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CURNO: MAGGIORANZA ED OPPOSIZONE AVVIANO LA PRIVATIZZAZIONE DEI SERVIZI SOCIALI
Assente dalla seduta la vicesindaca Ivana Rota assessore
all'istruzione, diritto allo studio ed alle politiche sociali e per le
famiglie nonché il capogruppo della maggioranza Insieme per Curno
Fabio Ravasio l'intero consiglio comunale ha approvato una variazione
di bilancio che consente al comune di aderire al progetto di
costituzione di una (società) azienda speciale consortile nell'ambito
territoriale di Dalmine - di diritto privato in seno all'ASL di Dalmine.
Dice il sindaco che l'azienda speciale consortile consente di
assumere personale più agevolmente oppure finalizzare gli acquisti di
beni e servizi in modo più veloce ed efficace rispetto a quanto si
faceva in precedenza e quindi da parte del nostro comune che già si
appoggia all'ambito di Dalmine per tutta una serie di servizi alla
persona risulterà un vantaggio.
Il cosiddetto centrosinistra in qualche modo travestito che si
con-figura come Vivere Curno, seguendo appieno la politica renziana di
smobilitare in nome dell'efficienza risparmio celerità tutte le
attività pubbliche più rilevanti, dopo avere deciso di consegnare ad un
privato esterno i beni pubblici in appalto, il rifacimento
dell'impianto di illuminazione, la gestione dei due CVI , di finanziare
da sempre le scuole private da zero a cinque anni, di consegnare ai
privati attraverso il piano del diritto allo studio quasi mezzo milione
di euro per la cura dei ragazzi portatori di handicap e di essere il
maggiore finanziatore di chiesa&parrocchia di Curno per una serie
di servizi che vanno dalla scuola fino all'assisten- za psicologica o
alla funzione di truppe di interposte fazioni sempre in lite (nelle
case popolari…) adesso compie il suo capolavoro.
L'assistenza sociale viene messa in mano a una società di diritto
privato creata da soci pubblici (i comuni dell'ambito di Dalmine) ed è
facile prevedere che man mano il comune sceglierà di delegare vieppiù
le attività proprie in materia.
Com'è già successo con la società per la raccolta dei RSU di cui il
comune è diventato azionista salvo scoprire che… poi quella società
deve trovare “dove” piazzare i rifiuti raccolti e il cane si morde la
coda. Un carrozzone inutile.
Tutto questo proprio nei mesi successivi alla pandemia quando è in atto
uno scontro titanico tra chi vuole potenziare i servizi socio sanitari
a livello locale – Majorino dove sei?...- e chi no facendo finta
di creare delle fantomatiche case della comunità che … sono vuote di
medici e personale. Senza contare la perdurante assenza a ventate di
molti medici di famiglia sul territorio.
Naturalmente Vivere Curno non ammetterà mai che le due “significative”
assenze dalla seduta consigliare nella maggioranza del capogruppo
Ravasio e dell'assessore ai servizi sociali nonché vicesindaca Rota
proprio quando si vota una decisione di questa portata siano del tutto
casuali ma queste due assenze hanno un elevato valore politico. Semmai
i due se ne siano (almeno) resi conto perché dubitiamo che quella
dozzina di anime che hanno votato all'unanimità se ne siano almeno
accorte.
Non solo il Comune con queste serie di appalti dei propri servizi si
mette nella condizione di essere sotto il cappio delle società con cui
ha stipulato i contratti ma sostanzialmente non è più nemmeno in grado
di verificare e controllare la qualità dei servizi offerti ai cittadini.
Se l’istituzione molla il governo perché non lo regge, cosa vuole controllare?.
Infatti il Comune NON ha mai fatto certificare da un ente pubblico o
privato esterno la qualità dei servizi offerti e la rispondenza alle
regole contrattuali: si affida all'italico stellone con gli incontri
del giovedì mattina -solo mezzora però…- al bar.
Mezz'ora solo ti vorrei cantava nel 1938 su versi di Umberto Bertini la
brava Paola Marchetti inciso dalla Parlophon una prima volta nel 1938
da Nuccia Natali. Ma nel 1938 la Paola Marchetti non si accontentava di
mezz'ora solo bensì pretendeva almeno un'ora.
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COSPITO:L'ACCOZZAGLIA DI GENI TRA PARLAMENTO E VIA ARENULA
Certo è che al Ministero della Giustizia di via Arenula a Roma ci
debbono essere dei veri geni i quali assieme a due ministri – Cartabia
ieri e Nordio oggi- ne sanno combinare di davvero bestiali. Come il
mettere un innesco acceso accanto a un pacco di tritolo.
Come il mettere un Cospito negli stessi carceri di mafiosi e
dranghetisti condannati alla reclusione col 41bis. Un classico del
burocrate italiano: tutte le carte a posto e niente in ordine.
Spiegone del 41bis. I detenuti al 41 bis sono obbligatoriamente in
cella singola, senza eccezioni. Sono due al giorno le ore di socialità
in gruppi composti da massimo quattro persone. La legge stabilisce che
i detenuti al 41-bis possano effettuare un colloquio al mese dietro a
vetro divisorio (tranne che per i minori di 12 anni) della durata di
un’ora (sei i colloqui mensili per i detenuti “comuni”, senza barriere
divisorie) e videosorvegliati da un agente di polizia penitenziaria (e,
su ordine dell’Autorità giudiziarie, anche eventualmente “ascoltato”
dallo stesso agente). Nel caso in cui i detenuti non effettuino il
colloquio visivo mensile, possono essere autorizzati, dopo i primi sei
mesi di applicazione del regime, a svolgere un colloquio telefonico con
i familiari, che devono recarsi presso l’istituto penitenziario più
vicino al luogo di residenza al fine di consentire l’esatta
identificazione degli interlocutori. La partecipazione alle udienze è
esclusivamente “da remoto” in videoconferenza.
Chi decide chi deve stare al 41 bis? La decisione avviene con decreto
motivato del ministero della Giustizia – anche su impulso del Ministero
dell’Interno – di norma su proposta del pubblico ministero incaricato
delle indagini e sentita la Direzione nazionale Antimafia e le forze di
polizia.
Devono sussistere due presupposti: l’uno “oggettivo”, cioè la
commissione di uno dei delitti “di mafia” previsto dall’art. 4 bis c. 1
ord. pen., l’altro “soggettivo”, occorre infatti dimostrare la presenza
di “elementi tali da far ritenere la sussistenza di collegamenti con
un’associazione criminale, terroristica ed eversiva”. L’applicazione
del regime dura 4 anni e può essere prorogata se ne sussistono ancora i
presupposti (in particolare quello “soggettivo” della la capacità di
mantenere collegamenti con l’associazione criminale, terroristica o
eversiva di appartenenza).
Spiegone su Cospito. Alfredo Cospito, cinquantacinque anni, è in
sciopero della fame da circa 100 giorni proprio per protestare contro
il regime di 'carcere duro' al quale è sottoposto. Cosa ha fatto?
Detenuto da oltre 10 anni, nel 2014 è stato condannato a 10 anni e 8
mesi per aver gambizzato nel 2012 l'amministratore delegato di Ansaldo
Nucleare Roberto Adinolfi, atto rivendicato dalla sigla Nucleo Olga
Fai-Fri, Federazione anarchica informale-Fronte rivoluzionario
internazionale. Cospito è accusato anche di aver piazzato due ordigni a
basso potenziale vicino alla Scuola allievi carabinieri di Fossano
(Cuneo), nella notte tra il 2 e il 3 giugno del 2006.
Era noto all’universo che il Cospito stava mettendo in atto uno
sciopero della fame non tanto per farsi cambiare disposizione personale
ma per fare abolire -a livello nazionale- proprio la carcerazione sotto
le condizioni del 41bis. La quale condizione prevede – qui sta
l’intelligenza sopraffina della ministra Cartabia e dell’enorme staff
pro-ministeriale che c’è nel palazzone- “due ore al giorno di socialità
in gruppi composti da massimo quattro persone”. L’innesco accanto al
pacco di tritolo.
In Italia ci sarebbero attualmente circa 750 persone sottoposte a
questo regime carcerario e tra i detenuti sottoposti al regime del 41
bis ce ne sono molti condannati per reati non legati al crimine
organizzato o perfino in attesa del giudizio definitivo (sarebbero
circa 1/3 del totale). Cospito è uno di questi condannati per reati non
legati al crimine organizzato.
Nessuna meraviglia quindi che Cospito abbia o sia stato in contatto con
almeno tre “colleghi” come il camorrista Francesco Di Maio Cospito cui
ha ribadito «non deve essere una lotta solo per me», ricevendo l’invito
a insistere: «Questa miccia non deve esser spenta, noi ti siamo
solidali». Poi anche lo ’ndranghetista Presta. A quest’ultimo che lo
incitava a «mantenere sempre l’andamento, altrimenti poi si
dimenticano, bisogna sempre attirare l’attenzione, non è più come negli
anni Ottanta», l’anarchico avrebbe risposto: «Sì, ma ormai un colpo di
Stato non serve neanche più, neppure con il fascismo si otterrebbe
qualcosa, bisogna proprio cambiare la società». Poi anche - a Sassari-
Pietro Rampulla, condannato per la strage mafiosa di Capaci del 1992 ma
in precedenza aderente al movimento neofascista Ordine nuovo diceva che
la «lotta contro il 41 bis e contro l’ergastolo ostativo che non deve
essere solo per me, noi 41 bis siamo tutti uguali». Affermazioni che
Cospito aveva detto e scritto pubblicamente fin dall’inizio della sua
protesta.
La vicenda di Cospito e del caos culturale politico procedurale
moralista e del fanigottismo che vige dentro il Ministero e nella testa
di certi Ministri fa esattamente il pari con un altro problema: il fine
vita. Nel Ministero ma anche nel Parlamento.
In Italia, la Costituzione riconosce che nessuno può essere obbligato
ad alcun trattamento sanitario contro la propria volontà e prevede
altresì che la libertà personale è inviolabile. Con sentenza 242/2019
la Corte costituzionale, grazie alla disobbedienza civile di Marco
Cappato per l’aiuto fornito a Fabiano Antoniani, ha riconosciuto anche
il diritto al suicidio medicalmente assistito per le persone che ne
formulino richiesta in piena lucidità, con patologia irreversibile,
insopportabili sofferenze fisiche o psichiche e tenuta in vita da
trattamenti di sostegno vitale.
Però manca ancora una legge che preveda la possibilità di aiuto medico
alla morte volontaria per le persone che non dipendono da trattamenti
di sostegno vitale.
Insomma la politica non ha il coraggio di assumersi l’onere di
scegliere e di decidere anche perché ci sono alcuni “delitti e colpe”
che se vengono commessi in danno di certe istituzioni non te la
perdonano proprio. Quei due ordigni a basso potenziale piazzati da
Cospito vicino alla Scuola allievi carabinieri di Fossano (Cuneo),
nella notte tra il 2 e il 3 giugno del 2006 segnano la sua inevitabile
fine (fisica).
Gian Carlo Caselli sostiene che bisogna trovare una risposta praticabile. Ma quale?
Si potrebbe partire confrontandosi sulla tesi se fuori del perimetro
specifico della criminalità mafiosa il 41 bis non sia così
indispensabile come lo è per i boss irriducibili. Se la tesi fosse
condivisa si dovrebbe tradurla in un congruo aggiornamento della
disciplina normativa sia dei circuiti carcerari di sicurezza sia della
tipologia dei detenuti di ciascun circuito, riservando appunto ai
mafiosi il regime di maggior rigore del 41 bis (blindandolo contro le
ricorrenti tentazioni di rimuoverlo). In un simile contesto,
l’eventuale revoca del 41 bis a Cospito non suonerebbe come
provvedimento ad personam, ma piuttosto come rientrante in un disegno
più ampio di carattere generale.
Ovviamente, una soluzione del genere (o ispirata ad altro tipo di
mediazione senza cedimenti) postula un minimo di concordia in
Parlamento. Dove invece sembra regnare — almeno in alcuni — la
propensione a utilizzare (anche quando si tratta di atti «sensibili»
riservati) quel che sembra più conveniente alla propria fazione. Il
famoso «bene comune»!
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INGEGNERIA DI UNIBG ANDRA' ALLA REGGIANI?
Anche per l’Università di Bergamo sta arrivando il momento di diventare
“grande”. Grande come lo intendevano i nostri vecchi per i giovani al
loro fianco. Il neo rettore Sergio Cavalieri si è orientato per creare
nell’ex stabilimento della Reggiani il campus universitario di
ingegneria. Su un’area di 110mila metri quadrati ed un investimento
previsto di 80 milioni. La notizia ha gettato nel panico l’enorme massa
di colletti bianchi, bottegai, immobiliari per non contare le
migliaia di privati cittadini affittacamere (in nero?) agli studenti
che hanno sempre usato l’università come una vacca da mungere senza mai
pagarle il fieno. Una sorta di diritto naturale allo sfruttamento del
bene pubblico in danno di studenti (e insegnanti). Coadiuvati in questo
dalla voglia dei vari rettori di fare crescere la dimensione
dell’UniBG.
La notizia ha gettato nel panico anche la classe politica di ogni
colore, in primis quell’area di ex democristiani e cattocomunisti che
hanno SEMPRE visto l’università “sparsa sul territorio” come il primo
strumento per tenere sotto controllo qualsiasi “pericoloso” movimento
studentesco. L’idea democristiana -proprio attorno agli anni del ’68-
di disperdere le università una per ogni provincia è stata subito
sposata dalla sinistra in nome dell’accesso a quella scuola delle
classi popolari.
La classe politica indigena ha anche visto nell’arrivo di una
università cittadina l’occasione per sbolognarle tutta una serie di
fabbricati lasciati rottamare dalla politica di cui non sapeva nemmeno
che farsene. Vedi UniBG che ha risolto decine di “problemi immobiliari”
pubblici e privati.
L’attuale dispersione di UniBG in undici sedi differenti è un assurdo
che solo delle mentalità leggermente arretrate poteva immaginare. Senza
contare la montagna di denari spesi per rimettere in sesto quei
fabbricati in buona parte collabenti o abbandonati.
Ovviamente anche questa ipocrisia era venduta per il bene comune: che
farne altrimenti di Sant’Agostino senza un’idea? Che farsene del
capannone di via Caniana?. Che farsene dei fabbricati di via F.lli
Calvi? Ecc. ecc..
Questa dispersione in undici sedi “distribuisce” la potenziale utenza
degli studenti affittuari di camere su tutto il territorio
soddisfacendo in questo modo un’ampia rete elettorale.
L’università come motore per fare soldi ai privati piuttosto che dare
una forte valenza culturale. Perché se cresci in fretta, non cresce
altrettanto in fretta la qualità dell’insegnamento.
Questo ex stabilimento Reggiani -realizzato su progetto di Bergonzo
Alziro (Alziro Bergonzo è l'autore di progetti come la sistemazione di
piazza della Libertà e della ex Casa Littoria che vi sorge) ed Eynard
Giancarlo tra il 1950 -1966 è abbandonato nel 2008. L’area su cui sorge
è di 110mila mq e poggia sul tratto NE della circonvallazione
cittadina. Ad ovest c’è la villa Grismondi Finardi mentre ad est
-di la della circonvallazione – c’è una grande brutta e disordinata
area -chiamiamola commercial industriale- nella quale si sperimentano
destinazioni diverse che però si concludono quasi tutte in fretta.
Pensiamo che il progetto di pensare all’UniBg come un insieme di
campus -probabilmente solo due: umanista e tecnico- sia da accogliere
positivamente anche se le aree più logiche erano quelle del c.d. Parco
Ovest che stanno a cavallo della ferrovia e dell’asse interurbano.
Il difetto principale di UniBg come di tutte le università provinciali
sta nel fatto che uno va al nido coi suoi compagni. Poi passa alla
scuola materna con gli stessi compagni. Alla fine della sua storia
scolastica anche se arriva all’UniBg… è sempre accompagnato in massa
dai… suoi compagni. Si risponde a questa tesi che esiste Erasmus
e che adesso i giovani viaggiano low cost con occasioni e
frequenze inimmaginabili nel ’68.
Ovvio che per una società con radici contadine e cattoliche molto
profonde è inimmaginabile la creazione di “un’altra comunità” che non
abbia la parrocchia la famiglia il cortile come “focolare” della
società.
Però io ricordo “l’impressione” che ebbi quando al primo anno di
università -1966- conobbi dei ragazzi egiziani ed israeliani. Che non è
la stesa cosa conoscerli sulla spiaggia oppure in un bar di Barcellona.
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