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ILVA&ALITALIA
PERDERNE SUBITO 5MILA
O MEGLIO10MILA DOMANI?
... a Genova lo Stato aveva tirato un bidone al privato schiacciandosi
vicendevolmente l'occhiolino poi lo Stato ha cambiato padrone ed è
arrivato il governo gialloverde che ha minacciato di togliergli le
autostrade. Chi non ricorda le minacce di DiMaio e Toninelli verso
Autostrade? Lo Stato s'è ripetuto a Taranto: prima ha venduto la
ciofeca facendo l'occhiolino dell'immunità penale al
neoacquirente e poi gliel'ha tolta, l'ha rimessa, l'ha ritolta. Ma
stavolta il privato non c'è cascato (del resto nemmeno Autostrade ha
perso il malloppo…) e al momento opportuno valutato in perfetta
lucidità il caos in cui versa il Conte 2, ha colto molti piccioni
con una fava.
(...)
1 - In questo anno di gestione l'Arcelor Mittal ha potuto conoscere
tutto l'elenco dei fornitori clienti prezzi necessità quantita e
qualità dell'acciaio che vende-comprano e quindi ha in mano
informazioni preziose che sicuramente non getterà nel cestino ma
passerà ad altri suoi stabilimenti. E vai domani a impedire
“legalmente” che utilizzi fino in fondo queste informazioni!. Spegnendo
Ilva, in pratica, Mittal valorizza tutto l'acciaio che produce nel
resto del mondo.
E soprattutto ha già fermato i rifornimenti dei minerali necessari a
mantenere attivi gli altoforni. Che, una volta spenti, saranno
difficili da riaccendere in tempi brevi, con l'aggiunta del rischio di
emissioni inquinanti («Le operazioni tecniche necessarie alla
sospensione potrebbero comportare fasi transitorie con possibili
emissioni visibili e possibile accensione delle torce dello
stabilimento siderurgico», scrive ArcelorMittal).
2 - Messo all'angolo, l'unica carta che il governo dell'avvocato Conte
può giocare per salvare i 10mila posti di Taranto più indotto, e
l'intera siderurgia italiana, è quella legale. Dice Conte. I commissari
straordinari hanno depositato un ricorso “cautelare e d'urgenza” in
base all'articolo 700 del codice di procedura civile, in cui chiedono
ad ArcelorMittal il rispetto degli accordi poiché non sussistono, a
loro dire, le condizioni per il recesso dal contratto d'affitto. E a
dar mano forte al governo è intervenuta pure la procura di Milano con
due iniziative legali. La prima è un'inchiesta esplorativa senza
indagati né ipotesi di reato per verificare l'eventuale sussistenza di
profili penalmente rilevanti. La seconda, di tipo civile, riguarda
l'atto di citazione sul recesso dal contratto depositato da Mittal: i
magistrati parlano di «un preminente interesse pubblico relativo alla
difesa dei livelli occupazionali, alle necessita economico-produttive
del Paese, agli obblighi del processo di risanamento ambientale».
Conte da Facebook plaude alle due iniziative della procura milanese e
in una nota di palazzo Chigi promette che il governo «non lascerà che
si possa deliberatamente perseguire lo spegnimento degli altiforni».
ArcelorMittal, scrive, «si sta assumendo una grandissima
responsabilità, in quanto tale decisione prefigura una chiara
violazione degli impegni contrattuali e un grave danno all'economia
nazionale. Di questo – conclude la nota – ne risponderà in sede
giudiziaria sia per ciò che riguarda il risarcimento danni, sia per ciò
che riguarda il procedimento d'urgenza».
3- C'è un evidente parallelo tra la vicenda del viadotto Morandi a la
storia o la fine dell'ILVA di Taranto. Magari alla politica ed ai
giornali fa comodo non vedere che a Taranto –come a Genova- non c'è
“solo” il problema ILVA che sicuramente è il maggiore e il più
impellente ma Taranto significa acciaio (ILVA), cemento
(CEMENTIR), industria chimica (raffineria ENI), estrazione
materiali lapidei e discariche (ITALCAVE: dove finiscono anche
gli scarti delle industrie tarantine, Ilva compresa ) senza dimenticare
i tre maxi moli civili e quello militare.
4- A Genova cosa é successo? Mettendo in fila le date degli eventi ci
si rende conto che i problemi del viadotto Morandi (c'erano SEI
criticità: due per ciascuna delle tre pile) vennero trattati sulla
prima pila finché non cominciò a circolare la voce della
privatizzazione delle autostrade e quando accadde l'evento (la
privatizzazione), nonostante fosse evidente che i problemi rilevati (e
risolti) sulla prima pila esistessero anche sulla seconda e terza la
manutenzione delle due pile venne sospesa e rimandata mentre comunque i
pedaggi ingrassavano il nuovo padrone.
5 - Anche li sostanzialmente chi vendette le autostrade rifilò al
neo acquirente qualcosa che doveva essere già stato messo in sicurezza
facendo leva sull'omertoso silenzio tra venditore affrettato ed
affamato (di soldi) che sapeva di dovere sbolognare un mezzo
bidone e compratore che sapeva -in complicità col venditore- di poter
fare il bello e il cattivo tempo.
Della serie: tu hai taciuto con me e adesso non rompere troppo. E se le
cordonature in testata delle tre pile dovevano essere rifatte del tutto
una dopo l'altra e in tempi stretti , ne venne rifatta una (1993-95) e
per le altre… aspettiamo che adesso arriva la privatizzazione e ci
penseranno quelli dopo di noi.
La privatizzazione avvenne nel 1999 ma sostanzialmente lo staff tecnico
dirigenziale ed amministrativo non cambiò passando dal pubblico
al privato. Vale a dire si sono giocate le balle.
6 - A Taranto è successo lo stesso coll'ITALSIDER. Una fabbrica
governata non da principi economici ed ecologici minimamente corretti
ma da una connivenza-convivenza abbastanza criminale di
interessi tra politica sindacato cittadini prima ha portato al
fallimento l'impresa che è stata sbolognata per disperazione se non per
connivenza a un privato che – martellata a sangue meritatamente o meno
la manodopera- s'è messo di buzzo a farla rendere finché nel 2012 il
bubbone salute-lavoro è scoppiato per merito di una coraggiosa gip
Patrizia Todisco che ha ordinato il sequestro senza facoltà d'uso
sei impianti. Meno male che non vi sia stata una strage come a Genova.
7 – Così a Genova lo Stato aveva tirato un bidone al privato
schiacciandosi vicendevolmente l'occhiolino poi lo Stato ha cambiato
padrone ed è arrivato il governo gialloverde che ha minacciato di
togliergli le autostrade. Chi non ricorda le minacce di DiMaio e
Toninelli verso Autostrade? LO Stato s'è ripetuto a Taranto:
prima ha venduto la ciofeca facendo l'occhiolino dell'immunità
penale al neoacquirente e poi gliel'ha tolta, l'ha rimessa, l'ha
ritolta. Ma stavolta il privato non c'è cascato (del resto nemmeno
Autostrade ha perso il malloppo…) e al momento opportuno valutato in
perfetta lucidità il caos in cui versa il Conte 2, ha colto molti
piccioni con una fava.
8 - La Cina, poi, produce oggi 928 milioni di tonnellate di acciaio, la
metà degli 1,808 miliardi di produzione globale. L'Italia è
storicamente un importante produttore di acciaio. A oggi è ancora il
secondo a livello europeo (dopo la Germania), ma è uscito dalla
classifica dei primi dieci, sorpassata dall'Iran. L'Italia ha prodotto,
nel 2018, 24,5 milioni di tonnellate, in aumento dell'1,7 per cento sul
2017. Quest'anno, nei primi nove mesi dell'anno, la produzione
nazionale è stata di 17,621 milioni di tonnellate, il 3,9% in meno
rispetto allo stesso periodo dell'anno scorso. Nel 2015, prima
dell'ultimo ciclo espansivo, la soglia a settembre era pure peggiore, a
16,752 milioni di tonnellate.
All'interno di questi volumi bisogna però distinguere tra due tipi di
prodotto: i «lunghi», destinati all'edilizia e i «piani», prodotti
legati all'industria manifatturiera pesante, come la filiera
automobilistica, l'elettrodomestico, la cantieristica, i lavori
pubblici.
I piani sono la specialità dell'Ilva e di un unico altro operatore in
Italia (il gruppo Arvedi). Il venir meno di una fonte di
approvvigionamento interna di questo tipo non può non impattare su gran
parte delle filiere produttive italiane, con ripercussioni sul livello
delle scorte, dei prezzi. Per questo motivo la vicenda dell'ex Ilva è
un problema di politica industriale che investe tutta Italia.
9 - Pensare che in pochi mesi (tre?) l'Europa possa mettere a punto un
piano accettato da tutte le nazioni e dalle imprese per una limitazione
della produzione dei vari tipi di acciaio nel momento in cui l'UE non
riesce nemmeno a mettere in piedi la propria “Commissione” è una
speranza da accantonare e quindi oggi al governo italiano non resta
accettare -voltando la schiena per beccarsi le legnate senza farsi
troppo male- il dimezzamento dei lavoratori dell'ILVA e dell'indotto
assieme una riduzione della produzione di acciaio nel Paese. Assieme al
ripristino “generale” dell'immunità alle imprese che risanano e
l'inventarsi un piano dir conversione industriale o che altro della
zona di Taranto.
Opera impossibile per qualunque governo.
0 – Una acciaieria del genere a Taranto non ci può stare e in Europa
non può esistere una acciaieria ecologica perché sarebbe fuori mercato.
La teoria per cui un paese come l'Italia non può privarsi di questo
tipo di impianto è veritiera ma non può esistere una acciaieria grande
quattro volte la città. Il ragionamento per cui “aspettiamo la
rinascita delle nazioni cadute nel Medio Oriente” non vale visto che li
un acciaieria esattamente inquinante se non peggio di quella
tarantina ci può stare senza troppi problemi e senza i costi di
trasportare materie prime, prodotti finiti, energia attraverso mezzo
Mediterraneo.
1 – Meglio quindi pensare –per Taranto- ad un lungo processo di uscita
ed a una trasformazione e bonifica che dia lavoro in primis ai 20mila
addetti diretti e indiretti (tanto almeno 10mila adesso vanno in
cassa, comunque la si tiri…) e nel frattempo si cerchi una soluzione se
non per l'Italia per l'Europa. Taranto s'è rivelato un grande errore.
Adesso bisogna rimediarvi.
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VENEZIA:TANTO CI PENSA LO STELLONE!
Scrive Tomaso Montanari che con la fine della Repubblica di
Venezia (1797) entrò in crisi il raffinatissimo meccanismo che per un
millennio aveva conservato qualcosa che in natura ha vita limitata: una
laguna lasciata a se stessa o diventa mare o si interra. La
sopravvivenza della Laguna è “la storia di un successo nel governo
dell'ambiente, che ha le sue fondamenta in un agire statale severo e
lungimirante, nello sforzo severo e secolare di assoggettamento degli
interessi privati e individuali al bene pubblico delle acque e della
città” (Piero Bevilacqua). Della difesa di Venezia dalle e delle acque
ne hanno parlato Bernardini Zendrini da Saviore in Valle Camonica (
1797), Antonio Tadini da Romano Lombardo ( 1754) e Pietro
Paleocapa di Nese ( 1869) di cui varrebbe la pena che nelle
scuole medie si facessero leggere alcune pagine dei loro scritti.
Il Post scrive che l'acqua alta – che viene definita tale quando il
livello del mare supera gli 80 centimetri – è un fenomeno ricorrente
nella storia di Venezia, ma i dati disponibili mostrano come negli
ultimi anni sia diventata sempre più frequente.
Il Centro previsioni e segnalazioni delle maree (CPSM) del Comune di
Venezia spiega che nel primo caso «sorgono problemi di trasporto e di
viabilità pedonale nei punti più bassi della città (Piazza San Marco)»,
nel secondo il 12 per cento della città è interessata dagli allagamenti
e, quando si superano i 140 cm, viene allagato il 59 per cento della
città.
Sul sito del CPSM è possibile consultare i dati relativi all'ac qua
alta a Venezia a partire dal 1872, dedotti da varie fonti esistenti
prima dell'istituzio ne del Centro nel 1983.
Storicamente le alte maree che superavano il livello di 110 centimetri
erano piuttosto rare, ma si sono intensificate negli ultimi 50-60 anni:
tra il 1870 e il 1949 furono registrate 30 occorrenze di alta marea
superiore ai 110 centimetri, mentre solo negli ultimi 9 anni ce ne sono
state 76.
Gli anni con il maggior numero di giornate con maree superiori ai 110
cm sono stati il 2009 e il 2010, entrambi con 14 giornate, seguiti dal
2014 con 13 giornate: nel 2018, invece, ci sono state solo 7 giornate
con marea molto sostenuta. Per quanto riguarda le maree oltre i 140 cm,
i dati mostrano che fino al 2000 c'erano state solo 9 occorrenze di
maree eccezionali in oltre 120 anni, mediamente una ogni 14 anni,
mentre dal 2000 ad oggi sono state ben 11, quasi una l'anno.
La ragazza curnese adottata da Venezia come residente e docente mi ha
spiegato che sostanzialmente in città la maggior parte dei negozi sono
affittati a gente che viene da ogni dove mentre i pochi abitanti
residenti stanno tutti ai piani superiori (quando non sono affittati a
turisti con o senza autorizzazione) oppure si sono spostati a vivere in
terraferma in buona parte godendosi gli affitti della casa veneziana.
Nel comune di Venezia gli elettori stanno quattro a Mestre ed uno
in Venezia e addirittura nel consiglio comunale ci sarebbe SOLO un
consigliere residente in città.
Non meraviglia quindi che mentre la città va sott'acqua vedi
negozi che si sono attrezzati per autodifesa (poi varrebbe la pena
potere verificare se sono foto nuove o vecchie) e vedi i
sacrestani di San Marco che spostano i banchi della cripta
camminando a… ritroso. Vedi i camerieri di certi lussuosi locali
dentro l'acqua e vedi dei ragazzi volontari che hanno recuperato i
volumi del conservatorio e li stanno asciugando. Insomma vedi che
nonostante l'acqua alta sia da considerare una situazione possibile,
c'è chi s'è attrezzato e c'è chi puntualmente resta a mollo.
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