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ADESSO L'ITALIA E' A POSTO
Dopo l'ultima deliberazione della Camera sulla riduzione del numero dei
Parlamentari, la battuta migliore anche se scontata è quella sui
tacchini che si mettono da soli allo spiedo per il prossimo Natale.
Realisticamente questi parlamentari hanno deciso andreottianamente che
è meglio tirare a campare che tirare le cuoia viste le incerte
prospettive della legislatura. Visto anche che di soldi da investire
(nella prossima legge di bilancio) non ce ne sono mentre di tagli da
fare ce ne sono troppi.
Noi restiamo del parere che per diminuire il numero dei parlamentari,
oltre all'abolizione di una delle due camere, basterebbe affidarlo agli
elettori: un sistema perfettamente proporzionale a doppio turno dove
ogni forza politica manda in Parlamento un eletto ogni centomila voti
presi. Ne abbiamo già scritto. In Italia dovrebbero votare in 46,6
milioni e quindi potrebbero eleggere 466 deputati. Chiamiamoli così.
Sarebbero un numero più che sufficiente a rappresentare chi vuole
essere rappresentato: uno stimolo ad andare a votare anziché fare il
quaqquaraqua.
(...)
Pd e Cinque stelle si intendono su tutto, su tutto il programma dei
Cinque PD E CINQUESTELLE SI INTENDONO SU TUTTO: SU TUTTO IL PROGRAMMA
DEI CINQUESTELLE
Dopo avere votato contro per ben tre volte, in difesa della democrazia
rappresentativa, della divisione dei poteri e degli equilibri
costituzionali, il Pd ha approvato ieri il taglio dei parlamentari
voluto dal Movimento 5 stelle. Ma solo dopo avere ottenuto un documento
in cui i due partiti si impegnano solennemente, tra le altre cose, a
presentare entro dicembre una nuova legge elettorale che risolva il
problema in qualche modo. Non meglio specificato.
Quale dovrebbe essere infatti il nuovo sistema elettorale capace di
correggere le distorsioni prodotte dalla riforma, e che il Pd fino a
ieri aveva denunciato con veemenza, il testo dell'accordo non lo dice,
e non lo dice per l'ottima ragione che nessuno dei contraenti ne ha la
minima idea. Tutto quello che il documento afferma al riguardo, al
punto uno, è quanto segue: «Ci impegniamo a presentare entro il mese di
dicembre un progetto di nuova legge elettorale per Camera e Senato al
fine di garantire più efficacemente il pluralismo politico e
territoriale, la parità di genere e il rigoroso rispetto dei principi
della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia elettorale e
di tutela delle minoranze linguistiche». Tutto qui. In pratica, una
pagina bianca. Sufficiente comunque a far dire al capogruppo alla
Camera, Graziano Delrio: «Il nostro no è diventato un sì perché sono
state accolte le nostre ragioni». Ragioni ben riassunte, evidentemente,
nella pagina bianca di cui sopra.
(...)
CUCINA CASALINGA (E NON SOLO)
Giovani, in 10 anni emigrati dall'Italia 250 mila ragazzi: persi 16 miliardi, pari all'1% del Pil
Giovani, in 10 anni emigrati dall'Italia 250 mila ragazzi: persi 16
miliardi, pari all'1% del Pil. Che è stato regalato agli altri paesi
dove sono affluiti i nostri ragazzi.
Mezzo milione di italiani ha lasciato il Paese negli ultimi dieci anni:
di questi, 250 mila sono giovani tra i 15 e i 34 anni. Secondo quanto
evidenziato dal «Rapporto 2019 sull'economia dell'immigrazione» della
fondazione Leone Moressa, la fuga di questi ragazzi è costata
all'Italia 16 miliardi di euro, pari a più di 1 punto percentuale del
Pil. Una cifra che sarebbe affluita nel prodotto interno lordo dello
Stato, se i giovani avessero trovato da lavorare in Italia e non
all'estero.
(...)
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Dopo
l'ultima deliberazione della Camera sulla riduzione del numero dei
Parlamentari, la battuta migliore anche se scontata è quella sui
tacchini che si mettono da soli allo spiedo per il prossimo Natale.
Realisticamente questi parlamentari hanno deciso andreottianamente che
è meglio tirare a campare che tirare le cuoia viste le incerte
prospettive della legislatura. Visto anche che di soldi da investire
(nella prossima legge di bilancio) non ce ne sono mentre di tagli
da fare ce ne sono troppi.
Noi restiamo del parere che per diminuire il numero dei parlamentari,
oltre all'abolizione di una delle due camere, basterebbe affidarlo agli
elettori: un sistema perfettamente proporzionale a doppio turno dove
ogni forza politica manda in Parlamento un eletto ogni centomila voti
presi. Ne abbiamo già scritto. In Italia dovrebbero votare in 46,6
milioni e quindi potrebbero eleggere 466 deputati. Chiamiamoli
così. Sarebbero un numero più che sufficiente a rappresentare chi vuole
essere rappresentato: uno stimolo ad andare a votare anziché fare il
quaqquaraqua.
Mentre i 950 si fregano le zampine nella certezza che le scadenze
concordate tra PD e 5S nel patto a quattro sulle riforme per dare il
via libera al taglio dei parlamentari dai nove capigruppo che
compongono la maggioranza di governo (PD, M5S, LEU, Italia Viva,
Autonomie) sono la clausola di buon fine legislatura. Salvo
imprevisti. Si tratta di una serie di “clausole di salvaguardia”
che il centrosinistra ha preteso dai 5 stelle, per ridurre l'effetto
distorsivo del taglio dei parlamentari.
I Cinque Stelle sono visti da mesi come un movimento in crisi,
appannati dal potere e disposti per esso a tradire le proprie radici.
Invece il Pd ha concesso loro di risollevarsi e tornare alle origini su
una questione cruciale come il rapporto tra Parlamento e rappresentanza
popolare. In una parola, li ha rimessi al mondo, almeno per qualche
tempo. Una scelta di convenienza risalente ad agosto perché c'era da
costruire il governo Conte ed evitare le elezioni. Ma ora?
Non diamo affidamento che i pentastellati onorino il patto sottoscritto.
Dipenderà prima di tutto dall'esito delle prossime tornate elettorali
in Umbria (888 mila abitanti ) Calabria (1,9 milioni di
abitanti) e in Emilia Romagna (4,5 milioni), per quanto
insignificanti siano due micro regioni come l'Umbria e Calabria. Bei
posti pessima politica.
L'impressione comunque è quella di essere tornati ai tempi di Letta e
Gentiloni. Avanti stando fermi. Ferma la politica e fermo anche il
paese: in compenso un gran casino –pensiamo solo a cosa ha
significato per il cittadino comune passare dal ReI al RdC- ma sempre e
soltanto a debito. Con Renzi l'Italia di qualcosa è cresciuta, per
adesso siamo fermi di due anni. Cresce solo il debito.
Il numero dei parlamentari lo riducano gli elettori col proprio voto. Chi vota elegge. Chi non vota resta fuori.
Noi restiamo sempre della nostra idea sul tema una-due camere e la
legge elettorale. Riteniamo che basti una sola camera eleggibile da chi
ha 18 anni. Un sistema perfettamente proporzionale, a doppio turno, con
premio a chi supera il 40%+1 dei voti. Si eleggono un deputato
ogni 100mila voti validi, i candidati si possono presentare solo un una
regione. In questo modo qualunque formazione o raggruppamento raggiunga
100mila voti validi (sommando quelli presi in tutta Italia) avrà un
proprio rappresentante in Parlamento. Ma questo sistema incentiva anche
gli elettori a presentarsi al voto e nello stesso tempo riduce gli
eletti per decisione degli stessi elettori (e non della kasta già
eletta). Alle elezioni politiche del 2018 potevano votare per la Camera
in 46.604.925 per eleggere 630 deputati (1:75.414) mentre ha votato
solo il 73% pari a 33.978.719 (risultando così 1:53.934).
Seguendo la nostra idea si sarebbero eletti 466 deputati e al partito o
coalizione che avesse raggiunto il 40%+1 dei voti sarebbero toccati la
metà degli eletti 233+1+5=239 deputati. Quindi alle altre
formazioni politiche avrebbero mandato in Parlamento i più votati dei
restanti 466-239=227.
Nel caso nessuna formazione o coalizione raggiunga il 40%+1 al primo
turno si passa al secondo turno tra i due più votati e la domenica
successiva il primo turno si rivota. Per la formazione del Parlamento
si ripete la prassi del primo turno col solo voto di lista: in questo
modo restano i rappresentanti di tutti o del maggior numero di
concorrenti e territori.
Ma poi c'è di mezzo il ribaltone. Se durante la legislatura il
governo viene bocciato su alcune leggi importanti (bilancio,
infrastrutture, energia) se le formazioni di minoranza prospettano al
PdR una alternativa il Parlamento viene “ricostituito” sulla base della
nuova maggioranza in base al risultato elettorale della prima
votazione. Buon ultimo non esiste il gruppo misto e chi cambia
casacca torna a casa.
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Pd e Cinque stelle si intendono su tutto, su tutto il programma dei Cinque stelle
Tagliati i parlamentari, restano il reddito di cittadinanza, il decreto
sicurezza e quota 100: il progetto politico giallorosso ruota intorno
all'intesa tra i due partner principali di governo, ma a girare sono
soprattutto i Democratici
Dopo avere votato contro per ben tre volte, in difesa della democrazia
rappresentativa, della divisione dei poteri e degli equilibri
costituzionali, il Pd ha approvato ieri il taglio dei parlamentari
voluto dal Movimento 5 stelle. Ma solo dopo avere ottenuto un documento
in cui i due partiti si impegnano solennemente, tra le altre cose, a
presentare entro dicembre una nuova legge elettorale che risolva il
problema in qualche modo. Non meglio specificato.
Quale dovrebbe essere infatti il nuovo sistema elettorale capace di
correggere le distorsioni prodotte dalla riforma, e che il Pd fino a
ieri aveva denunciato con veemenza, il testo dell'accordo non lo dice,
e non lo dice per l'ottima ragione che nessuno dei contraenti ne ha la
minima idea. Tutto quello che il documento afferma al riguardo, al
punto uno, è quanto segue: «Ci impegniamo a presentare entro il mese di
dicembre un progetto di nuova legge elettorale per Camera e Senato al
fine di garantire più efficacemente il pluralismo politico e
territoriale, la parità di genere e il rigoroso rispetto dei principi
della giurisprudenza della Corte costituzionale in materia elettorale e
di tutela delle minoranze linguistiche». Tutto qui. In pratica, una
pagina bianca. Sufficiente comunque a far dire al capogruppo alla
Camera, Graziano Delrio: «Il nostro no è diventato un sì perché sono
state accolte le nostre ragioni». Ragioni ben riassunte, evidentemente,
nella pagina bianca di cui sopra.
Del resto, è esattamente questo che Dario Franceschini da anni teorizza
e da qualche mese pratica con personale successo. E che lunedì ha
spiegato a Otto e mezzo con la consueta linearità. Il problema del
precedente esecutivo era la logica del «contratto di governo», un
accordo tra avversari che restavano tali e infatti non si presentavano
mai al voto insieme in Comuni e Regioni, mentre «noi stiamo cercando di
fare una cosa diversa». E cioè un'alleanza che trova un'intesa su
tutto, per «vedere se questa esperienza di governo aiuta la nascita di
un'alleanza politica, tanto è vero che in Umbria, dieci giorni dopo che
è nato il governo, ci siamo presentati uniti alle elezioni». E dopo
l'Umbria, va da sé, ci saranno «l'Emilia, la Calabria, la Toscana…».
Questo è il punto, il perno attorno a cui ruota l'intero progetto
politico. Il problema è che a ruotare è soprattutto il Pd.
Un partito-zelig, capace di contrastare con parole di fuoco,
dall'opposizione, ciascuno di quei provvedimenti, e un mese dopo
tenerseli tutti, una volta al governo.
Il ragionamento merita però di essere analizzato per esteso, a partire
dalle parole precise con cui Franceschini lo ha esposto. Dunque, il
governo precedente non funzionava perché era «un'alleanza tra avversari
che volevano restare avversari», in cui M5s e Lega «si erano appaltati
le zone d'influenza: tu fai quello che vuoi sugli immigrati e mi dai il
reddito di cittadinanza; tu fai quello che vuoi sui decreti sicurezza e
mi dai la riduzione dei parlamentari». Sfere d'influenza. E però –
ammoniva Franceschini – non si governa così un paese. Problema
brillantemente risolto dal Pd – aggiungo io – che al Movimento 5 stelle
ha lasciato sia i decreti sicurezza sia il taglio dei parlamentari, sia
il reddito di cittadinanza sia quota cento. Senza aggiungere né
togliere una virgola. Una pagina bianca, appunto, su cui i grillini
hanno potuto trascrivere in bella copia l'intero programma del
precedente governo, con ammirevole coerenza e invidiabile fermezza, di
cui è giusto dar loro atto. Più difficile trovare simili doti nel Pd
teorizzato – e realizzato – da Franceschini. Un partito-zelig, capace
di contrastare con parole di fuoco, dall'opposizione, ciascuno di quei
provvedimenti, e un mese dopo tenerseli tutti, una volta al governo:
reddito di cittadinanza e quota cento (confermati entrambi nella
prossima finanziaria), taglio dei parlamentari e decreti sicurezza (che
Conte e Di Maio hanno pubblicamente rivendicato e nessuno ha toccato).
E tutto questo al solo scopo di andare al governo. O meglio: per
evitare che ci vada la destra, che naturalmente è una destra
pericolosa, regressiva, che dal governo stava trasformando l'Italia in
una sorta di «Gotham City», come Franceschini ha spiegato nel corso di
quella stessa puntata di Otto e mezzo. L'unica cosa che non ha spiegato
è quali fossero i concreti provvedimenti con cui la destra avrebbe
prodotto questa terribile regressione civile, politica ed economica.
Lasciandoci con il tremendo sospetto che l'elenco avrebbe coinciso con
il programma del governo attuale: decreti sicurezza e taglio dei
parlamentari, reddito di cittadinanza e quota cento.
Un sospetto che è diventato certezza quando, poco prima della
conclusione della trasmissione, un servizio di Paolo Pagliaro ha
raccontato i risultati dell'inchiesta di Avvenire che ha rivelato come
due anni fa, per fermare i flussi migratori, funzionari del governo
italiano hanno trattato con un efferato criminale, ricevendo in Italia
con tutti gli onori un uomo che già l'Onu aveva indicato come boss
mafioso e trafficante di esseri umani, immortalato poco tempo prima in
un video mentre picchiava selvaggiamente un gruppo di migranti. Due
anni fa, per chi non se lo ricordasse, il governo in carica era il
governo del Pd, con Paolo Gentiloni a Palazzo Chigi, Marco Minniti agli
Interni e Dario Franceschini – proprio come oggi – ai Beni Culturali.
Peccato che al termine del servizio, una volta tornati in studio,
nessuno abbia azzardato una domanda in merito. Chissà quale
Franceschini avrebbe risposto.
Francesco Cundari
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Giovani, in 10 anni emigrati dall'Italia 250 mila ragazzi: persi 16 miliardi, pari all'1% del Pil
Giovani, in 10 anni emigrati dall'Italia 250 mila ragazzi: persi 16
miliardi, pari all'1% del Pil. Che è stato regalato agli altri paesi
dove sono affluiti i nostri ragazzi.
Mezzo milione di italiani ha lasciato il Paese negli ultimi dieci anni:
di questi, 250 mila sono giovani tra i 15 e i 34 anni. Secondo quanto
evidenziato dal «Rapporto 2019 sull'economia dell'immigrazione» della
fondazione Leone Moressa, la fuga di questi ragazzi è costata
all'Italia 16 miliardi di euro, pari a più di 1 punto percentuale del
Pil. Una cifra che sarebbe affluita nel prodotto interno lordo dello
Stato, se i giovani avessero trovato da lavorare in Italia e non
all'estero.
Ma perché 250 mila giovani italiani hanno scelto di andarsene? L'esodo
è dovuto per la maggior parte dei casi alle «scarse opportunità
occupazionali», che spingono quasi 90 mila ragazzi ogni anno a lasciare
le proprie case. L'Italia è il Paese con il tasso di occupazione più
basso nell'eurozona per la fascia dei 25-29enni. Solo il 54,6% di loro
ha un lavoro, contro il 75% della media europea. L'Italia ha il primato
europeo anche se si prende in considerazione la fascia Neet (ossia i
giovani che non lavorano e non studiano): rientra in questa categoria
il 30,9% di loro, contro una media europea del 17,1%. Il 19,7% dei
ragazzi italiani è disoccupato, contro il 9,2% della media
dell'eurozona. E per quanto riguarda l'istruzione? Paragonati ai loro
coetanei europei, i giovani italiani sono poco istruiti: solo il 27,6%
è laureato, ben 12 punti percentuali in meno rispetto alla media Ue.
UniBG: i conti non tornano
UniBG dichiara sul proprio sito web di avere in questo anno scolastico
20.500 iscritti. Nessun dubbio. Poi oggi leggiamo sui bugiardini
provinciali che “Coraggio è stata la parola chiave di tutta quella
“Giornata perfetta” che Vinicio Capossela, ospite controcorrente di
questa prima domenica d'ottobre, ha cantato sotto il cielo della
bellissima Piazza Vecchia incorniciata da 500 tocchi neri e altrettanti
sorrisi dei dottori e delle dottoresse magistrali 2018-2019 dell'Ateneo
della nostra città”. Non per fare le pulci con l'advantix, ma
20.500:5=4.100 dove sono finiti i restanti 4.100-500=3.600 che
non si sono ancora laureati? .
Giovanni Sanga, classe 1962, non più disoccupato della politica.
L'ufficialità arriverà giovedì 10 ottobre quando il Consiglio
d'amministrazione di Sacbo procederà alla cooptazione di un nuovo
consigliere e poi alla nomina del presidente, carica vacante dal 10
settembre scorso, data della scomparsa di Roberto Bruni. Il suo
successore sarà Giovanni Sanga, 57 anni, commercialista, già
parlamentare Pd (e prima ancora della Margherita). Sul suo nome,
proposto dai partner pubblici – Comune, Provincia e Camera di Commercio
– della società che gestisce l'aeroporto di Orio al Serio e che
detengono il 37% delle azioni Sacbo, si è registrata la massima
convergenza. D'accordo anche la milanese Sea, forte di un 30,98% di
quote: del resto la nomina del presidente è sempre stata lasciata al
lato bergamasco della società. L'avv. Ivonne Messi, bergamasca della
sinistra comunista è vicepresidente della SEA, società che è
azionista al 30,98% della SACBO.
Già siamo rimasti di sasso quando abbiamo letto alla morte di bruni che
fosse ammalato da cinque anni: e vai a fare il presidente SACBO? E
adesso un onorevole trombato eccolo sistemato per non dargli (magari)
il RdC?. Insomma la politica non molla. Poi perdono voti a carrettate.
Tre chiodi sono tornati a casa dopo mezzo secolo
Il carattere più divertente del compagno di cordata F.I. era quello di
vedere nuove vie su placche di roccia di montagne dove cresce l'olina.
Salendo la Valle Scura dov'è il sentiero da Branzi al Passo di Mezzeno
e poi i Laghi Gemelli giunti in alto agli ultime baitelli
guardando verso sud si vede una catena dove compare una piastra
piuttosto incavata abbastanza fessurata. E' la parete nord della Pietra
Quadra: circa 250 mt di salita. Correva l'anno 1970 primi di giugno e
la Valle Scura era affollata di tafani: stafano caricando di mucche le
paghe alle baite. La parete l'avevamo vista solo in una foto
13x18 bianco nero e quindi non sapevamo nulla. In parete ci lasciammo
sei preziosissimi chiodi. Quasi diecimila lire di ferro: al tempo
usciva una serata con quattro pizze e birre. Nei giorni scorsi
arriva un msg in cui un certo D.B. mi chiede se conosco la Via Menhir
sulla Placconata della Poltrona sulla Pietra Quadra perché la
vorrebbero salire. Vuole capire bene il percorso della via Calegari del
1977 rispetto alla nostra. Ci spieghiamo ed alla fine gli raccomando
“se trovi dei nostri chiodi e ce li riporti indietro, grazie in
anticipo!”. Oggi me ne ha restituiti tre. Marco e Luca Serafini, Davide
Brignoli e Massimo Teoldi il 5 Ottobre 2019 hanno però lasciato
la via attrezzata.
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