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MA CERTE CRAPE LE FANNO SU CON LO STAMPINO?
Non c'é niente da fare: certe maggioranze –la giunta Gori a Bergamo e
la giunta Gamba a Curno- hanno lo stesso DNA. Quello di prendere per il
naso i cittadini facendo passare scelte dei capi (anzi: delle cape al
femminile) come scelte democratiche trasparenti partecipate. In realtà
sono decise dagli alti capi maschi e femmine che siano e poi vengono
abilmente spacciate come scelte della gente alla quale –specie se in
qualche modo minorenne o anche “maggiorenne minorato”- viene abilmente
spacciata la merce dai lanzichenecchi dei capi o cape stessi-stesse.
Una volta nel dialetto bergamasco si diceva: i ga facc bif ol busì.
Traduzione: li hanno allattati ad hoc e quelli l'hanno bevuta.
Non succede solo a Bergamo con gli ultimi due casi con l'intitolazione
del giardino di via Mascagni ed a seguire l'intitolazione della
biblioteca di quartiere di Colognola a Regeni che è di questi giorni.
A Curno la giunta Gamba ha deciso motu proprio – non si sono spese
nemmeno con una delibera di consiglio comunale come se una biblioteca
fosse “cosa loro”: cioè delle madamine della maggioranza- di intitolare
la biblioteca a Rita levi Montalcini e l'auditorium a Fabrizio De Andre.
In realtà nel paese bello da vivere “pare che” la coraggiosa proposta
dei nominativi per la doppia intitolazione sia stata anche partorita
dallo striminzito gruppo di lettura –sono tutte donne- che si riunisce
una volta al mese per scambiarsi i rispettivi borbotti sull'ultima
lettura concordata.
Per capire come certe intitolazioni siano perfettamente “filoguidate”
lo si evince dal fatto che –chissà perché- a Longuelo intitolano un
giardino alla Montalcini mentre lo stesso nome va bene per la
biblioteca di Curno.
Un nome come uno straccio: basta tirarlo che va dove si vuole.
(...)
IL GIORNO DELLA MEMORIA A CURNO
Il paese bello da vivere non poteva mancare l'occasione per dare
l'ennesima prova della propria sciatteria (culturale storica e)
materiale. Ci sono pezzi di storia patria e internazionale –i campi di
concentramento non sono stati solo opera dei tedeschi ma purtroppo ci
sono ancora oggi- che vanno maneggiati con cura soprattutto quando se
ne usano i simboli, scambiandoli per giocattoli dei bambini. Tra
l'altro ci risulta che il fratello del nonno dell'assessora alla
cultura subì la disgrazia di passare alcuni anni della sua vita proprio
in uno di quelli. Magari non lo sa nemmeno. E così con l'allegra
spensieratezza dei ragazzini dell'oratorio “abbiamo voluto fare
un'operazione di memoria nella memoria”: ci sono dettagli del periodo
dell'Olocausto che rischiano di cadere nell'oblio. Dei palloncini
colorati, normalmente considerati un simbolo di allegria, sono stati
simbolicamente imprigionati dietro un reticolato che ricorda il filo
spinato dei campi di concentramento; i palloncini hanno gli stessi
colori che venivano assegnati dai nazisti ai prigionieri per dividerli
in categorie: oltre alla stella di Davide gialla per gli ebrei, c'erano
il triangolo marrone per i rom, quello viola per i Testimoni di Geova,
quello nero per gli asociali (un gruppo che comprendeva prostitute,
clochard, malati mentali, alcolisti: scommettiamo che in questa
categoria la Gamba metterebbe pure noi…), quello rosa per gli
omosessuali, il rosso per i prigionieri politici, il blu per gli
emigrati che avevano lasciato la Germania in quanto antinazisti e il
verde per i delinquenti comuni”.
Ed ecco la sciatteria all'atto pratico. Delle prisme per reggere dei
pali con quattro fili come il campo di concentramento. Dei portavasi di
plastica per reggere i palloncini colorati montati sugli stecchi. Sul
fondale un muro lercio per evidenziare l'incuria.
Il palco aveva a fianco una discarica temporanea di rifiuti proprio
nella piazza principale del paese bello da vivere: non si sono nemmeno
curati di portarli via in tempo.
Così dopo che i soli assessori e consiglieri di maggioranza hanno letto
i testi di wikipedia sui colori e liberato il relativo palloncino
l’assessora alla cultura ha letto pochissime righe di Primo Levi.
Forse per salvare il tutto.
Non c'è niente da fare: sono gli esempi usciti dalla scuola
dell'obbligo e del tempo pieno affidato a degli improvvisati. Ci si
meraviglia che un bibitaro diventi ministro degli esteri: eccoli qui i
compagni dei bibitari. Frutti dello stesso albero cresciuto storto.
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PDF: 8,8Mb (!)
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MA CERTE CRAPE LE FANNO SU CON LO STAMPINO?
Non c'é niente da fare: certe maggioranze –la giunta Gori a Bergamo e
la giunta Gamba a Curno- hanno lo stesso DNA. Quello di prendere per il
naso i cittadini facendo passare scelte dei capi (anzi: delle cape al
femminile) come scelte democratiche trasparenti partecipate. In realtà
sono decise dagli alti capi maschi e femmine che siano e poi vengono
abilmente spacciate come scelte della gente alla quale –specie se in
qualche modo minorenne o anche “maggiorenne minorato”- viene abilmente
spacciata la merce dai lanzichenecchi dei capi o cape stessi-stesse.
Una volta nel dialetto bergamasco si diceva: i ga facc bif ol busì.
Traduzione: li hanno allattati ad hoc e quelli l'hanno bevuta.
Non succede solo a Bergamo con gli ultimi due casi con l'intitolazione
del giardino di via Mascagni ed a seguire l'intitolazione
della biblioteca di quartiere di Colognola a Regeni che è di questi
giorni.
A Curno la giunta Gamba ha deciso motu proprio – non si sono spese
nemmeno con una delibera di consiglio comunale come se una biblioteca
fosse “cosa loro”: cioè delle madamine della maggioranza- di intitolare
la biblioteca a Rita levi Montalcini e l'auditorium a Fabrizio De Andre.
In realtà nel paese bello da vivere “pare che” la coraggiosa
proposta dei nominativi per la doppia intitolazione sia stata
anche partorita dallo striminzito gruppo di lettura –sono tutte donne-
che si riunisce una volta al mese per scambiarsi i rispettivi borbotti
sull'ultima lettura concordata.
Per capire come certe intitolazioni siano perfettamente “filoguidate”
lo si evince dal fatto che –chissà perché- a Longuelo intitolano un
giardino alla Montalcini mentre lo stesso nome va bene per la
biblioteca di Curno.
Un nome come uno straccio: basta tirarlo che va dove si vuole.
In queste ore un articolo del Corriere/Bergamo ha messo un po' di
sgaggia alla giunta Gori perché sul bollettino parrocchiale di
Colognola alcuni collaboratori hanno lamentato che
l'intitolazione della biblioteca a Regeni avrebbe carattere diviso il
parroco critica il metodo dell'amministrazione. «Alcune persone del
quartiere — spiega don Francesco — hanno detto che una proposta così
significativa sarebbe dovuta passare attraverso la consultazione della
gente. Era meglio chiedere a chi la biblioteca la vive ogni giorno da
anni. Scoprire questa decisione dalla stampa locale ha lasciato
perplessi».
L'iper cattolico assessore Giacomo Angeloni, spiega di aver informato,
insieme all'assessore alla Cultura Nadia Ghisalberti, l'operatore della
Rete sociale di Colognola il 28 settembre, ben prima che la delibera
prendesse atto della decisione. C'è perfino da scommetterci che sia
vero.
Ormai con certe giunte e certe maggioranze travestite da civiche
col PD maggiore azionista elettorale, la democrazia la partecipazione
l'ascolto la trasparenza sono diventate racole inutili e perditempo:
basta la decisone dei capi e se necessario basta scatenare i poropri
lanzichenecchi a costruire un consenso pro domus propria.
A Bergamo come a Curno la maggioranza “brucia” nomi di valore (
l'aggettivo GRANDE per adesso non lo usiamo: aspettiamo qualche
decennio per decidere definitivamente che la Montalcini i De Andre sono
davvero GRANDI…) salvo poi accorgersi – il caso di Curno- che oltre
alla coppia Montalcini-DeAndre abbiano affiancato Leonardo da Vinci,
Margherita Hack, Pitagora e Marie Curie. Per dei bortolini melius
abundare quam deficere.
Ecco: questo è il risultato della scuola a tempo pieno, dell'università
a due livelli e del proliferare delle università provinciali.
L'immagine del consumismo applicato alla cultura.
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IL GIORNO DELLA MEMORIA A CURNO
Il paese bello da vivere non poteva mancare l'occasione per dare
l'ennesima prova della propria sciatteria (culturale storica e)
materiale. Ci sono pezzi di storia patria e internazionale –i campi di
concentramento non sono stati solo opera dei tedeschi ma purtroppo ci
sono ancora oggi- che vanno maneggiati con cura soprattutto quando se
ne usano i simboli, scambiandoli per giocattoli dei bambini. Tra
l'altro ci risulta che il fratello del nonno dell'assessora alla
cultura subì la disgrazia di passare alcuni anni della sua vita proprio
in uno di quelli. Magari non lo sa nemmeno. E così con l'allegra
spensieratezza dei ragazzini dell'oratorio “abbiamo voluto fare
un'operazione di memoria nella memoria”: ci sono dettagli del periodo
dell'Olocausto che rischiano di cadere nell'oblio. Dei palloncini
colorati, normalmente considerati un simbolo di allegria, sono stati
simbolicamente imprigionati dietro un reticolato che ricorda il filo
spinato dei campi di concentramento; i palloncini hanno gli stessi
colori che venivano assegnati dai nazisti ai prigionieri per dividerli
in categorie: oltre alla stella di Davide gialla per gli ebrei, c'erano
il triangolo marrone per i rom, quello viola per i Testimoni di Geova,
quello nero per gli asociali (un gruppo che comprendeva prostitute,
clochard, malati mentali, alcolisti: scommettiamo che in questa
categoria la Gamba metterebbe pure noi…), quello rosa per gli
omosessuali, il rosso per i prigionieri politici, il blu per gli
emigrati che avevano lasciato la Germania in quanto antinazisti e il
verde per i delinquenti comuni”.
Ed ecco la sciatteria all'atto pratico. Delle prisme per reggere dei
pali con quattro fili come il campo di concentramento. Dei portavasi di
plastica per reggere i palloncini colorati montati sugli stecchi. Sul
fondale un muro lercio per evidenziare l'incuria.
Il palco aveva a fianco una discarica temporanea di rifiuti proprio
nella piazza principale del paese bello da vivere: non si sono nemmeno
curati di portarli via in tempo.
Così dopo che i soli assessori e consiglieri di maggioranza hanno letto
i testi di wikipedia sui colori e liberato il relativo palloncino
l’assessora alla cultura ha letto pochissime righe di Primo Levi.
Forse per salvare il tutto.
Non c'è niente da fare: sono gli esempi usciti dalla scuola
dell'obbligo e del tempo pieno affidato a degli improvvisati. Ci si
meraviglia che un bibitaro diventi ministro degli esteri: eccoli qui i
compagni dei bibitari. Frutti dello stesso albero cresciuto storto.
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