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LA NOTIZIA DEL GIORNO
VIVENDI SI PRENDE LA FIBRA ITALIANA
La vera notizia del quattro settembre 2020 non è quella del cavaliere
infetto di covid19 che dio l'abbia in gloria, ma che la
Corte di giustizia europea ha bocciato la norma della Gasparri che
bloccava l'ascesa dei francesi in Mediaset
Scrivevamo il primo settembre (pagina 1267) alcuni punti fermi sulla vicenda della rete unica:
(1)per adesso hanno creato una nuova società –FiberCop- e quindi hanno moltiplicato le poltrone .
(2) il maggiore azionista privato della Telecom-TIM è la francese Vivendi col 23,94% .
(3) Vivendi possiede anche il 28,80% delle azioni Mediaset.
(4) Oggi 04 settembre la Corte UE ha riconosciuto che Vivendi può fare
valere in sede di assemblea Mediaset il suo 28,80% anziché la
sola parte del 9,98% come impostole dall'AGCOM.
(5) non capisco la ragione per cui il fondo di investimento americano
Kkr ha recapitato a Telecom Italia un'offerta vincolante per rilevare
una quota di minoranza della sua rete secondaria (Fibercop), ovvero
quella in rame e fibra che dall'armadietto in strada entra nelle case
degli italiani. Magari lo si comprende fin troppo bene.
(6) magari non ha importanza ma nel 2018 Fca ha ceduto la Magneti Marelli al fondo Kkr per 6,2 miliardi di euro.
(7) da quel che si vede ci sono centinaia di aziende “locali” che
interrano le proprie linee di fibra ottica salvo poi finire col cappio
telecom nell'ultimo quarto di chilometro.
(8) A fine giugno 2020 il Debito finanziario lordo contabile
rettificato ammontava a € 31.544 milioni. Di cui 20.505 detenuti dal
parco buoi.
(9) la creazione della rete unica renderà inutile i doppioni di rete in fibra e quindi anche li ci sono debiti da scaricare.
(10) anche nella vicenda della rete in fibra le banche hanno dimostrato
di non avere la minima capacità di fare il proprio mestiere con una
visone di lungo periodo, badando solo al profitto trimestrale.
(11) senza contare che nel settore operano anche quelli wifi e il 5G,
ragion per cui a oggi non si sa come si integreranno fibra ottica
1Gb/100Mb con l'WiFi e il 5G. Ovvio che il mercato “non butta via
niente” ma è evidente che in un Paese messo non proprio bene come il
nostro, forse una “accurata” locazione del risparmio non è una faccenda
da scartare.
(12) la tencnologia Fiber to the home che sostituisce il rame (Ftth,
ndr) la usa solo Open Fiber e non Tim. Inoltre, mentre l'ex Telecom
punta alla trasformazione della vecchia infrastruttura in rame in
fibra, Open Fiber parte da zero, direttamente con la fibra, dunque
time-line diverse.
(13) C'è un modello che permetterebbe di assicurare la tenuta del
progetto rete unica, garantendo lo sviluppo e l'avanzamento dello
stesso: é il modello Terna, che ricalca un po' quello della public
company. Dove cioè c'è un controllo relativo della società da parte del
pubblico, ma dinnanzi a un azionariato molto frammentato e per giunta
collocato in Borsa che garantisce una vigilanza da parte del mercato.
Il problema è che i costi ai consumatori di terna appaiono eccessivi
nella bolletta elettrica: non sarebbe il caso si riproponesse anche in
AccessCo (come si chiamerà la futura linea unica).
Il problema per Fininvest, azionista di controllo di Mediaset, è presto
detto: con la sua quota libera di votare integralmente e non più
“sterilizzata” come si era deciso dopo la pronuncia dell'Agcom
affondata ieri dai giudici comunitari, Vivendi torna un socio assai
ingombrante.
Nessuna decisione strategica potrà essere presa senza il suo consenso.
Questo spinge a pensare che Fininvest sarà più orientata di prima a
cercare un accordo con i francesi per una separazione consensuale o una
convivenza civile in Mediaset.
Difficile immaginare che Vivendi abbia il ben minimo interesse ad una
separazione consensuale: ormai sente di avere in mano la rete in fibra
unitaria italiana.
Vivendi è già al tavolo della Rete unica come azionista di maggioranza di Tim ed è secondo socio di Mediaset.
In ambienti di governo si affaccia ora anche il timore che Vivendi
possa tentare, sull'onda della sentenza europea, una vera scalata a
Mediaset. A quel punto il gruppo francese potrebbe trovarsi forte nella
tv italiana e allo stesso tempo, attraverso Tim – di cui la stessa
Vivendi è socio di maggioranza relativa con il 23,9% - avere in mano il
51% della Rete unica a banda ultralarga che proprio in questi giorni
sta nascendo assieme a Open Fiber sotto la regia della Cassa depositi e
prestiti.
L'attenzione più immediata riguarda dunque la rete unica. Nell'intesa
raggiunta nei giorni scorsi è infatti esplicitamente previsto che la
nuova società che gestirà la fibra sarà partecipata da Tim con almeno
il 50 per cento più uno del capitale. Una presenza maggioritaria
compensata da una governance sbilanciata a favore del soggetto
“pubblico” Cdp in relazione alla composizione del Cda, alle nomine di
amministratore delegato e presidente, e alla definizione del piano di
investimenti. Ma quel 50,1 per cento, alla luce di un rinnovato assetto
proprietario di Mediaset, assume agli occhi di esecutivo e maggioranza
giallorossa tutto un altro aspetto. In fibrillazione ci sono in
particolare il Movimento 5Stelle e una parte del Pd.
La sentenza riapre i giochi sul Biscione e potenzialmente può portare a
un terremoto negli assetti delle tlc italiane. «Mediaset valuterà con
interesse ogni nuova opportunita sulle tlc - tuonava ieri una nota da
Cologno - a partire dalla rete unica ». Tuttavia ora spetta al Tar del
Lazio, che si era rivolto alle toghe del Lussemburgo su ricorso del
colosso francese contro l'Agcom, recepire il pronunciamento europeo. Il
modo in cui lo farà sarà cruciale nelle varie partite in corso in
Italia - non solo Mediaset, ma anche la rete unica di Tim e Cdp - e sul
futuro della legge Gasparri, che dovrà essere modificata dal governo.
Probabile che la razza padrona italiana avesse avuto sentore nei giorni
scorsi della sentenza visto che i media italiani da quindici
giorni in qua hanno sempre un articolo sulla futura rete unica, i lupi
sentivano l'odore del sangue e stavano preparati.
L'effetto immediato della sentenza della Corte di giustizia Ue è di
fatto l'abolizione del divieto di incrocio tra media e tlc, stabilito
appunto dal Tusmar (Il decreto legislativo n. 177 del 31 luglio 2005 e
s.m.i. recante "Testo unico dei servizi di media audiovisivi e
radiofonici" (TUSMAR) affida all'Autorità il compito di vigilanza sul
Servizio pubblico generale radiotelevisivo).
C'è poi un altro aspetto importante nel dossier che si sta aprendo nel
governo. La Golden share. Durante il lockdown, infatti, il Consiglio
dei ministri aveva ampliato i confini di attivazione della cosiddetta
“azione d'oro” a favore dell'esecutivo. Uno strumento a disposizione
delle Istituzioni per impedire operazioni straniere ostili in settori
strategici come le telecomunicazioni. In quell'occasione, la coalizione
giallorossa non solo aveva esteso anche alle banche e alle
assicurazioni il campo di intervento della Golden share. Ma aveva
previsto l'applicabilità della norma anche nel caso in cui si trattasse
di un soggetto europeo - e non solo extracomunitario come stabilito in
precedenza - ad acquisire rilevanti pacchetti azionari. Norma, però,
con una scadenza: 31 dicembre 2020. Ossia meno di quattro mesi.
La situazione adesso si complica davvero sotto tutti gli aspetti
e c'è purtroppo da scommettere che nel bel mezzo della complessa e
inestricabile situazione politica ed economica italiana, Vivendi
muoverà sul mercato comprando Mediaset e Tim per rafforzare il proprio
peso.
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I LUCIAEGE DE BERGHEM
Come quelli che vanno ad accendere un cero alla Madonna prima di andare
a donnine e tradire la moglie. Una novantina di piddini bergamaschi,
magari figurine anche importanti quelli che sono stati o sono nella
giunta Gori, hanno scritto una letterina contrita al segretario
nazionale Zingaretti scoprendo subito le carte: “ti scriviamo affinché
la prossima direzione nazionale indichi la strada della libertà di voto
ai nostri iscritti in vista del prossimo referendum costituzionale.
E poi ribadendo la fedeltà al partito col dissenso su alcune mancate
soluzioni: Noi, iscritti ed elettori del Partito Democratico di
Bergamo, riconosciamo e sosteniamo il lavoro che hai svolto in questi
mesi difficili, sia nel rilancio del partito, sia dell'azione del
governo, capace di affrontare la situazione creatasi dalla pandemia e
di rinnovare il ruolo delle istituzioni europee verso una maggior
attenzione e una capacità di intervento nelle politiche sociali e
ambientali. Altrettanto crediamo si debba nel rapporto con l'alleato
incidere maggiormente e con minore subalternità su temi sentiti nella
nostra comunità : immigrazione ruolo nel mediterraneo scuola e lavoro
oltre le logiche necessarie in questo particolare momento di sostegno e
di intervento dello Stato.
Segue l'annuncio serenamente minaccioso: Al tempo stesso, tanti
iscritti ed elettori del Pd stanno decidendo in piena coscienza di
votare No, con argomenti, sentimenti e valori che attengono
all'importanza del ruolo del Parlamento, al timore della cultura
dell'antipolitica di cui si fanno portatori alcuni sostenitori del Si,
alla convinzione della necessità di riforme migliori e complete a
partire dal superamento del bicameralismo paritario che la riduzione
dei deputati renderà pressochè impossibile: i nostri gruppi
parlamentari hanno votato tre volte no e una volta “si alla condizione
che” (non verificatasi). Il nostro No non è figlio ne' di una logica
conservativa ne' di un attacco al governo, bensì della volontà di
essere rappresentati meglio e non meno, e del bisogno di un profilo più
autonomo e riformista per il nostro partito dentro l'attuale
maggioranza.
Ormai i buoi sono scappati dalla stalla e i mille partiti che stanno
dentro il PD si esercitano soprattutto a farli scappare. Zingaretti e
gli iscritti del PD sanno benissimo che ormai la partita della riforma
delle legge elettorale è persa per sempre come sono perse per sempre
sia una nuova legislazione sui migranti e quella della
cittadinanza. Le ultime due sono perse due volte perché la maggioranza
degli elettori piddini non sono poi così contrari al manganello coi
clandestini e la cittadinanza.
Lo abbiamo già scritto.
La questione è che questo governo non rappresenta il Paese non perché
–si legge oggi l'ultima proiezione elettorale- la Lega sarebbe al
24,9%, seguita dal PD al 22,9%, dal 5S al 16,8% e Fdi al 14,8% ma
perché è formato da personale tutto meridionale che non ha alcun
sentore della parte più importante del Paese: quel nord che è stato
falciato alzo zero dalla pandemia.
Lo abbiamo già scritto ma lo ripetiamo. Di seguito la galleria dei
principali soggetti che governano il Paese nell'era infausta del
covid19.
Domenico Arcuri, laurea in economia e commercio, grand commis dello
Stato, classe 1963, calabrese di Melito Porto Salvo, neo commissario
per l'emergenza.
Angelo Borrelli, classe 1964 da Santa Cosma e Damiano di Latina,
commercialista capo del Dipartimento della Protezione Civile.
Guido Bertolaso, classe 1950, da Roma, consulente Regione Lombardia per il covid19 e l'ospedale in Fiera di Milano.
Roberto Speranza, classe 1979, da Potenza, laureato in scienze politiche, ministro della salute.
Roberto Gualtieri, classe 1966, Roma, laurea il lettere e storia, ministro dell'economia e finanze.
Luigi DiMaio, classe 1986, da Avellino, ministro degli Esteri.
Giuseppe Conte, classe 1964, da Volturara Appula, Foggia ,
avvocato, presidente del Consiglio dei ministri della Repubblica
Italiana dal 1º giugno 2018.
Sergio Mattarella, classe 1941, Palermo, avvocato, Presidente della Repubblica.
Alfonso Bonafede classe 1956 da Mazara del Vallo ministro della giustizia.
Luciana Lamorgese classe 1953 da Potenza ministro dell'Interno.
Federico Boccia classe 1968 da Biscegli ministro degli Affari regionali
Giuseppe Provenzano, classe 1982 da Milena (CL) ministro per il Sud e la coesione territoriale
Lorenzo Fieramonti, classe 1977 da Roma, ministro dell'istruzione università ricerca.
Teresa Bellanova, classe 1958 da Ceglie Messapica, ministro delle politiche agricole alimentari.
Non è un elenco esaustivo ma pensiamo che rappresenti il NUCLEO del potere oggi nel governo del Paese.
Il Paese in mano a esclusivamente a gente del sud non va avanti.
L'attuale maggioranza se vuole sopravvivere deve cambiare almeno tre
quarti di questi uomini con personale politico che abbia orecchio
occhio e cuore del nord.
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