ESTATE CURNESE: PER I GRANDI NON C'E' NULLA TRANNE I RAVIOLI DELLA TERSA DE LOI
Per i ragazzini delle scuole ci sono i CRE che sono delle copie esatte
del doposcuola: tanta sedentarietà e poco sport e vita all'aria aperta.
Costa la vita all'aria aperta dicono organizzatori e comune che
cofinanzia l'operazione.
Siamo ormai a metà luglio e il Comune ha dimenticato l'estate per la
popolazione anziana: stiano a casa a guardare la TV e stiano attenti
alla variante delta. In effetti ha appaltato alla
parrocchia le due settimane della festa patronale, se non altro per
finanziarla. Cosa c'entri il Comune col Redentore lo sanno solo
quelli della giunta Gamba e le varie pie donne e piissimi maschi che vi
collaborano. Farebbero meglio a formicare per dare figli alla
patria vista la denatalità ma anche i figli costano: meglio fare i
ravioli che fanno guadagnare la parrocchia e il paradiso. Forse,
se non se lo sono dimenticati come l'anno scorso, ci sarà il concerto
di ferragosto, anche quella trasato (leggasi: smerdato) come fanno
abitualmente l'assessora Bellezza e la sua collega Rota. Una
professoressa che è riuscita come assessora a far perdere un quarto
della popolazione scolastica alla scuola pubblica. Di botto: in un anno.
Il bello è che il Comune è pieno di soldi ottenuti per merito di
quelli che sono schiattati per il covid19 ma non trova uno straccio di
programma per fare uscire gli anziani da casa anziché lasciarli
attaccati alla tivù, al ventilatore, al condizionatore per i più
fortunati.
Dalla prima di luglio alla prima settimana di settembre
occorreva programmare almeno una iniziativa alla settimana per
togliere di casa queste persone che hanno dovuto vivere
prigioniere da diciotto mesi e invece nulla. State a casa
vecchiacci sennò schiattate!.
Cancellato il cinema estivo con grande soddisfazione degli amici
cittadini (cioè della città di Bergamo) della Serra così si sono
eliminati un antipatico concorrente. Cancellati anche i concerti nei
cortili e nei CVI che ormai sono cimiteri. Uno immagina che almeno di
mattina presto ci sia qualche giro su per i colli o lungo il fiume:
niente anche li.
Un paese morto: per fare qualcosa debbono mettersi le gambe in spalla ed arrangiarsi altrove.
Adesso naturalmente scoppia la solita polemica di quelli che avendo
sboronato urbi et orbi per essersi comprati la casa in piazza si
lamentano che pure a mezzanotte ci siano ragazzini che fanno caciara.
Poi ci sarà la polemica contro i ladri che nottetempo rapinano la
pensione alla vecchietta arrampicandosi per la condotta delle acque
piovane fino al decimo piano.
Ah! l’estate curnese.
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AL PROTESTA DEI SINDACI
Nei giorni scorsi è stato firmato l'accordo bonario tra l'ultima
proprietà interpellata dal Comune per la cessione delle aree che
verranno occupate per la costruzione della pista ciclabile lungo il
fiume Brembo. Il Comune corrisponderà ai due proprietari delle aree un
prezzo vile di 11 euro al mq, nascondendosi dietro una valutazione
fatta dall'AdE che è come chiedere all'oste se vende vino buono.
L'operazione pista ciclabile era iniziata da parte del Comune di Curno
nell'autunno 2017 con la richiesta al Demanio di messa a disposizione
di un'area dentro il letto del fiume Brembo (e del torrente
Quisa) di 4200 mq e nel frattempo s'intreccia con l'operazione di
audace spoliazione dei fondi della Fondazione Cariplo per la finta
creazione di un finto “CORRIDOIO ECOLOGICO DI CONNESSIONE TRA ADDA E
BREMBO- Fattibilità degli interventi per la realizzazione della Rete
ecologica territoriale intercomunale (RETI)” che tuttora è composto
solo da…carta (anzi: solo documenti PDF) vale a dire studi affidati a
vari professionisti i quali si sono esercitati ad assemblare
materiale di varia provenienza frutto sempre di studi effettuati anni
prima da altri soggetti. A scuola si dice copiare.
L'operazione messa in atto dal Comune di Curno siccome c'erano di mezzo
due+1 proprietari delle aree interessate alla creazione di un percorso
dall'ex frantoio Benzoni all'Isolotto di Ponte san Pietro si attua in
diversi passi. La prima operazione consiste farsi assegnare un pezzo di
corso del fiume costituito dagli antichi alvei del torrente Quisa che
il Demanio concede alla condizione che il Comune manutenzioni il bosco
esistente e si assuma la responsabilità se qualcuno entrando annega
nella piena del fiume o del torrente. Un'ideona. Naturalmente il Comune
non toccherà neanche un rametto bene attento a non spendere soldi. La
seconda operazione consiste nel fare un accordo col Comune di Ponte per
la creazione di una passerella pedociclabile sul torrente Quisa e
questa operazione è andata in porto visto che era assegnata per
l'attuazione al Comune di… Ponte san Pietro. Per non farsi mancare
niente ne viene progettata una che potrebbe sopportare anche un
Leopard. La passerella adesso c'è, secondo noi troppo bassa rispetto
alle potenziali alluvioni del torrente (l'ultima del 2014) e… mentre
dalla parte di Ponte san Pietro-Isolotto è collegata con una esistente
strada agrosilvo pastorale, dalla parte di Curno finisce nell'ex letto
del torrente Quisa in mezzo al boschetto. Intimità bucolica.
La terza parte dell'operazione consiste nella progettazione da parte
del Comune di Curno di una pista ciclabile che per circa 100 mt
utilizza una strada di servizio dell'A2A per la gestione del vaglio
della fognatura di Curno e per i restanti 8-900 mt di nuovo tracciato.
Il quale nuovo tracciato non arriva fino alla passerella sul Quisa ma
si ferma all'altezza della strada privata che dalla via Brembo entra in
una proprietà privata. Dalla quale poi si può anche passare nel
boschetto detto sopra.
Magari il lettore immagina che il Comune con tutta questa strategia sia
riuscito ad ottenere dei fondi per pagare la sua metà della passerella
e una parte della futura pista ciclabile.
Per adesso il Comune non ha chiesto ne ottenuto un euro uno dalla
provincia regione stato. In compenso si è esercitato nel farsi fare tre
progetti della pista ciclabile che sono sempre lo stesso ripetuto tre
volte dal momento che sono inutilizzabili ed infatti adesso c'è bisogno
di un VERO progetto esecutivo.
Con grande disinvoltura il Comune di Curno ha pagato generosamente dei
progetti inutili (quando anche per legge ne bastava uno solo già
esecutivo) mentre ha lesinato fino alla vergogna nel risarcire i
proprietari delle aree pagando ben 11 euro a metro quadro. Il Comune
s'è dissanguato (per i professionisti, però…). Ovvio che sia
così: chi decide la pratica di fare eseguire quattro progetti è un
professionista delle medesime categorie dei dirigenti che hanno
adottato tale prassi. Come si dice: cane non mangia cane.
Ed infatti alla fine tutto questo generoso sventolio di progetti si
condensa in un articolo della convenzione che recita: a fine lavori
saranno fatte le misure degli ingombri delle opere e liquidate le
spettanze.
Intanto che il Comune faceva svolazzare le carte dei progetti veniva
aggiornato il piano previsionale delle zone alluvionabili ragion per
cui sostanzialmente sia la passerella (costo 250mila euro da dividere
in due comuni) sia la traccia di sentiero dentro gli ex alvei del
torrente Quisa che anche alcuni tratti della nuova pista stanno
dentro aree alluvionabili. Seguendo l'italico stellone … che Dio ce la
mandi buona.
Il bello è che il Coune nel boschetto che orla gli ex letti del Quisa
NON può toccare un sasso: può al massimo raccogliere i rami secchi che
cascano dagli alberi e piantare cartelli.
In tutto questo quadretto c'è sempre un particolare mai spiegato dalla
giunta Gamba: come mai la pista ciclabile non penetra nella proprietà
dell'ex frantoio Cavagna-Regazzoni per collegarsi con la passerella ( e
stare così quasi in sicurezza). Magari questo signore ha qualche
potente santo protettore nella persona di un ex consigliere regionale
leghista indigeno, quello che ha fatto i volantini elettorali per
spostare parecchi voti della Lega sulla candidata fasciofemminista oggi
di FdI contribuendo alla sconfitta del candidato ufficiale
Fi+Lega ( quindi alla vittoria della Gamba?) ?. Lo sa solo Iddio.
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COSI' PARLO' IL RETTORE
Finalmente abbiamo scoperto chi è stato l'ideatore dell'università
diffusa nella città così come s'è venuta articolando dal 1968 in avanti
UniBG: fu il primo rettore Vittore Branca probabilmente indicato alla
carica da uno dei due sindaci del tempo Clauser e Pezzotta.
Non c'è da dimenticare che dal febbraio 1966 al giugno 1968 fu ministro
della PI l'on. Gui padovano ed a seguire Gui fu l'on. Scaglia,
bergamasco doc, dal giugno 68 fino al dicembre dello stesso anno. In
quella (provincia) che allora veniva gentilmente chiamata “la
sacrestia del vaticano” non ci vuole molto a collegare amicizia
provenienza appartenenza e… incarichi rettoriali del Branca.
Purtroppo rispetto alla splendida biografia personale intellettuale
docente di Vittore Branca quella dei suoi successori non paiono
all'altezza. Nel '68 ( intesa come era geologica scolastica) l'idea
tutta e solo democrazia cristiana era quella di affrontare il tema
dell'accesso di massa all'università (di quegli anni la possibilità
anche per i diplomati di scriversi direttamente all'università)
diffondendo l'università nelle cento città d'Italia per smontare l'onda
d'urto del movimento studentesco concentrato nella grandi e maggiori
università metropolitane.
Cercando di cogliere tre frutti con un'idea.
Il primo frutto consisteva nella diluizione dell'impatto mediatico
nazionale dei moti studenteschi. Il secondo frutto consisteva nel
ridurre l'onere dello Stato di dare accoglienza agli studenti fuori
sede. Il terzo frutto era quello di smaltire la gran massa di aspiranti
docenti costretti a fare la fila per il posto (in attesa che
schiattasse il titolare) e che quindi andavano a ingrossare il
movimento studentesco.
Come accade nella burocrazia nazional fascista quella che doveva
diventare una prassi consolidata –la creazione di cento università una
per provincia- si applicava brevi manu anche nel locale ragion
per cui il gran numero di edifici fatiscenti e semiabbandonati di
proprietà pubblica e privata che la forsennata speculazione edilizia di
quegli anni rendeva inappetibili, questi edifici diventavano
automaticamente dei contenitori da riempire con le sedi universitarie.
In questo modo il pubblico riceveva i fondi per il risanamento e
l'adattamento e spesso risolveva anche problemi immobiliari a dei
privati che si disfacevano di qualcosa di non altrimenti sfruttabile.
Dice il rettore Morzenti che “Branca non considerava applicabile il
modello del campus americano alla nostra realtà, non gli piaceva
l'idea di un luogo appartato, di un mondo a parte per gli studenti dove
trovare di tutto, dalla piscina al bar al cinema alla discoteca, oltre
ai luoghi di studio e di lezione, magari fuori dalla città, alla
periferia». E Branca «Sosteneva che nelle nostre città storiche
i muri stessi, le vie, le piazze sono elementi educativi, esprimono
cultura, intelligenza. Sono parte fondamentali della preparazione
degli studenti, quindi elemento fondamentale dell'università”.
Branca non aveva colto la grande differenza tra le città che lui aveva
frequentato come docente universitario rispetto al paesone ch'era
ancora Bergamo nel 1960-70. Non aveva colto che i mille anni della
Scuola Normale Superiore di Pisa, della Crusca, dell'Accademia
d'Italia, dell'Università di Firenze e infine dell'Università di Padova
erano tutti concentrati in quegli spettacolari campus che erano quelle
università, tutt'altro che sparpagliate a caso com'è adesso
UniBG. Tutto quello che lui descrive come componente importante dei
“campus isolati” come lo sport, la residenza, il tempo libero in
quelle città erano venuti DOPO la creazione di quelle università.
A Bergamo la città c'era già ed arrivava una università. Le università
dove lui aveva studiato ed aveva insegnato erano dei veri e propri
campus che avevano caratteri assolutamente opposti a quelli che lui
pensò per la sua ultima creatura universitaria.
Il bellissimo disegno di Luca Nosari nell'articolo di Aresi su Prima
Bergamo dove c'è l'intervista al rettore di UniBG indica chiaramente
come l'università bergamasca sia fatta di tante unità isolate una
dall'altra. Unità che sono sostanzialmente la controfigura delle scuole
superiori che costellano il panorama cittadino e segnano una soluzione
di continuità per molti studenti che trovano all'università gli stessi
compagni delle superiori. Invece il '68 fu un potente omogeneizzatore
di culture uomini donne provenienti da ogni dove italiano e straniero.
Non siamo quindi solo all'università diffusa che riempie spazi
inutilizzati dal pubblico e dal privato ma siamo alla proliferazione di
tanti MINI-campus che non s'annusano neppure l'un l'altro.
Mentre il grande valore formativo –non solo culturale ma CIVILE- delle
università che aveva frequentato e dove aveva insegnato Vittore Branca:
della Scuola Normale Superiore di Pisa, della Crusca, dell'Accademia
d'Italia, dell'Università di Firenze e infine dell'Università di
Padova [ se vi paiono scartini…] era-è ormai accertato ed
accettato universalmente lo sparpagliamento delle sedi applicato
all'UniBG ne ha ridotto il valore e la potenzialità proprio perché
viene a mancare quello che frequentare Padova o Pisa o Firenze nel
1968!) ne era il valore aggiunto. Che cosa ha in comune uno che
frequenterà l'università in via Statuto con quello che frequenta
Dalmine? E che valore aggiunto!.
UniBG –ma forse è solo l'ambizione personale di Morzenti- sta
percorrendo il progetto di ingigantirsi facendo affluire metà della sua
popolazione studentesca da altre provincie italiane attratte dalla
basse tasse e anche dalla maggiore possibilità di trovare lavoro in
Lombardia. Morzenti aspira a diventare per la seconda volta una
università che dopo due suoi mandati abbia 40mila studenti. Tutto
lecito ovviamente. Ma il valore di un campus unico non sta solo nella
concentrazione dei servizi. C'è di più. Molto di più.
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I SINDACI SI LAMENTANO
QUALCUNO LI AVVISI CHE SONO TROPPI E PROCO PREPARATI
Mercoledi 600 sindaci da tutta Italia sono chiamati a Roma dall'ANCI
per protestare contro un ordinamento degli enti locali che li rende
quotidianamente obiettivo determinato di ogni fulmine: da quello dei
singoli cittadini a quelli della magistratura e tutto questo in cambio
di una cronica mancanza di personale per gli uffici e una “paga da
fame” che tocca ai primi cittadini i quali debbono far fronte a proprie
spese anche di un assicurazione per eventuali danni che potrebbero
arrecare nella gestione del comune. Pare che ci sia una sorta di
rinuncia di massa alla candidatura proprio per questi motivi. Vediamo
alcuni dei punti delle lamentele dei sindaci e dei loro assessori.
La lettura delle due pagine del Corriere odierno sul tema è abbastanza
significativo del modo di ragionare da capetto della maggioranza dei
sindaci: la colpa è tutta e sempre delle Regioni Stato Parlamento
Magistratura cittadini dal dente avvelenato e MAI e poi MAI che
ce ne sia anche qualcuna di loro.
Il primo problema italiano dei sindaci è che sono troppi. Non per
una questione di costi ma perché sono troppi i comuni: che dovrebbero
avere almeno una dimensione di almeno 50mila abitanti ed un consiglio
di 40 consiglieri comprensivi della giunta e del sindaco. A seguire
massimo di cinque stazioni appaltanti ogni due milioni di cittadini
specializzate.
Simmetricamente anche il numero dei segretari comunali potrebbe bastare visto che diventano titolari in un solo comune.
Il secondo problema dei sindaci è che in nome della democrazia possono
fare il sindaco anche degli emeriti impreparati. Non scriviamo
ignoranti per carità cristiana. Non sono fuori seminato nell'affermare
che neanche l'1% dei sindaci italiani conosce le leggi urbanistiche, il
codice dei contratti e le regole del bilancio. Se non conosci le leggi
non hai nemmeno i termini di riferimento per l'azione politica e quindi
è ovvio che puoi combinarti guai. Se ti devi affidare sempre e soltanto
a dei funzionari o al segretario comunale è evidente che vai dove
vogliono loro: in primis salvare da grane loro stessi. Soluzione?
Bisogna creare una vera e propria università triennale per la
formazione degli amministratori locali perché l'attuale (mal) costume
di affidarsi a dei candidati c.d. civici è una delle primi ragioni di
crisi politica degli enti locali. Non siamo più nell'Italia del 25
aprile 1945.
Il terzo problema dei sindaci è che non hanno assessori preparati se non a soddisfare le clientele che li hanno eletti.
Il quarto problema dei sindaci sono i funzionari impreparati: ecco
un'altra ragione per diminuire il numero dei comuni e quindi chiedere
maggiore professionalità nei concorsi per l'assunzione.
Penultimo problema dei sindaci italiani sta nel codice dei contratti
fatto apposta per premiare professioni ed attività inutili
sovraccaricando i comuni di burocrazia solo per pagare parcelle.
L'ultimo problema dei sindaci è l'impossibilità di licenziare e di
mettere in cassa integrazione i dipendenti.
Ormai i bilanci dei comuni sono in gran parte nella mani di potenti
idrovore che succhiano risorse a prescindere. Dalla manutenzione
dei beni pubblici, alla rumenta, al piano del diritto allo studio, ai
consumi energetici, ai servizi sociali questi sono ormai servizi
esternalizzati dove non c'è neanche l'ombra della concorrenza e nemmeno
una occhiuta verifica della qualità delle prestazioni.
Ovvio che in questo quadro nazionale quando un Paese deve pagare
il compenso a 7904 sindaci e circa il triplo di assessori in Italia si
applica una riduzione qualunquista delle somme abbinate come compensi:
col bel risultato che è facile incocciare in furbi o in coglionI.
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