Italia dal centro del Mediterraneo e spostarla su
Marte) è però anche vero che lo scenario di flussi di entrata mal
gestiti e di permanenza mal integrata è il peggiore possibile, perché
non migliora la crescita e va a inasprire le diseguaglianze.
L'immigrazione è quindi una sfida
inevitabile che dobbiamo imporci di vincere.
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fiducia
nelle istituzioni e di alta disoccupazione giovanile. Non stupisce
quindi che i giovani italiani siano quelli più indotti, rispetto ai
coetanei degli altri grandi paesi europei, a pensare che chi arriva
dall'estero più che aiutarci ad allargare la torta comune ci possa
costringere ad una riduzione delle fette pro capite. Gli under 30
intervistati che concordano con l'affermazione che gli immigrati
peggiorano le condizioni del paese in cui vanno a vivere sono oltre il
60% in Italia e Francia. Va però tenuto presente che la Francia ha
subito attentati drammatici di matrice islamica e che ha una presenza
straniera maggiore della nostra. Valori più bassi, poco sopra al 40%,
si registrano invece in Germania, paese nel quale risulta più larga la
consapevolezza che l'immigrazione sia parte integrante del processo di
crescita del paese.
Questi dati devono far riflettere perché ci dicono che rischiamo di far
chiudere in difesa una generazione potenzialmente aperta al confronto
positivo tra mondi e culture. Conforta, in ogni caso, il fatto che si
ottengono valori meno negativi nei contesti in cui l'integrazione
funziona e tra chi è più informato sul fenomeno. La maggioranza di chi
dice che gli immigrati sono troppi non sa infatti dire esattamente
quanti siano, tende ad enfatizzare la componente irregolare e la voce
dei costi sul welfare rispetto alla ricchezza economica prodotta.
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Ma non può essere vinta se prima non viene capita e colta, dalla classe
dirigente e dai cittadini comuni, in tutta la sua rilevanza sul nostro
futuro. Richiede una soluzione sia strutturale che culturale, mentre
oggi prevale lo smarrimento politico e il disorientamento sociale, come
ha ben evidenziato il Cardinale Scola nei suoi recenti interventi.
I dati recenti di un approfondimento del “Rapporto giovani”
dell'Istituto Toniolo, indicano che il 28% dei giovani tra i 18 e i 32
anni vorrebbe il rimpatrio di chiunque arriva, siano essi profughi o
persone in cerca di lavoro. La grande maggioranza è invece favorevole
all'accoglienza, ma non incondizionata. L'at-teggiamento di fondo
appare confuso e ambivalente. Da un lato, i ragazzi italiani, come
evidenziano varie ricerche, tendono a non considerare straniero il
compagno di banco con genitori di nazionalità diversa e colore della
pelle diverso. D'altro lato, dai media vengono bombardati con notizie
di sbarchi continui, di episodi di violenza e condizioni di
sfruttamento. Ragioni e valori dell'accoglienza fanno così sempre più
fatica a contrastare la crescita dei timori di una presenza straniera
subita e non ben integrata.
Tutto questo in un contesto di crisi economica, di welfare in sofferenza, di risorse familiari in riduzione, di bassa
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La strada è quindi quella del miglioramento degli strumenti conoscitivi
rivolti ai cittadini oltre che di una responsabilità più solida della
politica nella guida al cambiamento. Iniziative come Open migration,
siti di informazione come Neodemos, eventi pubblici di confronto
positivo tra culture, misure di successo nelle periferie come Quarto
Oggiaro a Milano, mostrano che la diffidenza si può superare e che la
diversità può diventare ricchezza culturale ed economica. Lasciare che
una larga parte dei giovani scivoli invece dalla diffidenza
all'ostilità è l'errore più grande che oggi possiamo fare, del quale
possono beneficiare solo le forze politiche che speculano sulle paure e
che sanno solo alzare muri.
Se l'immigrazione è una di quelle sfide a cui non possiamo sottrarci è
anche vero che senza un ruolo positivo delle nuove generazioni
difficilmente possiamo pensare di vincerla.
Alessandro Rosina
Corriere della Sera, 04 giugno 2016
Twitter: @ AleRosina68 L'autore è docente di Demografia all'Università
Cattolica di Milano e curatore del “ Rapporto giovani 2016”
dell'Istituto Toniolo
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