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GENIALATA DI VIVERE INSIEME
UNO STABILIMENTO IN MEZZO AL CENTRO COMMERCIALE
DI MAGGIORE AMPIEZZA DELLA PROVINCIA
Le varie maggioranze –DC, PSI, LEGA, FI, MSI, CSX, CSX travestito- che
hanno governato “il paese bello da vivere” nel dopoguerra sono riuscite
a fare scappare la Bossong, la TESMEC, la Mediaworld, la Cartemani
e l'Auchan oltre che a beccarsi una condanna da una delle lottizzante
nel comparto commerciale di via Fermi costata 570mila euro al Comune.
Naturalmente non hanno ancora chiesto la restituzione del danno e
collegato ai consiglieri –dc psi pci- che votarono quella delibera.
Senza dimenticare l'astio nemmeno troppo sottinteso della c.d.
“sinistra travestita” verso la FreniBrembo fin dal primo ampliamento
quando il comune era ancora commissariato fino all'ultimo ampliamento.
Stai li e non mettere il naso fuori.
Adesso nel quadrilatero che da via Curnasco arriva fino alla
Dalmine/Alme e tra l'Asse Interurbano e le vie Fermi-Europa capita che
la LOSMA – che è un'impresa industriale e non è certo luna
simil-Mittal- abbia deciso di ampliarsi dopo avere comprato il terreno
a sud del primo insediamento.
Che cosa ci faccia uno stabilimento nel bel mezzo di un mega
insediamento commerciale –sarebbe il primo polo commerciale della
provincia come superficie- è una domanda che la maggioranza e le
minoranze non si sono nemmeno poste dal momento che risultando
impossibile con le aziende ben testicolate ogni rapporto di scambio
politica-assunzioni, meglio far finta di niente e ca***i loro. Infatti
da Curno se ne sono via via andate le aziende migliori e per adesso c'è
rimasta la FreniBrembo.
(...)
L'ERRORE DELLA SIDERURGIA A TARANTO
ArcelorMittal aveva due strade: conquistare
l'Ilva di Taranto oppure distruggerla. Ha scelto la seconda. Anche il
governo italiano aveva due strade: vendere il centro siderurgico di
Taranto a un nuovo imprenditore privato sperando di prolungarne la vita
oltre i suoi quasi sessant'anni, oppure programmare un futuro diverso
per questo pezzo di Mezzogiorno. Avrebbe dovuto ovviamente costruire un
diverso modello di sviluppo. Servivano idee. Così ha scelto la prima
strada e consegnato la più grande azienda siderurgica italiana a chi
ora minaccia di chiuderla. Un colpo da maestro.
Comunque finisca, ArcelorMittal otterrà un risultato importante:
eliminato un concorrente, ne intascherà i clienti, rafforzerà il suo
primato di principale produttore mondiale di acciaio. Invece lo Stato
italiano si ritroverà tra le mani un disastro. Se la fabbrica chiude,
il governo Conte incasserà l'esatto contrario di quel che voleva: non
avrà l'acciaio così indispensabile all'industria italiana, rinuncerà a
1,4 punti di Pil e dovrà fare fronte a una drammatica emergenza, 10.700
metalmeccanici senza lavoro (8.200 a Taranto) e, solo in Puglia, un
indotto da 5.000 unità tramortito dall'assenza di alternative alla
siderurgia. Senza contare i costi per affrontare la bonifica di
Taranto, ammesso che si farà.
C'è una terza strada, in teoria: un accordo tra le parti, benché sembri
ogni giorno più improbabile. Ovviamente vedrebbe ArcelorMittal in una
posizione di forza e l'Italia costretta a una resa pressoché assoluta.
Dopotutto, chi potrebbe gestire le acciaierie di Taranto? E dov'è
l'alternativa industriale? Perciò, se non lascia Taranto, ArcelorMittal
darà le carte: taglierà, ridimensionerà, insomma farà quello che gli
pare. Non sarebbe la prima volta.
(...)
AH!? LA RUOTA PANORAMICA!
La ruota panoramica che metterà finalmente la città di Bergamo nel
novero delle città di livello internazionale sorgerà metro più metro
meno dove sorgeva il monumento alla Bergamo fascista che fu demolito
all'indomani della seconda guerra mondiale. Inaugurato il 28 Ottobre
1939 (anniversario della marcia su Roma) il "monumento ai martiri della
rivoluzione fascista" era un'opera che constava di un podio di due
stele. Il podio recava un lungo bassorilievo –eseguito dalla scultore
soresinese Leone Lodi- suddiviso in quattro parti. La prima narrava
l'intervento e la guerra '15-'18; la seconda la fondazione dei fasci e
il discorso di Dalmine di Mussolini del 19 Marzo 1919; la terza celebra
la vittoria dello squadrismo e la marcia su Roma; la quarta la
conquista dell'impero e il trionfo della civiltà fascista. Altro che
Gori. La grande stele quadrata (verso il viale Roma) a lato del podio
porta incisa una delle più significative frasi del discorso di
Mussolini della fondazione dell'impero(!). L' opera realizzata in marmo
su progetto dell'architetto Alziro Bergonzo e le sculture sono eseguite
da Leone Lodi. Autori tra l'altro della fontana-bomboniera davanti ai
propilei di Porta Nuova e della torre dell'autostrada.
(...)
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L'ERRORE DELLA SIDERURGIA A TARANTO
ArcelorMittal aveva due strade: conquistare
l'Ilva di Taranto oppure distruggerla. Ha scelto la seconda. Anche il
governo italiano aveva due strade: vendere il centro siderurgico di
Taranto a un nuovo imprenditore privato sperando di prolungarne la vita
oltre i suoi quasi sessant'anni, oppure programmare un futuro diverso
per questo pezzo di Mezzogiorno. Avrebbe dovuto ovviamente costruire un
diverso modello di sviluppo. Servivano idee. Così ha scelto la prima
strada e consegnato la più grande azienda siderurgica italiana a chi
ora minaccia di chiuderla. Un colpo da maestro.
Comunque finisca, ArcelorMittal otterrà un risultato importante:
eliminato un concorrente, ne intascherà i clienti, rafforzerà il suo
primato di principale produttore mondiale di acciaio. Invece lo Stato
italiano si ritroverà tra le mani un disastro. Se la fabbrica chiude,
il governo Conte incasserà l'esatto contrario di quel che voleva: non
avrà l'acciaio così indispensabile all'industria italiana, rinuncerà a
1,4 punti di Pil e dovrà fare fronte a una drammatica emergenza, 10.700
metalmeccanici senza lavoro (8.200 a Taranto) e, solo in Puglia, un
indotto da 5.000 unità tramortito dall'assenza di alternative alla
siderurgia. Senza contare i costi per affrontare la bonifica di
Taranto, ammesso che si farà.
C'è una terza strada, in teoria: un accordo tra le parti, benché sembri
ogni giorno più improbabile. Ovviamente vedrebbe ArcelorMittal in una
posizione di forza e l'Italia costretta a una resa pressoché assoluta.
Dopotutto, chi potrebbe gestire le acciaierie di Taranto? E dov'è
l'alternativa industriale? Perciò, se non lascia Taranto, ArcelorMittal
darà le carte: taglierà, ridimensionerà, insomma farà quello che gli
pare. Non sarebbe la prima volta.
Era difficile realizzare un simile capolavoro, ma cinque governi di
fila hanno deciso di risolvere il problema dell'acciaio (quindi anche
il problema inquinamento dovuto alla produzione di acciaio)
semplicemente rinviandolo, cioè trasferendo un bel carico di dinamite
al governo successivo, come se la dinamite non dovesse mai esplodere.
Abbiamo visto il risultato. Siamo all'ultimo atto di questa pazzesca
roulette russa.
La famiglia Mittal è fatta così. Fa affari e adotta pratiche
sbrigative. Nel 2006 ingoiò la francese Arcelor scalandola in Borsa con
una offerta pubblica di acquisto, nel 2013 ci mise un nulla, in Lorena,
a chiudere l'area a caldo dello stabilimento di Florange attirandosi le
critiche feroci della politica. Dal governo Hollande arrivarono
attacchi per “il non rispetto per gli impegni, i ricatti e le minacce”,
più o meno le stesse parole che ascoltiamo in questi giorni dal governo
italiano. Poi, ad area a caldo chiusa, si trovò un accordo.
Certo Florange era un affare da un migliaio di posti di lavoro.
Taranto è cosa diversa. Emilio Riva, quando vi arrivò nel 1995, mise in
chiaro, come primo proprietario privato dell'azienda, che la fabbrica
aveva un senso con questo layout, cioè con questa conformazione: ciclo
integrale, area a caldo, altiforni.
Non a caso nel 2005, per motivi sanitari (troppi morti per tumore), fu
chiusa l'area a caldo di Genova Cornigliano, ma potenziata quella
tarantina, dieci volte più grande. A Taranto fu permesso ciò che in
Liguria era vietato. Le cose sarebbero cambiate nel 2012, data di avvio
dell'inchiesta giudiziaria per disastro ambientale che disarcionò Riva,
se più governi in successione non avessero prodotto i famosi 12 decreti
salva-Ilva. Non hanno risolto il problema, come si vede. Siamo fermi
sempre sulla stessa mattonella. Però la famiglia Mittal sta spegnendo
la fabbrica. Ha capito in ritardo che gestire le acciaierie di Taranto
è un suicidio e preferisce sloggiare? Vuole mettere il governo con le
spalle al muro? Non fa differenza. In ogni caso vincerà, in ogni caso
si porterà a casa i clienti dell'Ilva, sia che resti a governarla, sia
che la neutralizzi andando via.
Questa è, ovviamente, la fine del discorso. Ma l'errore è probabilmente
alla radice. E' bizzarra l'idea di conservare intatto uno stabilimento
siderurgico nato negli anni Sessanta su un modello sostanzialmente
ottocentesco, cioè un'azienda grande 15 chilometri quadrati, attaccata
alla città con le sue duecento e passa ciminiere, basata sul ciclo
integrale in un Paese privo di materie prime. Risulta singolare perfino
a un occhio inesperto, purtroppo non a governi che dovrebbero avere lo
sguardo lungo e ce l'hanno solitamente cortissimo, diciamo fino alla
prossima campagna elettorale.
Una fabbrica-città come l'Ilva sarebbe difficile da progettare oggi e
poteva realizzarla solo, nel secondo dopoguerra, la portentosa macchina
delle Partecipazioni Statali. Antonio Gozzi, ex presidente di
Federacciai, ha ricordato in una trasmissione radiofonica qualche
giorno fa che il management delle vecchie Partecipazioni Statali era di
prima qualità e ha servito la causa siderurgica in giro per l'Europa
anche dopo la fine dell'Iri. La sua onesta dichiarazione rende merito a
una classe di supertecnici rottamata dalle privatizzazioni e fa venire
in mente un'affermazione datata 2012. Disse Sergio Noce parlando
dell'Ilva di Taranto: «I costi energetici sono enormi, in Italia non
abbiamo le materie prime e ne servono trenta tonnellate per produrre
una tonnellata di acciaio. Uno stabilimento così si potrebbe costruire
lontanissimo dalla città, ma non lo farei in Italia. Ma no, non lo
farei neppure all'estero».
Noce è stato un manager delle Partecipazioni Statali, dirigente
dell'Italsider di Taranto negli anni Settanta e storico direttore dello
stabilimento nei primi anni Ottanta. Nessuno potrebbe irreggimentarlo
in una delle categorie in cui continuiamo a dividerci da anni. Buoni e
cattivi, ambientalisti e industrialisti, difensori della salute e
tutori del lavoro, più i soliti formidabili “illuministi” capaci
di dare lezioni a chiunque. Guardiamoci intorno, ecco come siamo
ridotti. La domanda atroce ora è questa: come può una classe politica
che ha combinato questo disastro riuscire a risolverlo? Purtroppo il
peggio deve ancora venire.
Tonio Attino
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GENIALATA DI VIVERE INSIEME
UNO STABILIMENTO IN MEZZO AL CENTRO COMMERCIALE
DI MAGGIORE AMPIEZZA DELLA PROVINCIA
Le varie maggioranze –DC, PSI, LEGA, FI, MSI, CSX, CSX travestito- che
hanno governato “il paese bello da vivere” nel dopoguerra sono riuscite
a fare scappare la Bossong, la TESMEC, la Mediaworld,
la Cartemani e l'Auchan oltre che a beccarsi una condanna da una
delle lottizzante nel comparto commerciale di via Fermi costata 570mila
euro al Comune. Naturalmente non hanno ancora chiesto la
restituzione del danno e collegato ai consiglieri –dc psi pci- che
votarono quella delibera. Senza dimenticare l'astio nemmeno troppo
sottinteso della c.d. “sinistra travestita” verso la FreniBrembo fin
dal primo ampliamento quando il comune era ancora commissariato fino
all'ultimo ampliamento. Stai li e non mettere il naso fuori.
Adesso nel quadrilatero che da via Curnasco arriva fino alla
Dalmine/Alme e tra l'Asse Interurbano e le vie Fermi-Europa capita che
la LOSMA – che è un'impresa industriale e non è certo luna
simil-Mittal- abbia deciso di ampliarsi dopo avere comprato il terreno
a sud del primo insediamento.
Che cosa ci faccia uno stabilimento nel bel mezzo di un mega
insediamento commerciale –sarebbe il primo polo commerciale della
provincia come superficie- è una domanda che la maggioranza e le
minoranze non si sono nemmeno poste dal momento che risultando
impossibile con le aziende ben testicolate ogni rapporto di scambio
politica-assunzioni, meglio far finta di niente e ca***i loro.
Infatti da Curno se ne sono via via andate le aziende migliori e
per adesso c'è rimasta la FreniBrembo.
Si tratti della DC, si tratti del PSI e del PCI, l'accordo infame per
cui il grande commercio NON poteva sorgere in città per evitare il
tracollo a destra della DC cittadina, conteneva –sottinteso nemmeno
troppo- l'idea che di industria a Curno non se ne dovesse parlare. Con
elegante nonchalance le si mettevano via via in croce e quelle
comprendevano che era meglio levare le tende e andare altrove. Il bello
(se si può definire bello) è che non è nemmeno finito il primo maxi
ampliamento del centro commerciale che doveva-voleva essere la chiave
di volta del piano TS1 che MediaWorld se n'è andata con la propria
sede. Dell'Auchan è ignoto il destino e forse si capirà qualcosa l'anno
prossimo. Probabile che sia ridotto, le varie specialità affittate a
singoli operatori: insomma una serie di grandi negozi privati dentro un
unico contenitore CONAD.
Insomma pare che il TS1 si stia muovendo in direzione del tutto
differente dalla fantasmagorica descrizione promessa dal trio Conti
(vicesindaco e deus ex machina dell'urbanistica curnese da trenta
cinque anni in qua) Serra Gamba. Smentita clamorosamente anche la
notizia data dall'ass. Conti che si sarebbe realizzato un parcheggio a
due piani davanti alla multisala: infatti l'hanno realizzato sul lato
opposto.
Il bello deve ancora venire perché è comparso sul sito web del comune
l' avviso pubblicazione del verbale della conferenza dei servizi
prot. 15017 del 17/10/2019 unitamente alla documentazione istruttoria
del progetto di variante urbanistica al vigente PGT dove viene
gentilmente precisato che (bontà loro) “eventuali osservazioni al
progetto, formulate da chiunque vi abbia interesse, dovranno essere
redatte per iscritto e presentate al protocollo del Comune di Curno
oppure inviate a mezzo di posta elettronica certificata all'indirizzo
(…)entro il giorno 9 dicembre 2019.
E' una pubblicazione obbligatoria per legge ed è un diritto di
cittadini e imprese di presentare delle osservazioni (non “eventuali”:
semplicemente tali e quali) ma c'è da stare certi che saranno tutte
respinte dal momento –parole dell'ass. Conti- la maggioranza ha
il suo programma e nessuno si permetta di fare osservazioni
tecniche o politiche.
Naturalmente cosa si può dire se un'impresa che è li insediata da quasi
mezzo secolo chiede di ampliarsi? Chi ha governato Curno non ha mai
avuto una attenzione a diversificare gli insediamenti tra industria e
commercio sposando la monocoltura del grande commercio. Il TS1 tra
pochi anni sarà un grande deserto di vetrine spente perché un Paese a
demografia negativa e crescita sottozero é un paese che distrugge
ricchezza privata e risparmi. I 5000mq del new-food che saranno aperti
a dicembre distruggeranno almeno il doppio di esercizi analoghi
mettendo sulla strada personale azzerando risparmi e
creando npl. Del resto abbiamo una maggioranza –Vivere Curno- che
rinunzia a perseguire "missioni strategiche", affidandosi alle
decisioni di chi controlla conoscenza e ricchezza, disinvestendo nelle
pubbliche amministrazioni e utilizzando il terzo settore per
esternalizzare servizi e sottopagare il lavoro; che ha fatto di
una infinita miriade di sussidi pubblici per ogni (pseudo) bisogno
manifestato dalle categorie sociali più aggressive una prassi
quotidiana che si può alimentare solo rincorrendo la riscossione di
oneri oneri oneri.
Solo un fame di oneri per pagare tre progetti per ogni opera e finanziare le proprie clientele elettorali.
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AH!? LA RUOTA PANORAMICA!
La ruota panoramica che metterà finalmente la città di Bergamo
nel novero delle città di livello internazionale sorgerà metro più
metro meno dove sorgeva il monumento alla Bergamo fascista che fu
demolito all'indomani della seconda guerra mondiale. Inaugurato il 28
Ottobre 1939 (anniversario della marcia su Roma) il "monumento ai
martiri della rivoluzione fascista" era un'opera che constava di un
podio di due stele. Il podio recava un lungo bassorilievo –eseguito
dalla scultore soresinese Leone Lodi- suddiviso in quattro parti. La
prima narrava l'intervento e la guerra '15-'18; la seconda la
fondazione dei fasci e il discorso di Dalmine di Mussolini del 19 Marzo
1919; la terza celebra la vittoria dello squadrismo e la marcia su
Roma; la quarta la conquista dell'impero e il trionfo della civiltà
fascista. Altro che Gori. La grande stele quadrata (verso il viale
Roma) a lato del podio porta incisa una delle più significative frasi
del discorso di Mussolini della fondazione dell'impero(!). L' opera
realizzata in marmo su progetto dell'architetto Alziro Bergonzo e le
sculture sono eseguite da Leone Lodi. Autori tra l'altro della
fontana-bomboniera davanti ai propilei di Porta Nuova e della torre
dell'autostrada.
Questa virata nazional popolare dell'amministrazione di Gori
vuole forse equilibrare l'eccessiva e ingombrante intellettualità del
Landscape Festival per non dire della prima nel cantiere del Donizetti
L'Ange di Nisida. Non senza dimenticare FORME che ha premiato un
gorgonzola americano fatto con latte canadese nella stagione dei dazi
trumpiani
oppure il Bergamo Street Food Festival o la grana del Parking Fara.
Finalmente la famigliole bergamasche che alloggiano nelle villette a
schiera col giardino OBI-style potranno farsi centinaia di selfies e
filmati che vedremo in rete. Le Guide Turistiche Bergamo potranno
condurre le plebi todesche e i nobili in visita ricordando quando
dietro il monumento ai martiri della rivoluzione fascista nelle aiuole
coltivavamo il frumento. Ecco, questa ruota panoramica, con panchette
popolari (7 euro) e cabine VIP, panchetta per disabili mi ricorda i
ne-fasti della rivoluzione fascista rieditata con le luci al led.
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