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DALLA MODESTA FINANZIARIA 2020
A QUELLA MERAVIGLIOSA DEL 2021
(SEMMAI C’ARRIVANO)
Un governo pallido. Senza scelte. In politica economica come in
politica estera. Avvolto costantemente nel velo autoassolutorio
dell'antisalvinismo. L'impasto emergenziale che ha dato vita meno di
due mesi fa alla nuova maggioranza sta già mostrando tutti i suoi
limiti.
L'estemporaneità di quella operazione politica sembra avere il fiato
corto e scolorisce ogni decisione nel tentativo di nascondersi.
L'indistinto è un rifugio per celare la propria natura improvvisata.
Per non denunciare l'assenza di una visione progettuale.
La Legge di Bilancio è così lo specchio del deficit che accompagna l'intesa tra M5S e Pd.
Una manovra senza carattere.
Senza un provvedimento che possa dare un nome e un cognome alla nuova stagione.
La politica economica è il nucleo fondante di un esecutivo o di una
coalizione. Eppure il confronto dentro la maggioranza è fatto di
balbettii, di mezze frasi che alludono a mezze promesse e che poi
diventano delle intere retromarce. I partiti sono preoccupati di
difendere le rispettive bandiere più che di costruire una prospettiva.
Si agitano dentro un quadro fatto di pallori.
(...)
IL QUARTO SEGRETO DI FATIMA
La pensione maggiorata
Il paradosso dei sindacalisti di Tito Boeri
I populisti si presentano come gli unici veri rappresentanti del popolo
in contrapposizione a un'élite totalmente corrotta. Il popolo ha sempre
ragione, ma, a guardare bene, non tutti fanno parte del popolo. Tanto
per i populisti della prima generazione (Getúlio Vargas) che per quelli
della terza generazione (Jair Bolsonaro), gli indios dell'Amazzonia non
erano, non sono, né mai saranno parte del povo : «Hanno già a
disposizione troppa terra». Anche per Juan Perón il
pueblo non ha mai incluso le popolazioni indigene della Pampa
meridionale e della Patagonia. Per Donald Trump chi non ama il
presidente, cioè lui stesso, non è "our people". Il popolo di Umberto
Bossi abitava da qualche generazione sopra la linea del Po. Per Matteo
Salvini del popolo non fanno parte gli immigrati presumibilmente fino
alla ventesima generazione. Per Luigi Di Maio i cittadini
extra-comunitari non sono popolo tant'è che, nella conversione del
decreto che ha istituito il reddito di cittadinanza, ha permesso di
inserire un meccanismo che impedisce che percepiscano il sussidio
quando ne avrebbero diritto. Confidiamo in un ravvedimento di Conte II
rispetto a Conte I prima del 21 ottobre quando la tagliola scatterà per
170 mila extracomunitari. Come già messo in luce su queste colonne,
basterebbe un decreto interministeriale che stabilisca che i documenti
che vengono pretestuosamente richiesti dalla legge solo a loro non
possono essere ottenuti nei paesi d'origine. (...)
DETTO FATTO BOLLO AUTO SPARITO: DIMAIO
DETTO FATTO ACCISE SULLA BENZINA SPARITE:SALVINI
MA CI SONO ANCORA
Quando era vicepremier e titolare dello Sviluppo Economico, Luigi Di
Maio lo aveva promesso: “Abolirò il bollo auto, una tassa iniqua che
grava sugli automobilisti”, era stata la sua sentenza. L’impegno, gli
va dato atto, è stato rispettato.
Peccato che la buona notizia non riguardi tutti gli automobilisti, e
che non sia rivolta al futuro. Ne riguarda pochi ed è retroattiva.
Perchè è l'applicazione della cosiddetta norma “strappacartelle”
approvata dal precedente esecutivo giallo-verde, che permette, a chi
non ha versato gli importi dovuti tra il 2000 ed il 2010, di vedersi
cancellato il debito e la sanzione. Insomma l’ennesimo condono, che
premia contribuenti distratti o furbi e fa - ovviamente - venire il mal
di stomaco a tutti coloro che invece hanno regolarmente pagato la
tassa, la cui ira si è manifestata con furenti commenti sulle
piattaforme social.
(...)
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SE UN FASCISTELLO VUOLE COMNDARE IN CASA ALTRUI E FALSIFICA LE PAGINE
Deve essere ridotto piuttosto male il custode delLa Latrina di
Nusquamia: non ci è permette di fare in casa nostra (queste pagine)
quello che vogliamo e per di più pretende che noi gli obbediamo.
Insomma da fascistello com'è sempre stato –mica per nulla fece il
portavoce di una giunta fascio leghista- pretende di comandare anche
col balores digitale. Noi non usiamo queste pagine per cavarci dei
soldi: quindi non rubiamo il lavoro altrui per impinguare le nostre
finanze. Semmai gli facciamo pubblicità.
Fuori dubbio che ogni tanto facendo le frittate dimentichiamo
qualche ingrediente (e ci diverte un sacco vedere il custode deLa
Latrina di Nusquamia incazzarsi per le nostre plocade) ma siccome
chi scorre queste pagine non paga la pubblicità a nessuno e di nessuno
(a differenza del blog del custode delLa Latrina di Nusquamia), liberi
tutti di arrivarci o meno. Noi non fotografiamo di sfrosso le
cinquecentine della Mai per usarle a promuovere una qualche nostra
professionalità. Cioè cavarci dei soldi. Noi non caviamo un centesimo
da queste pagine e non costiamo un centesimo a chi vuole leggerle. E
nessuno ci cava un centesimo da chi passa a leggerle.
Noi non nascondiamo una dittarella senza partita IVA dentro il negozio
di fiorista del padre del nostro socio e nemmeno l'abbiamo messa in
piedi sperando di trarre profitto dal fatto che il nostro socio sia nel
frattempo diventato sindaco. Di conflitti di interessi ne sappiamo
qualcosa. Lui mette i link dei suoi copia&incolla così oltre a
ciulare soldi ai lettori li fa ciulare anche chi apre quei link. Vende
anche il culo degli altri per farsi affari propri. Dottore cura te
stesso: a partire dal cervello.
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DALLA MODESTA FINANZIARIA 2020
A QUELLA MERAVIGLIOSA DEL 2021
(SEMMAI C’ARRIVANO)
Un governo pallido. Senza scelte. In politica economica come in
politica estera. Avvolto costantemente nel velo autoassolutorio
dell'antisalvinismo. L'impasto emergenziale che ha dato vita meno di
due mesi fa alla nuova maggioranza sta già mostrando tutti i suoi
limiti.
L'estemporaneità di quella operazione politica sembra avere il fiato
corto e scolorisce ogni decisione nel tentativo di nascondersi.
L'indistinto è un rifugio per celare la propria natura improvvisata.
Per non denunciare l'assenza di una visione progettuale.
La Legge di Bilancio è così lo specchio del deficit che accompagna l'intesa tra M5S e Pd.
Una manovra senza carattere.
Senza un provvedimento che possa dare un nome e un cognome alla nuova stagione.
La politica economica è il nucleo fondante di un esecutivo o di una
coalizione. Eppure il confronto dentro la maggioranza è fatto di
balbettii, di mezze frasi che alludono a mezze promesse e che poi
diventano delle intere retromarce. I partiti sono preoccupati di
difendere le rispettive bandiere più che di costruire una prospettiva.
Si agitano dentro un quadro fatto di pallori.
È evidente che le casse pubbliche del nostro Paese non consentano
facili sciali. Sono i tempi che viviamo e tutti dovrebbero esserne
consapevoli. Le difficoltà del momento, però, non possono impedire di
provare almeno a imprimere un segno.
Certo, bisognerebbe avere un disegno comune. L'unico elemento condiviso
sembra invece la paura. La paura di non essere demagogici o di non
assecondare gli istinti della propria base elettorale. Questa classe
dirigente è presa dal terrore di aumentare l'Iva, dallo spavento di
cancellare misure sbagliate come Quota 100, dallo smarrimento di fronte
all'idea di sacrificare una cosa per farne un'altra. Magari più giusta
o più utile. Litigano per raschiare coperture a favore di provvedimenti
amorfi. E in extremis scoprono che i fondi provenienti dalla lotta
all'evasione fiscale sono a dir poco evanescenti. La prossima
Finanziaria in questo modo è senza titolo. È la manovra di cosa? Del
taglio al cuneo fiscale? No. Degli investimenti? No. Degli sgravi per i
figli? No. Forse dell'Iva che non aumenta. Ossia di una situazione che
i cittadini già vivono e di cui non coglieranno alcun cambiamento e
nessun giovamento.
E la palude rischia così di allargarsi. Mentre la Turchia, Paese della
Nato, attacca unilateralmente la Siria, l'Italia mostra la sua
debolezza internazionale. Si rifugia dietro lo schermo europeo senza il
coraggio di una scelta. Germania e Francia bloccano l'export bellico
verso Ankara e Palazzo Chigi si limita ad annunciare che farà valere la
sua posizione a Bruxelles. Una afasia che ingiustamente trasforma
l'Italia in una nazione piccola.
Proprio come modesta si è rivelata la linea tenuta martedì scorso al
vertice dei ministri dell'Interno dell'Unione europea. Doveva essere il
primo test per verificare il passo avanti compiuto a fine settembre a
Malta sui migranti. L'impegno per una effettiva ridistribuzione di chi
approda in Italia, ha invece subìto uno stop.
Senza reazioni e senza spiegazioni.
Per non parlare del mutismo con cui tutto il governo ha letto gli
ultimi dati relativi alle morti bianche sul lavoro e ha ascoltato il
vibrante richiamo del presidente della Repubblica. Un silenzio senza
precedenti. Come se la tutela dei lavoratori non appartenesse più alle
esigenze primarie di un Paese civile e democratico. Con un dibattito
forse chiuso in quella bolla in cui si teorizza che destra e sinistra
non esistano più perché i problemi della gente non hanno colore
politico. Dimenticando — o non sapendo — che le soluzioni che si danno
ai problemi possono essere di destra o di sinistra.
La coalizione giallo-rossa balla su un crinale oltre il quale c'è un
limbo, senza sostanza e senza tempo. La politica, però, in questa
epoca, non sopporta attese lunghe. Soprattutto non le sopportano i
cittadini. Le regole del consenso sono cambiate. La velocità può essere
sostituita da una visione o da un'idea che persuada i cittadini ad
aspettare un po'. Ma vanno convinti. La semplice conservazione
dell'esistente è un solo placebo. Tirare a campare ormai equivale a
tirare le cuoia.
Claudio Tito
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IL QUARTO SEGRETO DI FATIMA
La pensione maggiorata
Il paradosso dei sindacalisti di Tito Boeri
I populisti si presentano come gli unici veri rappresentanti del popolo
in contrapposizione a un'élite totalmente corrotta. Il popolo ha sempre
ragione, ma, a guardare bene, non tutti fanno parte del popolo. Tanto
per i populisti della prima generazione (Getúlio Vargas) che per quelli
della terza generazione (Jair Bolsonaro), gli indios dell'Amazzonia non
erano, non sono, né mai saranno parte del povo : «Hanno già a
disposizione troppa terra». Anche per Juan Perón il
pueblo non ha mai incluso le popolazioni indigene della Pampa
meridionale e della Patagonia. Per Donald Trump chi non ama il
presidente, cioè lui stesso, non è "our people". Il popolo di Umberto
Bossi abitava da qualche generazione sopra la linea del Po. Per Matteo
Salvini del popolo non fanno parte gli immigrati presumibilmente fino
alla ventesima generazione. Per Luigi Di Maio i cittadini
extra-comunitari non sono popolo tant'è che, nella conversione del
decreto che ha istituito il reddito di cittadinanza, ha permesso di
inserire un meccanismo che impedisce che percepiscano il sussidio
quando ne avrebbero diritto. Confidiamo in un ravvedimento di Conte II
rispetto a Conte I prima del 21 ottobre quando la tagliola scatterà per
170 mila extracomunitari. Come già messo in luce su queste colonne,
basterebbe un decreto interministeriale che stabilisca che i documenti
che vengono pretestuosamente richiesti dalla legge solo a loro non
possono essere ottenuti nei paesi d'origine.
I populisti reclamano per sé il monopolio dell'opposizione al punto da
non concepire alcun ruolo per i corpi intermedi e per le associazioni
della società civile. Nel 2013 Beppe Grillo aveva scritto l'epitaffio
del sindacato: «I sindacati dovrebbero essere aboliti; sono una
struttura vecchia, una struttura politica; non c'è più bisogno dei
sindacati!». Per queste ragioni ha destato alquanto stupore una recente
circolare Inps vidimata dal ministero del Lavoro (quindi sicuramente
con il placet M5S) che stabilisce che i sindacalisti di ogni ordine e
grado potranno beneficiare di un trattamento pensionistico di favore
rispetto a tutti gli altri lavoratori, coloro cioè che il sindacato
dovrebbe rappresentare.
Vediamo di cosa si tratta. Un sindacalista che va in aspettativa o
distacco sindacale si vede versare o accreditare dal proprio datore di
lavoro o dall'Inps contributi previdenziali proporzionati allo
stipendio del suo passato inquadramento, aggiornato in base agli
accordi collettivi e agli scatti di anzianità. Il sindacato ha però la
facoltà di integrare questi contributi con una propria contribuzione
aggiuntiva proporzionata all'indennità che versa al sindacalista
durante il periodo in cui opera a tempo pieno per il sindacato. Si
tratta di una facoltà, non sono contributi obbligatori come quelli che
riguardano circa un terzo della busta paga di un dipendente. Ragione
vorrebbe perciò che questa contribuzione aggiuntiva venisse valorizzata
con le regole del sistema contributivo: in altre parole i contributi
dovrebbero sì aumentare la pensione del sindacalista, ma senza gravare
sulle generazioni future.
Così non è secondo la circolare. Il sindacato e solo il sindacato può
versare quando vuole questa contribuzione aggiuntiva e farla valere
come una ulteriore componente fissa e continuativa della retribuzione
del dipendente, valutandola ai fini pensionistici in base al regime
pensionistico del dipendente. Prendiamo il caso di un sindacalista in
distacco o aspettativa dal settore pubblico (sono circa 2 mila persone
in questa condizione) che abbia, poniamo, 20 anni di contributi versati
prima del 1992 e che avrebbe diritto nel suo inquadramento a una
retribuzione di 1000 euro. Il sindacato può pagargli nel suo ultimo
mese di lavoro un'indennità di 2500 euro e su questa indennità versare
la contribuzione aggiuntiva. Se così facesse, il sindacalista si
vedrebbe riconosciuti oltre 1300 euro in più di pensione al mese per
sempre.
La circolare dà così legittimità a una prassi, resa pubblica
nell'operazione "Porte aperte", che ha gonfiato le pensioni dei
sindacalisti anche del 65% rispetto a quanto avrebbero ricevuto se le
contribuzioni aggiuntive, cui solo loro hanno diritto, fossero state
valutate col metodo contributivo. L'atto vidimato dal ministero
impedirà all'Inps di recuperare somme non indifferenti erogate a molti
ex-dirigenti sindacali e, di fatto, trasforma il sindacato in un datore
di lavoro che può fare aumentare la quota retributiva pensionistica del
rappresentante sindacale come se quell'aumento gli fosse stato concesso
dal proprio datore di lavoro . In passato erano stati soprattutto i
sindacati autonomi della scuola (a partire dallo Snals) e molte sigle
minori a beneficiare di questa prassi. La circolare ora concede questa
possibilità a sindacati di ogni ordine e grado, indipendentemente dalla
loro rappresentatività (che oggi, diversamente che in passato, può
essere misurata).
Questo significa che anche un'associazione di pochi lavoratori, magari
affiliati mediante criteri di appartenenza politica, può aspirare a
concedere ai propri aderenti questo trattamento. Forse è proprio per
questo che il ministero a guida populista ha approvato la circolare.
Offre una sponda per premiare i dipendenti pubblici che mostrano di
assecondare maggiormente i dettami dei "rappresentanti del popolo".
Contrariamente alle visioni dicotomiche dei populisti, il sindacato,
come molti altri corpi intermedi, ha un ruolo fondamentale nelle nostre
democrazie. Oggi ha perso credibilità agli occhi dei lavoratori e
questi trattamenti di favore non sono certo un bel biglietto da visita
per chi dovrebbe rappresentare operai e impiegati impoveriti dalle
crisi di questi anni. Se il sindacato chiedesse di cambiare la
circolare Inps, proponendo di valorizzare la contribuzione aggiuntiva
in base alle regole del sistema contributivo, darebbe un segnale di
correttezza e responsabilità che verrebbe molto apprezzato. Si può
giustificare il fatto che le organizzazioni dei lavoratori vogliano
contribuire ad aumentare la pensione di chi ha lavorato nel sindacato.
Ma non possono farlo gravando sulle spalle di tutti, tanto di chi è
sindacalizzato che di chi non lo è affatto. Soprattutto non possono
appesantire ulteriormente il fardello che domani si ritroverà sulle
spalle chi ancora non è nato.
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DETTI FATTO BOLLO AUTO SPARITO: DIMAIO
DETTO FATTO ACCISE SULLA BENZINA SPARITE:SALVINI
MA CI SONO ANCORA
Quando era vicepremier e titolare dello Sviluppo Economico, Luigi Di
Maio lo aveva promesso: “Abolirò il bollo auto, una tassa iniqua che
grava sugli automobilisti”, era stata la sua sentenza. L’impegno, gli
va dato atto, è stato rispettato.
Peccato che la buona notizia non riguardi tutti gli automobilisti, e
che non sia rivolta al futuro. Ne riguarda pochi ed è retroattiva.
Perchè è l'applicazione della cosiddetta norma “strappacartelle”
approvata dal precedente esecutivo giallo-verde, che permette, a chi
non ha versato gli importi dovuti tra il 2000 ed il 2010, di vedersi
cancellato il debito e la sanzione. Insomma l’ennesimo condono, che
premia contribuenti distratti o furbi e fa - ovviamente - venire il mal
di stomaco a tutti coloro che invece hanno regolarmente pagato la
tassa, la cui ira si è manifestata con furenti commenti sulle
piattaforme social.
Ma sul Fisco che la partita possa essere truccata non lo rivela
soltanto il condono in arrivo per le tasse automobilistiche. Lo mette
nero su bianco l'Ufficio parlamentare di bilancio, che definisce
l’obiettivo di recuperare 7 miliardi dall’evasione “piuttosto ambizioso
specie se raffrontato con i risultati tradizionalmente ottenuti e
quindi difficilmente conseguibile”. Lo scrive la Banca d’Italia, per la
quale “ è difficile quantificare il recupero dell’evasione”. Lo
certifica la Corte dei Conti, che esprime le sue riserve sulle modalità
di copertura della spesa programmata "attraverso un ricorso massiccio
alle risorse che si intendono recuperare dall’evasione fiscale”.
Insomma, non ci siamo.
E uno.
E due.
Salvini aveva promesso di tagliare le accise sulla benzina già al primo
Consiglio dei ministri. E lo ha ribadito appena arrivato al governo nel
2018. . Sarebbe stato il suo primo provvedimento da vicepresidente del
Consiglio. Impegno non rispettato. Non solo, perché ha poi continuato a
ribadire che il taglio ci sarebbe stato. Prima aveva garantito che
sarebbe arrivato entro l’estate. Poi ha rinviato tutto alla legge di
Bilancio. Le accise sulla benzina, dopo 14 mesi di governo
giallo-verde, ci sono ancora tutte. Non c’è stata alcuna riduzione. E
anche gli esponenti leghisti del governo hanno garantito per mesi che
il taglio sarebbe stato inserito in manovra. E invece niente, neanche
con la legge di Bilancio 2019. Anzi, la manovra ha persino previsto un
possibile aumento delle accise sui carburanti nel 2020 nel caso in cui
il governo SalviMaio non riescisse a sterilizzare le clausole di
salvaguardia che riguardano non solo l’aumento dell’Iva, ma anche delle
accise (servono 400 milioni di euro per evitare l’incremento).
Una volta certificato il suo fallimento e il mancato rispetto della
promessa, Salvini si è tentato di giustificare, sostenendo che non
fosse colpa sua, che non era al governo da solo, che le risorse non
erano sufficienti e che comunque non era possibile mantenere tutti gli
impegni subito. Quindi ha nuovamente rinviato il taglio delle accise,
assicurando, però, che nel 2019 sarebbe arrivato il tanto agognato
provvedimento che avrebbe ridotto le accise. Eppure nei mesi successivi
e per tutto il 2019 questo tema è praticamente scomparso dalle
dichiarazioni di Salvini. Forse nella speranza che qualcuno
dimenticasse la sua promessa, mai mantenuta.
Tanto per capire di quanto si tratta.
Cosa sono le accise sulla benzina
Le accise sui carburanti influiscono pesantemente sul costo della
benzina. Tanto che l’Italia, stando a quanto riportato da una ricerca
del Centro studi Impresalavoro, è uno dei Paesi Ue in cui il costo
della benzina è più alto e addirittura quello in cui il diesel si paga
più caro. Lo studio ricorda che in Italia si pagano 17 diverse accise
sui carburanti, tra cui alcune risalenti addirittura al 1935, come nel
caso di quelle dovute per la guerra in Etiopia. In realtà ora non è più
così e dal 1995 le accise sono state unite sotto un’unica voce, non
prevedendo più singoli dettagli di spesa.
Negli ultimi dieci anni l’aumento del gettito per lo Stato grazie alle
accise è stato di 5,2 miliardi di euro. In totale l’Italia riceve 34,11
miliardi dal pagamento delle accise da parte dei cittadini. Di queste,
il 75% deriva proprio dai carburanti e dal combustile. Nel 2017 lo
Stato ha incassato grazie a queste accise 25,7 miliardi. Va detto che
le accise in Italia sono rimaste invariate dal 2013 ad oggi: si paga
0,728 euro al litro sulla benzina, 0,61 sul gasolio e 0,14 sul gpl.
Ma. Ma il 5 ottobre le gazzette titolano brutte notizie: la
parificazione delle accise tra benzina e gasolio. Ogni centesimo di
accisa in più sul gasolio per autotrazione, si tradurrebbe in un
incremento del gettito per lo Stato di 200 milioni di euro. Basterebbe
ridurre di 5 centesimi le agevolazioni per attingere a un tesoretto di
un miliardo di euro. Ovviamente, il prezzo del carburante alla pompa
salirebbe della stessa misura e i primi a pagare il presso della
rivoluzione verde sarebbero quindi 17 milioni di automobilisti che
potrebbero subire un aumento del prezzo del carburante. A salvarsi,
autotrasportatori e aziende agricole, già nei giorni scorsi rassicurati
sia dal premier Conte che dal ministro Bellanova, del fatto che non
sarebbero stati toccati da eventuali rincari.
Il 10 ottobre altro titolo delle gazzette. Per contrastare l’evasione
fiscale il governo vuole mettere in campo anche una stretta sulle frodi
sui carburanti abusivamente importati: la bozza del decreto fiscale
collegato alla manovra stima il recupero di cifre fino a 1,1 miliardi
di euro per il mancato gettito su benzina e diesel. E lo farà
attraverso due strumenti: meccanismi informatizzati sui depositi e
l’adozione di un documento informatico.
Ad oggi, lunedi 14 ottobre, non si parla più di abolizione delle accise
o della parificazione. E gli italiani sono stati fatti fessi ancora.
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