|
|
PIÙ CHE AL DESTINO DEGLI AFGANI
GLI EUROPEI DOVREBBERO PENSARE
AL DESTINO DELL’EUROPA VISTO CHI
C’È IN AMERICA CINA E RUSSIA
La soluzione-evoluzione del dramma afgano la vedremo a mezzanotte del 31 agosto verso il primo settembre.
Scorrendo i numerosi articoli sulla vicenda in corso dell’Afgagnistan
si coglie la sorpresa che attanaglia stati capi di governo e
giornalisti sui possibili sviluppi della situazione. Non della sola
evoluzione a breve medio e lungo termine delle vicende interne a
quel disgraziato paese.
Un primo aspetto che sembra tenere banco è la sprovvedutezza
dell’amministrazione Biden nell’organizzare la partenza delle truppe
NATO. Sprovvedutezza evidentemente sfociata nella mezza tragedia visto
che nessuno dei paesi NATO presenti era minimamente organizzato per
quel “sloggiate e non fatevi più vedere e portatevi appresso i vostri
servi” intimato dai talebani che erano stati sempre ben presenti nel
paese mentre la NATO e gli USA facevano finta di non vederli. Talebani
che erano talmente presenti e bene inseriti nel governo del paese che
si sono messi a sloggiare (e ammazzare se del caso…) uno per uno quelli
che loro considerano a torto o ragione collaborazionisti degli
invasori. Invasori che non sanno portarli via neanche in due mesi
quando avevano firmato per arrangiarsi in un mese.
Scrive oggi Fubini che “Il «complesso militar-industriale» negli USA è
molto più di una lobby. Il Pentagono con 715 miliardi di bilancio
ordinario gestisce una macchina bellica le cui risorse superano quelle
dei dieci Paesi successivi sommate; molto di più è l’indotto economico
di tutte le aziende che gravitano attorno; l’indotto politico creato
dall’abile disseminazione di basi militari e aziende belliche in quasi
tutti i collegi elettorali del Congresso.
La pianificazione del ritiro e dell’evacuazione ha richiesto 36
riunioni del National Security Council da aprile. Questo organismo,
cabina di regìa della strategia militare e di politica estera della
Casa Bianca, è diventato un pachiderma burcratico. Aveva 50 funzionari
ai tempi di Nixon-Kissinger, oggi ne ha sette volte di più. Ma gli
errori di Biden e della sua squadra sono quasi marginali rispetto a
questo dato di fondo: chi doveva pianificare il ritiro era contrario al
ritiro. Con 715 miliardi di budget annuo "ordinario" e 33 livelli di
burocrazie stratificate ai suoi vertici, il Dipartimento della Difesa è
il classico organismo autoreferenziale, che nutre se stesso, seleziona
per cooptazione, premia il conformismo, non ama gli innovatori, odia
ammettere di avere sbagliato. Attorno alla lobby militare ne sono
cresciute altre. Biden viene processato dai colpevoli del disastro
afghano che allignano in tutto l’establishment di politica estera: la
élite globalista — repubblicana e democratica, bushiana e obamiana —
che pratica il "groupthink", il conformismo del pensiero unico
internazionalista.
Insomma per gli USA e la NATO e gli Europei il “mondo” si aspettava che
l’America e i suoi alleati restassero per sempre il perno dello stesso.
A mio avviso avevano pensato ma non detto che in Afganistan ci
sarebbero rimasti per sempre. Troppo grossa l’occasione.
Per adesso nessuno sa come evolverà la situazione mondiale dopo
questo scossone: potrebbe continuare tutto con una “bella guerra
civile” interna all’A. con le varie fazioni alimentate
dalle varie potenze internazionali. In fondo con 38 milioni di
abitanti, una distanza eccessiva dal mare e dalle grandi vie di
comunicazione, un potenziale minerario ancora tutto da scoprire e
valutare… per il grande capitale c’è già di meglio disponibile da
sfruttare adesso al mondo. Domani si vedrà.
L’unica certezza che appare maggiormente consolidata oggi è che “Usa ed
Europa, da soli, non bastano più. La Cina rappresenta per l’Occidente
una sfida sistemica, proponendo un modello autoritario, competitivo e
antagonista alle democrazie liberali. Servono dunque nuove strategie e
alleanze per sostenere il crescente confronto fra “democrazie” e
“autocrazie”. La vittoria dei Talebani sta rendendo concretamente
evidente la formazione in nuce di un ordine mondiale, un
multilateralismo che non risponde all’impostazione del XX secolo. Gli
approdi finali, però, sono indefinibili. Dopo quel che è accaduto, si
può davvero decidere qualcosa su Kabul senza Cina, Pakistan e Russia?
Del resto i primi due sono gli unici Paesi che hanno già riconosciuto
le autorità talebane”.
L’Afghanistan in sostanza ci dice che la Ue resta ancora un gigante
potenziale nel suo deposito di storia, di cultura, di costruzione
giuridica e istituzionale, ma se tutto ciò non riesce a tradursi in
ruolo, peso e azione, l’Unione diventa inevitabilmente un nano
politico, impotente e velleitario, dunque irrilevante.
Scrive Claudio Tito che “il XXI secolo del nuovo mondo probabilmente
inizia davvero oggi. La riunione del G7 non è solo straordinaria nella
convocazione ma è eccezionale rispetto agli effettivi rapporti di
potere che si erano consolidati negli ultimi 75 anni. I “Sette Grandi”
si troveranno dinanzi una situazione senza precedenti. Non solo perché
la crisi afghana è particolarmente complicata, ma perchè i vecchi
strumenti e le armi del passato per risolverla non sono più
utilizzabili. È questa l’eccezionalità del G7: un incontro al buio,
pieno di incognite. Basti pensare che dinanzi ad una crisi come quella
afghana, il G7 in passato avrebbe avuto una voce in capitolo molto
limitata. L’Onu sarebbe stato invocato e - come sta accadendo in queste
ore - la sua risposta sarebbe risultata sterile; quindi sarebbe
intervenuta la Nato. Strada ora impraticabile vista la gigantesca
sconfitta subita dal Patto, il disordine mostrato nelle operazioni di
evacuazione e la confusione nella gestione dei tempi.
La domanda da porsi allora è: cosa può decidere questa riunione? O
meglio: può prendere una decisione? Probabilmente il primo nodo da
sciogliere riguarda la convocazione di un altro summit, ossia il G20
allargato al Pakistan.
E, dopo quello che è accaduto, Bruxelles sarà altrettanto pronta a
sostenere le future iniziative di politica estera degli Stati Uniti?
Inutile negarlo: gli europei sono stati colti alla sprovvista dalla
decisione degli americani di smobilitare così rapidamente, mostrando
un’assoluta incomprensione per la vulnerabilità dello stato afghano.
Diversi alleati avevano espresso perplessità sul ritiro al vertice Nato
di giugno. Le loro rimostranze sono state ignorate e oggi, quanto
accaduto non può non sollevare interrogativi sull’impegno dell'America
a proteggere i suoi alleati, e se “alla base del Patto Atlantico – come
osserva Dave Keating, corrispondente di France24 – ci sia davvero
un’alleanza, o se non si tratti invece di un protettorato militare in
cui solo Washington è chiamata a dare carte”. Considerazioni gravi, ma
tutto sommato secondarie di fronte all’urgenza di trovare soluzioni
rapide al precipitare della situazione afghana. Al centro delle
conversazioni di queste ore, c’è pertanto l’ipotesi di favorire un
dialogo internazionale, il più ampio possibile per giungere a una
posizione comune. La “sede naturale” di questa iniziativa europea che
mira a coinvolgere anche Russia, Cina e Turchia, tra gli altri – ha
detto il presidente del Consiglio italiano Mario Draghi – non potrà che
essere il G20, di cui l’Italia ha quest’anno la presidenza.
Se il mondo si misura coi dollari del PIL non c’è partita tra Europa
USA Cina e Russia. Bisogna che l’UE trovi un'altra misura ed il
coraggio di diventare adulta.
|
|
EROSIONE DELLE SPONDE DEL BREMBO? PROVARE AD ALLARGARE DEL DOPPIO IL LETTO DEL FIUME?
L’erosione sondale dei fiumi è il sogno dei sindaci e delle
imprese edili. Le risate dell’imprenditore acquilano Francesco
Piscicelli, mentre ancora le terra tremava, il 6 aprile 2009, pensando
agli affari della ricostruzione si risentono in sottofondo davanti a
certe notizie. Ovvio che poi in pubblico sindaci e assessori alzino
lamenti sul danno per la popolazione, sui fondi che mancano per
le riparazioni e tutta l’ipocrisia che segue in queste tragedie o
semplici danni. Probabile che i sindaci dei comuni lungo il Brembo tra
Ponte e Brembate (Sotto) siano nati tutti dopo gli anni ’60 e non
abbiano nemmeno mai visto sia il corso del fiume negli anni dal 1945 al
1965 e nemmeno la prima aerofotografia IGM del 1954 che illustra
il corso del fiume Brembo tra la soglia di Ponte san Pietro e quella di
Dalmine e Filago. Per intenderci: la “soglia” è una particolare sezione
del fiume costituita da rocce che resta immodificabile negli anni
indipendentemente dal resto dei fenomeni idraulici e sismici e
dell’uomo.
Nel primo dopoguerra la larghezza del corso del fiume era da 2 a 5
volte quella attuale. La profondità era meno di un quinto. Anche il
tracciato è profondamente mutato: per esempio Curno ha perduto almeno
tre ettari di terreno perché il corso s’è spostato erodendo la
sponda sinistra per demerito del frantoio Benzoni e delle escavazioni
di ghiaia nel territorio di Dalmine a sud della traversa Foresti.
Oggi il Brembo tra la soglia di Ponte san Pietro e il traversino della
Fornace (di Curno) è diventato un canale (quasi) dritto e profondo
soprattutto per demerito di un coltivatore diretto che nei 50 anni
precedenti ha usato le sponde come discarica abusiva riscuotendo le
somme di chi scaricava abusivamente. Tanto le piene poi portavano via
tutto il materiale scaricato e non si vedeva la discarica…
Non bastassero gli interessi privati dei cavatori e degli scaricatori
abusivi si sono messo di mezzo anche Stato e Regione a… costruire
argini.
La crescente necessità di proteggere le aree limitrofe ai corsi
d'acqua, utilizzate per fini agri¬coli o per l'edificazione di nuovi
insediamen¬ti urbani, ha portato alla realizzazione di argi¬ni e difese
spondali che hanno ristretto l'area di divagazione dei corsi d'acqua,
trasforman¬doli in veri e propri canali.
L'effetto di tali interventi si è tradotto in una ridu¬zione dei
percorsi fluviali e dei tempi di percor¬renza e quindi in un aumento
dell'energia e del¬la portata, per l'impossibilità delle acque di
espandersi sulla piana fluviale con effetto di lami¬nazione della piena.
Le conseguenze sono:
• un aumento dei danni alle opere di attraversamento
e alle opere di protezione in alveo, per l'innescarsi di fenomeni
erosivi sulle sponde e sul fondo
• modificazioni nella propagazione delle onde di
piena, con possibile aumento del rischio idraulico in alcuni tratti del
sistema fluviale
• incisione del fondo alveo dei corsi d'acqua e conseguente abbassamento della fal¬da freatica
• modificazione ecosistemi.
Da circa trent’anni pure l’Enel c’ha messo del suo per creare danni dal
momento che la messa in funzione dei sistemi di ripompaggio delle acque
dalle centrali elettriche nelle dighe ha cambiato nuovamente il regime
idraulico del fiume. Specie durante le grandi piogge. Poi
l’urbanizzazione selvaggia –a valle dei territori delle Alpi dove
stanno le grandi dighe- ha fatto si che nei fiumi arrivino enormi
quantità di acqua proveniente dalla fognature, specie durante gli
acquazzoni.
Non bastassero i cavatori-scaricatori anche Stato e Regione ci mettono
mano. Per esempio quando realizzarono le traverse di cemento sotto il
c.d. Palazzo di Ponte san Pietro (tutte distrutte nei successivi dieci
anni con erosione dell’Isolotto) e quando venne prima distrutto il c.d.
“Lago Blu” a monte del viadotto dell’asse interurbano lato Ghiaie e poi
venne creato un traversino che collega i piloni del viadotto. Col
risultato di dirigere la corrente del fiume… contro il Parco Callioni
della Roncola. Pare insomma che chi è preposto a custodire il fiume si
diverta una volta a farlo sbattere a destra, poi a sinistra, in un
gioco di rimpiattino dal quale ci guadagnano solo le imprese che
ricostruiscono gli argini in.. marmo di Zandobbio. Volete mettere la
figata degli argini dello stesso materiale della facciata della
Biblioteca Angelo Mai?
Figuratevi se oggi Comuni e Regione immaginino di raddoppiare la
larghezza del letto del Brembo per dimezzare l’altezza della corrente e
la conseguente capacità erosiva delle acque.
|
|
MANCAVANO SOLO SGARBI E LA SOFIA BRIZIO
Mancavano solo Sgarbi e la Sofia Brizio
La telenovela delle polemiche sulla soluzione pedonale a monte della
Porta san Giacomo si arricchisce niente meno che dell'intervento di
Sgarbi e di Sofia Brizio. Chi sia il primo non c'è bisogno di
illustrarlo mente la Brizio è una disabile cittadina che
attualmente frequenta l'Università di Cardiff ed è nota alle cronache
per le sue lunghissime lettere in ordine alle difficoltà di accesso
alla città da parte dei disabili. Un breve estratto dalla sua ultima
lettera a Bgnews . “Ho frequentato il liceo Sarpi dal 2011 al 2016,
perciò si potrebbe pensare che io conosca Città Alta come le mie
tasche. Non è così: non ho mai camminato con amici lungo le Mura, e di
rado sono rimasta a pranzare vicino a scuola alla fine delle lezioni;
conosco Colle Aperto a malapena perché non ci sono mai potuta arrivare
da sola. (…) Se avessi avuto una passerella a porta San Giacomo quando
ero al liceo, mi sarei goduta le Mura come tutti i miei compagni, senza
dover pensare che forse non valeva la pena rischiare di essere
investita perché camminavo troppo lenta per riuscire a passare sulla
carreggiata”.
Magari la sig.na Brizio l'ho anche incontrata qualche volta in Città
Alta ma tutto il ragionamento e il modo con cui lo espone non mi
trova d'accordo. E non è sul colore della spingarda oppure sulla
passerella di muratura si o no. E' proprio il ragionamento della Brizio
che è sbagliato perché mentre per il superamento del gradino d'ingresso
nel suo condominio la legge prevede che nessun condomino possa mettere
veti, è proprio sulla pretesa dell'amministrazione di risolvere il
problema attorno alla Posta san Giacomo che l'argomentazione della
Brizio non vale al di la della soluzione attuata.
Prima di tutto voglio vedere chi sia il disabile che a bordo di una
carrozzina (adesso sono anche motorizzate) sale o scende via
Sant'Alessandro o via Tre Armi sfruttando la nuova pavimentazione
adottata a monte della porta. E' un percorso NON fattibile sia dal
punto di vista pratico che dal punto di vista della sicurezza. Quindi
la lamentazione contro le due scalette all'uscita dalla porta per
passare sul viale delle Mura sono solo una pretesa.
Il passaggio dalla parte est alla parte ovest del percorso sulle mura
attorno a Porta san Giacomo. Fuori dubbio che sia pericoloso ma lo è
esattamente come quando la Brizio s'aggira per molte strade cittadine:
p.e. via Borfuro o via san Alessandro. Bastava che il Comune ponesse
due dossi prima e dopo la porta – tanto anche i bus debbono rallentare
a pochi km all'ora- e disegnasse una corsia ciclabile per
risolvere il problema. Una giornata di lavoro e mille euro di spesa.
Lo Sgarbi quotidiano.
L'on. Belotti della Lega ha mandato una petizione a Sgarbi perché
faccia sentire la sua autorevole voce “contro” lo stupro che la giunta
Gori avrebbe inflitto a Porta san Giacomo. Sgarbi ha risposto e merita
di essere ascoltato perché ascoltare uno zio matto fa bene all'anima. E
al corpo.
Comunque.
Non abbiamo mai apprezzato il minimalismo villettaro delle soluzioni
adottate dalla giunta Gori per le innumerevoli sistemazioni adottate in
città assieme al suo assessore Brembilla. Ma questo è un parere
personale. Nel caso specifico se avessimo voluto realizzare un
passaggio a valle della strada, noi avremo scelto di lasciare
tutto quel che c'era com'era e poi avremmo adottato il cristallo
creando una struttura portante verticale (di corten o inox poggiata al
muro della strada) e orizzontale di cristallo in maniera da lasciare
vedere la struttura muraria presente, compresa la scaletta che
nascondeva il pisciatoio di 30-40 anni or sono. Capisco che l'idea di
spendere 200mila euro per una soluzione trasparente in cristallo non
appartiene alla giunta Gori (vedasi cementificazione del piazzale
davanti al Quarenghi) ma forse non era uno scandalo, davanti a
Porta san Giacomo spendere 2-300mila euro anziché 100mila
|