A GUARDARE ALLE COLLINE PAGINA 1133 DEL 22 NOVEMBRE 2019
























































Di cosa parliamo in questa pagina.



















SALVINI & DIMAIO GIOCANO COL MES E L’ART.96
DELLA LEGGE DI BILANCIO PER FAR CRESCERE
LO SPREAD E SPAVENTARE I CITTADINI
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La sparata della coppia infame  SalviMaio riedito sul MES ha mirato e mira a mettere in allarme i mercati e quindi a fare salire lo spread che già si è mosso sia pure –per adesso- per ragioni esterne alle vicende ed all’economia nazionale. Se la reazione del governo giallo verde non fosse più che certa e stabile e unanime -DiMaio s’è sfilato salvo  fare marcia indietro senza confessarlo e chiedere scusa-  era probabile che lo spread sarebbe arrivato a quota 200, mettendo in seria crisi  il governo con la Legge di Stabilità in fieri.
In parallelo è  stata gettata in pasto ai media la notizia che dall’anno prossimo gli enti locali svuoteranno i conti correnti, pensioni e salari di chi non ha pagato multe stradali e tasse locali. Visto che nel BelPaese  assieme ai 200 miliardi di evasione elusione  ci sono 19 liardi di tributi agli enti locali non pagati,  di cittadini e imprese hanno qualche cartella non onorata alle spalle, stando alle statistiche: salvo che poi fanno tutti la voce grossa sul… contrario.
Insomma siamo di fronte ad una coppia di nuovi “fronti” della battaglia politica e adesso si vedrà come reagisce il governo giallo rosso. Che di testicoli ne annoverano parecchi pure i rossi.

IL BUON GIORGETTI OGNI TANTO RIAPPARE
LA PROPOSTA ELETTORALE DI A GUARDARE ALLE COLLINE
Cominciamo coloratisismi Graffi di Francesco D’Amato. Sia pure molto fuori stagione rispetto alla Pasqua ma forse spinti dal continuo aggravamento delle condizioni della maggioranza giallorossa  -tra Venezia che affonda, Taranto che si vede spegnere gli altiforni dai gestori indiani passati almeno in questo dalla parte dei magistrati impegnati da tempo sullo stesso percorso, i mercati che tornano ad essere dubbiosi sull’Italia, se mai avevano davvero smesso di esserlo, il Pd tentato dalla rottura e Beppe Grillo sempre più sconcertato e silenzioso di fronte al “marasma” del suo movimento raccontato ormai anche dal quotidiano al quale lui affida ogni tanto le sue ispirazioni giornalistiche – al Corriere della Sera hanno pensato di fare risorgere il vice segretario leghista ed ex sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti. Del quale non più tardi di martedì scorso avevano sepolto a pagina 10 nel “gelo” attribuito a Matteo Salvini la proposta di un “tavolo” o di una maggioranza “costituente” per realizzare una serie di riforme necessarie a garantire un minimo di governabilità a questo Paese sfinito da una lunghissima crisi di sistema. La proposta del buon Giorgetti è stata riesumata a pagina 13, ancora più avanti della pagina 10, da Francesco Verderami ma questa volta con l’onore, la dignità e quant’altro di un richiamo in prima composto e titolato senza spirito liquidatorio, tradotto in una “mossa per non governare sulle macerie”, chiunque dovesse riuscire a vincere le elezioni, quando riusciremo a tornarvi, ottenere dal capo dello Stato le chiavi di Palazzo Chigi e strappare la fiducia delle Camere.
Oggi 22 novembre Marco Cremonesi sul Corriere torna a intervistare il Giorgetti e si legge che in ordine alla legge elettorale il mattarellum ha dimostrato di funzionare. Ovvio visto che il centrodestra potrebbe aspirare col 40% dei voti ad avere ¾ dei parlamentari. Una presa per i fondelli ad ogni  ragionamento.
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le immagini sottostanti possono essere abbastanza grandi: pazienza!
















































SALENDO AL LINZONE
DALLA RONCOLA






































































































































































































SALVINI & DIMAIO GIOCANO COL MES E L’ART.96
DELLA LEGGE DI BILANCIO PER FAR CRESCERE
LO SPREAD E SPAVENTARE I CITTADINI

All’Assemblea dell’ANCI (Associazione Nazionale Comuni Italiani) ad Arezzo dei giorni scorsi dove è stato rieletto presidente il sindaco di Bari il piddino Antonio Decaro si sono rimandate alla prossima riunione con i sindaci del 27 novembre a Palazzo Chigi due questioni molto importanti, come il fondo sui crediti di dubbia esigibilità e la partita delle semplificazioni. Il PdC  Conte ha anche accennato alla riforma del Tuel su cui ha chiesto “di condividere eventuali proposte” e alla partita dei segretari comunali.  Nei prossimi giorni (forse) leggeremo qualcosa (sui giornali nazionali) del sentiment dei sindaci ma dopo l’esperienza subita (male, in danno) dai comuni col fiscal compact (ormai abolito) , il caos introdotto  con le varie leggi sui lavori pubblici (dove la semplificazione introdotta è stata applicata al contrario dalla stragrande maggioranza dei dirigenti dei comuni) il problema della presenza  nei bilanci dei “crediti di dubbia esigibilià” viene letta in maniera opposta dallo stato centrale rispetto agli enti locali. Questi crediti comprendono le multe la tari la tasi l’imu  le rate dei condoni e  moltissimi altri tributi locali che cittadini e imprese non hanno pagato a tempo debito agli enti locali. Ci sarebbero in ballo 19 miliardi di euro  (di crediti degli enti locali.
In merito tira sostanzialmente quest’aria: i comuni non si lamentino dei tagli o delle poche risorse che lo Stato Regioni e Province trasferiscono loro ma si diano da fare per riscuotere dai loro cittadini evasori ed elusori questi crediti. Oggi i Comuni che vorrebbero riscuotere una multa non pagata dovrebbero fare una causa civile che potrebbe durare fino al terzo grado di giudizio e magari nel frattempo il soggetto muore, resta senza soldi e beni e al comune restano i danni e la beffa.
Per esempio ci sono enti locali che non pagano altri enti locali: i comuni “dovrebbero” ricevere i rimborsi dei servizi prestati ai disabili  dopo la scuola dell’obbligo ma prima le province e poi le regioni non hanno più pagato o pagano a spizzichi e bocconi.
Poi è arrivato l’articolo 96 della Riforma della riscossione enti locali  e da li è venuta a galla la questione. La fake news nasce da un copia e incolla dell’articolo di apertura de Il Giorno, che titola Occhio alle multe, pignoramenti veloci e parla di “una nuova grana inserita sottotraccia nella legge di Bilancio che rischia di esplodere”. In realtà però la novità è contenuta nella legge di Bilancio, fin dalla bollinatura arrivata a fine ottobre, dove c’è un articolo ad hoc (il 96 appunto).

Salvini e l’intero centrodestra hanno avuto buon gioco nel passare alla stampa l’idea che gli enti locali potranno rivalersi direttamente sui soldi dei debitori attingendo svuotando i loro conti, salari stipendi pensioni.
Evidente come questa soffiata diventi esplosiva  nel momento in cui è in corso sia l’approvazione della legge di Stabilità e sono all’orizzonte importanti scadenze elettorali regionali.
Il leader della Lega Matteo Salvini si manifesta esterrefatto:  "Se entrano nel tuo conto corrente per pignorare, secondo me siamo all'Unione sovietica fiscale, lo stato di polizia fiscale". Dimenticando che già oggi succede. E che lo stesso viceministro leghista all'Economia Massimo Garavaglia nel governo Conte 1 sponsorizzava la riforma della riscossione degli enti locali, visto che il non riscosso degli enti locali è pari a 19 miliardi. Riforma portata avanti dalla sua collega, riconfermata viceministra all'Economia nel Conte 2, la pentastellata Laura Castelli.

Sempre di queste ore la polemica innescata da DiMaio sul “Mes”.Da settimane sui social spopola l’hashtag #StopMes e molti accusano il Governo di aver firmato una riforma segreta del meccanismo europeo di stabilità che ruberà i soldi agli italiani. Ma la firma non c’è ancora stata e il Parlamento può bloccarla. «Pare che nei mesi passati Conte abbia firmato di nascosto, magari di notte, un accordo in Europa per trasformare il Fondo Salva Stati in fondo ammazza Stati» ha accusato Matteo Salvini su Facebook. Il segretario della Lega e la leader di Fratelli d’Italia Giorgia Meloni hanno chiesto a Conte di riferire in aula per difendersi dall’accusa di Alto Tradimento.
Primo, la riforma non è stata ancora approvata.
La firma è prevista per il Consiglio europeo di dicembre, ma dovrà essere ratificata dai 19 Parlamenti nazionali dei Paesi con l’Euro. Secondo, lo scorso 19 giugno Conte ha informato la Camera sullo stato dei lavori e ha accettato una risoluzione in cui si impegnava a dare l’ok su un pacchetto completo di riforme che oltre al Mes comprendesse lo Schema europeo di garanzia sui depositi (Edis) e il budget dell’area Euro. E soprattutto non penalizzasse l’Italia. «Non si proceda con singole approvazioni o singoli approfondimenti senza procedere unitariamente» aveva spiegato in azzeccagarbugliese Conte.
Già, a giugno, quando Matteo Salvini era vicepresidente del Consiglio e governava con il Movimento Cinque Stelle. Perché la Lega non ha denunciato la riforma a quel tempo? Non solo. Secondo il MeF prima che scoppiasse il caso mediatico, il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri aveva chiesto il 7 novembre al presidente della Commissione Finanze Alberto Bagnai di essere ascoltato sulla riforma. Sarà sentito il 27 novembre.
Una più puntale descrizione del problema la trovate qui: https://www.linkiesta.it/it/article/2019/11/20/mes-riforma-conte-parlamento-salvini/44433/ .
Ed anche  questo: https://www.lavoce.info/archives/54036/nuove-clausole-per-le-crisi-del-debito-si-rischia-il-circolo-vizioso/.
Salvini era partito lancia in resta e subito dopo la scimmietta avellinese si è aggregata al coro: Luigi Di Maio si è subito schierato con i suoi deputati e oggi ha detto al Corriere della Sera che «una riforma del MES che stritola l’Italia non è accettabile».
Gli attacchi di Salvini e Di Maio al PdC Conte sono arrivati in maniera abbastanza inaspettata, non solo perché in questo momento non ci sono novità particolari su questo fronte, ma anche poiché è la prima volta che i due leader politici – prima avversari, poi alleati, oggi di nuovo avversari – criticano una riforma con cui hanno avuto a che fare sin dall’inizio del suo percorso, nel giugno del 2018. I principi su cui si basa il testo in discussione, per esempio, sono stati approvati dai capi di governo europei, Conte compreso, nel dicembre 2018, quando Salvini e Di Maio erano in maggioranza, mentre i dettagli sono stati approvati a giugno 2019 dai ministri dell’Economia dell’eurozona (sempre con Salvini e Di Maio alleati).
Ma cosa spaventa le banche del MES? Le banche sono in possesso di 400 miliardi in titoli e un taglio comporterebbe ovvie penalizzazioni. Accusano il governo di averle tenute fuori dalla discussione, che per la verità si è svolta a Bruxelles (dove l’Abi ha un ufficio) in sedute non segrete. La stessa Abi comunque si è detta tranquillizzata dalle precisazioni di Gualtieri.
Debolezza tanto più evidente quando si parla di riforme, come il Mes, in cui il convitato di pietra è il nostro debito pubblico: immenso e sotto la spada di Damocle di una possibile ristrutturazione, totale o parziale, come pre-requisito per accedere eventualmente ai benefici del fondo, in caso di necessità.

La novità è l’euroscetticis- mo di ritorno del M5S. È il ministro degli Esteri Luigi Di Maio che dice al Corriere di non volere altri «colpi bassi» da Bruxelles contro l’Italia, smentendo di fatto Conte. Provenendo dalla formazione maggiore dell’esecutivo, si tratta di un segnale non da poco. L’aspetto positivo attribuito alla coalizione tra M5S e Pd, nata in modo rocambolesco dopo la crisi agostana provocata da Salvini, è il riaggancio con l’Ue.
La ricomposizione è stata certificata quando i grillini a Strasburgo hanno contribuito all’elezione della presidente della Commissione, Ursula von der Leyen; e con la scelta dell’ex premier del Pd, Paolo Gentiloni, come commissario europeo agli Affari economici.

Conte é stretto tra due fuochi: quello di Bruxelles - era stato lui con l’allora ministro Giovanni Tria a lavorare alla trattativa sul Mes - e quello interno, sempre più incandescente. Non cita Salvini, ma è a lui che si riferisce partecipando ad Arezzo all’assemblea Anci e sottolineando come «da marzo a giugno 2019 abbiamo avuto quattro incontri con i massimi esponenti della Lega, in cui abbiamo affrontato tutti i risvolti. Oggi - dice - la stessa persona e lo stesso partito, scopre l’esistenza del Mes e grida allo scandalo. Quando si partecipa ai tavoli a propria insaputa e poi si disconosce quanto deciso, si assume un atteggiamento irresponsabile ». E Salvini, a stretto giro: «Il signor Conte è bugiardo o smemorato. A quei tavoli abbiamo sempre detto di no al Mes». La partita è tutt’altro che chiusa.

La mossa della coppia SalviMaio va inquadrata non tanto osservando il dettaglio ma inserendola nella situazione nazionale. Appare evidente come da un lato ci sia un Salvini che ha mollato il governo immaginando una strada in discesa verso la presidenza del consiglio e dall’altro lato DiMaio si stia ancora mangiando le unghie per avere rifiutato la promessa salviniana di fargli fare il PdC.
Salvini adesso si trova davanti al serio problema che se perde le elezioni in Romagna la sua storia comincerà a ruotare al contrario  e i suoi possibili alleati gliene faranno una colpa non proprio di quelle leggere. DiMaio ormai si rende conto che la   bugia del non presentarsi alle elezioni regionali fingendo una verginità anche rispetto al PD la bevono solo i suoi scagnozzi (forse neanche la metà dei  parlamentari 5S) che lo sopportano soltanto per tirare a riscuotere il più a lungo possibile la prebenda parlamentare.
Del resto anche Salvini ha dentro la Lega una figura molto solida e ingombrante: Giorgetti che -quand’anche la Lega vincesse le prossime elezioni politiche anticipate- sarebbe il candidato PdC. Non certo Salvini che l’ha subito stoppato quando il Giorgetti se ne è uscito col “proporre un «tavolo» alla maggioranza sui nodi più intricati del Paese” perché «qui tutti fanno i fenomeni e nessuno si occupa del sistema nazionale», ha spiegato: «La Fiat se n’è andata. whirlpool se ne va. ArcelorMittal sta per farlo. Le imprese italiane ormai faticano persino a esportare. La grande finanza internazionale sembra volerci mollare. Lo spread sta risalendo. Fra tre mesi vanno in scadenza miliardi di obbligazioni delle più grandi aziende di Stato, e non oso pensare cosa accadrebbe se quelle obbligazioni non venissero rinnovate. Insomma, qui viene giù tutto», e il rischio in prospettiva è di vincere le elezioni mentre nel frattempo si è perso il Paese. Fine della citazione.
Salvini è anche a corto di cartucce da sparare sia sulla Legge di Stabilità che sull’immigrazione  e quindi ecco le due trovate “geniali” che mirano a fare molto male agli italiani e soprattutto  cercano di mettere in crisi il governo.

La sparata della coppia infame  SalviMaio riedito sul MES ha mirato e mira a mettere in allarme i mercati e quindi a fare salire lo spread che già si è mosso sia pure –per adesso- per ragioni esterne alle vicende ed all’economia nazionale. Se la reazione del governo giallo verde non fosse più che certa e stabile e unanime -DiMaio s’è sfilato salvo  fare marcia indietro senza confessarlo e chiedere scusa-  era probabile che lo spread sarebbe arrivato a quota 200, mettendo in seria crisi  il governo con la Legge di Stabilità in fieri.
In parallelo è  stata gettata in pasto ai media la notizia che dall’anno prossimo gli enti locali svuoteranno i conti correnti, pensioni e salari di chi non ha pagato multe stradali e tasse locali. Visto che nel BelPaese  assieme ai 200 miliardi di evasione elusione  ci sono 19 liardi di tributi agli enti locali non pagati,  di cittadini e imprese hanno qualche cartella non onorata alle spalle, stando alle statistiche: salvo che poi fanno tutti la voce grossa sul… contrario.

Insomma siamo di fronte ad una coppia di nuovi “fronti” della battaglia politica e adesso si vedrà come reagisce il governo giallo rosso. Che di testicoli ne annoverano parecchi pure i rossi.


IL BUON GIORGETTI OGNI TANTO RIAPPARE



Cominciamo coloratisismi Graffi di Francesco D’Amato. Sia pure molto fuori stagione rispetto alla Pasqua ma forse spinti dal continuo aggravamento delle condizioni della maggioranza giallorossa  -tra Venezia che affonda, Taranto che si vede spegnere gli altiforni dai gestori indiani passati almeno in questo dalla parte dei magistrati impegnati da tempo sullo stesso percorso, i mercati che tornano ad essere dubbiosi sull’Italia, se mai avevano davvero smesso di esserlo, il Pd tentato dalla rottura e Beppe Grillo sempre più sconcertato e silenzioso di fronte al “marasma” del suo movimento raccontato ormai anche dal quotidiano al quale lui affida ogni tanto le sue ispirazioni giornalistiche – al Corriere della Sera hanno pensato di fare risorgere il vice segretario leghista ed ex sottosegretario a Palazzo Chigi Giancarlo Giorgetti. Del quale non più tardi di martedì scorso avevano sepolto a pagina 10 nel “gelo” attribuito a Matteo Salvini la proposta di un “tavolo” o di una maggioranza “costituente” per realizzare una serie di riforme necessarie a garantire un minimo di governabilità a questo Paese sfinito da una lunghissima crisi di sistema. La proposta del buon Giorgetti è stata riesumata a pagina 13, ancora più avanti della pagina 10, da Francesco Verderami ma questa volta con l’onore, la dignità e quant’altro di un richiamo in prima composto e titolato senza spirito liquidatorio, tradotto in una “mossa per non governare sulle macerie”, chiunque dovesse riuscire a vincere le elezioni, quando riusciremo a tornarvi, ottenere dal capo dello Stato le chiavi di Palazzo Chigi e strappare la fiducia delle Camere.
Oggi 22 novembre Marco Cremonesi sul Corriere torna a intervistare il Giorgetti e si legge che in ordine alla legge elettorale il mattarellum ha dimostrato di funzionare. Ovvio visto che il centrodestra potrebbe aspirare col 40% dei voti ad avere ¾ dei parlamentari. Una presa per i fondelli ad ogni  ragionamento.
Della prima intervista di Giorgetti e delle sua proposte ne ha parlato anche Beniamino Caravita  professore ordinario di diritto pubblico alla Sapienza che ha concluso: “la scelta di riforme organiche e onnicomprensive della legge elettorale e della riforma costituzionale è stata bocciata due volte dagli italiani. Quella delle cd. riforme puntuali ha partorito il mostriciattolo di una demagogica e incoerente riduzione del numero dei parlamentari. Siamo sicuri che non c’è una strada intermedia? E, soprattutto, siamo sicuri che la proposta lanciata da Giorgetti di un “tavolo per le riforme”, per quanto appaia politicamente “irrealistica” (ma di realismo si può morire...), non debba essere approfondita con più attenzione? E ciò nell’interesse comune a non trovarsi a governare un Paese di cui Taranto e Venezia sembrano essere la drammatica rappresentazione”.

In tutto questo chiacchierare di riforma della legge elettorale (e di una riforma costituzionale) manca sempre il vero soggetto da rispettare: l’elettore. Elettore cui va data VERA possibilità di essere rappresentato, di potestà di scelta, di rispetto per i cinque anni della legislatura delle scelte fatte. E il primo rispetto della classe politica verso l’elettore dovrebbe essere quello di non fare una dozzina di leggi elettorali in setta anni di repubblica salvo prometterne una nuova ad ogni nuovo governo.

Ecco pertanto la nostra idea. Alle elezioni politiche del  94 marzo 2018 potevano votare  46,5 milioni di elettori ed hanno invece votato solo 33,9 milioni.
Noi pensiamo a una sistema elettorale perfettamente proporzionale che elegga un deputato ogni 100mila voti validi raccolti in tutti i collegi d’Italia. Sistema perfettamente proporzionale ed eventualmente anche a doppio turno. Il parlamento, formato quindi da una sola camera, poteva essere formato potenzialmente da 465 componenti mentre in realtà ne avrebbe visto eletti solo 340. In questo modo la decisione  sul numero dei componenti il parlamento resta nelle mani degli elettori. Votano tutti gli italiani che hanno compiuto 18 anni com’è adesso per la Camera.
Con questo sistema un governo poteva avere la maggioranza solo se disponeva di 171 deputati che sarebbero appartenuti al partito o alla coalizione –dichiarata quest’ultima prima della tornata elettorale- che avessero raggiunto appunto 171 eletti.
Possono però accadere combinazioni differenti e quindi per dare stabilità ad un esecutivo che abbia una dote di consensi sensatamente maggioritaria, se un partito o una  coalizione raggiungono alla prima tornata elettorale il 40%+1 dei voti validi disporranno di 175 eletti (tra quelli che hanno raggiunto  i numeri più elevati) e i rimanenti saranno scelti nei rimanenti 340-175=165.
Nel caso che nessun partito o coalizione raggiunga alla prima tornata elettorale il 40%+1 dei voti  la domenica successiva si celebra il secondo turno tra le due formazioni (partiti o coalizioni) che hanno ottenuto maggiori consensi al primo turno. In questa situazione, anche per incentivare la partecipazione  al voto anche di quelli che hanno votato diversamente al primo turno, il parlamento sarà formato  sempre da 165 componenti di minoranza e 175 componenti assegnati al partito o coalizione uscito vincitore alla seconda tornata. La maggioranza che si forma in questo modo non chiede la votazione di fiducia alla camera essendo titolata dall’elettorato.
Assieme alla legge elettorale vanno però modificate anche alcune regole  coerenti con la stessa. Il governo  per restare in carica DEVE avere la maggioranza SOLO per alcune votazioni fondamentali: il DEF, la Legge di Stabilità, il Bilancio Consuntivo, la dichiarazione di guerra o l’invio di truppe all’estero, il piano energetico e industriale nazionale (che vanno votati e aggiornati ogni anno entro 90 giorni dalla Legge di Stabilità), il recepimento delle leggi UE e internazionali. Per tutto il resto le leggi sono votate con la sola maggioranza dei votanti ed è esclusa la possibilità di legiferare attinente su temi etici.
Non è consentito agli eletti di cambiare partito (non esiste un gruppo misto) e in tal caso perdono il seggio  e vengono sostituiti dal primo più votato del suo partito. Nell’assemblea dei capigruppo però le  votazioni tengono conto del peso politico reale guadagnato da ciascun gruppo. Nelle commissioni possono essere immessi anche dei non eletti scelti comunque tra quelli più votati in ordine numerico
Siccome le elezioni si tengono ogni cinque anni poichè questo è l’impegno assunto dai vari candidati coi propri elettori se la maggioranza in carica durante una delle nove votazioni fondamentali finisce in minoranza, se entro due settimane ci sono partiti o coalizioni che vanno dal presidente della repubblica per presentare un nuovo governo, il relativo programma e una maggioranza coerente, la composizione del parlamento cambia assegnando a questo partito o coalizione la maggioranza dei 175 seggi. In questo caso la nuova coalizione di maggioranza va in parlamento e chiede il voto di fiducia sul programma.