COVID19: SE NE SONO ACCORTI CHE NON E' UN RAFFREDDORE
La gggente oggi pensa che ci sia la medicina che guarisce tutto. Questa
diseducazione è stata inculcata dalle aziende farmaceutiche le quali
hanno bisogno di vendere medicinali (in gran parte inutili) ragione per
cui il cittadino medio è normalmente in sovrappeso e questo già indica
che si sta avviando verso una pessima vecchiaia.
La cosa che disturba maggiormente il popolo bove rispetto al covid19 e
la sua sequela di varianti è che questi stronzi di scienziati non hanno
ancora inventato la “medicina” risolutiva. In realtà ci sono malattie
che ci colpiscono dalla notte dei tempi e permangono pericolose
nonostante ci siano medicinali in grado di contenerle se non di
guarirle. Fino alla prossima volta.
Oggi Antonio Scurati sul Corriere si interroga: E se non dovesse mai
finire? Abbiamo a lungo evitato di dare voce a questa nostra paura
impronunciabile. Ammoniti a non farlo da un senso di responsabilità
misto a scaramantiche proibizioni, abbiamo taciuto. Forse, però, è
giunto il momento di confessare: non è forse vero che, mentre entra il
terzo inverno di pandemia, si fa strada in noi il pensiero di un
inverno senza fine? Credo che, giunti a questo punto, sia non soltanto
lecito ma perfino doveroso trovare il coraggio di pronunciare
apertamente il terribile interrogativo: e se non dovesse mai finire?.
Non c'era bisogno di Scurati perché gli Italiani si pongano questa
domanda. Perlomeno quelli più attenti. È utile farlo perché è
necessario attrezzarci con modelli di pensiero che contemplino
l'ipotesi peggiore, quella di un'emergenza sanitaria globale che,
attraversata una soglia critica, diventi cronica. Prosegue: forse
faremmo bene ad attrezzarci per un lungo viaggio, un viaggio attraverso
una terra che non conosca più l'alternarsi d'inverno e primavera ma
soltanto un autunno perenne. Un viaggio con destinazione sconosciuta.
Se si trova il coraggio di tenere lo sguardo fisso sull'abisso, si
scopre che ci siamo già accostumati a un'emergenza permanente, quella
ambientale. Da anni, da decenni, viviamo tutti in un mondo le cui
condizioni climatiche vanno peggiorando in maniera progressiva,
costante e probabilmente definitiva.
Già, Scurati prende la soluzione semplice: Sia la pandemia sia il
cambiamento climatico sono scorie tossiche della globalizzazione. La
prima conseguenza dell'abbandono del modello dei cicli di morte e
rinascita per quello della cronicità comporta il riconoscimento della
inadeguatezza della politica convenzionale a risolvere con mezzi
collettivi i problemi collettivi generati dalla ipercomplessità della
vita tardo moderna.
Scurati ci pare dimentichi che noi viviamo 80 anni circa (se siamo
fortunati), mentre il mondo sopravvive da milioni di anni che non sono
stati tutti uguali. Non scorderò mai il mio spavento quando leggendo la
storia dell'Abbazia benedettina di Vallalta lessi che nel corso di un
secolo (1300-1400) quelle popolazioni dovettero sopportare per
ben tre volte una pioggia di fuoco che distrusse quasi tutto e
determinò quasi lo spopolamento della valle per il fuoco e la fame
successiva. E nella storia dell'abbazia c'è scritto che non furono
incendi causati dall'uomo o dalle folgori, ma che davvero piovve fuoco
dal cielo. Non si può certo immaginare che in quei secoli ci fosse una
qualche emergenza ambientale creata dalla fame di benessere di quelle
(pochissime) popolazioni.
E proviamo a immaginare cosa pensavano gli italiani quando il
paese -entrato in guerra il 24 maggio 1915 oppure il 10 giugno 1940-
dopo due tre quattro anni non vedevano ancora la fine.
Vero che l'attuale pandemia ha creato più vittime delle due guerre ma è
anche vero che questa falce è passata soprattutto nella popolazione che
s'era ridotta nelle condizioni peggiori per via di un benessere male
interpretato. E' stata in primis una pulizia etnica di una popolazione
che aveva gozzovigliato nel mezzo secolo di benessere garantito dalla
Repubblica Italiana. Che è poi la stessa situazione negli altri paesi
ricchi e poveri. Di covid19 non muori perché sei anziano ma muori
perché sei troppo acciaccato. Muori perché non adotti un sistema
di protezione tutto sommato banale.
Quando in Vallata pioveva fuoco forse quelle popolazioni levavano lo
sguardo al (dio?) cielo mentre oggi siamo in mano ad un potere che
terrorizza il paese piuttosto che guidarlo. A raffica ogni giorno
decine di politici scienziati dottori bucano lo schermo annunciando
ogni sorta di dolore senza fine. Magari ricordarsi che noi viviamo solo
80 anni e il mondo da milioni?.
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E SE I GAZZI DI SCUOLA UNA VOLTA ALLA SETTIMANA CLASSE DOPO CLASSE SI FACESSERO DA MANGIARE DA SOLI E PULISSERO LA MENSA?
Quando io e mia sorella facemmo visita la prima volta nel paese bello
da vivere - era il giorno di san Martino del 1953- nostro padre
si presentò nella scuola elementare di Largo Vittoria per iscriverci
alle elementari. In prima chi scrive e in terza mia sorella. Fummo
accolti dal maestro-sindaco Richelmi il quale mostrandoci le classi ci
disse che non potevamo essere accolti visto che superavano già tutte i
25 alunni e non c'era nemmeno fisicamente posto per aggiungere un
banco. La soluzione venne trovata. Non c'era posto nemmeno alla Roncola
di Treviolo e quelle di Ponte san Pietro erano troppo lontane. Il
Comune ci avrebbe regalato i nuovi libri di testo –erano solo due a
testa al tempo- e siccome avremmo dovuto frequentare le scuole private
cattoliche della Suore Orsoline alla Merena, la nostra famiglia avrebbe
venduto il latte ai poveri del paese che era l'aiuto che il Comune dava
a questi. Il ricavato della vendita del latte, pagato dal Comune,
sarebbe servito a compensare la retta di frequenza della scuola privata.
La scuola delle Orsoline iniziava alle 8 e terminava alle 4 del
pomeriggio e c'era la mensa. Le suore erano abilissime a farci perdere
tempo. Tutti gli alunni arrivavano a scuola col sacchettino di cotone
con la provvista alimentare e le suore davano un piatto di minestrone o
di pasta. Nel pentolone della minestra le suore facevano cuocere anche
le uova e c'era il patto che ogni mese veniva addebitato a ciascuno la
consumazione di un uovo sodo perché… era pacifico che qualcuno si
rompesse durante la cottura e quindi andasse a beneficio di tutti.
Il bello e il buono doveva ancora venire.
A turno i ragazzi e le bambine delle varie classi -una volta
terminato il pranzo- dovevano pulire i tavoli, il refettorio, lavare i
pentoloni, asciugare le scodelle e le posate e riporle in ordine.
Sotto l'occhio clinico di qualche suora caratterialmente mal sagomata
pronta a mollare ceffoni se non si facevano le cose per bene.
Penso che anche le scuole (elementari e medie) di adesso, visto che
hanno tutte la mensa interna, dovrebbero organizzarsi perché a turno
gli allievi –sotto la guida di qualcuno addetto- venissero impiegati
una giornata alla settimana a preparare la pasta asciutta o la minestra
e poi a rimettere in ordine la cucina e il refettorio. Qualcosa del
genere lo si potrebbe fare anche con l'ultima classe che utilizza
la palestra e i suoi spogliatoi.
Insomma maschi e femmine tutti insieme pareggiati nel fare lo stesso
lavoro “in scuola propria”. Penso sia stata una positiva azione
educativa che insegnava anche a non mettere la mani addosso alle
proprie compagne
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LA MALA AVVENTURA DELLA FIBRA: TROPPEE AZIENDO E SPRECO DI RISORSE
Il futuro della nuova rete internet in fibra ottica ha il suo snodo centrale nei Palazzi europei.
Giovedì 11 novembre gli uffici della Concorrenza europea hanno ammesso
la "salita" di Cdp dal 50 al 60 per cento in Open Fiber (FiberCop è
un’azienda partecipata da TIM (58%), Fastweb (4,5%) e il fondo
statunitense KKR (37,5%) con lo scopo di realizzare reti FTTH in 2578
comuni italiani entro metà 2026, corrispondenti a circa l'80% delle
unità immobiliari “tecniche” delle aree nere e grigie.) e per
l'acquisizione del restante 40 per cento da parte del fondo
austrialiano Macquarie, che subentra a Enel. Nel dossier presentato
agli uffici di Bruxelles per avere il via libera all'operazione erano
illustrati anche alcuni specifici patti tra i due azionisti. E tra
questi ce ne era uno in cui Macquarie si impegnava a valutare
positivamente una eventuale operazione riguardante la rete unica.
Quindi a sostenerla e a finanziarla.
La Commissione su quel punto è stata netta: o eliminate quel "patto" o non diamo il nostro ok.
Domenica 21 novembre il fondo americano KKR ha lanciato un’opa
favorevole per l’acquisto di TIM. KKR ha messo sul piatto la bellezza
di 11 miliardi e si da per certo che la cifra potrà salire ancora.
Tim è più importante e indebitata (29,1 milioni di debiti) delle altre
società delle telecomunicazioni attive in Italia perché è l’ex
monopolista del settore ed è dotato di una rete di cavi per Internet e
di ripetitori (per i cellulari) più estesa e completa. Al momento, Tim
ha posato 20 milioni e 401 mila chilometri di fibra ottica nel Paese.
FiberCop – la società di Tim, Fastweb e del fondo Kkr - ha già
realizzato 3,5 milioni di chilometri di fibra di ultima generazione.
Tim avrà un ruolo chiave nel completamento della rete in fibra ottica
dell’Italia, finanziato anche dal piano europeo di rilancio Pnrr.
Inoltre, Tim è parte della cordata favorita per la realizzazione del
cloud della Pubblica amministrazione (corre con Leonardo, Cdp Equity e
Sogei). In prima linea nelle comunicazioni 5G, Tim ha anche consolidato
l’assetto "quadruple play” tipico di tutte le società di punta del
settore delle telecomunicazioni. Una società quadruple play ha quattro
gambe quando può offrire la telefonia fissa, quella mobile, la
connessione a Internet e, infine, contenuti televisivi che i clienti
possono vedere ovunque e con qualsiasi dispositivo (dalla tv allo
smartphone).
Correva l’anno 1999 quando arrivò l’offerta pubblica d’acquisto e
scambio promossa da Olivetti , gruppo guidato da Roberto Colaninno ed
Emilio Gnutti. Colaninno è un capitano coraggioso all’italiana. Ci
mette 30 miliardi di euro, raccolti attraverso la vendita di Omnitel e
Infostrada alla tedesca Mannesmann (che diventerà Vodafone). Gli altri
due terzi del corrispettivo per conquistare Telecom vengono da prestiti
bancari. L’imprenditore mantovano scarica su Telecom il debito
accumulato da Tecnost, il veicolo utilizzato per la scalata, tipica
operazione da private equity. Il controllo della società di tlc è in
capo a Bell, veicolo lussemburghese. Con una perfetta concatenazione di
scatole cinesi, Colaninno riesce a mette le mani su un gruppo che
fattura oltre 27 miliardi e ne ha appena 8 di debito. Olivetti fattura
1,3 miliardi e ha un debito di 16 miliardi, che Colaninno scarica sulla
controllata. Il delitto finanziario perfetto.
Oltre vent'anni dalla madre di tutte le offerte pubbliche, il debito è
ancora tutto lì, nonostante il gruppo abbia dovuto rinunciare a pezzi
pregiati per ripagarlo. Ci hanno perso tutti, il Paese in primis, ma
anche la lunga schiera di azionisti che si sono avvicendati dopo Gnutti
e Colaninno. Tutti gli altri soci, stiamo parlando di famiglie di
imprenditori italiani come i Fossati, i Benetton, Tronchetti Provera e
la Pirelli, di istituzioni quali Mediobanca e Generali, di investitori
esteri come la spagnola Telefónica, la francese Vivendi e il fondo
americano Elliott, tutti hanno accusato, o a oggi accuserebbero,
importanti minusvalenze. Hanno perso soldi i soci, ha perso
competitività l'azienda, i dipendenti sono crollati dai 122 mila del
'99 ai 58 mila attuali, di cui 48 mila in Italia.
Fatto questo quadro (incompleto: il lettore ne troverà altri ampi
stralci in rete) a nostro avviso il settore della telefonia è uno dei
classici esempi del peggio del capitalismo per di più in un Paese (e
nell’UE…) privo di una qualche politica economica nei settori
strategici. Passare da una rete telefonica totalmente in rame
detenuta da una sola azienda (che trasmetteva solo chiacchiere) ad una
rete in fibra ottica e al 5G immaginando che vi possano essere decine
di players che raccolgono denaro sul mercato ed investono per
stendere cavi facendosi concorrenza tra di loro è stata una follia.
Contrariamente a quanto asserisce l’ufficio della concorrenza UE
anziché favorire la creazione di centinaia di aziende che investivano
per stendere cavi valeva la pena di concentrare in un’unica società
pubblica questa incombenza così che si sarebbero risparmiati
indebitamenti che presto o tardi verranno a gala. In questo modo si
sarebbe cablato il Paese con maggiore celerità e minore spesa salvo che
in una fase successiva il suo azionariato poteva essere diluito cedendo
il servizio a tutti gli operatori che ci volevano stare.
Oltretutto s’è visto come in un decennio la tecnologia si è evoluta
moltissimo. Tra le principali differenze tra fibra e 5G è sicuramente
da sottolineare la velocità di connessione: il 5G garantisce una
velocità di connessione fino a 20 Gigabit/s, quasi 20 volte superiore a
quella offerta dalla rete 4G e tre volte maggiore rispetto alla
connessione in fibra ottica. Di contro, la fibra ottica garantisce una
connessione molto più stabile, in quanto meno sensibile agli ostacoli
fisici, tariffe più basse ma una soglia dati disponibili decisamente
superiore.
In parallelo alle questioni tecnologiche e quindi al
costo-remuneratività degli investimenti necessari c’è il problema dei
contenti e del mercato disponibile ad acquistarli dal momento che i
contenuti prima di essere venduti vanno ideati prodotti e poi bisogna
trovare chi li compra per rivenderli in rete.
Quindi marasma totale.
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