A GUARDARE ALLE COLLINE PAGINA 1114 DEL 16 OTTOBRE 2019
























































Di cosa parliamo in questa pagina.



















ADESSO SIPAGANO GLI ERRORI DELLA MERKEL E DI MINNITI.
PAGARE DEI CRIMINALI PER TENERE LONTANO I PROFUGHI
Va detto subito che il Kurdistan tanto più i kurdi non sono per nulla nel cuore e nella testa di nessuno alla faccia di quello che dichiara il mainstream democratico occidentale.
Prima di tutto il Medio Oriente come del resto tutti i mondi che si affacciano sul Mediterraneo o il Mar Rosso non possono essere rinchiusi in nazioni dai confini individuati un secolo or sono dalle potenze europee dominanti e saccheggiatrici di quelli. Come fanno adesso per le risorse energetiche di quelle zone. Oramai le nazioni, in Medio Oriente come  altrove nei paesi poco sviluppati secondo il metro occidentale, sono come delle forti gocce di colore cadute  in una vasca limpida che si spande lentamente. Sotto la spinta della fame alla ricerca di nuove risorse.
Una  mappa delle religioni e delle popolazioni di quella vasta area che confluisce nella valle della civiltà: quella del Tigri e dell’Eufrate ci dice che è  impossibile costruire nazioni con dei confini propri -paradossalmente siamo più “uniti e uniformi” noi europei forse per le migliaia di guerre e morti che ci siamo comminati a vicenda- dei popoli attorno al Tigri e all’Eufrate.
Oltre a questo – che sarebbe la “superficie” e il “sovra naturale” di quella vasta zona c’è di mezzo l’acqua  e sottoterra ci sono petrolio gas e materie prime divenute ormai essenziali per lo sviluppo occidentale.
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L'EUROPA NON VUOLE DIVENTARE ADULTA
Purtroppo neppure questa volta l’Europa si è mossa e si muoverà, al di la delle dichiarazioni formali e i divieti inutili di esportazione  di armi da cui tutti i popoli europei traggono comode e sostanziose entrate per fare i rispettivi bilanci nazionali. Indubbiamente avere a che fare con uno come Trump che da un tuit all’altro cambia posizione di 180 gradi non è facile ma questo  resta il compito della democrazia:  sapere prevedere le azioni non solo degli avversari ma anche dei c.d. presunti “amici”.
Nell’alta e media valle del Eufrate e nell’alta valle del Tigri e lungo il confine sirio-turco la Nato ha schierato un piccolo contingente italiano (meno di 150 uomini) dotati di missili-antimissile che dovrebbero difendere la Turchia (membro della Nato) dagli attacchi della Siria. Intanto che la Nato si trastulla in questo immobilismo spendendo pacchi di euro  gli USA sono presenti (erano presenti) con   2000 militari tutti schierati nel NE della Siria ed i Russi –che non vanno affatto per il sottile come pure gli USA- ne hanno presenti tra i 45mila e i 50mila. Tre giorni or sono l’ineffabile  presidente russo Vladimir Putin –da considerare ormai come il “padrone straniero” della Siria assadiana- in un'intervista ad alcuni media arabi e russi ha dichiarato: "Coloro che sono presenti in modo illegale in un Paese straniero, in questo caso in Siria, dovrebbero lasciare la regione. E questo vale per tutti i Paesi", ha affermato Putin, secondo il quale "se il futuro governo legittimo siriano dirà che non c'è bisogno che le truppe russe restino nel Paese, questo varrà anche per la Russia". Ha dimenticato di dire: salve le basi militgari.
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le immagini sottostanti possono essere abbastanza grandi: pazienza!





















Displaced Kurdish children who fled their home town of Ras al-Ain city play at temporary shelter in a school building at Tal Tamr town, northeast of Syria. Turkey has launched an offensive targeting Kurdish forces in north-eastern Syria, days after the US withdrew troops from the area.








































































































































































































ADESSO SIPAGANO GLI ERRORI DELLA MERKEL E DI MINNITI.
PAGARE DEI CRIMINALI PER TENERE LONTANO I PROFUGHI

Va detto subito che il Kurdistan tanto più i kurdi non sono per nulla nel cuore e nella testa di nessuno alla faccia di quello che dichiara il mainstream democratico occidentale.
Prima di tutto il Medio Oriente come del resto tutti i mondi che si affacciano sul Mediterraneo o il Mar Rosso non possono essere rinchiusi in nazioni dai confini individuati un secolo or sono dalle potenze europee dominanti e saccheggiatrici di quelli. Come fanno adesso per le risorse energetiche di quelle zone. Oramai le nazioni, in Medio Oriente come  altrove nei paesi poco sviluppati secondo il metro occidentale, sono come delle forti gocce di colore cadute  in una vasca limpida che si spande lentamente. Sotto la spinta della fame alla ricerca di nuove risorse.
Una  mappa delle religioni e delle popolazioni di quella vasta area che confluisce nella valle della civiltà: quella del Tigri e dell’Eufrate ci dice che è  impossibile costruire nazioni con dei confini propri -paradossalmente siamo più “uniti e uniformi” noi europei forse per le migliaia di guerre e morti che ci siamo comminati a vicenda- dei popoli attorno al Tigri e all’Eufrate.
Oltre a questo – che sarebbe la “superficie” e il “sovra naturale” di quella vasta zona c’è di mezzo l’acqua  e sottoterra ci sono petrolio gas e materie prime divenute ormai essenziali per lo sviluppo occidentale.
I kurdi hanno poi un altro gravissimo difetto rispetto alla popolazioni circostanti pur non essendo angioletti: hanno un forte spirito democratico, non solo istituzionale ma civile. Basti pensare al ruolo ed al rispetto delle donne curde.
I curdi sono la quarta etnia più grande del Medio Oriente, sono tra 25 e 35 milioni di persone: e non hanno uno Stato, anche se lo vorrebbero. Oggi la gran parte dei curdi è distribuita in cinque paesi – Iraq, Siria, Turchia, Iran e Armenia – ed è musulmana sunnita, ma c’è una grande varietà.
Non ha molto senso guardare ai curdi come a un blocco monolitico, perché ogni gruppo nazionale ha le sue priorità e i suoi alleati. Quelli che c’entrano con la guerra in Siria sono tre: i curdi turchi, i curdi siriani e i curdi iracheni, che insieme hanno combattuto contro l’ISIS.
A differenza dei curdi iracheni, che da diverso tempo hanno una loro regione autonoma all’interno dell’Iraq (il Kurdistan Iracheno), i curdi siriani sono riusciti a ottenere una certa autonomia solo negli ultimi anni, dopo l’inizio della guerra in Siria, rafforzando il loro controllo sulla regione che abitano, il “Rojava”, versione breve di “Rojava Kurdistan” (cioè “Kurdistan occidentale”). Nel momento della loro massima espansione i curdi siriani controllavano buona parte del nord della Siria, da est a ovest, lungo il confine con la Turchia.
Il governo dei territori sotto il controllo curdo è garantito dal Partito dell’Unione Democratica (la sigla in curdo è PYD), un partito che si potrebbe definire di ispirazione “socialista-libertaria” e promuove un’idea di società molto rara nel mondo islamico e simile a quella immaginata da Abdullah Öcalan, leader del Partito dei Lavoratori, più noto con la sigla PKK. Gli stretti legami tra curdi siriani e PKK sono proprio il motivo che ha spinto la Turchia a iniziare una nuova operazione militare nel nordest della Siria.
Il PKK, infatti, è un partito curdo che da decenni combatte contro il governo turco per ottenere l’indipendenza, attraverso una lotta armata fatta anche di attentati terroristici; e molti membri del PYD sono ex membri del PKK.
I curdi del PKK, e quindi anche i curdi siriani, non sono solo uno dei nemici del governo turco guidato dal presidente Recep Tayyip Erdoğan; sono il nemico per eccellenza, quello principale e da sconfiggere a ogni costo.
Negli ultimi anni sui giornali internazionali si è parlato molto della Costituzione di stampo democratico, pluralista, ecologista, femminista e liberale adottata dal PYD nel Rojava, in cui era enfatizzata l’importanza delle comunità locali nella gestione del potere. E si è parlato anche delle milizie armate formate solo da donne, per esempio l’Unità di Protezione delle Donne (YPJ), una rarità in Medio Oriente: in particolare le immagini delle donne curde a volto scoperto che combattono i miliziani dell’ISIS hanno avuto un grosso impatto in Occidente. In generale, il sistema di governo in Rojava si è sviluppato come molto decentralizzato e senza rigide gerarchie, dove le comunità locali mantengono una forte autonomia. È un sistema, almeno sulla carta, di “democrazia egualitaria”, che non stabilisce la predominanza di una religione o di un’etnia su un’altra, e dove le donne hanno gli stessi diritti e doveri degli uomini. È inoltre un sistema basato su un’economia sostenibile, attenta a non danneggiare l’ambiente.
Il motivo più importante delle simpatie occidentali verso i curdi siriani è stata però la guerra combattuta dalle milizie curde, le YPG, contro l’ISIS. Dal 2013 a oggi i curdi siriani sono stati impegnati a difendere le città curde del nord dagli attacchi dell’ISIS e poi a recuperare i territori che erano finiti sotto il controllo dello Stato Islamico in buona parte della Siria.

Quindi l’idea che “un giorno” possa esistere una nazione curda è assolutamente impensabile ne dal mondo c.d. musulmano che prevale nella zona e tanto meno dal mondo occidentale il quale  al massimo sopporta il governo di Israele che funge da gendarme per l’Occidente in quanto suo avamposto più certo e sicuro rispetto al resto.
Ompossobole che esista uno stato curdo e impossibile soprattutto per la cultura di cui sarebbe bandiera: una miccia che farebbe saltare in aria tutti i regimi variamente fascisti della zona.
Oltre tutto di kurdi ce ne sono in Turchia, in Siria, in Iraq, in Iran, in Armenia e pure qualche enclaves in Georgia ed Azerbaigian.
I Kurdi dell’Iraq e dell’Iran controllano sostanzialmente le risorse energetiche della zona, ed hanno in mano il governo dell’acqua di superficie della valle del Tigri ed Eufrate.
La situazione attuale vede la Russia stabilmente presente e sicura nel Mediterraneo e questo è soddisfacente per il disegno putiniano che vedeva nella caduta di Assad la sua cacciata dai porti del Mediterraneo e l’impossibilità di transito  nel Mar Nero.
Gli Stati Uniti sono sostanzialmente indipendenti dal punto di vista energetico e per quanto interessa loro riescono ancora a governare il mercato  attraverso gli alleati arabi.
Non essendo riusciti ne a imporre un ampliamento e una “democratizzazione” delle spese militari per la NATO agli alleati europei hanno deciso di scappare dall’Afganistan e dalla Siria ed abbandonare la vecchia Europa e il M.O. al loro destino.
Oramai lo scontro  è tra Cina India USA mentre il resto sono per quelle grandi potenze solo “problemi locali”. Purtroppo queste “infezioni locali” sono impossibili da debellare.


L'EUROPANON VUOLE DIVENTARE ADULTA


Purtroppo neppure questa volta l’Europa si è mossa e si muoverà, al di la delle dichiarazioni formali e i divieti inutili di esportazione  di armi da cui tutti i popoli europei traggono comode e sostanziose entrate per fare i rispettivi bilanci nazionali. Indubbiamente avere a che fare con uno come Trump che da un tuit all’altro cambia posizione di 180 gradi non è facile ma questo  resta il compito della democrazia:  sapere prevedere le azioni non solo degli avversari ma anche dei c.d. presunti “amici”.
Nell’alta e media valle del Eufrate e nell’alta valle del Tigri e lungo il confine sirio-turco la Nato ha schierato un piccolo contingente italiano (meno di 150 uomini) dotati di missili-antimissile che dovrebbero difendere la Turchia (membro della Nato) dagli attacchi della Siria. Intanto che la Nato si trastulla in questo immobilismo spendendo pacchi di euro  gli USA sono presenti (erano presenti) con   2000 militari tutti schierati nel NE della Siria ed i Russi –che non vanno affatto per il sottile come pure gli USA- ne hanno presenti tra i 45mila e i 50mila. Tre giorni or sono l’ineffabile  presidente russo Vladimir Putin –da considerare ormai come il “padrone straniero” della Siria assadiana- in un'intervista ad alcuni media arabi e russi ha dichiarato: "Coloro che sono presenti in modo illegale in un Paese straniero, in questo caso in Siria, dovrebbero lasciare la regione. E questo vale per tutti i Paesi", ha affermato Putin, secondo il quale "se il futuro governo legittimo siriano dirà che non c'è bisogno che le truppe russe restino nel Paese, questo varrà anche per la Russia". Ha dimenticato di dire: salve le basi militgari.
Già l’Europa ha una sistema di governo molto lento nel decidere ma Erdogan ha preso l’occasione del passaggio dal vecchio a nuovo governo europeo proprio per avere  una grana in meno eventualmente da affrontare semmai l’Ue, che non l’ha mai voluto con se, decidesse di mandare una sostanziosa forza di interposizione – magari su mandato ONU piuttosto che su autorizzazione dell’accoppiata Siria/Putin- ai confini sirio-turchi schierandosi senza  incertezze a protezione dei kurdi e per tenere fermi nelle galere  gli ISIS arrestati.
Sono attualmente 5.950 i militari italiani delle quattro forze armate impegnati con diversi assett all'estero in 34 missioni internazionali che interessano in totale in 23 paesi. Il numero maggiore è schierato in Asia e Medio Oriente: 1.135 nella missione Unfil-Mibil in Libano (la missione attualmente più numerosa), 914 per "Resolute Support" in Afghanistan, 1018 per 'Prima Parthicà in Iraq e Kuwait, 123 in Turchia e 134 negli Emirati Arabi.
In Africa sono invece impegnati 282 soldati in Libia (assistenza e supporto), 179 in Somalia (di cui 129 per la missione 'Eutm' e 50 per la missione 'Miadit'), 150 a Gibuti (base di supporto), 80 in Egitto, 99 in Niger (assistenza e supporto) e 8 in Mali. Altri 1.700 circa, infine, sono impegnati in 4 missioni tra l'Europa e il Mediterraneo: 635 per "Mare Sicuro" e 341 per "Eunavformed", entrambe missioni per il contrasto all'immigrazione e il soccorso in mare - 582 in Kosovo e 187 in Lettonia. Ai 6mila militari italiani impegnati all'estero si aggiungono poi altri 7.320 che sono impegnati in alcune operazioni nazionali: 7.150 per “Strade sicure”, 170 nella "Task Group Genio" e 113 in altre missioni.
Queste missioni e interventi hanno un costo, che per il 2019 dovrebbe essere di 1 miliardo e 428 milioni di euro. Per avere un termine di paragone, consideriamo che l’Italia destina per la cooperazione allo sviluppo un budget di circa 514 milioni di euro per il 2019.
In pratica l’Italia per l’anno in corso ha stanziato 2 miliardi di euro, di cui il 75% per perseguire una serie di missioni militari e il restante 25% in attività di cooperazione e sviluppo.
Fuori dubbio che per i soldati italiani in missione all’estero non si tratta di andare a  fare vendemmia ma bisogna anche dire che essendo queste forze tutte formate da volontari, c’è una corsa a farvi parte dal momento che la paga è 2,5 volte superiore a quella se restassero in patria e –numeri alla mano-  sarebbe più pericoloso morire sul lavoro in Italia che perire in missione. Certi numeri occorre avere anche la faccia tosta di dirli.
Per quanto il quadro non sia così semplice come la brevità di un testo sul web impone, proprio i numeri (dei militari e dei costi) ci dicono  che la situazione potrebbe essere messa sotto controllo Ue senza gravi problemi economici ed organizzativi, salvo il fatto che una Ue che assieme alla NATO dal 1990 sta procedendo a serrare in una tenaglia da nord e su la Russia, evidente che Putin  nel momento in cui l’Ue ponesse una forza di separazione tra la Turchia, o Kurdi e la Siria, avrebbe parecchio da dire. E da fare con 45mila soldati in Siria.
L’impressione generale comunque è che le missioni militari all’estero dell’Ue servano ad altri interessi piuttosto che quelli di pacificazione delle zone in cui operano. Fanno Pil, sono una vetrina per vendere armamenti, vendono l’immagine dell’italiano bonaccione ma sostanzialmente servono a poco.
L’Ue a 28 membri non vuole riconoscersi come potenza mondiale nonostante il suo mezzo miliardo di popolazione ed i 15,300 migliaia di miliardi USD di PiL 2017 . Gli Stati Uniti 19,39 migliaia di miliardi USD e  la Cina con 12,24 migliaia di miliardi USD.
Sostanzialmente una Unione senza testa e nerbo.