NON SIAMO A CURNO: AL-ZAVARA PARK , BAGDAD,2016

NUMERO 204 - CONFINDUSTRIA: BUONA L'ANALISI, VECCHIA LA RICETTA





















Roberto Mania su LaRepubblica a proposito della assemblea di Confindustria  per l'insediamento del neo presidente ricorda che
l'Istat nell'ultimo Rapporto annuale sull'Italia ha scritto: «Tra il 2010 e il 2013, per un'impresa su due il numero di addetti è diminuito (complessivamente di almeno 143 mila unità pari a circa l'1 per cento) e il valore aggiunto aumentato (di almeno lo 0,8 per cento). Il gruppo delle imprese internazionalizzate spinte è l'unico a crescere per entrambe le grandezze (con variazioni mediane pari rispettivamente a +0,6 e +6 per cento)». L'82 per cento del valore aggiunto dell'industria è prodotto dal 21,4 per cento delle imprese esportatrici.
Ancora: le imprese con elevata propensione all'export (cioè quelle che esportano oltre il 50 per cento del proprio fatturato) producono il 31,2 per cento del valore dell'intero comparto manifatturiero. Il contributo delle piccole imprese con meno di 10 addetti (circa il 35 per cento del totale delle imprese) non raggiunge il 10 per cento. E le piccole imprese (quelle con meno di 50 dipendenti) e le microimprese (quelle sotto i dieci dipendenti) rappresentano oltre il 99 per cento delle totale delle aziende italiane occupando circa i due terzi della forza lavoro. Anche così, con queste caratteristiche dell'imprenditoria nazionale, si spiegano le difficoltà nell'uscire dal fondo in cui ci ha cacciati la lunga crisi.
Le piccole imprese non hanno la
forza per investire in ricerca e
innovazione. Così — sempre dal Rapporto annuale dell'Istat — siamo sotto la media europea in investimenti in ricerca e sviluppo da parte delle aziende: lo 0,7 del Pil contro l'1,3 per cento della media Ue. Dato significativo anche quello relativo ai brevetti sempre in rapporto all'Europa: i brevetti per milione di abitanti sono 73,7 contro i 112,8 europei. All'e-commerce ricorre solo il 7 per cento contro il 17 della media europea. Questa è ancora la crisi italiana. E Boccia l'ha detto: «Le imprese vanno ripensate».
Sempre nello stesso giorno  (Roberto Mania) raccontando e commentando la stessa assemblea confindustriale elenca tre messaggi che sarebbero venuti dall'intervento



del nuovo presidente e il secondo messaggio è quello rivolto al sindacato, e la parola chiave è la produttività. È questo il vulnus che ha provocato la lenta decrescita italiana, e la responsabilità non è solo del sistema industriale. Il sindacato deve sedersi assieme ai datori di lavoro per riscrivere assieme le regole della contrattazione collettiva, non dando più la priorità a quella nazionale. Lo scambio salario-produttività è l'unico praticabile, cosa che si traduce in una semplice equazione: saranno pagati salari più alti se aumenterà la quantità  di beni e servizi forniti dal dipendente.
E le nuove regole, quando il confronto interrotto con le organizzazioni sindacali ripartirà, dovrà avere una diversa stella polare: a scriverle dovranno esssere le parti sociali  e non il legislatore.

Ci pare che siano due posizioni del tutto contraddittorie perché é evidente che in paese non può avere due tipi di industrie e nemmeno due livelli salariali. Collegare il salario alla produttività ha un senso se il livello delle imprese é pressoché identico ma siccome l'ISTAT ci dice  che il sistema regge per una minoranza di imprese internazionalizzate rispetto a una maggioranza di imprese asfittiche e senza futuro, é evidente che porre il problema salario  solo nei termini di produttività vuol dire ammettere che “anche” le imprese da rottamare ci possono stare e possono andare avanti: basta che sia loro concesso di  pagare un salario assolutamente inferiore alle imprese leader in danno non solo dei dipendenti ma anche del sistema (Paese) stesso.
Perchè sviluppo e futuro del Paese non
si possono caricare solo addosso a
quelle imprese con elevata propensione all'export (cioè quelle che esportano oltre il 50 per cento del proprio fatturato) e producono il 31,2 per cento del valore dell'intero comparto manifatturiero. Mentre il contributo delle piccole imprese con meno di 10 addetti (circa il 35 per cento del totale delle imprese) non raggiunge il 10 per cento. E le piccole imprese (quelle con meno di 50 dipendenti) e le microimprese (quelle sotto i dieci dipendenti) rappresentano oltre il 99 per cento delle totale delle aziende italiane occupando circa i due terzi della forza lavoro.