A GUARDARE ALLE COLLINE PAGINA 1113 DEL 14 OTTOBRE 2019
























































Di cosa parliamo in questa pagina.



















DALLA MODESTA FINANZIARIA 2020
A QUELLA MERAVIGLIOSA DEL 2021
(SEMMAI C’ARRIVANO)
Un governo pallido. Senza scelte. In politica economica come in politica estera. Avvolto costantemente nel velo autoassolutorio dell'antisalvinismo. L'impasto emergenziale che ha dato vita meno di due mesi fa alla nuova maggioranza sta già mostrando tutti i suoi limiti.
L'estemporaneità di quella operazione politica sembra avere il fiato corto e scolorisce ogni decisione nel tentativo di nascondersi. L'indistinto è un rifugio per celare la propria natura improvvisata. Per non denunciare l'assenza di una visione progettuale.
La Legge di Bilancio è così lo specchio del deficit che accompagna l'intesa tra M5S e Pd.
Una manovra senza carattere.
Senza un provvedimento che possa dare un nome e un cognome alla nuova stagione.
La politica economica è il nucleo fondante di un esecutivo o di una coalizione. Eppure il confronto dentro la maggioranza è fatto di balbettii, di mezze frasi che alludono a mezze promesse e che poi diventano delle intere retromarce. I partiti sono preoccupati di difendere le rispettive bandiere più che di costruire una prospettiva. Si agitano dentro un quadro fatto di pallori.
(...)

IL QUARTO SEGRETO DI FATIMA
La pensione maggiorata
Il paradosso dei sindacalisti di Tito Boeri
I populisti si presentano come gli unici veri rappresentanti del popolo in contrapposizione a un'élite totalmente corrotta. Il popolo ha sempre ragione, ma, a guardare bene, non tutti fanno parte del popolo. Tanto per i populisti della prima generazione (Getúlio Vargas) che per quelli della terza generazione (Jair Bolsonaro), gli indios dell'Amazzonia non erano, non sono, né mai saranno parte del povo : «Hanno già a disposizione troppa terra». Anche per Juan Perón il
pueblo non ha mai incluso le popolazioni indigene della Pampa meridionale e della Patagonia. Per Donald Trump chi non ama il presidente, cioè lui stesso, non è "our people". Il popolo di Umberto Bossi abitava da qualche generazione sopra la linea del Po. Per Matteo Salvini del popolo non fanno parte gli immigrati presumibilmente fino alla ventesima generazione. Per Luigi Di Maio i cittadini extra-comunitari non sono popolo tant'è che, nella conversione del decreto che ha istituito il reddito di cittadinanza, ha permesso di inserire un meccanismo che impedisce che percepiscano il sussidio quando ne avrebbero diritto. Confidiamo in un ravvedimento di Conte II rispetto a Conte I prima del 21 ottobre quando la tagliola scatterà per 170 mila extracomunitari. Come già messo in luce su queste colonne, basterebbe un decreto interministeriale che stabilisca che i documenti che vengono pretestuosamente richiesti dalla legge solo a loro non possono essere ottenuti nei paesi d'origine. (...)

DETTO FATTO BOLLO AUTO SPARITO: DIMAIO
DETTO FATTO ACCISE SULLA BENZINA SPARITE:SALVINI
MA CI SONO ANCORA
Quando era vicepremier e titolare dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio lo aveva promesso: “Abolirò il bollo auto, una tassa iniqua che grava sugli automobilisti”, era stata la sua sentenza. L’impegno, gli va dato atto, è stato rispettato.
Peccato che la buona notizia non riguardi tutti gli automobilisti, e che non sia rivolta al futuro. Ne riguarda pochi ed è retroattiva. Perchè è l'applicazione della cosiddetta norma “strappacartelle” approvata dal precedente esecutivo giallo-verde, che permette, a chi non ha versato gli importi dovuti tra il 2000 ed il 2010, di vedersi cancellato il debito e la sanzione. Insomma l’ennesimo condono, che premia contribuenti distratti o furbi e fa - ovviamente - venire il mal di stomaco a tutti coloro che invece hanno regolarmente pagato la tassa, la cui ira si è manifestata con furenti commenti sulle piattaforme social.
(...)


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le immagini sottostanti possono essere abbastanza grandi: pazienza!





















ACQUA RAZIONATA
AGLI ASSEDIATI KURDI


SCUOLA TEDESCA
OVVIAMENTE NON E' BELLA
COME LA NEW RODARI


GIORNATA DELL'ANZIANO

































































































































































































SE UN FASCISTELLO VUOLE COMNDARE IN CASA ALTRUI E FALSIFICA LE PAGINE
Deve essere ridotto piuttosto male il custode delLa Latrina di Nusquamia: non ci è permette di fare in casa nostra (queste pagine) quello che vogliamo e per di più pretende che noi gli obbediamo. Insomma da fascistello com'è sempre stato –mica per nulla fece il portavoce di una giunta fascio leghista- pretende di comandare anche col balores digitale. Noi non usiamo queste pagine per cavarci dei soldi: quindi non rubiamo il lavoro altrui per impinguare le nostre finanze. Semmai gli facciamo pubblicità.
Fuori dubbio che ogni tanto facendo le frittate  dimentichiamo qualche ingrediente (e ci diverte un sacco vedere il custode deLa Latrina di Nusquamia  incazzarsi per le nostre plocade) ma siccome chi scorre queste pagine non paga la pubblicità a nessuno e di nessuno (a differenza del blog del custode delLa Latrina di Nusquamia), liberi tutti di arrivarci o meno. Noi non fotografiamo di sfrosso le cinquecentine della Mai per usarle a promuovere una qualche nostra professionalità. Cioè cavarci dei soldi. Noi non caviamo un centesimo da queste pagine e non costiamo un centesimo a chi vuole leggerle. E nessuno ci cava un centesimo da chi passa a leggerle.
Noi non nascondiamo una dittarella senza partita IVA dentro il negozio di fiorista del padre del nostro socio e nemmeno l'abbiamo messa in piedi sperando di trarre profitto dal fatto che il nostro socio sia nel frattempo diventato sindaco. Di conflitti di interessi ne sappiamo qualcosa. Lui mette i link dei suoi copia&incolla così oltre a ciulare soldi ai lettori li fa ciulare anche chi apre quei link. Vende anche il culo degli altri per farsi affari propri. Dottore cura te stesso: a partire dal cervello.

DALLA MODESTA FINANZIARIA 2020
A QUELLA MERAVIGLIOSA DEL 2021
(SEMMAI C’ARRIVANO)
Un governo pallido. Senza scelte. In politica economica come in politica estera. Avvolto costantemente nel velo autoassolutorio dell'antisalvinismo. L'impasto emergenziale che ha dato vita meno di due mesi fa alla nuova maggioranza sta già mostrando tutti i suoi limiti.
L'estemporaneità di quella operazione politica sembra avere il fiato corto e scolorisce ogni decisione nel tentativo di nascondersi. L'indistinto è un rifugio per celare la propria natura improvvisata. Per non denunciare l'assenza di una visione progettuale.
La Legge di Bilancio è così lo specchio del deficit che accompagna l'intesa tra M5S e Pd.
Una manovra senza carattere.
Senza un provvedimento che possa dare un nome e un cognome alla nuova stagione.
La politica economica è il nucleo fondante di un esecutivo o di una coalizione. Eppure il confronto dentro la maggioranza è fatto di balbettii, di mezze frasi che alludono a mezze promesse e che poi diventano delle intere retromarce. I partiti sono preoccupati di difendere le rispettive bandiere più che di costruire una prospettiva. Si agitano dentro un quadro fatto di pallori.
È evidente che le casse pubbliche del nostro Paese non consentano facili sciali. Sono i tempi che viviamo e tutti dovrebbero esserne consapevoli. Le difficoltà del momento, però, non possono impedire di provare almeno a imprimere un segno.
Certo, bisognerebbe avere un disegno comune. L'unico elemento condiviso sembra invece la paura. La paura di non essere demagogici o di non assecondare gli istinti della propria base elettorale. Questa classe dirigente è presa dal terrore di aumentare l'Iva, dallo spavento di cancellare misure sbagliate come Quota 100, dallo smarrimento di fronte all'idea di sacrificare una cosa per farne un'altra. Magari più giusta o più utile. Litigano per raschiare coperture a favore di provvedimenti amorfi. E in extremis scoprono che i fondi provenienti dalla lotta all'evasione fiscale sono a dir poco evanescenti. La prossima Finanziaria in questo modo è senza titolo. È la manovra di cosa? Del taglio al cuneo fiscale? No. Degli investimenti? No. Degli sgravi per i figli? No. Forse dell'Iva che non aumenta. Ossia di una situazione che i cittadini già vivono e di cui non coglieranno alcun cambiamento e nessun giovamento.
E la palude rischia così di allargarsi. Mentre la Turchia, Paese della Nato, attacca unilateralmente la Siria, l'Italia mostra la sua debolezza internazionale. Si rifugia dietro lo schermo europeo senza il coraggio di una scelta. Germania e Francia bloccano l'export bellico verso Ankara e Palazzo Chigi si limita ad annunciare che farà valere la sua posizione a Bruxelles. Una afasia che ingiustamente trasforma l'Italia in una nazione piccola.
Proprio come modesta si è rivelata la linea tenuta martedì scorso al vertice dei ministri dell'Interno dell'Unione europea. Doveva essere il primo test per verificare il passo avanti compiuto a fine settembre a Malta sui migranti. L'impegno per una effettiva ridistribuzione di chi approda in Italia, ha invece subìto uno stop.
Senza reazioni e senza spiegazioni.
Per non parlare del mutismo con cui tutto il governo ha letto gli ultimi dati relativi alle morti bianche sul lavoro e ha ascoltato il vibrante richiamo del presidente della Repubblica. Un silenzio senza precedenti. Come se la tutela dei lavoratori non appartenesse più alle esigenze primarie di un Paese civile e democratico. Con un dibattito forse chiuso in quella bolla in cui si teorizza che destra e sinistra non esistano più perché i problemi della gente non hanno colore politico. Dimenticando — o non sapendo — che le soluzioni che si danno ai problemi possono essere di destra o di sinistra.
La coalizione giallo-rossa balla su un crinale oltre il quale c'è un limbo, senza sostanza e senza tempo. La politica, però, in questa epoca, non sopporta attese lunghe. Soprattutto non le sopportano i cittadini. Le regole del consenso sono cambiate. La velocità può essere sostituita da una visione o da un'idea che persuada i cittadini ad aspettare un po'. Ma vanno convinti. La semplice conservazione dell'esistente è un solo placebo. Tirare a campare ormai equivale a tirare le cuoia.

Claudio Tito


IL QUARTO SEGRETO DI FATIMA


La pensione maggiorata
Il paradosso dei sindacalisti di Tito Boeri
I populisti si presentano come gli unici veri rappresentanti del popolo in contrapposizione a un'élite totalmente corrotta. Il popolo ha sempre ragione, ma, a guardare bene, non tutti fanno parte del popolo. Tanto per i populisti della prima generazione (Getúlio Vargas) che per quelli della terza generazione (Jair Bolsonaro), gli indios dell'Amazzonia non erano, non sono, né mai saranno parte del povo : «Hanno già a disposizione troppa terra». Anche per Juan Perón il
pueblo non ha mai incluso le popolazioni indigene della Pampa meridionale e della Patagonia. Per Donald Trump chi non ama il presidente, cioè lui stesso, non è "our people". Il popolo di Umberto Bossi abitava da qualche generazione sopra la linea del Po. Per Matteo Salvini del popolo non fanno parte gli immigrati presumibilmente fino alla ventesima generazione. Per Luigi Di Maio i cittadini extra-comunitari non sono popolo tant'è che, nella conversione del decreto che ha istituito il reddito di cittadinanza, ha permesso di inserire un meccanismo che impedisce che percepiscano il sussidio quando ne avrebbero diritto. Confidiamo in un ravvedimento di Conte II rispetto a Conte I prima del 21 ottobre quando la tagliola scatterà per 170 mila extracomunitari. Come già messo in luce su queste colonne, basterebbe un decreto interministeriale che stabilisca che i documenti che vengono pretestuosamente richiesti dalla legge solo a loro non possono essere ottenuti nei paesi d'origine.
I populisti reclamano per sé il monopolio dell'opposizione al punto da non concepire alcun ruolo per i corpi intermedi e per le associazioni della società civile. Nel 2013 Beppe Grillo aveva scritto l'epitaffio del sindacato: «I sindacati dovrebbero essere aboliti; sono una struttura vecchia, una struttura politica; non c'è più bisogno dei sindacati!». Per queste ragioni ha destato alquanto stupore una recente circolare Inps vidimata dal ministero del Lavoro (quindi sicuramente con il placet M5S) che stabilisce che i sindacalisti di ogni ordine e grado potranno beneficiare di un trattamento pensionistico di favore rispetto a tutti gli altri lavoratori, coloro cioè che il sindacato dovrebbe rappresentare.
Vediamo di cosa si tratta. Un sindacalista che va in aspettativa o distacco sindacale si vede versare o accreditare dal proprio datore di lavoro o dall'Inps contributi previdenziali proporzionati allo stipendio del suo passato inquadramento, aggiornato in base agli accordi collettivi e agli scatti di anzianità. Il sindacato ha però la facoltà di integrare questi contributi con una propria contribuzione aggiuntiva proporzionata all'indennità che versa al sindacalista durante il periodo in cui opera a tempo pieno per il sindacato. Si tratta di una facoltà, non sono contributi obbligatori come quelli che riguardano circa un terzo della busta paga di un dipendente. Ragione vorrebbe perciò che questa contribuzione aggiuntiva venisse valorizzata con le regole del sistema contributivo: in altre parole i contributi dovrebbero sì aumentare la pensione del sindacalista, ma senza gravare sulle generazioni future.
Così non è secondo la circolare. Il sindacato e solo il sindacato può versare quando vuole questa contribuzione aggiuntiva e farla valere come una ulteriore componente fissa e continuativa della retribuzione del dipendente, valutandola ai fini pensionistici in base al regime pensionistico del dipendente. Prendiamo il caso di un sindacalista in distacco o aspettativa dal settore pubblico (sono circa 2 mila persone in questa condizione) che abbia, poniamo, 20 anni di contributi versati prima del 1992 e che avrebbe diritto nel suo inquadramento a una retribuzione di 1000 euro. Il sindacato può pagargli nel suo ultimo mese di lavoro un'indennità di 2500 euro e su questa indennità versare la contribuzione aggiuntiva. Se così facesse, il sindacalista si vedrebbe riconosciuti oltre 1300 euro in più di pensione al mese per sempre.
La circolare dà così legittimità a una prassi, resa pubblica nell'operazione "Porte aperte", che ha gonfiato le pensioni dei sindacalisti anche del 65% rispetto a quanto avrebbero ricevuto se le contribuzioni aggiuntive, cui solo loro hanno diritto, fossero state valutate col metodo contributivo. L'atto vidimato dal ministero impedirà all'Inps di recuperare somme non indifferenti erogate a molti ex-dirigenti sindacali e, di fatto, trasforma il sindacato in un datore di lavoro che può fare aumentare la quota retributiva pensionistica del rappresentante sindacale come se quell'aumento gli fosse stato concesso dal proprio datore di lavoro . In passato erano stati soprattutto i sindacati autonomi della scuola (a partire dallo Snals) e molte sigle minori a beneficiare di questa prassi. La circolare ora concede questa possibilità a sindacati di ogni ordine e grado, indipendentemente dalla loro rappresentatività (che oggi, diversamente che in passato, può essere misurata).
Questo significa che anche un'associazione di pochi lavoratori, magari affiliati mediante criteri di appartenenza politica, può aspirare a concedere ai propri aderenti questo trattamento. Forse è proprio per questo che il ministero a guida populista ha approvato la circolare. Offre una sponda per premiare i dipendenti pubblici che mostrano di assecondare maggiormente i dettami dei "rappresentanti del popolo".
Contrariamente alle visioni dicotomiche dei populisti, il sindacato, come molti altri corpi intermedi, ha un ruolo fondamentale nelle nostre democrazie. Oggi ha perso credibilità agli occhi dei lavoratori e questi trattamenti di favore non sono certo un bel biglietto da visita per chi dovrebbe rappresentare operai e impiegati impoveriti dalle crisi di questi anni. Se il sindacato chiedesse di cambiare la circolare Inps, proponendo di valorizzare la contribuzione aggiuntiva in base alle regole del sistema contributivo, darebbe un segnale di correttezza e responsabilità che verrebbe molto apprezzato. Si può giustificare il fatto che le organizzazioni dei lavoratori vogliano contribuire ad aumentare la pensione di chi ha lavorato nel sindacato. Ma non possono farlo gravando sulle spalle di tutti, tanto di chi è sindacalizzato che di chi non lo è affatto. Soprattutto non possono appesantire ulteriormente il fardello che domani si ritroverà sulle spalle chi ancora non è nato.

DETTI FATTO BOLLO AUTO SPARITO: DIMAIO
DETTO FATTO ACCISE SULLA BENZINA SPARITE:SALVINI
MA CI SONO ANCORA
Quando era vicepremier e titolare dello Sviluppo Economico, Luigi Di Maio lo aveva promesso: “Abolirò il bollo auto, una tassa iniqua che grava sugli automobilisti”, era stata la sua sentenza. L’impegno, gli va dato atto, è stato rispettato.
Peccato che la buona notizia non riguardi tutti gli automobilisti, e che non sia rivolta al futuro. Ne riguarda pochi ed è retroattiva. Perchè è l'applicazione della cosiddetta norma “strappacartelle” approvata dal precedente esecutivo giallo-verde, che permette, a chi non ha versato gli importi dovuti tra il 2000 ed il 2010, di vedersi cancellato il debito e la sanzione. Insomma l’ennesimo condono, che premia contribuenti distratti o furbi e fa - ovviamente - venire il mal di stomaco a tutti coloro che invece hanno regolarmente pagato la tassa, la cui ira si è manifestata con furenti commenti sulle piattaforme social.
Ma sul Fisco che la partita possa essere truccata non lo rivela soltanto il condono in arrivo per le tasse automobilistiche. Lo mette nero su bianco l'Ufficio parlamentare di bilancio, che definisce l’obiettivo di recuperare 7 miliardi dall’evasione “piuttosto ambizioso specie se raffrontato con i risultati tradizionalmente ottenuti e quindi difficilmente conseguibile”. Lo scrive la Banca d’Italia, per la quale “ è difficile quantificare il recupero dell’evasione”. Lo certifica la Corte dei Conti, che esprime le sue riserve sulle modalità di copertura della spesa programmata "attraverso un ricorso massiccio alle risorse che si intendono recuperare dall’evasione fiscale”. Insomma, non ci siamo.
E uno.
E due.
Salvini aveva promesso di tagliare le accise sulla benzina già al primo Consiglio dei ministri. E lo ha ribadito appena arrivato al governo nel 2018. . Sarebbe stato il suo primo provvedimento da vicepresidente del Consiglio. Impegno non rispettato. Non solo, perché ha poi continuato a ribadire che il taglio ci sarebbe stato. Prima aveva garantito che sarebbe arrivato entro l’estate. Poi ha rinviato tutto alla legge di Bilancio. Le accise sulla benzina, dopo 14 mesi di governo giallo-verde, ci sono ancora tutte. Non c’è stata alcuna riduzione. E anche gli esponenti leghisti del governo hanno garantito per mesi che il taglio sarebbe stato inserito in manovra. E invece niente, neanche con la legge di Bilancio 2019. Anzi, la manovra ha persino previsto un possibile aumento delle accise sui carburanti nel 2020 nel caso in cui il governo SalviMaio non riescisse a sterilizzare le clausole di salvaguardia che riguardano non solo l’aumento dell’Iva, ma anche delle accise (servono 400 milioni di euro per evitare l’incremento).
Una volta certificato il suo fallimento e il mancato rispetto della promessa, Salvini si è tentato di giustificare, sostenendo che non fosse colpa sua, che non era al governo da solo, che le risorse non erano sufficienti e che comunque non era possibile mantenere tutti gli impegni subito. Quindi ha nuovamente rinviato il taglio delle accise, assicurando, però, che nel 2019 sarebbe arrivato il tanto agognato provvedimento che avrebbe ridotto le accise. Eppure nei mesi successivi e per tutto il 2019 questo tema è praticamente scomparso dalle dichiarazioni di Salvini. Forse nella speranza che qualcuno dimenticasse la sua promessa, mai mantenuta.
Tanto per capire di quanto si tratta.
Cosa sono le accise sulla benzina
Le accise sui carburanti influiscono pesantemente sul costo della benzina. Tanto che l’Italia, stando a quanto riportato da una ricerca del Centro studi Impresalavoro, è uno dei Paesi Ue in cui il costo della benzina è più alto e addirittura quello in cui il diesel si paga più caro. Lo studio ricorda che in Italia si pagano 17 diverse accise sui carburanti, tra cui alcune risalenti addirittura al 1935, come nel caso di quelle dovute per la guerra in Etiopia. In realtà ora non è più così e dal 1995 le accise sono state unite sotto un’unica voce, non prevedendo più singoli dettagli di spesa.
Negli ultimi dieci anni l’aumento del gettito per lo Stato grazie alle accise è stato di 5,2 miliardi di euro. In totale l’Italia riceve 34,11 miliardi dal pagamento delle accise da parte dei cittadini. Di queste, il 75% deriva proprio dai carburanti e dal combustile. Nel 2017 lo Stato ha incassato grazie a queste accise 25,7 miliardi. Va detto che le accise in Italia sono rimaste invariate dal 2013 ad oggi: si paga 0,728 euro al litro sulla benzina, 0,61 sul gasolio e 0,14 sul gpl.

Ma. Ma il 5 ottobre le gazzette titolano brutte notizie: la parificazione delle accise tra benzina e gasolio. Ogni centesimo di accisa in più sul gasolio per autotrazione, si tradurrebbe in un incremento del gettito per lo Stato di 200 milioni di euro. Basterebbe ridurre di 5 centesimi le agevolazioni per attingere a un tesoretto di un miliardo di euro. Ovviamente, il prezzo del carburante alla pompa salirebbe della stessa misura e i primi a pagare il presso della rivoluzione verde sarebbero quindi 17 milioni di automobilisti che potrebbero subire un aumento del prezzo del carburante. A salvarsi, autotrasportatori e aziende agricole, già nei giorni scorsi rassicurati sia dal premier Conte che dal ministro Bellanova, del fatto che non sarebbero stati toccati da eventuali rincari.
Il 10 ottobre altro titolo delle gazzette. Per contrastare l’evasione fiscale il governo vuole mettere in campo anche una stretta sulle frodi sui carburanti abusivamente importati: la bozza del decreto fiscale collegato alla manovra stima il recupero di cifre fino a 1,1 miliardi di euro per il mancato gettito su benzina e diesel. E lo farà attraverso due strumenti: meccanismi informatizzati sui depositi e l’adozione di un documento informatico.
Ad oggi, lunedi 14 ottobre, non si parla più di abolizione delle accise o della parificazione. E gli italiani sono stati fatti fessi ancora.