A GUARDARE ALLE COLLINE PAGINA 1159 DEL 05 GENNAIO 2020
























































Di cosa parliamo in questa pagina.



















IN LIBIA E IRAN L'ITALIA E L'EUROPA NON SANNO CHE FARE
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Per adesso l'imbelle Europa  guarda senza idee  la Russia e la Turchia che stanno diventando padrone del Mediterraneo e del controllo delle risorse energetiche dentro il mare e nelle terre adiacenti. Di la del mare lo snodo passa sul controllo dell'Iraq dal quale l'Iran vuole buttare fuori gli USA e l'Occidente in genere.

OBBLIGARE ASPI A RENDERE SICURE LE AUTOSTRADE
ALTRO CHE PUBBLICIZZARLE PER USARE I PEDAGGI
PER FORAGGIARE UN PAESE INDEBITATO
Certo è che occorre essere delle aquile per farsi venire un’idea del tipo: non hai manutenzionato correttamente le autostrade e quindi te le tolgo di mano e le manutenziono io e ti faccio pagare la spesa. Neanche un avvocato alle prime armi avrebbe un’idea del genere con le convenzioni in atto: quelle note e quelle secretate. Ce l’hanno in mente i pentastellati ed anche  in parecchi del PD cominciano a maturarla. Prima tra tutti pare sia quel genio che è la ministra Micheli.
Stavolta il casus belli è il crollo di un pezzo di volta in una galleria Berthé dell’A26, dopo era già crollato un viadotto travolto da una frana sull’A7. Autostrade per l’Italia non ha bisogno della mia difesa però vanno dette tutte le cose da dire.
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INQUINAMENTO: PASSATE LE FESTE GABBATO IL CITTADINO
Tutti fermi e tutti zitti a dicembre perché c'erano di mezzo gli interessi dei bottegai cittadini e dei centri commerciali e quindi mai nessuno amministratore che abbia pensato di adottare qualche limitazione dell'abuso dei mezzi privati maggiormente inquinanti nonostante che il clima di quel mese ma anche del precedente sia stato pressoché uniforme: soleggiato, arieggiamento modesto, poca pioggia, temperature eccezionalmente elevate, fioriture nei boschi ed anche in qualche giardino decisamente anticipate .
Tanto per dire sempre male di qualcuno: la sindaca Gamba di Curno il 4 dicembre ha emesso l'ordinanza di cinque pagine cinque contro quei “sozzoni” di concittadini che non mantengono bello il paese per farlo piacere alle madamine che vanno a far la spesa in visone fatto rifatto strafatto dieci volte alla Esselunga col Trasporto Amico. Non contenta l'ha reiterata il 20 dicembre.
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le immagini sottostanti possono essere abbastanza grandi: pazienza!




































































































































































































































IN LIBIA E IRAN L'ITALIA E L'EUROPA NON SANNO CHE FARE


Mentre l'Occidente discuteva sul “che fare” in Libia ecco che Trump macella in diretta video il generale iraniano Qassem Suleimani e l'iracheno Abu Mahdi al Muhandis. Il 62enne Soleimani non era semplicemente un pezzo da novanta dell'apparato militare iraniano, bensì a tutti gli effetti il vero artefice della politica del suo Paese riguardo ai dossier più importanti: dall'Iraq, alla Siria, al Libano, al confronto con Israele, sino allo scontro con gli Stati Uniti. Suleimani era un politico con la divisa del generale. Non era una mammoletta: era uno delle migliaia di criminali di guerra di cui è pieno l'Iran a partire da quando si schierò per abbattere lo Shah Reza Pahlavi, battere nel sangue l'opposizione laica e comunista e infine prendere il potere assieme con e per l'Ayatollah Khomeini.
Stimato come un uomo intelligente e furbo, non si comprende come sia potuto cadere in una trappola mortale così banale: tornando con un volo di linea da Damasco era atterrato all'aeroporto di Baghdad e stata rientrando (non si sa dove) percorrendo la strada dove i razzi di un drone MQ-9 Reaper, da dieci milioni di dollari che vola assistito da un altro drone MQ-1C Grey Eagle. Anche il meno avveduto guerrigliero da quelle parti sa che la combinazione di quei tre fattori costituisce un rischio altissimo perché mille occhi possono seguire la preda per abbatterla.
Per avere un quadro attendibile della situazione cominciamo col mettere in ordine alcuni aspetti in genere sempre sottovalutati in queste situazioni.  Tra parentesi il PiL pro capite 2018 in dollari USA. 
L'Italia è un paese di 62 milioni di abitanti [34,3mila]; la Francia ne ha 67 milioni [38,5mila], la Turchia ne ha 81 milioni [9,4mila], l'Egitto ne ha 97 milioni [2,5mila] , la Russia ne ha 144 milioni [11,2mila], la Libia ne ha 6-7 milioni [8,5mila]. L'Iran ne ha 82milioni [19,4mila ] e l'Iraq ne ha 39 milioni [17,6 mila ]. Quindi Libia ed Iraq sono i due paesi nel M.O.  con la popolazione minore ma sono anche entrambi ricchi di petrolio e gas.
Sono due nazioni che negli ultimi 30 anni sono sempre stati nel mirino prima di tutto degli USA ed a seguire delle coalizioni che si accodavano.
La prima guerra del Golfo (2 agosto 1990 – 28 febbraio 1991) è il conflitto che oppose l'Iraq ad una coalizione composta da 35 stati[7] formatasi sotto l'egida dell'ONU e guidata dagli Stati Uniti, che si proponeva di restaurare la sovranità del piccolo emirato del Kuwait, dopo che questo era stato invaso e annesso dall'Iraq. La Guerra d'Iraq (o seconda guerra del Golfo) è stato un conflitto bellico iniziato il 20 marzo 2003 con l'invasione dell'Iraq da parte di una coalizione multinazionale guidata dagli Stati Uniti d'America, e terminato il 18 dicembre 2011 col passaggio definitivo di tutti i poteri alle autorità irachene insediate dall'esercito americano su delega governativa statunitense.
L'intervento militare internazionale in Libia del 2011 iniziò il 19 marzo ad opera d'alcuni paesi aderenti all'Organizzazione delle Nazioni Unite autorizzati dalla risoluzione 1973 del Consiglio di sicurezza che, nel marzo dello stesso anno, aveva istituito una zona d'interdizione al volo sul Paese nordafricano ufficialmente per tutelare l'incolumità della popolazione civile dai combattimenti tra le forze lealiste a Mu'ammar Gheddafi e le forze ribelli nell'ambito della prima guerra civile libica.
L'intervento fu inaugurato dalla Francia con un attacco aereo diretto contro le forze terrestri di Gheddafi attorno a Bengasi, attacco seguito, qualche ora più tardi, dal lancio di missili da crociera tipo "Tomahawk" da navi militari statunitensi e britanniche su obiettivi strategici in tutta la Libia.
Gli attacchi, inizialmente portati avanti autonomamente dai vari paesi che intendevano far rispettare il divieto di sorvolo, furono unificati il 25 marzo sotto l'Operazione Unified Protector a guida NATO. La coalizione, composta inizialmente da Belgio, Canada, Danimarca, Italia, Francia, Norvegia, Qatar, Spagna, Regno Unito e USA, s'espanse nel tempo fino a comprendere 19 stati.
Come siano andate  finire queste due guerre è ormai scritto nella storia come un totale fallimento di tutte le intenzioni dichiarate come giustificative da parte degli aggressori verso Iraq e Libia. L'unico reale risultato è che le risorse energetiche di quelle nazioni sono ancora adesso non sotto il controllo di quelle popolazioni ma delle varie multinazionali che hanno mandato i propri eserciti su quel suolo.
L'anno scoro gli USA hanno cercato di RI-costituire una colazione di volenterosi per allestire una squadra aeronavale che difendesse i trasporti marittimi dell'Occidente nel Golfo Persico dagli attacchi degli Iraniani. Dopo gli attacchi alle petroliere prima a largo degli Emirati Arabi Uniti e poi nelle acque del Golfo dell'Oman, gli Stati Uniti e i suoi maggiori alleati coinvolti nella crisi hanno puntato il dito su Teheran, in particolare sulle frange più estreme dei Guardiani della Rivoluzione. Secondo il Pentagono, la Cia e anche il Mossad dietro quelle esplosioni che hanno colpito i cargo nel Golfo ci sarebbe una manovra dei Pasdaran iraniani. Anche se sulla reale regia iraniana dietro gli assalti vi sono ancora dei dubbi: quantomeno perché è difficile credere che questi potesse avere degli effetti positivi dal punto di vista di Teheran.
La situazione attuale è che l'8 gennaio Erdogan incontra Putin per trovare un accordo sulla spartizione della Libia dopo che con 325 voti favorevoli e 184 contrari, il Parlamento turco ha dato il via libera all'invio di truppe in Libia per sostenere il governo di Fayez al-Sarraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite. Al momento, il presidente Recep Tayyip Erdogan non sembra intenzionato a entrare in guerra, quanto a esercitare pressione sul generale Khalifa Haftar – che da aprile cerca di conquistare Tripoli – per convincerlo a ritirare le truppe. In realtà, sta accadendo il contrario: negli ultimi giorni l'offensiva militare delle forze di Haftar si è intensificata, al punto da convincere Ankara ad anticipare il voto del Parlamento, inizialmente pianificato per la settimana prossima. La mozione approvata consentirà a Erdogan di mandare soldati in Libia per un anno.
Il vero obiettivo del Sultano è la  creazione di un punto di irradiazione per l'Islam politico in Nord Africa per  espandere ulteriormente la propria area d'influenza (che già comprende Siria e Somalia), dando respiro al progetto propagandistico che punta a recuperare la perduta grandezza ottomana.
Dall'altra parte della barricata c'è la Russia, che sostiene Haftar anche militarmente. Di recente l'arrivo in Libia dei mercenari di Wagner – società di Yevgheni Prigozhin, molto vicino a Vladimir Putin – ha rafforzato notevolmente le azioni di terra condotte dal numero uno della Cirenaica, che già superava gli avversari nei cieli grazie al sostegno dei caccia e dei droni emiratini.
Se è impossibile immaginare quale possa essere la reazione dell'Iran verso gli USA si comprende meglio quale sia o possa essere la strategia statunitense nel Vicino Oriente. Impedire l'ascesa di un qualsiasi egemone regionale. Durante la guerra fredda, ciò si traduceva nell'impedire l'estensione della sfera d'influenza sovietica oltre a Siria, Iraq, Egitto. Oggi, nel mantenere un equilibrio fra gli attori dotati di maggior peso: Israele, Arabia Saudita, Turchia e Iran.
Proteggere i giacimenti di petrolio della provincia orientale saudita a maggioranza sciita. Non perché gli USA ne siano dipendenti. Da Riad arriva, infatti, solo il 10% delle importazioni petrolifere, ma perché l'instabilità del maggior forziere d'oro nero – il più grande giacimento al mondo è in Arabia - invierebbe scosse telluriche in tutto il pianeta.
Garantire la sicurezza agli alleati sauditi e israeliani. La loro precarietà li ha resi dipendenti dall'ombrello statunitense.
Mantenere il potere sui mari – la famigerata talassocrazia degli Anglosassoni, ieri dei britannici oggi degli statunitensi. Un potere che passa attraverso il controllo degli stretti, da cui transita l'ottanta per cento delle merci scambiate nel mondo. Nel Vicino Oriente ve ne sono ben tre: Suez (Egitto), Bab al-Mandab (Yemen), e Hormuz (che potrebbe essere messo sotto scacco dall'Iran, e da cui passa una parte cospicua del commercio di petrolio).
Per adesso l'imbelle Europa  guarda senza idee  la Russia e la Turchia che stanno diventando padrone del Mediterraneo e del controllo delle risorse energetiche dentro il mare e nelle terre adiacenti. Di la del mare lo snodo passa sul controllo dell'Iraq dal quale l'Iran vuole buttare fuori gli USA e l'Occidente in genere.

OBBLIGARE ASPI A RENDERE SICURE LE AUTOSTRADE
ALTRO CHE PUBBLICIZZARLE PER USARE I PEDAGGI
PER FORAGGIARE UN PAESE INDEBITATO
Certo è che occorre essere delle aquile per farsi venire un’idea del tipo: non hai manutenzionato correttamente le autostrade e quindi te le tolgo di mano e le manutenziono io e ti faccio pagare la spesa. Neanche un avvocato alle prime armi avrebbe un’idea del genere con le convenzioni in atto: quelle note e quelle secretate. Ce l’hanno in mente i pentastellati ed anche  in parecchi del PD cominciano a maturarla. Prima tra tutti pare sia quel genio che è la ministra Micheli.
Stavolta il casus belli è il crollo di un pezzo di volta in una galleria Berthé dell’A26, dopo era già crollato un viadotto travolto da una frana sull’A7. Autostrade per l’Italia non ha bisogno della mia difesa però vanno dette tutte le cose da dire.

La prima è che il traffico su quella autostrada da quando l’hanno costruita -1977- è aumentato di dieci volte (almeno) e quindi sostanzialmente diventa impossibile fisicamente sostenere qualsiasi intervento  se non bloccando le corsie per  molti – troppi!- mesi rendendo sostanzialmente inutilizzabile la struttura. Una infrastruttura  finita nel 1977adesso ha la veneranda età 44 anni è una struttura sostanzialmente da demolire e ricostruire. Il calcestruzzo e il ferro utilizzato sono ormai ben oltre la capacità minima di lavorare. Adesso la politica dica com’è che si chiude un’A26 per demolirla e costruirne un’altra col caos che succede in Italia davanti a un tema-problema del genere. Soldi a parte: che non sono neanche quelli un “piccolo” problema. Adesso la politica dica com’è che si ripristinano tutte le gallerie in tempi accettabili senza creare per decenni una sequela di interruzioni che alla fine uno si chiede: perché devo pagare il pedaggio? Perché un (qualche) pedaggio bisogna pagarlo in quanto… lo stato vuole la rata anche se la strada è chiusa. L’ha scritto anche nell’ultimo decreto mille proroghe.
Chi percorre quella autostrada non presta attenzione alla struttura perché deve giustamente badare alla guida ma in quella autostrada ci sono tratti che curvano verso sinistra e pendono verso destra. O il contrario. Magari qualcuno non se n’è nemmeno accorto.
Sempre in quella autostrada le due bretelle di collegamento con la A10 sono due crimini dove ci sono  decine di incidenti ogni giorno perché uno guida credendosi su un’autostrada e invece ha curvature da strada di campagna.
Il problema adesso non è quello di togliere di mezzo Autostrade ma bensì quello di farle fare i lavori ovviamente mettendoli sotto osservazione non dei soliti noti com’è accaduto quando dall’IRI hanno privatizzato le autostrade  e tutta la dirigenza del settore è passata da pubblico a privato portandosi appresso tutta la montagna di magagne che aveva accumulato ed occultato fino allora.
Perché un fatto è certo: se le autostrade fossero rimaste in mani all’IRI il Morandi sarebbe crollato lo stesso (forse anche prima del 2018) come lo stato delle vie sarebbe in condizioni sicuramente peggiori.
Sempre adesso bisogna mettere in cantiere il come quando quanto rifare l’intera rete autostradale italiana e naturalmente… chi ci mette i soldi e chi le fa e poi chi gestirà l’opera nuova.
Tre sono gli interrogativi che andranno sciolti per agevolare l’attività di Anas nel subentro all’ASPI.
Prima di tutto, in caso di eventuali problemi futuri alle infrastrutture, su chi ricadrebbe la responsabilità penale della manutenzione non eseguita negli anni passati? È possibile mettere in piedi una sorta di “scudo penale” per Anas? Siamo ad un altro caso ILVA. Stiamo diventando la repubblica degli scudi penali, forse una riflessione servirebbe.
Secondo punto: chi sosterrà l’equilibrio finanziario nella gestione delle strade liguri visto che il pedaggio è momentaneamente sospeso?
Infine: Anas non ha ancora ricevuto il pagamento della concessione dell’autostrada dei Parchi (Teramo-Roma), appartenente al gruppo Toto. Sia per il periodo 2015-2016 che per il periodo 2017-2018 i pagamenti sono stati rimandati per legge alla fine della concessione, intorno al 2030 (per via dei problemi del territorio a seguito del terremoto). Ma il problema si sta creando anche per il 2019. Chi sanerà il buco dei mancati incassi?.
Del resto che vi sia stato un sottinteso tra lo Stato e gli assegnatari lo si legge  anche nella Relazione sulle `Concessioni autostradali´ che la Corte dei Conti ha inviato a Palazzo Chigi. Dove  viene sottolineato che: «L’attività di controllo sulla complessa gestione è ostacolata, come riconosciuto dallo stesso ministero, dalla scarsità del personale dedicato, benché nelle concessioni il controllo e la vigilanza del concedente risultino immanenti al sistema, in quanto posti in essere anzitutto nell’interesse dello stesso concedente». Come definire questa affermazione? Un assist formidabile all’ASPI: lo Stato riconosce di NON avere fatto appieno il proprio dovere.

Ecco perché adesso bisognerebbe pensare prima di tutto  a studiare e capire “che fare” della rete autostradale, poi il come e il quando e trovare il quanto. Sono problemi che ci saranno anche se subentra l’ANAS o chi per essa perché anche nel caso autostrade siamo in presenza di maxi-problemi come per le acciaierie, come per le ferrovie nei trasporti regionali, come per le centrale elettriche in sovrannumero ma da conservare e da pagare per mantenerle, come per i siti inquinati abbandonati, ecc. Lo Stato ha privatizzato dei bidoni  col sottinteso  che avrebbe chiuso non uno ma due occhi orecchie naso e gola verso il compratore ma adesso i bidoni sono a fine vita e  cominciano a cadere i pezzi ed ammazzare le persone.
Non bastasse questo ci sono anche 3400 miliardi di debito pubblico.
Ma l’idea della pubblicizzazione delle autostrade nasconde un altro disegno nelle testoline malate dei nostri parlamentari. Le autostrade sono delle utility, cioè attività regolate che generano enormi flussi di cassa. Anche al netto degli investimenti in sviluppo e manutenzione, i flussi liberi sono tali da far luccicare gli occhioni ad una classe politica dove convergono cleptocrati e soggetti alla costante ricerca di qualcosa da “redistribuire”, per comandamento supremo della loro religione.
Niente di meglio delle autostrade, quindi, per disporre di un “tesoretto” o meglio di un “tesorone”. Una distesa oceanica di liquidità a cui “attingere”, per dissetare il popolo disidratato. Lo vedete, lo schema? Flussi di cassa devoluti con voluttà a spesa pubblica, meglio se corrente. E magari anche a sussidio incrociato di qualche imprescindibile “attività strategica” per il nostro paese, come Alitalia o Ilva. E la cassa integrazione per omnia derogae saeculorum. E volete mettere, affacciarsi al balcone o su Facebook l’ultimo dell’anno, e proclamare: “Italiani! Abbiamo abolito la povertà! Da domani niente aumenti dei pedaggi!”
 Ecco perché ASPI va obbligata a fare manutenzione sotto il controllo pubblico: altro che fuggire incassando  9 oppure 23 miliardi. Tagliare le zanne  sia ai privati ma nemmeno lasciare nella mani dei politici una fonte che – di sicuro- alla fine  farebbe fare a queste infrastrutture la stessa fine cui stanno  piano piano arrivando in mano all’ASPI-Atlantia.




INQUINAMENTO: PASSATE LE FESTE GABBATO IL CITTADINO

Tutti fermi e tutti zitti a dicembre perché c'erano di mezzo gli interessi dei bottegai cittadini e dei centri commerciali e quindi mai nessuno amministratore che abbia pensato di adottare qualche limitazione dell'abuso dei mezzi privati maggiormente inquinanti nonostante che il clima di quel mese ma anche del precedente sia stato pressoché uniforme: soleggiato, arieggiamento modesto, poca pioggia, temperature eccezionalmente elevate, fioriture nei boschi ed anche in qualche giardino decisamente anticipate .
Tanto per dire sempre male di qualcuno: la sindaca Gamba di Curno il 4 dicembre ha emesso l'ordinanza di cinque pagine cinque contro quei “sozzoni” di concittadini che non mantengono bello il paese per farlo piacere alle madamine che vanno a far la spesa in visone fatto rifatto strafatto dieci volte alla Esselunga col Trasporto Amico. Non contenta l'ha reiterata il 20 dicembre.
Niente da dire sull'inquinamento anzi: foto della giunta che inaugura l'ampliamento del centro commerciale.
Stessa situazione anche nel centro città dove si poteva parcheggiare nei festivi a prezzo scontato altrimenti i bottegai cittadini avrebbero fatto la pelle al sindaco. L'hanno solo posticipata alle prossime elezioni.
Finite le feste ecco scodellata la verità che, naso e raffreddori a parte, la sentivamo e la vedevano tutti ma OVVIAMENTE in città la situazione è SICURAMENTE migliore che in periferia.
Potenza della coppia Gori& Angeloni, dei bus elettrici supportarti alla ruota panoramica. Anzi: noi pensiamo che PROPRIO  alla presenza della ruota panoramica in centro vada il merito di avere garantito alla città valori di PM10 inferiori che nei sobborghi: si sa che le ruote girando fanno appunto… aria.
Nel frattempo l'assessora Marchesi (una che non è mica nata ieri) ai giardini aveva avvisato : il Comune di Bergamo si appresta nel 2020 alla piantumazione di ben 1425 alberi in città. Si tratta di un intervento di grande importanza, che vedrà l'Amministrazione scegliere con attenzione gli spazi dove aggiungere alberi a Bergamo: completare filari verdi lungo i viali urbani, ampliare la dotazione botanica nei parchi, realizzare delle “barriere” verdi lungo le circonvallazioni, sono solo alcune delle soluzioni che sono state pensate dall'Assessorato al verde pubblico della città.

Alberi di una certa dimensione: tutte le piante che saranno messe a dimora avranno infatti una circonferenza tra i 18 e i 20 cm, per un valore dell'intervento di 350mila euro.
Peccato che questa santa donna pensi sempre a far del nuovo e non pensi mai all'antico ed al vecchio abbandonati: sia quello pubblico che quelli privati. Coi quali (privati) semmai andrebbe trovato un qualche accordo intelligente visto che anche il verde privato contribuisce al bene-stare e bene-essere dei cittadini. “La piantumazione di un così importante numero di alberi in città – commenta l'Assessore Marzia Marchesi – ha molteplici obiettivi: il controllo del clima, il miglioramento della salute dei cittadini, la prevenzione del dissesto idrogeologico, ma anche e soprattutto il mitigamento della CO2 in città, oltre a una innegabile funzione estetica. Il provvedimento di 1400 alberi è solo un inizio: altre scelte di questo genere saranno previste lungo l'arco dell’anno prossimo.”
Intanto  i cittadini si sentono presi per i fondelli: quando c'è da spendere  nei centri e nelle botteghe via libera al traffico. Quando debbono andare a lavorare, ecco le restrizioni. E che si muovano a cambiare macchina numerosi – a dicembre il mercato ha fatto il botto del +12,5% ma nell'anno solo uno +0,3%.