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IL VIOLA
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NEL PAESE BELLO DA VIVERE POTREBBE
SORGERE UNA CASA DELLA COMUNITÀ
(SE IL COMUNE NON DORME)
La Mission 6 del PNRR
[https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR_0.pdf ] tratta del
tema della sanità. Nel librone si parte da pagina 223 ma quello che
interessa in questo pezzo parte a pagina 225. Leggete sulla colonna di
sinistra in forma espositiva e critica quel che propone di nostro
interesse.
Comincia a prendere una qualche forma definita quello che dovrà essere
un netto miglioramento della medicina prossima alla popolazione che non
sia fatta solo del dottore in condotta e degli esami da fare a raffica
presso le fabbriche-esamifici. Uno svolazzare di ricette e di visite
alle farmacie.
Curno potrebbe ambire ad ospitare una delle “case della comunità. Il
PNRR prevede un investimento per l’attivazione di 1.288 Case della
Comunità entro la metà del 2026, che potranno utilizzare sia strutture
già esistenti sia nuove. Il costo complessivo dell’investimento è
stimato in 2,00 miliardi di euro. Entro il primo trimestre del 2022 è
prevista la definizione di uno strumento di programmazione negoziata
che vedrà il Ministero della Salute, anche attraverso i suoi Enti
vigilati come autorità responsabile per l’implementazione e il
coinvolgimento delle amministrazioni regionali e di tutti gli altri
enti interessati”.
Tutto questo subordinato a cosa deciderà la Regione Lombardia che in tema ci sente pochissimo.
In Toscana ed in Emilia Romagna esistono e funzionano benissimo
strutture del genere e quindi ci sarebbe solo da “copiare” e fare
meglio, cosa che in Lombardia abbiamo qualche dubbio ne siano capaci.
Le 120 “case della salute” in Emilia Romagna ad ottobre 2020 hanno
creato buone condizioni: “Meno accessi in codice bianco al Pronto
Soccorso e meno ricoveri ospedalieri per le patologie trattabili in
ambulatorio. Più assistenza domiciliare al paziente, sia
infermieristica che medica. Le Case della salute fanno bene ai
cittadini e al sistema sanitario regionale. Dove c’è una Casa della
Salute si riducono del 16,1% gli accessi al Pronto soccorso per cause
che non richiedono un intervento urgente, percentuale che sfiora il
25,7%quando il medico di medicina generale opera al loro interno.
Contemporaneamente, calano (-2,4%) i ricoveri ospedalieri per le
patologie che possono essere curate a livello ambulatoriale, come
diabete, scompenso cardiaco, broncopneumopatia cronica ostruttiva,
polmonite batterica. Anche in questo caso l’effetto è maggiore (-4,5%)
se presente il medico di medicina generale. Non solo, perché nei
territori serviti dalle Case della salute si è intensificata nel tempo
(+9,5%) l’assistenza domiciliare al paziente, sia infermieristica che
medica”.
(...)
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NEL PAESE BELLO DA VIVERE POTREBBE
SORGERE UNA CASA DELLA COMUNITÀ
(SE IL COMUNE NON DORME)
La Mission 6 del PNRR
[https://www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR_0.pdf ] tratta del
tema della sanità. Nel librone si parte da pagina 223 ma quello che
interessa in questo pezzo parte a pagina 225. Leggete sulla colonna di
sinistra in forma espositiva e critica quel che propone di nostro
interesse.
Comincia a prendere una qualche forma definita quello che dovrà essere
un netto miglioramento della medicina prossima alla popolazione che non
sia fatta solo del dottore in condotta e degli esami da fare a raffica
presso le fabbriche-esamifici. Uno svolazzare di ricette e di
visite alle farmacie.
Curno potrebbe ambire ad ospitare una delle “case della comunità. Il
PNRR prevede un investimento per l’attivazione di 1.288 Case della
Comunità entro la metà del 2026, che potranno utilizzare sia strutture
già esistenti sia nuove. Il costo complessivo dell’investimento è
stimato in 2,00 miliardi di euro. Entro il primo trimestre del 2022 è
prevista la definizione di uno strumento di programmazione negoziata
che vedrà il Ministero della Salute, anche attraverso i suoi Enti
vigilati come autorità responsabile per l’implementazione e il
coinvolgimento delle amministrazioni regionali e di tutti gli altri
enti interessati”.
Tutto questo subordinato a cosa deciderà la Regione Lombardia che in tema ci sente pochissimo.
In Toscana ed in Emilia Romagna esistono e funzionano benissimo
strutture del genere e quindi ci sarebbe solo da “copiare” e fare
meglio, cosa che in Lombardia abbiamo qualche dubbio ne siano capaci.
Le 120 “case della salute” in Emilia Romagna ad ottobre 2020 hanno
creato buone condizioni: “Meno accessi in codice bianco al Pronto
Soccorso e meno ricoveri ospedalieri per le patologie trattabili in
ambulatorio. Più assistenza domiciliare al paziente, sia
infermieristica che medica. Le Case della salute fanno bene ai
cittadini e al sistema sanitario regionale. Dove c’è una Casa della
Salute si riducono del 16,1% gli accessi al Pronto soccorso per cause
che non richiedono un intervento urgente, percentuale che sfiora il
25,7%quando il medico di medicina generale opera al loro interno.
Contemporaneamente, calano (-2,4%) i ricoveri ospedalieri per le
patologie che possono essere curate a livello ambulatoriale, come
diabete, scompenso cardiaco, broncopneumopatia cronica ostruttiva,
polmonite batterica. Anche in questo caso l’effetto è maggiore (-4,5%)
se presente il medico di medicina generale. Non solo, perché nei
territori serviti dalle Case della salute si è intensificata nel tempo
(+9,5%) l’assistenza domiciliare al paziente, sia infermieristica che
medica”.
Per noi lombardi sarebbe un sogno ma immaginiamo le resistenze da
parte di chi lucra tantissimo col sistema attuale: in buona sostanza
oggi gli ospedali e medici della mutua procurano lauti affari alle
industrie chimiche diagnostica e intelligenza e all’sterno
(dell’ospedale) si è creata una rete amplissima di coop-onlus che
per conto degli enti locali fanno quel che sarebbe compito primario
della regione e dello Stato. Facile immaginare le resistenze a
smantellare questo sistema di clientelismo e affarismo.
La creazione di una “casa della salute” oppure di una “casa della
comunità” nel paese bello da vivere sembra destinata a insediarsi tra
la palazzina ASL e il cimitero di fronte alla Piazza del Mercato. La
giunta Gamba ciondola da qualche tempo in tale senso ed anche la
“mezza” operazione sul parcheggio nell’ex campo di tamburello fa
prevedere un mega ampliamento della palazzina ex ASL. Resta
sempre “divertente” sapere che la “casa della salute od ella comunità”
abbia in bella vista il… CIMITERO.
La nostra opinione parte da alcune considerazioni:
- In paese esistono almeno 100mila metri cubi di
edilizia residenziale o assimilabile ( tra centro storico, paese degli
anni '50-'60-'70) disabitate o semplicemente poco abitate che
vanno deteriorandosi senza prospettive. Siccome la popolazione italiana
non è destinata a crescere, che ne facciamo? Andiamo avanti con edifici
IPER voluminosi come quelli che stanno sorgendo nel silenzio
dell'ambientalista Conti Serra Gamba e via elencando?
- L'edifico delle c.d. “case popolari” di via S.
Jesus è ormai da rifare da cima a fondo visto che ha mezzo secolo (1975
anno di costruzione). Noi pensiamo che la riconversione di questa
struttura e del vicino “oratorio laico” unitamente alla
ristrutturazione di alcuni cortili in via C.Battesti e L. Gamba
bastino per le funzioni necessarie per la “casa della comunità”.
- Ad ovest della ex palazzina dell'ASL va edificato
il nuovo municipio che contenga le poste, gli studi medici, un
bar, un bancomat: insomma una struttura “sempre aperta” per
almeno 12 ore. E che si perda la cattiva usanza di recintare i vari
servizi come fossero caserme.
- L'ex scuola Rodari va convertita in scuola materna
e l'uso del volume va scambiato con l'edificio della s.Giovanni Bosco
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VOCE INFO
Barbara de Roit
Costanzo Ranci
Il Pnrr compie un miracolo: riporta nell’agenda politica italiana //
tema della non autosufficienza. Ci sono sfide ineludibili da affrontare
per costruire un sistema di livello europeo, che garantisca servizi di
qualità domiciliari e residenziali.
La non autosufficienza nel Pnrr
Il Piano nazionale di ripresa e resilienza annuncia una “riforma volta
alla non autosufficienza [...] [che] affronti in maniera coordinata i
diversi bisogni che scaturiscono dalle conseguenze dell’invecchiamento,
ai fini di un approccio finalizzato ad offrire le migliori condizioni
per mantenere o riguadagnare la massima autonomia possibile in un
contesto il più possibile de-istituzionalizzato” (p. 45).
Il Pnrr compie dunque un miracolo: riporta nell’agenda politica
italiana il tema della non autosufficienza, quasi 25 anni dopo la
proposta della Commissione Onofri (1997). Dopo il pesantissimo tributo
pagato dagli anziani durante la pandemia, va al governo il merito di
avere riaperto il dibattito. Poiché il Pnrr non delinea ancora i tratti
fondamentali della riforma, è utile richiamare le sfide ineludibili per
dare all’Italia un sistema di long-term care di livello europeo.
Residenze: dobbiamo de-istituzionalizzare?
Qualsiasi sistema long-term care di un paese avanzato presenta
un’articolazione complessa di servizi residenziali e domiciliari, oltre
a soluzioni intermedie. Per offerta di servizi residenziali il nostro
paese, si colloca agli ultimi posti (figura 1).
Il Pnrr prevede un aumento dei servizi di assistenza domiciliare,
destinandovi 4 miliardi. È sicuramente un buon punto di partenza.
Tuttavia, le risorse vengono interamente destinate allo sviluppo
dell’Adi (assistenza domiciliare integrata): un servizio gestito dalle
unità sanitarie locali, specializzato in cure infermieristiche e
riabilitative per periodi limitati, che non risponde alle necessità di
una cura quotidiana e continuativa. La scelta di puntare sull’Adi è
contraddittoria, ma comprensibile data la posizione privilegiata di cui
la sanità gode nel nostro paese.
L’assistenza domiciliare fornita dai comuni - che offre cura della
persona, aiuto domestico, sostegno alla mobilità, pasti caldi, e via
dicendo - non è neanche menzionata.
Brillano per la loro assenza anche le badanti, che costituiscono il
reale servizio di “assistenza domiciliare” utilizzato dalle famiglie
italiane. Più di una famiglia ogni tre con un anziano non
autosufficiente impiega una badante. Ma solo il 40 per cento di loro ha
un contratto regolare. È urgente far emergere dal nero queste
lavoratrici, così come sviluppare azioni per la loro qualificazione.
Oggi prevale in Italia una cura informale-di mercato, lasciata al fai
da te delle famiglie, a cui si affiancano, in modo marginale, servizi
professionali. La riforma dovrebbe avere alla base un’idea coerente e
sostenibile di “cura”, in equilibrio tra informale e professionale, tra
prestazioni sociali e sanitarie.
TRUENUMBERS
Pnrr sulla salute, nasceranno le Case della Comunità
2 miliardi su 7 saranno destinati alla realizzazione di 1.288 Case
della Comunità, ovvero strutture sparse sul territorio che fungeranno
da Punto Unico di Accesso (PUA) per i cittadini che qui dovranno avere
una prima valutazione del proprio problema sanitario. Vi saranno i
medici di famiglia, ma anche infermieri e alcuni specialisti per
esempio nell ambito delle malattie croniche e pediatriche. E proprio i
pazienti cronici, sempre di più con il continuo invecchiamento della
popolazione, e i minori sono il principale target di queste strutture.
L’obiettivo è alleggerire le strutture ospedaliere che negli ultimi
anni hanno spesso sostituito la sanità territoriale che dovrebbe
tornare centrale.
Ma l’investimento più importante in questa componente, che assorbirà 4
miliardi, è quello che riguarda l’assistenza domiciliare. Il governo
vorrebbe che questa prendesse in carico il 10% della popolazione over
65. Si parla chiaramente di pazienti cronici e non autosufficienti.
In ogni distretto sanitario ci dovrà essere una Centrale Operativa
Territoriale che dovrà coordinare i servizi domiciliari con con gli
altri servizi sanitari. Nelle Asl poi si realizzerà un sistema
informativo per rilevare in tempo reale i dati clinici. L’informatica
sarà un elemento importante in tale approccio. Non a caso un miliardo
su 4 sarà destinato alla telemedicina, con lo scopo di raggiungere chi
abita in località più lontane e svantaggiate e assistere in modo più
frequente chi non si può muovere da casa.
Oltre alle cure domiciliari e alla Case delle Comunità ad alleggerire
il sistema ospedaliero dovranno contribuire secondo le intenzioni del
governo anche gli Ospedali di Comunità, che si occuperanno delle cure
intermedie. Si tratterà di 381 centri con 20-40 posti letto per degenze
brevi, per esempio per un periodo di transito dall’ospedale principale
al domicilio per chi ha subito un intervento. E in cui la gestione sarà
prevalentemente infermieristica. A questo capitolo questa parte del
Pnrr sulla salute riserva un 1 miliardo.
SOS SANITA’
“Casa della Comunità e presa in carico della persona” con
l’obiettivo di realizzare 1 casa ogni 24.500 abitanti (circa 2.500
Case). Sono denominate “case della comunità”, ma richiamano
evidentemente “Casa della salute”. con l’obiettivo di prendere in
carico 8 milioni circa di pazienti cronici mono-patologici e 5 milioni
circa di pazienti cronici multi-patologici.
………………………………
SANITA’ INFORMAZIONE
1 Potenziamento assistenza sanitaria e rete territoriale
1.1 Case di comunità
Implementazione di strutture assistenziali di prossimità per le
comunità, collocando nello stesso spazio fisico un insieme di
prestazioni sanitarie e socio-sanitarie e sfruttando la contiguità
spaziale dei servizi e degli operatori, consentendo anche percorsi di
prevenzione, diagnosi e cura per ogni persona con un approccio basato
sulle differenze di genere, in tutte le fasi e gli ambienti della vita.
Il Progetto nasce pertanto per potenziare l’integrazione complessiva
dei servizi assistenziali socio-sanitari per la promozione della salute
e la presa in carico globale della comunità e di tutte le persone,
siano esse sane o in presenza di patologie (una o più patologie) e/o
cronicità. Si intende realizzare entro il 2026 1 Casa della Comunità
ogni 24.500 abitanti: si punta a realizzare 2.564 nuove Case della
Comunità con l’obiettivo di prendere in carico 8 milioni circa di
pazienti cronici mono-patologici e 5 milioni circa di pazienti cronici
multi-patologici.
Per realizzare tale integrazione, il progetto prevede la realizzazione
di strutture fisicamente identificabili (“Casa della Comunità”), che si
qualificano quale punto di riferimento di prossimità e punto di
accoglienza e orientamento ai servizi di assistenza primaria di natura
sanitaria, sociosanitaria e sociale per i cittadini, garantendo
interventi interdisciplinari attraverso la contiguità spaziale dei
servizi e l’integrazione delle comunità di professionisti (équipe
multiprofessionali e interdisciplinari) che operano secondo programmi e
percorsi integrati, tra servizi sanitari (territorio-ospedale) e tra
servizi sanitari e sociali.
Promuovere e rafforzare l’assistenza domiciliare, incrementarne la
diffusione e la qualità dell’offerta su tutto il territorio nazionale
attraverso la riorganizzazione della gestione dei servizi di cure
domiciliari integrate e lo sviluppo e implementazione locale di un
modello digitale dell’ADI, che renda fruibile soluzioni e strumenti di
telemedicina e connected care, fondamentali per la presa in carico al
domicilio, il monitoraggio e la diagnosi a distanza dei pazienti.
L’obiettivo è quello di definire a livello nazione indicazioni per
l’erogazione di prestazioni in telemedicina entro il 2022 e di
implementare e mettere a regime un nuovo modello di ADI entro il 2026,
con 575 Centrali di coordinamento attivate, 51.750 medici e altri
professionisti nonché 282.425 pazienti con kit technical package attivo.
Implementazione di presidi sanitari a degenza breve (Ospedali di
comunità) che, interconnesse con il sistema dei servizi sanitari e
sociali, svolgono una funzione “intermedia” tra il domicilio e il
ricovero ospedaliero al fine di sgravare l’ospedale da prestazioni di
bassa complessità che non necessitano di un elevato carico
assistenziale e contribuire in modo sostanziale alla riduzione degli
accessi impropri alle strutture di ricovero e ai pronto soccorso. Il
progetto si traduce nella realizzazione di posti letto in strutture di
ricovero di breve durata (15-20 giorni), secondo uno standard uniforme
150 su tutto il territorio nazionale. L’obiettivo è quello di
realizzare e/o adeguare 1 ospedale di comunità ogni 80.000 abitanti,
quindi 753 ospedali, entro il 2026.
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