A GUARDARE ALLE COLLINE PAGINA 1236 DEL 31MAGGIO 2020
























































Di cosa parliamo in questa pagina.



















MA L’ITALIA SARÀ IN GRADO DI INVESTIRE
(PER COSA?)170 MILIARDI IN CINQUE ANNI?
Gli aiuti di Bruxelles all'Italia
Quei conti che non tornano
di Roberto Perotti
Le misure proposte dalla Commissione europea mercoledì hanno una forte valenza politica, ma la loro portata economica per l'Italia è stata quasi universalmente male interpretata. Il fatto nuovo è che la Germania ha accettato il principio di pagare una parte degli aiuti all'Italia, e di accollarsi parte del rischio di un default italiano (anche se, al contrario di quanto pensano molti, l'Europa non emetterà Eurobond, un'idea che si spera venga così sepolta per sempre). Ma c'è un errore fattuale di interpretazione molto diffuso, e un pericolo che nel clima euforico di questi giorni in pochi vedono.
Partiamo dall'errore. Nonostante sia un insieme di decine di diversi programmi quasi impossibile da decifrare, la struttura della proposta si può riassumere così:l'Unione Europea prenderà a prestito dal mercato fino a 750 miliardi. Di questa somma, 500 miliardi verranno distribuiti ai singoli Stati come sussidi (cioè somme che non vanno restituite) e garanzie, il resto verrà ri-prestato ai singoli Stati. Secondo stime semi-ufficiali, tutte da confermare, l'Italia otterrebbe 82 miliardi di sussidi e 91 miliardi di prestiti.
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INCHIESTA COVID19
SARA' UNA BOLLA DI SAPONE
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In questo modo non è il medico che crea qualcosa ma sono le macchine e la chimica che risolvono i problemi ma ovviamente creano profitto (a chi le crea, le fabbrica, le noleggia) e quindi gli ospedali debbono avere magazzini vuoti, macchine sempre nuove, fare un generoso uso della chimica, utilizzare col maggiori profitto possibile le macchine.
Già chi si laurea esce da una scuola dove è l'industria che detta gli indirizzi e quindi quando il dottorino finisce la specializzazione e  resta nell'ospedale diventa una rotellina dell'industria e se va sul territorio porta anche in quell'ambito lo stesso abito culturale. Quando andava a scuola usava le stese macchine e chimica che poi troverà in ospedale per la specializzazione e poi continuerà nella professione come medico di base.

Non meraviglia la dichiarazione a a Bergamo news del prof.Alberto Giannini (SIAARTI): (…)Il punto è che anche in condizioni ordinarie il medico deve prendere decisioni spesso molto difficili integrando una serie di informazioni riguardo all'appropriatezza della cura. Qui parliamo di una malattia multi-sistemica, il Covid, che con il passare dei giorni ha dimostrato tutta la sua gravità. Con pazienti pronati in terapia intensiva anche per 18 ore di fila. Se si intuba il paziente che è in condizioni peggiori, attribuendogli così l'unica risorsa salvavita, il rischio è lasciare senza chi magari ha più chance di salvarsi. In definitiva, il rischio è avere 2 morti, anziché un morto e un guarito».
Traduzione: le macchine vanno usate quando si ha una debita certezza che diano un risultato altrimenti restano i morti e la spesa della macchina.

Affermare che la sanità  del Veneto sarebbe differente da quella lombarda mi fa suggerire a questi predicatori (che fortunatamente conoscono poco gli ospedali “sulla propria pelle” di visitare gli ospedali ed anche  gli studi medici per capire che l'ospedale lombardo è fotocopia di quello veneto e viceversa, che gli ospedali italiani sono esattamente identici a quelli di Zurigo, Tolosa, Lione Abu-Dabi. Perfino i letti e i gabinetti!. Che il dottore della mutua a Vò è uno scrivano compilatore di ricette esattamente come quello di Codogno o di Valbondione.

Sostanzialmente la sanità non è stata privatizzata “solo” perché il 40% dei posti letto accreditati in Lombardia appartengono a gruppi privati ma perché la sanità è una struttura culturale sociale che dipende del tutto dalla grande industria elettronica e chimica. Che lo gestisca un governo socialdemocratico piuttosto che un emirato arabo l'indirizzo non cambia e nemmeno la testa di chi ci lavora è differente.


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le immagini sottostanti possono essere abbastanza grandi: pazienza!

































































































































































































































MA L’ITALIA SARÀ IN GRADO DI INVESTIRE
(PER COSA?)170 MILIARDI IN CINQUE ANNI?
Gli aiuti di Bruxelles all'Italia
Quei conti che non tornano
di Roberto Perotti
Le misure proposte dalla Commissione europea mercoledì hanno una forte valenza politica, ma la loro portata economica per l'Italia è stata quasi universalmente male interpretata. Il fatto nuovo è che la Germania ha accettato il principio di pagare una parte degli aiuti all'Italia, e di accollarsi parte del rischio di un default italiano (anche se, al contrario di quanto pensano molti, l'Europa non emetterà Eurobond, un'idea che si spera venga così sepolta per sempre). Ma c'è un errore fattuale di interpretazione molto diffuso, e un pericolo che nel clima euforico di questi giorni in pochi vedono.
Partiamo dall'errore. Nonostante sia un insieme di decine di diversi programmi quasi impossibile da decifrare, la struttura della proposta si può riassumere così:l'Unione Europea prenderà a prestito dal mercato fino a 750 miliardi. Di questa somma, 500 miliardi verranno distribuiti ai singoli Stati come sussidi (cioè somme che non vanno restituite) e garanzie, il resto verrà ri-prestato ai singoli Stati. Secondo stime semi-ufficiali, tutte da confermare, l'Italia otterrebbe 82 miliardi di sussidi e 91 miliardi di prestiti.
L'errore diffuso è che l'Italia riceverebbe un regalo di 82 miliardi dagli altri Paesi europei. Non è esattamente così. L'Ue raccoglierà 500miliardi da distribuire come sussidi emettendo debito, che andrà ripagato con i soldi dei suoi stati membri. In parte saranno nuove tasse percepite direttamente dall'Ue, più o meno proporzionali al Pil di ogni Paese; se queste non bastassero verranno aumentati i contributi di ogni Stato al bilancio dell'Ue. In entrambi i casi la quota italiana è di circa il 13 per cento, quindi 65 miliardi (il 13 per cento di 500 miliardi).

Il risultato netto per l'Italia sarà dunque di 17 miliardi (pari a 82-65).
Certo, i sussidi verranno percepiti nei prossimi quattro anni al massimo, mentre l'esborso per ripagare il debito sarà diluito nel tempo. Rimane il fatto che il regalo sarà nell'ordine di 20 miliardi al massimo,non 82.Una versione maggiorata di questo errore è che l'Italia riceverebbe un regalo di 173 miliardi, includendo quindi anche i 91 miliardi del prestito.
Ovviamente non è così, perché il prestito andrà restituito integralmente, con gli interessi.
C'è un vantaggio per l'Italia: l'Ue paga sul debito che emette un tasso di interesse inferiore a quello che paga l'Italia, e passerebbe questo risparmio all'Italia. Diciamo che la differenza possa essere dell'uno per cento: su 91 miliardi, è un risparmio di circa un miliardo l'anno.
Un miliardo di risparmio di ionteressi l’anno  farebbero 30 milioni in 30 anni. Forse anche di più.
Meglio di niente, ma questo è.
Il secondo problema è il pericolo insito in questi fondi europei: la commissione rischia di rendere un disservizio all'Italia. Anche se come abbiamo visto in futuro quasi tutti i sussidi e tutto il prestito andranno restituiti, rimane il fatto che tra il 2020 e il 2024 l'Italia verrà inondata da un fiume di denaro da spendere, oltre 170 miliardi. Nessun governo, ne anche il più competente e ben intenzionato, può riuscire in così poco tempo a trovare idee intelligenti e fruttuose per spendere il 10 per cento del Pil di un anno che gli è piovuto dal cielo. È vero che ci sono linee guida, ma sono talmente generiche che praticamente tutto vi rientra. Tutti parlano di investimenti pubblici, ma quante linee ad alta velocità Napoli-Bari si costruiscono con 170 miliardi? E quante ne servono veramente? Quanti miliardi servono per mettere in sicurezza le scuole o per regalare un computer d ogni studente? O per completare la rete 5G su tutto il territorio nazionale? O per assumere 10.000 medici? Quando avremo fatto tutto questo, ci avanzeranno molto più di cento miliardi.
Non basta l'etichetta di "investimento pubblico" per rendere una spesa automaticamente virtuosa. Il rischio è che gran parte di quei 170 miliardi vada a finire non solo in spesa improduttiva, ma addirittura dannosa, perché un tale fiume di denaro può scatenare gli appetiti, la corsa a finanziare i progetti più inutili soltanto per assicurarsi una fetta della torta, perché "tanto i soldi ci sono". Il risultato è di nutrire quel sottobosco dove si incrociano politica ed economia, che è sempre stato il grande male italiano: un fenomeno che abbiamo visto tante volte con i fondi strutturali europei, peraltro di importo infinitamente minore. Il rischio è che questa manna dal cielo distolga gli sforzi dal "come" fare le riforme e li concentri sul "quanto": alcune delle riforme più pressanti - la giustizia, la pubblica amministrazione, la sburocratizzazione richiedono pochi soldi e tanto pensiero. Si dirà, come sempre, che questa volta è diverso: ma la realtà è che non è una questione di buone intenzioni, è semplicemente impossibile spendere bene in poco tempo una tale quantità di denaro.

Roberto Perotti

INCHIESTA COVID19
SARA' UNA BOLLA DI SAPONE
E' iniziata la sfilata negli uffici del procuratore facente funzione di Bergamo, Maria Cristina Rota, dei vari politici e non coinvolti nella vicenda del covid19 nella bassa Valle Seriana. Venerdi rispondendo ad una domanda dell'inviato RAI ha sostenuto che spettava al Governo dichiarare Zona Rossa il territorio di Alzano e Nembro e naturalmente questa è anche la posizione di tutta la filiera di politici –dai sindaci dei due paesi fino a Gallera e Fontana. Leggendo la Legge 23 dicembre 1978, n. 833 "Istituzione del servizio sanitario nazionale” si coglie come questa sia complessivamente armonizzata riservando gli interventi in base alla rispettiva potestà di chi deve dichiararla. Possono decidere i sindaci, la regione, il ministro della salute ed infine anche il governo. Il problema sta tutto  sia nell'assumere la responsabilità politica di questa decisione sia di come  realizzare in pratica il blocco degli ingressi-uscite da una zona interdetta.
Nel caso specifico non è immaginabile che un sindaco possa decidere la chiusura del proprio spazio comunale dal momento che non possiede nemmeno le forze necessarie per  presidiare gli accessi e le uscite. Il 7 aprile l'ass. Gallera dichiara ad Agorà che la sera del 03 marzo il prof. Brusaferro (notare le date) gli aveva comunicato l'intenzione del Comitato Scientifico di dare al Governo l'indicazione di dichiarare zona rossa nei due comuni. Il 05 marzo arrivano nei due comuni circa 200 carabinieri. Finora nessuno ha accertato…mandati da chi?. La Regione davanti a questa sequenza di fatti  non lo ha fatto perché, “quando il 5 marzo sono arrivate le camionette dell'esercito ad Alzano e Nembro, eravamo convinti che venisse attivata la zona rossa da lì a pochi minuti”. Anche perché alla fine, con l'allargamento della zona rossa all'intero territorio della Lombardia, “l'obiettivo è stato raggiunto”. Lo ha sottolineato l'assessore regionale al Welfare, Giulio Gallera, tornando sulla polemica per la mancata istituzione di una zona rossa, sul modello di quella già istituita in 10 comuni del Lodigiano, nell'area della provincia di Bergamo più flagellata dal Coronavirus.
Il 04 aprile Fontana dichiarava all'HuffingtonPost: “Quando hanno detto no alla chiusura dei comuni della Bergamasca non ho perso la pazienza perché sembrava che volessero la zona rossa per tutta la regione. Il provvedimento che il governo stava per prendere andava verso quella direzione. Se ne era parlato a lungo, ne avevano discusso i nostri tecnici con quelli di Palazzo Chigi, pure loro ritenevano valida la richiesta, anche perché su Codogno la zona rossa stava dando risultati molto positivi. C'è stato un sì-no, sì-no per due o tre giorni, poi si è deciso per la zona arancione, e cioè protetta, in tutta la Lombardia. Niente zona rossa su Bergamo”. Lo afferma il governatore lombardo, Attilio Fontana, in un'intervista a ''La Verità.
“Io - spiega Fontana - non potevo fare la zona rossa perché non ho la competenza ma anche se avessi fatto un provvedimento ai limiti della legittimità, come lo facevo eseguire? Non ho a disposizione polizia, esercito e carabinieri per far rispettare una zona rossa così vasta. Oltretutto sono stato colto di sorpresa. Ero convito che quella sera sarebbe stata disposta la zona rossa perché mi arrivavano telefonate dal territorio, c'erano molti militari che alloggiavano negli alberghi lì attorno quindi ero praticamente convinto che ci sarebbe stato il provvedimento. Forse erano lì per quello, ma poi qualcuno ha dato disposizioni diverse”.
Torna la domanda: chi li ha mandati li?.
Il 06 marzo su Bergamo news gli imprenditori di Alzano e Nembro: “Zona rossa? Sarebbe un disastro per l'economia”. Facilmente immaginabili le pressioni  politiche  provenienti dalla Valle per non chiudere dal momento che su questi due comuni passa la superstrada per la Valle e la TEB.
In buona sostanza ha avuto maggiore senso la decisione della quarantena nazionale anche se arrivata con qualche giorno di ritardo  nei due comuni dove peraltro il danno era già stato creato dal momento che non essendo mai stato chiarito donde provenisse la pandemia (un paziente zero non lo si è mai nemmeno immaginato) l'unica certezza esistente sta nella permeabilità del passaggio delle persone tra l'ospedale e la vicina RSA e questo è spiegabile nel fatto come sia normale che i visitatori esterni ai ricoverati (in massima parte anziani) siano abbastanza coincidenti coi visitatori esterni ai degenti nella RSA (anziani pure loro).
La questione è che il covid19 circolava in Italia probabilmente da 5-6 mesi prima senza che nessuno  ne avesse conoscenza e quindi in queste due strutture  (ospedale e RSA) complessivamente marginali e cocciutamente conservate in funzione (a che serve un ospedale ad Alzano a pochi chilometri dalla sede-madre di Seriate?)  solo per la testardaggine degli abitanti della zona fossero sicuramente le meno in grado sia sotto il profilo organizzativo che culturale di cogliere qualche segnale anticipatore.
Varrebbe la pena di verificare i contratti del personale e dei medici che vi operano per capire quanti siano reperiti sul mercato al minor costo possibile e quanti  abbiano alle spalle una esperienza solida e consolidata nel tempo. Oltre al fatto che queste strutture sono permeabili oltre che al personale ed ai visitatori ad un sacco di altre persone e quindi… vai a cercare il “cinese” di turno. In una valle che ha intensissimi rapporti economici e di personale proprio con la Cina, di cui ne è stata in un cero qual modo anticipatrice provinciale.

Concludo raccontando di come in questi 30 anni sono stato ricoverato all'ospedale universitario di Zurigo (1990), in uno di Tolosa, uno di Lione e uno di Bordeaux: questi quattro nosocomi mi hanno sempre confermato il buon indirizzo delle cure prestatemi dal Codivilla Putti/Rizzoli di Cortina-Bologna e dal Manzoni di Lecco.  Nel periodo 1985-2020 –quindi in 35 anni-  gli unici cambiamenti che ho visto negli ospedali  e nella sanità (italiana e straniera) sono stati in ordine di importanza
(1) l'avvento di una massiccia dose di tecnologia che consente diagnosi approfondite e rapidissime e assai precise
(2) l'avvento di terapie anti-dolore davvero efficaci che rendono possibili interventi altrimenti massacranti
(3) una forte laicizzazione della classe medica e del personale
(4) in massima parte le attrezzature dell'ospedale sono in leasing
(5) la sanità non è più in mano al medico ma della tecnologia ed il medico e l'infermiere sono diventati degli “operatori sulle macchine”: sono quindi i produttori della macchine che insegnano a medici e infermieri come si applicano in vista del risultato possibile
(6) in questa situazione  anche la chimica è una applicazione che viene insegnata ai medici: chi la crea la propone a la vende
(7) il malato oggi è un soggetto creatore di profitto e in parecchi ospedali le cure sono inutilmente  immaginate e ampliate solo per fare affari.

Nel 1985  la formazione media del medico era molto bassa e quel poco o tanto che c'era nasceva dalla personale esperienza mentre adesso la formazione medica dipende dalle occasioni del singolo (basti pensare  a quante borse di studio mancano per ottenere la specializzazione che sarebbero pure necessarie) e dalla sua buona volontà. Oggi il medico (e il resto del personale dentro un ospedale) è un operatore attaccato e dipendente dalla macchina, dalla chimica del laboratorio d'analisi ed a quella delle medicine. Questo ha tolto ogni autorità al medico di base che in generale si impoverisce quando esce dall'ospedale e va sul territorio.

In questo modo non è il medico che crea qualcosa ma sono le macchine e la chimica che risolvono i problemi ma ovviamente creano profitto (a chi le crea, le fabbrica, le noleggia) e quindi gli ospedali debbono avere magazzini vuoti, macchine sempre nuove, fare un generoso uso della chimica, utilizzare col maggiori profitto possibile le macchine.
Già chi si laurea esce da una scuola dove è l'industria che detta gli indirizzi e quindi quando il dottorino finisce la specializzazione e  resta nell'ospedale diventa una rotellina dell'industria e se va sul territorio porta anche in quell'ambito lo stesso abito culturale. Quando andava a scuola usava le stese macchine e chimica che poi troverà in ospedale per la specializzazione e poi continuerà nella professione come medico di base.

Non meraviglia la dichiarazione a a Bergamo news del prof.Alberto Giannini (SIAARTI): (…)Il punto è che anche in condizioni ordinarie il medico deve prendere decisioni spesso molto difficili integrando una serie di informazioni riguardo all'appropriatezza della cura. Qui parliamo di una malattia multi-sistemica, il Covid, che con il passare dei giorni ha dimostrato tutta la sua gravità. Con pazienti pronati in terapia intensiva anche per 18 ore di fila. Se si intuba il paziente che è in condizioni peggiori, attribuendogli così l'unica risorsa salvavita, il rischio è lasciare senza chi magari ha più chance di salvarsi. In definitiva, il rischio è avere 2 morti, anziché un morto e un guarito».
Traduzione: le macchine vanno usate quando si ha una debita certezza che diano un risultato altrimenti restano i morti e la spesa della macchina.

Affermare che la sanità  del Veneto sarebbe differente da quella lombarda mi fa suggerire a questi predicatori (che fortunatamente conoscono poco gli ospedali “sulla propria pelle” di visitare gli ospedali ed anche  gli studi medici per capire che l'ospedale lombardo è fotocopia di quello veneto e viceversa, che gli ospedali italiani sono esattamente identici a quelli di Zurigo, Tolosa, Lione Abu-Dabi. Perfino i letti e i gabinetti!. Che il dottore della mutua a Vò è uno scrivano compilatore di ricette esattamente come quello di Codogno o di Valbondione.

Sostanzialmente la sanità non è stata privatizzata “solo” perché il 40% dei posti letto accreditati in Lombardia appartengono a gruppi privati ma perché la sanità è una struttura culturale sociale che dipende del tutto dalla grande industria elettronica e chimica. Che lo gestisca un governo socialdemocratico piuttosto che un emirato arabo l'indirizzo non cambia e nemmeno la testa di chi ci lavora è differente.