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MA L’ITALIA SARÀ IN GRADO DI INVESTIRE
(PER COSA?)170 MILIARDI IN CINQUE ANNI?
Gli aiuti di Bruxelles all'Italia
Quei conti che non tornano
di Roberto Perotti
Le misure proposte dalla Commissione europea mercoledì hanno una forte
valenza politica, ma la loro portata economica per l'Italia è stata
quasi universalmente male interpretata. Il fatto nuovo è che la
Germania ha accettato il principio di pagare una parte degli aiuti
all'Italia, e di accollarsi parte del rischio di un default italiano
(anche se, al contrario di quanto pensano molti, l'Europa non emetterà
Eurobond, un'idea che si spera venga così sepolta per sempre). Ma c'è
un errore fattuale di interpretazione molto diffuso, e un pericolo che
nel clima euforico di questi giorni in pochi vedono.
Partiamo dall'errore. Nonostante sia un insieme di decine di diversi
programmi quasi impossibile da decifrare, la struttura della proposta
si può riassumere così:l'Unione Europea prenderà a prestito dal mercato
fino a 750 miliardi. Di questa somma, 500 miliardi verranno distribuiti
ai singoli Stati come sussidi (cioè somme che non vanno restituite) e
garanzie, il resto verrà ri-prestato ai singoli Stati. Secondo stime
semi-ufficiali, tutte da confermare, l'Italia otterrebbe 82 miliardi di
sussidi e 91 miliardi di prestiti.
(....)
INCHIESTA COVID19
SARA' UNA BOLLA DI SAPONE
(...)
In questo modo non è il medico che crea qualcosa ma sono le macchine e
la chimica che risolvono i problemi ma ovviamente creano profitto (a
chi le crea, le fabbrica, le noleggia) e quindi gli ospedali debbono
avere magazzini vuoti, macchine sempre nuove, fare un generoso uso
della chimica, utilizzare col maggiori profitto possibile le macchine.
Già chi si laurea esce da una scuola dove è l'industria che detta gli
indirizzi e quindi quando il dottorino finisce la specializzazione e
resta nell'ospedale diventa una rotellina dell'industria e se va sul
territorio porta anche in quell'ambito lo stesso abito culturale.
Quando andava a scuola usava le stese macchine e chimica che poi
troverà in ospedale per la specializzazione e poi continuerà nella
professione come medico di base.
Non meraviglia la dichiarazione a a Bergamo news del prof.Alberto
Giannini (SIAARTI): (…)Il punto è che anche in condizioni ordinarie il
medico deve prendere decisioni spesso molto difficili integrando una
serie di informazioni riguardo all'appropriatezza della cura. Qui
parliamo di una malattia multi-sistemica, il Covid, che con il passare
dei giorni ha dimostrato tutta la sua gravità. Con pazienti pronati in
terapia intensiva anche per 18 ore di fila. Se si intuba il paziente
che è in condizioni peggiori, attribuendogli così l'unica risorsa
salvavita, il rischio è lasciare senza chi magari ha più chance di
salvarsi. In definitiva, il rischio è avere 2 morti, anziché un morto e
un guarito».
Traduzione: le macchine vanno usate quando si ha una debita certezza
che diano un risultato altrimenti restano i morti e la spesa della
macchina.
Affermare che la sanità del Veneto sarebbe differente da quella
lombarda mi fa suggerire a questi predicatori (che fortunatamente
conoscono poco gli ospedali “sulla propria pelle” di visitare gli
ospedali ed anche gli studi medici per capire che l'ospedale lombardo
è fotocopia di quello veneto e viceversa, che gli ospedali italiani
sono esattamente identici a quelli di Zurigo, Tolosa, Lione Abu-Dabi.
Perfino i letti e i gabinetti!. Che il dottore della mutua a Vò è uno
scrivano compilatore di ricette esattamente come quello di Codogno o di
Valbondione.
Sostanzialmente la sanità non è stata privatizzata “solo” perché il 40%
dei posti letto accreditati in Lombardia appartengono a gruppi privati
ma perché la sanità è una struttura culturale sociale che dipende del
tutto dalla grande industria elettronica e chimica. Che lo gestisca un
governo socialdemocratico piuttosto che un emirato arabo l'indirizzo
non cambia e nemmeno la testa di chi ci lavora è differente.
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PDF: 10Mb
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MA L’ITALIA SARÀ IN GRADO DI INVESTIRE
(PER COSA?)170 MILIARDI IN CINQUE ANNI?
Gli aiuti di Bruxelles all'Italia
Quei conti che non tornano
di Roberto Perotti
Le misure proposte dalla Commissione europea mercoledì hanno una forte
valenza politica, ma la loro portata economica per l'Italia è stata
quasi universalmente male interpretata. Il fatto nuovo è che la
Germania ha accettato il principio di pagare una parte degli aiuti
all'Italia, e di accollarsi parte del rischio di un default italiano
(anche se, al contrario di quanto pensano molti, l'Europa non emetterà
Eurobond, un'idea che si spera venga così sepolta per sempre). Ma c'è
un errore fattuale di interpretazione molto diffuso, e un pericolo che
nel clima euforico di questi giorni in pochi vedono.
Partiamo dall'errore. Nonostante sia un insieme di decine di diversi
programmi quasi impossibile da decifrare, la struttura della proposta
si può riassumere così:l'Unione Europea prenderà a prestito dal mercato
fino a 750 miliardi. Di questa somma, 500 miliardi verranno distribuiti
ai singoli Stati come sussidi (cioè somme che non vanno restituite) e
garanzie, il resto verrà ri-prestato ai singoli Stati. Secondo stime
semi-ufficiali, tutte da confermare, l'Italia otterrebbe 82 miliardi di
sussidi e 91 miliardi di prestiti.
L'errore diffuso è che l'Italia riceverebbe un regalo di 82 miliardi
dagli altri Paesi europei. Non è esattamente così. L'Ue raccoglierà
500miliardi da distribuire come sussidi emettendo debito, che andrà
ripagato con i soldi dei suoi stati membri. In parte saranno nuove
tasse percepite direttamente dall'Ue, più o meno proporzionali al Pil
di ogni Paese; se queste non bastassero verranno aumentati i contributi
di ogni Stato al bilancio dell'Ue. In entrambi i casi la quota italiana
è di circa il 13 per cento, quindi 65 miliardi (il 13 per cento di 500
miliardi).
Il risultato netto per l'Italia sarà dunque di 17 miliardi (pari a 82-65).
Certo, i sussidi verranno percepiti nei prossimi quattro anni al
massimo, mentre l'esborso per ripagare il debito sarà diluito nel
tempo. Rimane il fatto che il regalo sarà nell'ordine di 20 miliardi al
massimo,non 82.Una versione maggiorata di questo errore è che l'Italia
riceverebbe un regalo di 173 miliardi, includendo quindi anche i 91
miliardi del prestito.
Ovviamente non è così, perché il prestito andrà restituito integralmente, con gli interessi.
C'è un vantaggio per l'Italia: l'Ue paga sul debito che emette un tasso
di interesse inferiore a quello che paga l'Italia, e passerebbe questo
risparmio all'Italia. Diciamo che la differenza possa essere dell'uno
per cento: su 91 miliardi, è un risparmio di circa un miliardo l'anno.
Un miliardo di risparmio di ionteressi l’anno farebbero 30 milioni in 30 anni. Forse anche di più.
Meglio di niente, ma questo è.
Il secondo problema è il pericolo insito in questi fondi europei: la
commissione rischia di rendere un disservizio all'Italia. Anche se come
abbiamo visto in futuro quasi tutti i sussidi e tutto il prestito
andranno restituiti, rimane il fatto che tra il 2020 e il 2024 l'Italia
verrà inondata da un fiume di denaro da spendere, oltre 170 miliardi.
Nessun governo, ne anche il più competente e ben intenzionato, può
riuscire in così poco tempo a trovare idee intelligenti e fruttuose per
spendere il 10 per cento del Pil di un anno che gli è piovuto dal
cielo. È vero che ci sono linee guida, ma sono talmente generiche che
praticamente tutto vi rientra. Tutti parlano di investimenti pubblici,
ma quante linee ad alta velocità Napoli-Bari si costruiscono con 170
miliardi? E quante ne servono veramente? Quanti miliardi servono per
mettere in sicurezza le scuole o per regalare un computer d ogni
studente? O per completare la rete 5G su tutto il territorio nazionale?
O per assumere 10.000 medici? Quando avremo fatto tutto questo, ci
avanzeranno molto più di cento miliardi.
Non basta l'etichetta di "investimento pubblico" per rendere una spesa
automaticamente virtuosa. Il rischio è che gran parte di quei 170
miliardi vada a finire non solo in spesa improduttiva, ma addirittura
dannosa, perché un tale fiume di denaro può scatenare gli appetiti, la
corsa a finanziare i progetti più inutili soltanto per assicurarsi una
fetta della torta, perché "tanto i soldi ci sono". Il risultato è di
nutrire quel sottobosco dove si incrociano politica ed economia, che è
sempre stato il grande male italiano: un fenomeno che abbiamo visto
tante volte con i fondi strutturali europei, peraltro di importo
infinitamente minore. Il rischio è che questa manna dal cielo distolga
gli sforzi dal "come" fare le riforme e li concentri sul "quanto":
alcune delle riforme più pressanti - la giustizia, la pubblica
amministrazione, la sburocratizzazione richiedono pochi soldi e tanto
pensiero. Si dirà, come sempre, che questa volta è diverso: ma la
realtà è che non è una questione di buone intenzioni, è semplicemente
impossibile spendere bene in poco tempo una tale quantità di denaro.
Roberto Perotti
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INCHIESTA COVID19
SARA' UNA BOLLA DI SAPONE
E' iniziata la sfilata negli uffici del procuratore facente funzione di
Bergamo, Maria Cristina Rota, dei vari politici e non coinvolti nella
vicenda del covid19 nella bassa Valle Seriana. Venerdi rispondendo ad
una domanda dell'inviato RAI ha sostenuto che spettava al Governo
dichiarare Zona Rossa il territorio di Alzano e Nembro e naturalmente
questa è anche la posizione di tutta la filiera di politici –dai
sindaci dei due paesi fino a Gallera e Fontana. Leggendo la Legge 23
dicembre 1978, n. 833 "Istituzione del servizio sanitario nazionale” si
coglie come questa sia complessivamente armonizzata riservando gli
interventi in base alla rispettiva potestà di chi deve dichiararla.
Possono decidere i sindaci, la regione, il ministro della salute ed
infine anche il governo. Il problema sta tutto sia nell'assumere
la responsabilità politica di questa decisione sia di come
realizzare in pratica il blocco degli ingressi-uscite da una zona
interdetta.
Nel caso specifico non è immaginabile che un sindaco possa decidere la
chiusura del proprio spazio comunale dal momento che non possiede
nemmeno le forze necessarie per presidiare gli accessi e le
uscite. Il 7 aprile l'ass. Gallera dichiara ad Agorà che la sera del 03
marzo il prof. Brusaferro (notare le date) gli aveva comunicato
l'intenzione del Comitato Scientifico di dare al Governo l'indicazione
di dichiarare zona rossa nei due comuni. Il 05 marzo arrivano nei due
comuni circa 200 carabinieri. Finora nessuno ha accertato…mandati da
chi?. La Regione davanti a questa sequenza di fatti non lo ha
fatto perché, “quando il 5 marzo sono arrivate le camionette
dell'esercito ad Alzano e Nembro, eravamo convinti che venisse attivata
la zona rossa da lì a pochi minuti”. Anche perché alla fine, con
l'allargamento della zona rossa all'intero territorio della Lombardia,
“l'obiettivo è stato raggiunto”. Lo ha sottolineato l'assessore
regionale al Welfare, Giulio Gallera, tornando sulla polemica per la
mancata istituzione di una zona rossa, sul modello di quella già
istituita in 10 comuni del Lodigiano, nell'area della provincia di
Bergamo più flagellata dal Coronavirus.
Il 04 aprile Fontana dichiarava all'HuffingtonPost: “Quando hanno detto
no alla chiusura dei comuni della Bergamasca non ho perso la pazienza
perché sembrava che volessero la zona rossa per tutta la regione. Il
provvedimento che il governo stava per prendere andava verso quella
direzione. Se ne era parlato a lungo, ne avevano discusso i nostri
tecnici con quelli di Palazzo Chigi, pure loro ritenevano valida la
richiesta, anche perché su Codogno la zona rossa stava dando risultati
molto positivi. C'è stato un sì-no, sì-no per due o tre giorni, poi si
è deciso per la zona arancione, e cioè protetta, in tutta la Lombardia.
Niente zona rossa su Bergamo”. Lo afferma il governatore lombardo,
Attilio Fontana, in un'intervista a ''La Verità.
“Io - spiega Fontana - non potevo fare la zona rossa perché non ho la
competenza ma anche se avessi fatto un provvedimento ai limiti della
legittimità, come lo facevo eseguire? Non ho a disposizione polizia,
esercito e carabinieri per far rispettare una zona rossa così vasta.
Oltretutto sono stato colto di sorpresa. Ero convito che quella sera
sarebbe stata disposta la zona rossa perché mi arrivavano telefonate
dal territorio, c'erano molti militari che alloggiavano negli alberghi
lì attorno quindi ero praticamente convinto che ci sarebbe stato il
provvedimento. Forse erano lì per quello, ma poi qualcuno ha dato
disposizioni diverse”.
Torna la domanda: chi li ha mandati li?.
Il 06 marzo su Bergamo news gli imprenditori di Alzano e Nembro: “Zona
rossa? Sarebbe un disastro per l'economia”. Facilmente immaginabili le
pressioni politiche provenienti dalla Valle per non
chiudere dal momento che su questi due comuni passa la superstrada per
la Valle e la TEB.
In buona sostanza ha avuto maggiore senso la decisione della quarantena
nazionale anche se arrivata con qualche giorno di ritardo nei due
comuni dove peraltro il danno era già stato creato dal momento che non
essendo mai stato chiarito donde provenisse la pandemia (un paziente
zero non lo si è mai nemmeno immaginato) l'unica certezza esistente sta
nella permeabilità del passaggio delle persone tra l'ospedale e la
vicina RSA e questo è spiegabile nel fatto come sia normale che i
visitatori esterni ai ricoverati (in massima parte anziani) siano
abbastanza coincidenti coi visitatori esterni ai degenti nella RSA
(anziani pure loro).
La questione è che il covid19 circolava in Italia probabilmente da 5-6
mesi prima senza che nessuno ne avesse conoscenza e quindi in
queste due strutture (ospedale e RSA) complessivamente marginali
e cocciutamente conservate in funzione (a che serve un ospedale ad
Alzano a pochi chilometri dalla sede-madre di Seriate?) solo per
la testardaggine degli abitanti della zona fossero sicuramente le meno
in grado sia sotto il profilo organizzativo che culturale di cogliere
qualche segnale anticipatore.
Varrebbe la pena di verificare i contratti del personale e dei medici
che vi operano per capire quanti siano reperiti sul mercato al minor
costo possibile e quanti abbiano alle spalle una esperienza
solida e consolidata nel tempo. Oltre al fatto che queste strutture
sono permeabili oltre che al personale ed ai visitatori ad un sacco di
altre persone e quindi… vai a cercare il “cinese” di turno. In una
valle che ha intensissimi rapporti economici e di personale proprio con
la Cina, di cui ne è stata in un cero qual modo anticipatrice
provinciale.
Concludo raccontando di come in questi 30 anni sono stato ricoverato
all'ospedale universitario di Zurigo (1990), in uno di Tolosa, uno di
Lione e uno di Bordeaux: questi quattro nosocomi mi hanno sempre
confermato il buon indirizzo delle cure prestatemi dal Codivilla
Putti/Rizzoli di Cortina-Bologna e dal Manzoni di Lecco. Nel
periodo 1985-2020 –quindi in 35 anni- gli unici cambiamenti che
ho visto negli ospedali e nella sanità (italiana e straniera)
sono stati in ordine di importanza
(1) l'avvento di una massiccia dose di tecnologia che consente diagnosi approfondite e rapidissime e assai precise
(2) l'avvento di terapie anti-dolore davvero efficaci che rendono possibili interventi altrimenti massacranti
(3) una forte laicizzazione della classe medica e del personale
(4) in massima parte le attrezzature dell'ospedale sono in leasing
(5) la sanità non è più in mano al medico ma della tecnologia ed il
medico e l'infermiere sono diventati degli “operatori sulle macchine”:
sono quindi i produttori della macchine che insegnano a medici e
infermieri come si applicano in vista del risultato possibile
(6) in questa situazione anche la chimica è una applicazione che
viene insegnata ai medici: chi la crea la propone a la vende
(7) il malato oggi è un soggetto creatore di profitto e in parecchi
ospedali le cure sono inutilmente immaginate e ampliate solo per
fare affari.
Nel 1985 la formazione media del medico era molto bassa e quel
poco o tanto che c'era nasceva dalla personale esperienza mentre adesso
la formazione medica dipende dalle occasioni del singolo (basti
pensare a quante borse di studio mancano per ottenere la
specializzazione che sarebbero pure necessarie) e dalla sua buona
volontà. Oggi il medico (e il resto del personale dentro un ospedale) è
un operatore attaccato e dipendente dalla macchina, dalla chimica del
laboratorio d'analisi ed a quella delle medicine. Questo ha tolto ogni
autorità al medico di base che in generale si impoverisce quando esce
dall'ospedale e va sul territorio.
In questo modo non è il medico che crea qualcosa ma sono le macchine e
la chimica che risolvono i problemi ma ovviamente creano profitto (a
chi le crea, le fabbrica, le noleggia) e quindi gli ospedali debbono
avere magazzini vuoti, macchine sempre nuove, fare un generoso uso
della chimica, utilizzare col maggiori profitto possibile le macchine.
Già chi si laurea esce da una scuola dove è l'industria che detta gli
indirizzi e quindi quando il dottorino finisce la specializzazione
e resta nell'ospedale diventa una rotellina dell'industria e se
va sul territorio porta anche in quell'ambito lo stesso abito
culturale. Quando andava a scuola usava le stese macchine e chimica che
poi troverà in ospedale per la specializzazione e poi continuerà nella
professione come medico di base.
Non meraviglia la dichiarazione a a Bergamo news del prof.Alberto
Giannini (SIAARTI): (…)Il punto è che anche in condizioni ordinarie il
medico deve prendere decisioni spesso molto difficili integrando una
serie di informazioni riguardo all'appropriatezza della cura. Qui
parliamo di una malattia multi-sistemica, il Covid, che con il passare
dei giorni ha dimostrato tutta la sua gravità. Con pazienti pronati in
terapia intensiva anche per 18 ore di fila. Se si intuba il paziente
che è in condizioni peggiori, attribuendogli così l'unica risorsa
salvavita, il rischio è lasciare senza chi magari ha più chance di
salvarsi. In definitiva, il rischio è avere 2 morti, anziché un morto e
un guarito».
Traduzione: le macchine vanno usate quando si ha una debita certezza
che diano un risultato altrimenti restano i morti e la spesa della
macchina.
Affermare che la sanità del Veneto sarebbe differente da quella
lombarda mi fa suggerire a questi predicatori (che fortunatamente
conoscono poco gli ospedali “sulla propria pelle” di visitare gli
ospedali ed anche gli studi medici per capire che l'ospedale
lombardo è fotocopia di quello veneto e viceversa, che gli ospedali
italiani sono esattamente identici a quelli di Zurigo, Tolosa, Lione
Abu-Dabi. Perfino i letti e i gabinetti!. Che il dottore della mutua a
Vò è uno scrivano compilatore di ricette esattamente come quello di
Codogno o di Valbondione.
Sostanzialmente la sanità non è stata privatizzata “solo” perché il 40%
dei posti letto accreditati in Lombardia appartengono a gruppi privati
ma perché la sanità è una struttura culturale sociale che dipende del
tutto dalla grande industria elettronica e chimica. Che lo gestisca un
governo socialdemocratico piuttosto che un emirato arabo l'indirizzo
non cambia e nemmeno la testa di chi ci lavora è differente.
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