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IN LIBIA E IRAN L'ITALIA E L'EUROPA NON SANNO CHE FARE
Mentre l'Occidente discuteva sul “che fare” in Libia ecco che Trump
macella in diretta video il generale iraniano Qassem Suleimani e
l'iracheno Abu Mahdi al Muhandis. Il 62enne Soleimani non era
semplicemente un pezzo da novanta dell'apparato militare iraniano,
bensì a tutti gli effetti il vero artefice della politica del suo Paese
riguardo ai dossier più importanti: dall'Iraq, alla Siria, al Libano,
al confronto con Israele, sino allo scontro con gli Stati Uniti.
Suleimani era un politico con la divisa del generale. Non era una
mammoletta: era uno delle migliaia di criminali di guerra di cui è
pieno l'Iran a partire da quando si schierò per abbattere lo Shah Reza
Pahlavi, battere nel sangue l'opposizione laica e comunista e infine
prendere il potere assieme con e per l'Ayatollah Khomeini.
Stimato come un uomo intelligente e furbo, non si comprende come sia
potuto cadere in una trappola mortale così banale: tornando con un volo
di linea da Damasco era atterrato all'aeroporto di Baghdad e stata
rientrando (non si sa dove) percorrendo la strada dove i razzi di un
drone MQ-9 Reaper, da dieci milioni di dollari che vola assistito da un
altro drone MQ-1C Grey Eagle. Anche il meno avveduto guerrigliero da
quelle parti sa che la combinazione di quei tre fattori costituisce un
rischio altissimo perché mille occhi possono seguire la preda per
abbatterla.
Per avere un quadro attendibile della situazione cominciamo col mettere
in ordine alcuni aspetti in genere sempre sottovalutati in queste
situazioni. Tra parentesi il PiL pro capite 2018 in dollari
USA.
L'Italia è un paese di 62 milioni di abitanti [34,3mila]; la Francia ne
ha 67 milioni [38,5mila], la Turchia ne ha 81 milioni [9,4mila],
l'Egitto ne ha 97 milioni [2,5mila] , la Russia ne ha 144 milioni
[11,2mila], la Libia ne ha 6-7 milioni [8,5mila]. L'Iran ne ha
82milioni [19,4mila ] e l'Iraq ne ha 39 milioni [17,6 mila ]. Quindi
Libia ed Iraq sono i due paesi nel M.O. con la popolazione minore
ma sono anche entrambi ricchi di petrolio e gas.
Sono due nazioni che negli ultimi 30 anni sono sempre stati nel mirino
prima di tutto degli USA ed a seguire delle coalizioni che si
accodavano.
La prima guerra del Golfo (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991) è il
conflitto che oppose l'Iraq ad una coalizione composta da 35 stati[7]
formatasi sotto l'egida dell'ONU e guidata dagli Stati Uniti, che si
proponeva di restaurare la sovranità del piccolo emirato del Kuwait,
dopo che questo era stato invaso e annesso dall'Iraq. La Guerra d'Iraq
(o seconda guerra del Golfo) è stato un conflitto bellico iniziato il
20 marzo 2003 con l'invasione dell'Iraq da parte di una coalizione
multinazionale guidata dagli Stati Uniti d'America, e terminato il 18
dicembre 2011 col passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità
irachene insediate dall'esercito americano su delega governativa
statunitense.
L'intervento militare internazionale in Libia del 2011 iniziò il 19
marzo ad opera d'alcuni paesi aderenti all'Organizzazione delle Nazioni
Unite autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza
che, nel marzo dello stesso anno, aveva istituito una zona
d'interdizione al volo sul Paese nordafricano ufficialmente per
tutelare l'incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le
forze lealiste a Mu'ammar Gheddafi e le forze ribelli nell'ambito della
prima guerra civile libica.
L'intervento fu inaugurato dalla Francia con un attacco aereo diretto
contro le forze terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi, attacco
seguito, qualche ora più tardi, dal lancio di missili da crociera tipo
"Tomahawk" da navi militari statunitensi e britanniche su obiettivi
strategici in tutta la Libia.
Gli attacchi, inizialmente portati avanti autonomamente dai vari paesi
che intendevano far rispettare il divieto di sorvolo, furono unificati
il 25 marzo sotto l'Operazione Unified Protector a guida NATO. La
coalizione, composta inizialmente da Belgio, Canada, Danimarca, Italia,
Francia, Norvegia, Qatar, Spagna, Regno Unito e USA, s'espanse nel
tempo fino a comprendere 19 stati.
Come siano andate finire queste due guerre è ormai scritto nella
storia come un totale fallimento di tutte le intenzioni dichiarate come
giustificative da parte degli aggressori verso Iraq e Libia. L'unico
reale risultato è che le risorse energetiche di quelle nazioni sono
ancora adesso non sotto il controllo di quelle popolazioni ma delle
varie multinazionali che hanno mandato i propri eserciti su quel suolo.
L'anno scoro gli USA hanno cercato di RI-costituire una colazione di
volenterosi per allestire una squadra aeronavale che difendesse i
trasporti marittimi dell'Occidente nel Golfo Persico dagli attacchi
degli Iraniani. Dopo gli attacchi alle petroliere prima a largo degli
Emirati Arabi Uniti e poi nelle acque del Golfo dell'Oman, gli Stati
Uniti e i suoi maggiori alleati coinvolti nella crisi hanno puntato il
dito su Teheran, in particolare sulle frange più estreme dei Guardiani
della Rivoluzione. Secondo il Pentagono, la Cia e anche il Mossad
dietro quelle esplosioni che hanno colpito i cargo nel Golfo ci sarebbe
una manovra dei Pasdaran iraniani. Anche se sulla reale regia iraniana
dietro gli assalti vi sono ancora dei dubbi: quantomeno perché è
difficile credere che questi potesse avere degli effetti positivi dal
punto di vista di Teheran.
La situazione attuale è che l'8 gennaio Erdogan incontra Putin per
trovare un accordo sulla spartizione della Libia dopo che con 325 voti
favorevoli e 184 contrari, il Parlamento turco ha dato il via libera
all'invio di truppe in Libia per sostenere il governo di Fayez
al-Sarraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite. Al momento, il presidente
Recep Tayyip Erdogan non sembra intenzionato a entrare in guerra,
quanto a esercitare pressione sul generale Khalifa Haftar – che da
aprile cerca di conquistare Tripoli – per convincerlo a ritirare le
truppe. In realtà, sta accadendo il contrario: negli ultimi giorni
l'offensiva militare delle forze di Haftar si è intensificata, al punto
da convincere Ankara ad anticipare il voto del Parlamento, inizialmente
pianificato per la settimana prossima. La mozione approvata consentirà
a Erdogan di mandare soldati in Libia per un anno.
Il vero obiettivo del Sultano è la creazione di un punto di
irradiazione per l'Islam politico in Nord Africa per espandere
ulteriormente la propria area d'influenza (che già comprende Siria e
Somalia), dando respiro al progetto propagandistico che punta a
recuperare la perduta grandezza ottomana.
Dall'altra parte della barricata c'è la Russia, che sostiene Haftar
anche militarmente. Di recente l'arrivo in Libia dei mercenari di
Wagner – società di Yevgheni Prigozhin, molto vicino a Vladimir Putin –
ha rafforzato notevolmente le azioni di terra condotte dal numero uno
della Cirenaica, che già superava gli avversari nei cieli grazie al
sostegno dei caccia e dei droni emiratini.
Se è impossibile immaginare quale possa essere la reazione dell'Iran
verso gli USA si comprende meglio quale sia o possa essere la strategia
statunitense nel Vicino Oriente. Impedire l'ascesa di un qualsiasi
egemone regionale. Durante la guerra fredda, ciò si traduceva
nell'impedire l'estensione della sfera d'influenza sovietica oltre a
Siria, Iraq, Egitto. Oggi, nel mantenere un equilibrio fra gli attori
dotati di maggior peso: Israele, Arabia Saudita, Turchia e Iran.
Proteggere i giacimenti di petrolio della provincia orientale saudita a
maggioranza sciita. Non perché gli USA ne siano dipendenti. Da Riad
arriva, infatti, solo il 10% delle importazioni petrolifere, ma perché
l'instabilità del maggior forziere d'oro nero – il più grande
giacimento al mondo è in Arabia - invierebbe scosse telluriche in tutto
il pianeta.
Garantire la sicurezza agli alleati sauditi e israeliani. La loro precarietà li ha resi dipendenti dall'ombrello statunitense.
Mantenere il potere sui mari – la famigerata talassocrazia degli
Anglosassoni, ieri dei britannici oggi degli statunitensi. Un potere
che passa attraverso il controllo degli stretti, da cui transita
l'ottanta per cento delle merci scambiate nel mondo. Nel Vicino Oriente
ve ne sono ben tre: Suez (Egitto), Bab al-Mandab (Yemen), e Hormuz (che
potrebbe essere messo sotto scacco dall'Iran, e da cui passa una parte
cospicua del commercio di petrolio).
Per adesso l'imbelle Europa guarda senza idee la Russia e
la Turchia che stanno diventando padrone del Mediterraneo e del
controllo delle risorse energetiche dentro il mare e nelle terre
adiacenti. Di la del mare lo snodo passa sul controllo dell'Iraq dal
quale l'Iran vuole buttare fuori gli USA e l'Occidente in genere.
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OBBLIGARE ASPI A RENDERE SICURE LE AUTOSTRADE
ALTRO CHE PUBBLICIZZARLE PER USARE I PEDAGGI
PER FORAGGIARE UN PAESE INDEBITATO
Certo è che occorre essere delle aquile per farsi venire un’idea del
tipo: non hai manutenzionato correttamente le autostrade e quindi te le
tolgo di mano e le manutenziono io e ti faccio pagare la spesa. Neanche
un avvocato alle prime armi avrebbe un’idea del genere con le
convenzioni in atto: quelle note e quelle secretate. Ce l’hanno in
mente i pentastellati ed anche in parecchi del PD cominciano a
maturarla. Prima tra tutti pare sia quel genio che è la ministra
Micheli.
Stavolta il casus belli è il crollo di un pezzo di volta in una
galleria Berthé dell’A26, dopo era già crollato un viadotto travolto da
una frana sull’A7. Autostrade per l’Italia non ha bisogno della mia
difesa però vanno dette tutte le cose da dire.
La prima è che il traffico su quella autostrada da quando l’hanno
costruita -1977- è aumentato di dieci volte (almeno) e quindi
sostanzialmente diventa impossibile fisicamente sostenere qualsiasi
intervento se non bloccando le corsie per molti – troppi!-
mesi rendendo sostanzialmente inutilizzabile la struttura. Una
infrastruttura finita nel 1977adesso ha la veneranda età 44 anni
è una struttura sostanzialmente da demolire e ricostruire. Il
calcestruzzo e il ferro utilizzato sono ormai ben oltre la capacità
minima di lavorare. Adesso la politica dica com’è che si chiude un’A26
per demolirla e costruirne un’altra col caos che succede in Italia
davanti a un tema-problema del genere. Soldi a parte: che non sono
neanche quelli un “piccolo” problema. Adesso la politica dica com’è che
si ripristinano tutte le gallerie in tempi accettabili senza creare per
decenni una sequela di interruzioni che alla fine uno si chiede: perché
devo pagare il pedaggio? Perché un (qualche) pedaggio bisogna pagarlo
in quanto… lo stato vuole la rata anche se la strada è chiusa. L’ha
scritto anche nell’ultimo decreto mille proroghe.
Chi percorre quella autostrada non presta attenzione alla struttura
perché deve giustamente badare alla guida ma in quella autostrada ci
sono tratti che curvano verso sinistra e pendono verso destra. O il
contrario. Magari qualcuno non se n’è nemmeno accorto.
Sempre in quella autostrada le due bretelle di collegamento con la A10
sono due crimini dove ci sono decine di incidenti ogni giorno
perché uno guida credendosi su un’autostrada e invece ha curvature da
strada di campagna.
Il problema adesso non è quello di togliere di mezzo Autostrade ma
bensì quello di farle fare i lavori ovviamente mettendoli sotto
osservazione non dei soliti noti com’è accaduto quando dall’IRI hanno
privatizzato le autostrade e tutta la dirigenza del settore è
passata da pubblico a privato portandosi appresso tutta la montagna di
magagne che aveva accumulato ed occultato fino allora.
Perché un fatto è certo: se le autostrade fossero rimaste in mani
all’IRI il Morandi sarebbe crollato lo stesso (forse anche prima del
2018) come lo stato delle vie sarebbe in condizioni sicuramente
peggiori.
Sempre adesso bisogna mettere in cantiere il come quando quanto rifare
l’intera rete autostradale italiana e naturalmente… chi ci mette i
soldi e chi le fa e poi chi gestirà l’opera nuova.
Tre sono gli interrogativi che andranno sciolti per agevolare l’attività di Anas nel subentro all’ASPI.
Prima di tutto, in caso di eventuali problemi futuri alle
infrastrutture, su chi ricadrebbe la responsabilità penale della
manutenzione non eseguita negli anni passati? È possibile mettere in
piedi una sorta di “scudo penale” per Anas? Siamo ad un altro caso
ILVA. Stiamo diventando la repubblica degli scudi penali, forse una
riflessione servirebbe.
Secondo punto: chi sosterrà l’equilibrio finanziario nella gestione
delle strade liguri visto che il pedaggio è momentaneamente sospeso?
Infine: Anas non ha ancora ricevuto il pagamento della concessione
dell’autostrada dei Parchi (Teramo-Roma), appartenente al gruppo Toto.
Sia per il periodo 2015-2016 che per il periodo 2017-2018 i pagamenti
sono stati rimandati per legge alla fine della concessione, intorno al
2030 (per via dei problemi del territorio a seguito del terremoto). Ma
il problema si sta creando anche per il 2019. Chi sanerà il buco dei
mancati incassi?.
Del resto che vi sia stato un sottinteso tra lo Stato e gli assegnatari
lo si legge anche nella Relazione sulle `Concessioni
autostradali´ che la Corte dei Conti ha inviato a Palazzo Chigi.
Dove viene sottolineato che: «L’attività di controllo sulla
complessa gestione è ostacolata, come riconosciuto dallo stesso
ministero, dalla scarsità del personale dedicato, benché nelle
concessioni il controllo e la vigilanza del concedente risultino
immanenti al sistema, in quanto posti in essere anzitutto
nell’interesse dello stesso concedente». Come definire questa
affermazione? Un assist formidabile all’ASPI: lo Stato riconosce di NON
avere fatto appieno il proprio dovere.
Ecco perché adesso bisognerebbe pensare prima di tutto a studiare
e capire “che fare” della rete autostradale, poi il come e il quando e
trovare il quanto. Sono problemi che ci saranno anche se subentra
l’ANAS o chi per essa perché anche nel caso autostrade siamo in
presenza di maxi-problemi come per le acciaierie, come per le ferrovie
nei trasporti regionali, come per le centrale elettriche in
sovrannumero ma da conservare e da pagare per mantenerle, come per i
siti inquinati abbandonati, ecc. Lo Stato ha privatizzato dei
bidoni col sottinteso che avrebbe chiuso non uno ma due
occhi orecchie naso e gola verso il compratore ma adesso i bidoni sono
a fine vita e cominciano a cadere i pezzi ed ammazzare le persone.
Non bastasse questo ci sono anche 3400 miliardi di debito pubblico.
Ma l’idea della pubblicizzazione delle autostrade nasconde un altro
disegno nelle testoline malate dei nostri parlamentari. Le autostrade
sono delle utility, cioè attività regolate che generano enormi flussi
di cassa. Anche al netto degli investimenti in sviluppo e manutenzione,
i flussi liberi sono tali da far luccicare gli occhioni ad una classe
politica dove convergono cleptocrati e soggetti alla costante ricerca
di qualcosa da “redistribuire”, per comandamento supremo della loro
religione.
Niente di meglio delle autostrade, quindi, per disporre di un
“tesoretto” o meglio di un “tesorone”. Una distesa oceanica di
liquidità a cui “attingere”, per dissetare il popolo disidratato. Lo
vedete, lo schema? Flussi di cassa devoluti con voluttà a spesa
pubblica, meglio se corrente. E magari anche a sussidio incrociato di
qualche imprescindibile “attività strategica” per il nostro paese, come
Alitalia o Ilva. E la cassa integrazione per omnia derogae saeculorum.
E volete mettere, affacciarsi al balcone o su Facebook l’ultimo
dell’anno, e proclamare: “Italiani! Abbiamo abolito la povertà! Da
domani niente aumenti dei pedaggi!”
Ecco perché ASPI va obbligata a fare manutenzione sotto il
controllo pubblico: altro che fuggire incassando 9 oppure 23
miliardi. Tagliare le zanne sia ai privati ma nemmeno lasciare
nella mani dei politici una fonte che – di sicuro- alla fine
farebbe fare a queste infrastrutture la stessa fine cui stanno
piano piano arrivando in mano all’ASPI-Atlantia.
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INQUINAMENTO: PASSATE LE FESTE GABBATO IL CITTADINO
Tutti fermi e tutti zitti a dicembre perché c'erano di mezzo gli
interessi dei bottegai cittadini e dei centri commerciali e quindi mai
nessuno amministratore che abbia pensato di adottare qualche
limitazione dell'abuso dei mezzi privati maggiormente inquinanti
nonostante che il clima di quel mese ma anche del precedente sia stato
pressoché uniforme: soleggiato, arieggiamento modesto, poca pioggia,
temperature eccezionalmente elevate, fioriture nei boschi ed anche in
qualche giardino decisamente anticipate .
Tanto per dire sempre male di qualcuno: la sindaca Gamba di Curno il 4
dicembre ha emesso l'ordinanza di cinque pagine cinque contro quei
“sozzoni” di concittadini che non mantengono bello il paese per farlo
piacere alle madamine che vanno a far la spesa in visone fatto rifatto
strafatto dieci volte alla Esselunga col Trasporto Amico. Non contenta
l'ha reiterata il 20 dicembre.
Niente da dire sull'inquinamento anzi: foto della giunta che inaugura l'ampliamento del centro commerciale.
Stessa situazione anche nel centro città dove si poteva parcheggiare
nei festivi a prezzo scontato altrimenti i bottegai cittadini avrebbero
fatto la pelle al sindaco. L'hanno solo posticipata alle prossime
elezioni.
Finite le feste ecco scodellata la verità che, naso e raffreddori a
parte, la sentivamo e la vedevano tutti ma OVVIAMENTE in città la
situazione è SICURAMENTE migliore che in periferia.
Potenza della coppia Gori& Angeloni, dei bus elettrici supportarti
alla ruota panoramica. Anzi: noi pensiamo che PROPRIO alla
presenza della ruota panoramica in centro vada il merito di avere
garantito alla città valori di PM10 inferiori che nei sobborghi: si sa
che le ruote girando fanno appunto… aria.
Nel frattempo l'assessora Marchesi (una che non è mica nata ieri) ai
giardini aveva avvisato : il Comune di Bergamo si appresta nel 2020
alla piantumazione di ben 1425 alberi in città. Si tratta di un
intervento di grande importanza, che vedrà l'Amministrazione scegliere
con attenzione gli spazi dove aggiungere alberi a Bergamo: completare
filari verdi lungo i viali urbani, ampliare la dotazione botanica nei
parchi, realizzare delle “barriere” verdi lungo le circonvallazioni,
sono solo alcune delle soluzioni che sono state pensate
dall'Assessorato al verde pubblico della città.
Alberi di una certa dimensione: tutte le piante che saranno messe a
dimora avranno infatti una circonferenza tra i 18 e i 20 cm, per un
valore dell'intervento di 350mila euro.
Peccato che questa santa donna pensi sempre a far del nuovo e non pensi
mai all'antico ed al vecchio abbandonati: sia quello pubblico che
quelli privati. Coi quali (privati) semmai andrebbe trovato un qualche
accordo intelligente visto che anche il verde privato contribuisce al
bene-stare e bene-essere dei cittadini. “La piantumazione di un così
importante numero di alberi in città – commenta l'Assessore Marzia
Marchesi – ha molteplici obiettivi: il controllo del clima, il
miglioramento della salute dei cittadini, la prevenzione del dissesto
idrogeologico, ma anche e soprattutto il mitigamento della CO2 in
città, oltre a una innegabile funzione estetica. Il provvedimento di
1400 alberi è solo un inizio: altre scelte di questo genere saranno
previste lungo l'arco dell’anno prossimo.”
Intanto i cittadini si sentono presi per i fondelli: quando c'è
da spendere nei centri e nelle botteghe via libera al traffico.
Quando debbono andare a lavorare, ecco le restrizioni. E che si muovano
a cambiare macchina numerosi – a dicembre il mercato ha fatto il botto
del +12,5% ma nell'anno solo uno +0,3%.
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