A GUARDARE ALLE COLLINE PAGINA 1118 DEL 23OTTOBRE 2019 |
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Di cosa parliamo in questa pagina. |
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RIASSUNTO AVVENIMENTI DELL'INVASIONE TURCA ALLA SIRIA CONTRO I KURDI LA GERMANIA SI MUOVE PER INTERPORRE UNA FORZA UE TRA LA TURCHIA E LA SIRIA Nel vertice Nato dell’11 luglio ’18 Donald Trump ha deciso di spiazzare tutti invitando i paesi dell’Alleanza a impiegare il 4 per cento del Pil in spesa militare, una percentuale superiore alla misura del 2 per cento, la cosiddetta Nato rule. Dell’impegno di spesa dei paesi dell’alleanza si è discusso per diversi anni, ma adesso il tema riacquista centralità in virtù delle nuove esigenze strategiche a livello globale. Durante la guerra fredda, gli Usa, leader dell’alleanza occidentale, impegnavano nella difesa molte più risorse degli alleati. E già allora, alcuni di questi, pur rispondendo alle sollecitazioni provenienti da Washington, erano accusati sovente di comportamenti opportunistici (free-riding). Sull’economia Trump rigetta, nello spazio transatlantico così come in quello globale, l’idea che i processi d’integrazione commerciale e finanziaria siano benefici tanto per gli Usa quanto per i loro alleati europei. È, quella trumpiana, una visione a somma zero dell’ordine atlantico, nella quale le bilance commerciali costituiscono il parametro fondamentale per comprendere chi prevale e chi soccombe, chi trae un vantaggio da “Atlantica” e chi ne è invece vittima. Che il deficit degli Usa con l’Unione Europea sia passato in un ventennio da 30 a 170 miliardi di dollari (il 40% dei quali con la sola Germania) indica, secondo questa logica, un sistema chiaramente sfavorevole agli Stati Uniti. Nella realpolitik assai binaria di Trump non vi è insomma spazio per convergenze atlantiche: gli Usa stanno soccombendo a un’Europa vieppiù “germanocentrica” e scardinare questa Europa serve sia per indebolire la Germania sia per recuperare il primato perduto dagli Stati Uniti. Il rigetto delle logiche atlantiche (e liberali) si estende alla sfera strategica. Anche in questo caso Trump non inventa nulla: perché sia George Bush Jr sia Barack Obama avevano, in modi diversi, a loro volta operato sulla base di una riconosciuta e affermata marginalità strategica dell’Europa e che l’Europa sfrutti parassitariamente il patrono statunitense, cui delega l’onere della propria difesa, incapace anche solo di ottemperare all’obiettivo di una spesa militare al 2% del PIL. (...) L'ACCORDO DI SOCI TRA PUTIN ED ERDOGAN SULL'INVASIONE TURCA DELLA SIRIA CONTRO I CURDI (...) |
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CORBEZZOLO UNA DOLCEZZA TRA TROPPE AMAREZZE |
CARTA PER CAPIRE L'INVASIONE TURCA DELLA SIRIA CONTRO I CURDI https://twitter.com/metesohtaoglu |
CARTA PER CAPIRE L'INVASIONE TURCA DELLA SIRIA CONTRO I CURDI https://twitter.com/metesohtaoglu |
CAMPI PROFUGHI CURDI IN SIRIA OTTOBRE 2019 https://twitter.com/metesohtaoglu |
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LA GERMANIA SI MUOVE PER INTERPORRE UNA FORZA UE TRA LA TURCHIA E LA SIRIA Nel vertice Nato dell’11 luglio ’18 Donald Trump ha deciso di spiazzare tutti invitando i paesi dell’Alleanza a impiegare il 4 per cento del Pil in spesa militare, una percentuale superiore alla misura del 2 per cento, la cosiddetta Nato rule. Dell’impegno di spesa dei paesi dell’alleanza si è discusso per diversi anni, ma adesso il tema riacquista centralità in virtù delle nuove esigenze strategiche a livello globale. Durante la guerra fredda, gli Usa, leader dell’alleanza occidentale, impegnavano nella difesa molte più risorse degli alleati. E già allora, alcuni di questi, pur rispondendo alle sollecitazioni provenienti da Washington, erano accusati sovente di comportamenti opportunistici (free-riding). Sull’economia Trump rigetta, nello spazio transatlantico così come in quello globale, l’idea che i processi d’integrazione commerciale e finanziaria siano benefici tanto per gli Usa quanto per i loro alleati europei. È, quella trumpiana, una visione a somma zero dell’ordine atlantico, nella quale le bilance commerciali costituiscono il parametro fondamentale per comprendere chi prevale e chi soccombe, chi trae un vantaggio da “Atlantica” e chi ne è invece vittima. Che il deficit degli Usa con l’Unione Europea sia passato in un ventennio da 30 a 170 miliardi di dollari (il 40% dei quali con la sola Germania) indica, secondo questa logica, un sistema chiaramente sfavorevole agli Stati Uniti. Nella realpolitik assai binaria di Trump non vi è insomma spazio per convergenze atlantiche: gli Usa stanno soccombendo a un’Europa vieppiù “germanocentrica” e scardinare questa Europa serve sia per indebolire la Germania sia per recuperare il primato perduto dagli Stati Uniti. Il rigetto delle logiche atlantiche (e liberali) si estende alla sfera strategica. Anche in questo caso Trump non inventa nulla: perché sia George Bush Jr sia Barack Obama avevano, in modi diversi, a loro volta operato sulla base di una riconosciuta e affermata marginalità strategica dell’Europa e che l’Europa sfrutti parassitariamente il patrono statunitense, cui delega l’onere della propria difesa, incapace anche solo di ottemperare all’obiettivo di una spesa militare al 2% del PIL. E veniamo al terzo spazio, quello che per convenienza potremmo definire politico-culturale. Trump si affida spesso a grossolani topoi anti-europei se non apertamente eurofobici. È un argot, questo, che ha matrici antiche negli Stati Uniti e che dagli anni Settanta ha avuto un forte revival nel mondo conservatore. Questa narrazione contrappone l’Europa debole e “femminea” all’America marziale e virile; il socialismo, intrinsecamente autoritario e inefficiente del vecchio continente, al dinamismo liberista degli Stati Uniti, che esalta la libertà individuale e lo spirito d’impresa del singolo. Questi stereotipi sono particolarmente accentuati nella radicale retorica nazionalista di Donald Trump. E rappresentano forse il più importante elemento di rottura, ideologica e categoriale, introdotto dall’atuale presidente USA. Nel suo ostentato, e finanche caricaturale, realismo, Trump abbandona quella presunzione di eccezionalità, quell’eccezionalismo, che ha invece connotato storicamente il nazionalismo statunitense. Per il quale vi sarebbe invece una naturale identità d’interessi tra gli Stati Uniti e il resto del mondo. Nel gioco a somma zero trumpiano non vi è alcun destino comune, alcun universalismo. Compito di chi guida gli Stati Uniti è massimizzare l’interesse nazionale a discapito di quello degli altri, nemici o alleati (del momento) essi siano. Dal 1949 in poi, l’eccezionalismo statunitense si è spesso traslato in eccezionalismo atlantico: in un discorso fortemente ideologico che celebra la naturale convergenza transatlantica di valori, principi e modelli politici. L’anti-eccezionalismo di Trump rigetta queste logiche e con esse l’idea che vi siano alleanze naturali e permanenti (con l’eccezione, forse, di un asse anglo-americano declinato in chiave fortemente conservatrice e, avremmo detto un tempo, “anglosassonista”). Le alleanze sono transienti, strumentali e inevitabilmente bilaterali, ché le cornici multilaterali limitano e vincolano il soggetto più forte. Quindi Trump ha prima deciso di abbandonare l’Afganistan anche se abbandonare l’Afghanistan oggi vuol dire, invece, consegnare il paese a una guerra civile senza ombra di dubbio. Gli attacchi ai civili e l’opposizione alle elezioni previste per quest’autunno, senza contare la resistenza a un accordo formale di cessate il fuoco, sono tutti segnali che preannunciano ciò che farebbero i talebani in una situazione di dominio militare: ribaltare il governo per imporre le proprie leggi. In quel caso, pensare che qualche drone o qualche operazione comandata da remoto possa tenere testa alle milizie islamiste è solo una fantasia. L’Afghanistan non ha sbocchi sul mare e dunque le basi aeree sono molto, troppo distanti per essere efficaci. Mantenere poche migliaia di truppe americane sul territorio converrebbe, anche se molti pensano il contrario. Il prezzo per gli Stati Uniti sarebbe molto più alto se al Qaida o l’Isis riuscissero a costruire una piattaforma militare sul suolo afgano. Venerdì 12 luglio è arrivata in Turchia la prima parte della fornitura del sofisticato sistema missilistico russo S-400, il più avanzato tra quelli di cui dispone la Russia. L’acquisto era stato finalizzato alla fine del 2017 nonostante le molte proteste degli Stati Uniti, che avevano minacciato il governo turco di pesanti conseguenze, tra cui sanzioni unilaterali e la sospensione della vendita degli aerei F-35. Del caso si era parlato parecchio, anche perché la Turchia è un membro della NATO, l’alleanza militare difensiva guidata dagli Stati Uniti, oltre che essere un paese molto importante per la strategia antiterrorismo del governo americano in Medio Oriente. Secondo gli Stati Uniti, uno dei problemi maggiori sarebbe che il sistema missilistico S-400 è incompatibile con i sistemi NATO ( in altre parole: il sistema S400 “legge” il sistema Naro e soprattutto quello degli F35) , e che il fatto che la Turchia operi con entrambi i sistemi potrebbe far sì che i russi abbiano accesso ad alcune tecnologie segrete relative al funzionamento degli aerei statunitensi. Il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan, comunque, ha sottolineato l’importanza dell’alleanza tra Stati Uniti e Turchia e ha aggiunto di essere piuttosto sicuro che alla fine il suo governo non sarà oggetto di alcuna ritorsione significativa da parte degli Stati Uniti. Della serie: chissenefrega. Il 17 luglio 2019 gli Usa hanno confermato che la Turchia non potrà partecipare al programma dei caccia Usa F-35 Nato, perché Ankara ha comprato il sistema di difesa aerea russo S-400. La Casa Bianca ha ufficializzato che "sfortunatamente la decisione della Turchia di acquistare i sistemi missilistici anti aereo S-400 dalla Russia rende impossibile la prosecuzione del coinvolgimento nel programma degli F-35 - ha detto in una nota la portavoce della Casa Bianca Stephanie Grisham -. Gli F-35 non possono coesistere con una piattaforma russa per la raccolta di informazioni di intelligence che sarà usata per imparare le loro capacità avanzate". Ciononostante, assicura Grisham, Washington "proseguirà l'ampia cooperazione con la Turchia, tenendo conto delle limitazioni comportate dalla presenza del sistema S-400". Solo ieri il dipartimento di Stato Usa aveva lasciato intendere che il presidente Usa Donald Trump e il segretario di stato Mike Pompeo avrebbero potuto rivedere le loro opzioni. Alla base del ripensamento il tycoon aveva insistito sulle "buone relazioni" con il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e sostenuto che Ankara è stata costretta ad acquistare gli S-400 dopo che l'amministrazione Obama si era rifiutata di venderle i Patriot. Ma alla fine la decisione di non vendere alla Turchia gli F-35 è stata presa. Poi è arrivato il tempo di abbandonare i kurdi. L’offensiva turca nel nord-est della Siria è scattata quando i soldati americani, un migliaio, hanno lasciato (anche nel modo di una fuga assai improvvisata) i territori controllati dai curdi, da coloro che sino a due giorni fa erano «alleati di ferro» degli Stati uniti e che negli ultimi anni, con un altissimo prezzo di sangue, hanno contribuito in modo determinante alla sconfitta in Siria degli uomini dello Stato islamico. Quel passato e quell’alleanza, per Donald Trump non contano più nulla. «La Turchia avvierà presto la sua operazione nella Siria settentrionale a lungo pianificata. Le forze armate degli Stati Uniti non sosterranno o saranno coinvolte nell’operazione», si legge nel comunicato diffuso dopo il colloquio telefonico che il presidente Usa ha avuto con Erdogan. Addio, non ci servite più, ora sono cavoli vostri, noi ce ne andiamo. Il succo più o meno è questo. TRUMP ha persino rinfacciato ai curdi di aver ricevuto fondi americani per la guerra all’Isis. «I curdi hanno combattuto con noi, ma sono stati pagati con enormi somme di denaro ed equipaggiamenti per farlo. Combattono la Turchia da decenni. Ho tenuto da parte questa lotta per quasi tre anni, ma è tempo per noi di uscire da queste infinite guerre ridicole, molte delle quali tribali, e portare i nostri soldati a casa», ha scritto in uno dei suoi tweet a raffica. Sommerso dalle critiche interne, anche dei Repubblicani, persino di Nikki Haley, fino a qualche tempo fa suo braccio armato alle Nazioni unite, Trump ha corretto parzialmente la rotta lanciando un ammonimento a Erdogan: «Se la Turchia farà qualcosa che io, nella mia enorme e ineguagliabile saggezza, considero oltre il limite, distruggerò totalmente e annullerò l’economia della Turchia». Di poche ore or sono l’annuncio di una nuova tregua di 150 ore nel nord della Siria per consentire il ritiro delle milizie curde dall'area di confine con la Turchia verso l'entroterra. È quanto hanno annunciato oggi Ankara e Mosca al termine del vertice tra il presidente turco Recep Tayyip Erdogan e il suo omologo russo, Vladimir Putin, a Sochi. Un accordo che prevede tra le altre cose pattugliamenti congiunti delle forze armate di Turchia e Russia fino a 10 chilometri all'interno del territorio siriano, a est e ovest dell’area in cui è stata condotta l’operazione turca. Una novità rilevante nel complesso panorama della guerra in Siria visto che l'annuncio della nuova tregua è arrivato a poche ore dalla scadenza del precedente cessate il fuoco deciso da Ankara dopo una trattativa con gli Stati Uniti che invece hanno ritirato le proprie truppe dal Paese. Le operazioni saranno condotte dalla polizia militare russa e dalle guardie di frontiera siriane che entreranno nell’area di confine con la Turchia ma al di fuori dell’area dell’operazione militare turca. Al momento il vero vincitore sul grande caos mediorientale è il presidente russo. I turchi sanno come hanno iniziato questa nuova avventura dalle ambizioni ottomane; ora incominciano a dubitare di sapere come la finiranno. Gli americani sono usciti da un conflitto al quale non sono più interessati e non sapevano nemmeno come uscirne senza scappare. Legittimamente, hanno il diritto di stabilire quali regioni del mondo contribuiscano a definire il loro interesse nazionale. Ma il modo col quale Donald Trump ha ordinato il ritiro renderà per molto tempo gli Stati Uniti una potenza inaffidabile anche nelle regioni del mondo che restano fondamentali: sarà difficile che coreani del Sud e giapponesi si sentiranno tranquilli quando Trump riprenderà la trattativa nucleare con la Corea del Nord. Ma è la Russia che consente al siriano Bashar Assad di lanciare le sue truppe alla riconquista del Nord della Siria; è ancora la Russia che contemporaneamente ha il potere di trattare con Recep Erdogan, consigliandogli moderazione e offrendogli in cambio cose concrete. Mosca è un fornitore militare netto della Turchia: vende a un paese della Nato (quello turco è il secondo esercito più grande dell'Alleanza atlantica dopo l'americano), un sistema missilistico fatto per abbattere aerei della Nato. Ora le truppe russe pattugliano il confine tra Turchia e Siria, confermando l’influenza di Mosca dopo l’addio degli Usa. Non è difficile avere un tale successo quando alla Casa Bianca c'è un presidente così inadeguato: forse anche connivente, ripensando ai sospetti del Russiagate. Ma da molto prima che sulla scena arrivasse Donald Trump con la sua confusa e dilettantesca idea del mondo, la diplomazia russa dava dei punti a quella americana. Fra Teheran e Riyad, Washington parla solo con la seconda: Mosca con entrambe. Il ministro degli Esteri Lavrov tratta con Israele, Hamas ed Hezbollah: democratico o repubblicano, se il segretario di Stato americano tentasse di contattare le ultime due organizzazioni, perderebbe il posto. Putin era il protettore del regime siriano e ora è anche il nuovo salvatore dei curdi. Non è solo una questione di revanscismo da grande potenza, per un paese che nei numeri economici non può competere con l'America né la Cina. Diversamente dagli Stati Uniti, la Russia è geograficamente molto vicina al Medio Oriente. Il Levante mediterraneo, il Crescente Fertile, Mar Nero, Dardanelli, Tigri, Eufrate e Golfo sono essenziali per la sicurezza russa. Non si erano ancora spente le telecamere sull’incontro a Sochi tra Putin ed Erdogan che s’avanza la proposta della Germania. Merkel e la delfina AKK lavorano per una safe zone europea al confine con la Turchia. Sul tavolo anche negoziati con Mosca e Assad. L'obiettivo è assumere la leadership militare nell'Ue. In Siria al posto degli americani. In difesa dei curdi, armati nella guerra contro l’Isis e a presidio di una safe zone da stabilizzare e da ricostruire. Parlando ai tedeschi in prima serata, di fronte alle telecamere, la neo ministra della Difesa e leader dei cristiano-democratici (Cdu) Annegret Kramp-Karrenbauer ha rotto 70 anni di politica estera della Deutsche Republik, proponendo un’iniziativa militare europea nella striscia del cessate il fuoco al confine con la Turchia. Là dove il 9 ottobre Recep Tayyip Erdogan ha sferrato l’offensiva su Kobane, la titolare del governo per la Bundeswehr non esclude l’invio di soldati dalla Germania e dell’Ue, se la Grande coalizione e la maggioranza del parlamento lo vorranno. Che i socialdemocratici (Spd) partner nell’esecutivo diano il disco verde all’operazione è da vedere: dell’idea da presentare all’Ue e alla Nato sarebbero stati avvertiti a cose fatte, via sms. Mentre al Bundestag, come tra la gente, è esploso un dibattito acceso. Comunque vada, l’irruzione di AKK, appoggiata dalla cancelliera Angela Merkel, nello scacchiere mediorientale segna un netto cambio di passo nella Difesa tedesca dal 1945. Per la prima volta la Germania non partecipa (anche in modo sostanziale come in ex Jugoslavia) da allineato a una missione della Nato o di peacekeeping dell’Ue o dell’Onu. Ma prova a lanciarla motu proprio perché, sostiene Kramp-Karrenbauer, «l’Europa non può più stare a guardare. Non ci si può lamentare di quanto succede nella regione senza dare risposte». Con questa nuova postura, AKK a Bruxelles suggerirà al Consiglio dei ministri della Difesa della Nato del 24 e del 25 ottobre di raggruppare francesi e britannici attorno all’iniziativa comune, dopo che gli Usa hanno sgombrato il campo. Merkel da parte sua prepara un summit sulla Siria con i leader di Francia, Regno Unito e Turchia, snobbando l’Italia che è Stato fondatore dell’Ue e terza potenza dell’Eurozona. Interessante è anche il coinvolgimento nell’operazione di de-escalation e di peacekeeping proposta dalla delfina di Merkel nella regione curda «della Russia», ha detto, «che ci piaccia o no tra gli attori più importanti in Siria». Un tentativo della Germania di impostare una Difesa europea multipolare, sganciata dall’atlantismo tout court benché retta dall’asse franco-tedesco. Con Donald Trump alla Casa Bianca, d’altronde la cancelliera fu la prima leader occidentale a commentare che «il tempo in cui si poteva fare pieno affidamento sugli altri era passato da un pezzo», esortando gli «europei a prendere in mano» il loro destino. |
L'ACCORDO DI SOCI TRA PUTIN ED ERDOGAN FULL TEXT: Memorandum of Understanding Between Turkey and the Russian Federation (Sochi, October 22, 2019) President of the Republic of Turkey, Recep Tayyip Erdoğan and President of the Russian Federation, Vladimir Putin agreed on the following points: 1. The two sides reiterate their commitment to the preservation of the political unity and territorial integrity of Syria and the protection of national security of Turkey. 2. They emphasize their determination to combat terrorism in all forms and manifestations and to disrupt separatist agendas in the Syrian territory. 3. In this framework, the established status quo in the current Operation Peace Spring area covering Tel Abyad and Ras Al Ayn with a depth of 32 km will be preserved. 4. Both sides reaffirm the importance of the Adana Agreement. The Russian Federation will facilitate the implementation of the Adana Agreement in the current circumstances. 5. Starting 12.00 noon of October 23, 2019, Russian military police and Syrian border guards will enter the Syrian side of the Turkish-Syrian border, outside the area of Operation Peace Spring, to facilitate the removal of YPG elements and their weapons to the depth of 30 km from the Turkish-Syrian border, which should be finalized in 150 hours. At that moment, joint Russian-Turkish patrols will start in the west and the east of the area of Operation Peace Spring with a depth of 10 km, except Qamishli city. 6. All YPG elements and their weapons will be removed from Manbij and Tal Rifat. 7. Both sides will take necessary measures to prevent infiltrations of terrorist elements. 8. Joint efforts will be launched to facilitate the return of refugees in a safe and voluntary manner. 9. A joint monitoring and verification mechanism will be established to oversee and coordinate the implementation of this memorandum. 10. The two sides will continue to work to find a lasting political solution to the Syrian conflict within Astana Mechanism and will support the activity of the Constitutional Committee. |
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