A GUARDARE ALLE COLLINE PAGINA 1263 DEL 21 AGOSTO 2020
























































Di cosa parliamo in questa pagina.




















Gioele e Viviana di Caronia
C'è un confine non scritto, non detto, oltre il quale il giornalismo - e l'opinione pubblica in generale - non dovrebbe mai andare. Si chiama: senso del pudore.
Quel confine è stato ufficialmente superato non ieri pomeriggio ma settimane fa, quando è cominciata una depravata caccia alla donna e al suo bambino fatta di dettagli intimi, storie improbabili, testimonianze vendute come verità assolute, guardoni della notizia, voyeurismo spacciato per cronaca, morboso scrutare dal buco della serratura nelle vite degli altri di cui nulla sappiamo ma tutto giudichiamo, la ricomposizione quasi autoptica del corpo di un bimbo d quattro anni, la biografia raffazzonata del dolore, la debolezza e la fragilità altrui sbattuta in prima pagina quasi come distrazione estiva da ombrellone, con cui riempire una cena alla sera con gli amici quando non si parla di Covid.
Tutto già fatto, tutto già detto. Eppure non ci si abitua mai.
Ci sono momenti in cui vorresti prendere la tessera da giornalista e gettarla via, ma poi pensi che no, non è il giornalismo il problema. Il problema è chi di questo giornalismo si è cibato, dai plastici di Bruno Vespa in poi, fino a renderlo alimento imprescindibile nella nostra dieta cerebrale ed emotiva, finché i supermercati dell'informazione non ne hanno avuto gli scaffali pieni. E allora era già tardi.
Non è questione di non dare una notizia o censurarne i particolari più scabrosi.
È una questione di stile, di rispetto, di qualità e di quantità delle informazioni. Di forma, che mai come in questo caso è sostanza.
E la sostanza, oltre una certa soglia di impudicizia e oltraggio, ha la forma del silenzio.
Scusateci.
Lorenzo Tosa


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le immagini sottostanti possono essere abbastanza grandi: pazienza!

































































































































































































































Il discorso di nonno Draghi
Ed a ferragosto arrivò anche nonno Mario (Draghi) a fare le sue raccomandazioni. Non, non pro ocontro le balere aperte o i viaggi e le spiagge intruppati. Il posto scelto é stato di quelli giusti, visti i precedenti storici politici degli organizzatori del consesso. Formigoni avanti tutti col bandierone e la sanità lombarda come modello per schiattare alla svelta. Nonno Draghi ci ha ricordato che un conto è fare debito per andare in ferie (ha dimenticato che le famiglie italiane hanno accresciuto i propri risparmi del durante la pandemia: la liquidità nei portafogli delle famiglie italiane è aumentata di 34,4 miliardi di euro nei tre mesi più neri dell'epidemia (febbraio-aprile) una cifra quasi uguale al valore del Mes per l'Italia di cui oggi tanto si discute)  e pagare le bollette e le accise sulla benzina ed altro conto è investire in sapere salute lavoro. Le tre paroline gliele ha passate Zingaretti con un bigliettino sottobanco.
Non badiamo nemmeno al fatto che sommando l'evasione-elusione annua in Italia al maggior risparmio in tempi di covid19  arriviamo ad un cifra prossima ai due terzi del maggiore indebitamento del Paese per la pandemia. 
Non badiamo nemmeno al mercato dell'auto che è crollata salvo che nel segmento medio alto e altissimo: chissà perché.
Non badiamo nemmeno al fatto che IntesaSanPaolo abbia deciso e ci sia perfino riuscita a comprare BPI: che risulterà la maggiore operazione finanziaria privata in Italia nel 2020.


Tamponi al rientro: cazzi vostri. Anzi: di tutti.
La storia dei tamponi per verificare l'infezione da covid19 la conosciamo tutti: può essere che sei ammalato vero oppure medio oppure debole. Ma può anche essere che stamattina sei sano e ti infetti oggi pomeriggio. Quindi nei primi tre casi “dovresti” ritirarti nella Grotta dei Pagani  passandovi i necessari ed obbligatori 15 giorni di potenziale auto sanificazione dopo di che o ti ammali secondo i tre casi predetti oppure  puoi essere ancora potenzialmente infettante ma non sei malato e quindi puoi andare in giro a infettare chi capita. Non tutti ovviamente saranno così sfigati da subire l'infezione. Insomma è un casino e quindi vuoi che la politica e la sanità non faccia altrettanto?.
Per esempio. Un minimo di logica suggeriva che si contassero per una settimana o quindici giorni prima (o di più) quanti erano partiti e per dove (i biglietti del treno e degli aerei sono legittimamente tracciabili per via di una legge antiterrorismo non abolita) così che la sanità nazionale e quella lombarda in particolare che sta ancora pavoneggiando della sua eccellenza con addosso il fetore dei quasi 36mila defunti adottassero le misure utili e necessarie per individuare gli eventuali infetti che rientravano. Qualora necessario.
Puntualmente è accaduto che a NESSUNO, nemmeno al mitico CTS nazionale, è venuto in mente di tracciare chi fosse uscito dall'Italia o si fosse mosso dentro per mezzo aereo-nave-treno e quindi di predisporre  le tende per il trial di ritorno nelle stazioni e negli aeroporti nazionali.
Tracciare vuol dire una cosa semplice: chi parte ha un biglietto di AR e quindi sai  che quando rientra dovrai fargli il prelievo. Quindi dovrai avere pronte tot strutture in quei certi posti per affrontare tot prelievi. Se poi ne mancano il 10% oppure sovrabbondano del 10% MEGLIO del non trovare nessuno o mandarli a fare il prelievo a casa di dio (nel frattempo mollano tutti…).
Figurarsi se non avendoci pensato il CTS nazionale (immaginate che casino quando si fosse parlato di tracciamento dei partenti sia pure col solo numero dei biglietti?) e quindi il Governo ci hanno pensato le Regioni!?.  Ma dai siamo seri! Dove sono Fontana e Gallera?.
Ed ecco che al momento del ritorno si verifica che i provenienti da molti paesi  debbono fare il tampone (sic) e… in aeroporto stazioni porti non c'è niente di organizzato. Non c'è nemmeno traccia di preparazione.
Proprio niente. Timidamente perfino il Corriere c'é arrivato.
Quindi oggi leggiamo (i giornali parlano della situazione di ieri:ovvio) sul Corriere ”Trolley in mano o zaino in spalla, cinque minuti di sottopasso a piedi e dall'aeroporto di Orio al Serio si sbuca a Oriocenter. Stavolta, non per lo shopping. Con gli ascensori, si raggiunge il secondo piano dove si trova la Smart Clinic del Gruppo San Donato. Da domani pomeriggio apre anche per i tamponi ai vacanzieri in arrivo da Spagna, Grecia, Malta e Croazia. Come negli ospedali, il test è gratuito, a carico del servizio sanitario nazionale. «Non si faranno all'aeroporto per questione di spazi», commenta l'assessore Giulio Gallera La prenotazione è ritenuta preferibile (allo 02.8737510 attivo da oggi). Dalle località di vacanza non sarà complicato portarsi avanti con una chiamata e scaricando l'autocertificazione dal sito di Ats Bergamo.
Fatta la debita pubblicità ad un gruppo della sanità privata nella prima parte dell'articolo ecco la seconda parte dedicata alla sanità pubblica: “Di voli in arrivo a Orio al Serio dai quattro Paesi sulla lista nera ne sono previsti ancora quindici al giorno. Ma anche se questa non è un'estate standard, dopo il Ferragosto partono e quindi rientrano meno persone: la stima è di circa 2.000 viaggiatori giornalieri, in piccola parte bergamaschi.
Quando la direzione di Oriocenter ha letto la notizia che un pezzo del centro diventava l'hub dei prelievi ha dato lo sfratto alla SmartClinic: c'era il rischio che il centro chiudesse nello spazio di pochi minuti.
Negli ospedali si prosegue con le prenotazioni (ecc. ecc.). Dunque, la Fiera. Ieri mattina (il 20.08), l'Ats ha organizzato un sopralluogo con la direzione del Papa Giovanni, cui fa capo il presidio allestito nel pieno dell'emergenza, ora utilizzato per gli ambulatori di follow-up rivolti ai pazienti guariti dal virus. Sfruttando il parcheggio, i tamponi saranno effettuati in auto, attraverso il finestrino. Il servizio, gratuito, sarà a disposizione anche di chi abita fuori regione e rientra con mezzi di trasporto alternativi all'aereo. Non è riservato, cioè, solo a chi sbarca a Orio. Funziona su prenotazione. Al momento del test, è necessario presentarsi con l'autocertificazione da scaricare sul sito dell'Ats e compilare (va inviata anche via email alla stessa Ats). La previsione è di effettuare tra i 120 e i 150 tamponi al giorno dalle 9 alle 12 e dalle 16 alle 19 (gli utenti riceveranno indicazioni sull'orario dal call center). In questi giorni a Orio è previsto l'arrivo di una quindicina di voli dalle quattro nazioni per circa 2 mila passeggeri giornalieri. Hanno 48 ore di tempo per preoccuparsi del tampone
Anche stavolta un discreto ritardo - Corriere dixit- , come del resto vuole la tradizione nella gestione di questa maledetta epidemia da coronavirus. Ma guarda un po', nella provincia più colpita dal coronavirus c'è anche il terzo aeroporto d'Italia a cui pensare, chi l'avrebbe mai detto. Così, a una settimana dall'ordinanza, non è ancora attivo un servizio per i tamponi dedicato a chi sbarca dagli aerei. Si inizierà domani: puntuali, come sempre.Il giorno dopo a frittata fatta.
 Quasi un marchio di fabbrica. La sanità lombarda invece di attrezzarsi per intercettare i potenziali infetti o infettanti appena rimettono piede a terra, “sperano” che  si arrangino e magari che se la svignino nel maggior numero possibile. Dimenticatisi di istallare  il triage  in aeroporto, hanno dimenticato anche quelle nelle stazioni FFSS. Tanto…




Il mio seggio per 600 euro? Vaffa!.
Non ci voleva molta intelligenza conoscendo la kasta: bastava aspettare che passassero i tempi obbligati e poi il petardo sarebbe scoppiato. E' naturalmente una (mezza) bugia quella dello scoop di Repubblica sul terzetto di deputati che si sarebbero pappati il bonus di 600 euro. E dei mille successivi. Sarebbe una mezza bugia perché la notizia era scritta nella legge che distribuiva impunemente  gli euro alle partite iva con la sola mutua professionale ed è una seconda mezza bugia scrivere che la notizia era frutto di una indagine dei giornalisti del quotidiano. Diciamo che ai giornalisti sono arrivati, magari da tre fonti diverse, tre estratti conto speditigli da qualche  anonimo impiegato che aveva fatto una schermata. Magari sono arrivate tutte di tutti o quasi: non è detto.
Non staremo nemmeno  raccontare “come si fa” a mettere il naso in queste faccende e francamente quello che ci ha scandalizzato maggiormente è stato lo stracciarsi le vesti (poche in verità: d'estate siamo mezzo svestiti…) da parte della politica e della stampa e della “gente” di sani principi che una cosa del genere proprio non l'avrebbero fatta.
Nell'audizione parlamentare del presidente grillino dell'INPS questi ha detto che “basandosi sui nostri archivi, si attinge alla presenza o meno di altri fondi previdenziali obbligatori”, ha spiegato Tridico. E così sono emerse alcune anomalie, tra cui quella di “40mila soggetti che risultavano presenti e iscritti a un'altra forma di previdenza“.
 “Per evitare comportamenti fraudolenti l'attenzione si è concentrata sugli amministratori locali”, che hanno “una loro forma di previdenza”. Poi “si è ritenuto che anche i parlamentari meritassero un approfondimento visto che hanno una loro gestione previdenziale interna”, riformata dopo l'abolizione dei vitalizi. A quel punto “sono stati attinti i dati dagli open data del Viminale e di Camera e Senato su amministratori locali e deputati e incrociati con i richiedenti i bonus”. Il problema è che non è chiaro nemmeno all'Inps se la gestione dei parlamentari vada considerata previdenza obbligatoria e sia quindi causa ostativa al versamento del bonus. Tanto è vero che sulle loro posizioni “gli approfondimenti sono in corso ancora oggi per verificare se ci debba essere richiesta di restituzione dell'indebito“. Indebito che per ognuno dei beneficiari ammonta in realtà a 1.200 euro, visto che il bonus per aprile è stato riconosciuto in automatico a chi aveva preso quello di marzo.
I parlamentari si sono accontentati della spiegazione di Tridico perché la legge, bene o male - più male che bene comunque l'hanno approvata loro, che sarebbe pure il loro lavoro. È vero che il livello del drafting, cioè della tecnica di scrittura delle norme, è molto calato; in più la fretta ci ha messo del suo. Ma ormai non c'è legge che non presenti trappole, bachi e sfondoni. Farla troppo lunga era come darsi la zappa sui piedi.
Conclusione della questione. Primo: non c'è una norma chiara che stabilisca se quei denari potevano o meno essere richiesti dalla kasta. Quindi già tutti assolti. Secondo: non ci crede nessuno che siano SOLO quei pochi che sono venuti a galla i nomi dei fruenti a sbafo. Terzo: c'è un legame  neanche troppo oscuro tra un modo di fare politica e giornalismo che dimostra come ormai siamo in mano a gente inaffidabile. Il bello è che gli inaffidabili non sono quella mezza dozzina  i cui nomi sono venuti a galla ma tutti quelli che –politici e partite IVA- che hanno riscosso il benefit  senza “diritto morale” e ciao stai bene.


Te la do io la banda larga. Sul groppone!
La vicenda della banda larga italiana è la dimostrazione del fallimento della liberalizzazione del mercato. Un sacco di soldi  investiti in decine di reti parallele di proprietà (a debito) di decine di imprese mentre  buona parte del paese resta senza…banda.
Tutto il problema nasce dai 33-35 miliardi di debiti che ha Telecom e che sono garantiti sostanzialmente dal valore della rete. Cioè quello che costringerebbero le banche creditrici di Telecom a fare i conti con il reale valore dell'infrastruttura che, sulla carta, garantisce l'onorabilità dei debiti del gruppo di telecomunicazioni. Per esempio a che prezzo sarebbe valutata la rete una volta quotata in Borsa indipendentemente da Tim? A quanto ammonta la potenziale differenza di valore rispetto alla valutazione della rete che le banche creditrici hanno utilizzato per certificare l'affidabilità del loro debitore?.
La fibra ottica in Italia sta crescendo rapidamente nella creazione di infrastrutture FTTH/B, ma il numero degli utenti abbonati rimane fermo al palo. Questo è quanto emerge dal report 2020 Market Panorama di iDate presentato dall'FTTH Council Europe.
La fotografia scattata si riferisce a settembre 2019, momento in cui sono risultate 1,9 milioni di abitazioni in più cablate in un anno. L'Italia si posiziona, di fatto, dietro alla Francia (3,5 milioni), ma davanti alla Spagna (1,5 milioni). Nei 39 Paesi europei, vi sono 172 milioni di case cablate con 19 paesi che contano oltre 2 milioni di abitazioni ultraboardband e un numero di abbonati alla fibra che aumenta del 15%, raggiungendo quota 70,4 milioni.
Un altro dato da prendere come riferimento è quello relativo alle sottoscrizioni. In Francia, ad esempio, vi sono stati 1.923.000 nuovi abbonamenti FTTH/B, mentre in Spagna il dato è relativo a 1.650.820 nuovi abbonati. Anche altri Paesi hanno registrato tassi di crescita elevati, tra cui l'Italia con un +45%. Tuttavia, quest'ultimo non permette di posizionare il nostro Paese nella parte alta della classifica.
La tecnologia FTTH, “Fiber To The Home”, sostituisce completamente il doppino in rame portando la fibra ottica fino alla presa a casa. Questo tipo di tecnologia può offrire velocità nell'ordine dei gigabit secondo, ma con dei costi infrastrutturali importanti, che richiedono il cablaggio orizzontale sulle strade ed il cablaggio verticale negli edifici.
Una soluzione funzionale e sostenibile dal lato economico si chiama FTTCab, “Fiber To The Cabinet”. Viene cablata una fibra ottica dalla centrale fino al cabinet, ma si lascia invece l'impianto in rame esistente che va dall'armadio al cliente. L'intervento tecnico riguarda quindi la sostituzione della rete primaria da rame a fibra ottica, l'inserimento di apparati lato cabinet e l'utilizzo della tecnica VDSL.
Oggi gli investimenti si duplicano dove non servono e non vengono fatti dove servirebbero, mentre la rete unica offrirebbe importanti risparmi e sinergie. Naturalmente nel pensare alla rete unica bisogna considerare che la rete Tim è tra le migliori in Europa oltre che la più estesa in Italia.

La faccenda è che se andate sul sito AGCOM vi rendete conto osservando la mappa del cablaggio dei criteri assurdi con cui è stato eseguito: chissà perché fittissimo nei centri storici che nei nostri paesi sono sostanzialmente disabitati e senza uffici mentre le zone residenziali dove  abitano i consumatori potenziali più propensi a spendere ed usare,  la velocità è assai inferiore. Prendete Curno: c'è una ragione commerciale (o altra?) per cui via Cesare Battisti sia cablata 30-100Mb così pure come L.Colombi mentre Via Repubblica-2Giugno no?. C'è una ragione per cui tutta la Marigolda e metà Lungobrembo siano cablate 30-100Mb (dove insiste una popolazione che per età risulta essere la meno connessa e minore utilizzatrice) mentre via Piemonte no? C'è una ragione per cui Mozzo è tutto ma proprio tutto cablato a 30-100Mb e invece Curno no?. Boh.

Open Fiber che doveva-deve essere la società al 50% CdP ed Enel che andava a cablare le aree del paese con minori potenzialità di vendita di contenuti attraverso la fibra dovrebbe sposarsi in una nuova società con dentro TIM ed anche assieme ad altre aziende come Fastweb ed anche decine di altre  centinaia di piccole aziende posatrici di fibra e fornitrici di accessi ma resta sempre il nodo di cosa-quanto valutare il rame vecchio della rete TIM. Bisogna pure tener conto che OpenFiber ha cinque miliardi di debiti con 13 banche  che finora l'hanno finanziata.
Se si fa una rete unica che fornisce in modo  corretto il transito dei dati da parte di qualsiasi operatore occorre trovare un equilibrio tra quanto valgono le diverse reti portate in matrimonio dalle varie imprese e la faccenda è tutt'altro che semplice visto che le banche –sapendo che sostanzialmente la rete in rame di TIM vale finché questa costringe la concorrenza ad usarne la parte prossima alle abitazioni e poi varrà zero quando alle abitazioni arriva la fibra- è evidente che ne gli azionisti TIM ne le banche vogliono perdere gran parte di quei 33-35 miliardi di debito accumulato da TIM.
Senza contare che dopo la tragedia del covid19 da un lato le banche e le imprese in generale vedranno ribaltarsi sia la struttura del lavoro interno che il modo stesso di lavorare verso l'esterno e siccome queste sono belle e vere parole ma nessuno ha in mano uno straccio di figura del futuro, ovvio che tra i 33 miliardi di debito della TIM e i venti  delle nuove aziende che si sono messe a stendere cavi, c'è di mezzo una botta finanziaria che può abbattere il Paese.